5. Benvenuta a bordo (II)
Amina si guardò intorno. L'ambiente in cui si trovava era ampio, pulito e ordinato. Davanti alla larga vetrata posizionata a poppa dell'imbarcazione, era posto uno scrittoio ricolmo di mappe, carte nautiche e appunti vari, tutti fissati al piano con puntine, dardi per balestra e pugnali da lancio. Accanto al tavolo c'era una brandina con le coperte disfatte, mentre dalla parte opposta trovava spazio una rastrelliera per armi, che sembrava contenere almeno un esponente di qualsiasi oggetto gli esseri umani avessero mai inventato per offendere. Appese alle pareti, infine, c'erano opere d'arte di diversa provenienza, appartenenti a popoli assai lontani tra loro: dipinti, arazzi, maschere tribali, lance cerimoniali, bassorilievi e sculture. Nonostante ogni cosa fosse di buona qualità, dalle lenzuola, alle tende, fino ad arrivare al tipo di carta utilizzato per scrivere, l'ambiente mancava della pomposa ostentazione che spesso affligge chi ricopre posizioni di comando: tutto era semplice, improntato più alla funzionalità che non all'estetica.
Ai due lati della scrivania c'erano due librerie, alte quanto il piano stesso; ogni ripiano era ordinato e pulito, con delle cordicelle tese da un bordo all'altro del mobile, per evitare che i volumi potessero cadere all'esterno durante qualche mareggiata.
Quanto stava vedendo contrastava alquanto con l'idea che si era fatta dei pirati.
La gran parte di quella collezione era costituita da trattati scientifici e manuali tecnici, tra i quali spiccava un elegante tomo rilegato in pelle dal titolo "Studio delle relazioni tra venti, maree e migrazioni degli afidi". In una delle mensole più basse, seminascosti sotto l'ombra della guida "101 modi di far nodi", c'erano anche un paio di romanzi.
Ne prese uno, incuriosita: "Innamorata del mio rapitore". Le sembrò così inopportuno, in quel contesto, che lo rimise a posto di fretta, come se scottasse.
Esclusa una cassapanca socchiusa da cui facevano capolino alcuni vestiti stropicciati, quelli erano gli unici mobili della stanza. Sempre più incuriosita, quasi dimentica del luogo in cui si trovava, la ragazza aprì l'unico cassetto del tavolo. All'interno trovò una scatola di madreperla finemente cesellata, contenente penne, matite colorate e un sacco di fogli di appunti spiegazzati e scritti fitto fitto. La grafia era quasi illeggibile, ma si intuiva comunque che si trattava di una sorta di diario.
Al disotto di quella montagna di carta, c'erano altri fogli molto meglio conservati, redatti con una calligrafia elegante e precisa. Sollevato il primo tra le dita, la giovane poté leggere, stavolta a chiare lettere: "L'Ape e la Formica. Un racconto d'avventura e di amore."
«Il titolo è provvisorio.»
La voce la colse così alla sprovvista che la pagina le sfuggì di mano. Era tanto concentrata in quello che stava facendo, da non aver sentito aprirsi la porta della cabina, e ora la sua rapitrice la scrutava con un sorriso a mezza bocca dalla soglia. «Per essere una specie di principessa, sei piuttosto maleducata.» insistette l'avventuriera «Non ti hanno insegnato che non si fruga nei cassetti altrui?»
«Non sono una principessa.»
«Infatti, ho detto una specie.»
Amina si sentiva a disagio al cospetto di quello sguardo penetrante. Forse perché l'altra era così sicura di sé, la giovane si rese conto che, in sua presenza, provava una soggezione mai sperimentata prima, come potrebbe provarla un bambino di fronte al suo eroe.
Ma quello non era affatto un modello di rettitudine: era la criminale che aveva assaltato la sua nave e l'aveva fatta prigioniera.
Era assurdo che dovesse comportarsi come se fosse dalla parte del torto: gonfiando il petto, circumnavigò la scrivania, fronteggiando la sua carceriera che, nel frattempo, si era chiusa la porta alle spalle e le stava andando incontro.
«Che cosa vuoi da me?» indagò. Sebbene fosse consapevole di aver posto una domanda alquanto scontata, ci teneva a dare l'impressione di star conducendo la conversazione.
«Da te? Niente! Da tuo padre, invece, voglio un sacco di soldi.» ora erano l'una di fronte all'altra, e la pirata concluse: «Se volessi qualcosa da te, me la prenderei e basta. Sei in mio mio potere.»
«Io non sono in potere proprio di nessuno!» ritorse la fanciulla, piccata.
«Credi?»
Senza aggiungere nulla, l'altra afferrò un'estremità della sciarpa che le aveva prestato e, con un gesto deciso, gliela sfilò di dosso. Improvvisamente libero, il lembo strappato del vestito, che era stato avvoltolato alla bell'e meglio nel foulard, si arrese per la seconda volta alla forza di gravità, calando come una saracinesca e scoprendo di nuovo le grazie della giovane.
Colta alla sprovvista, quest'ultima si affrettò a nasconderle meglio che poteva, troppo sorpresa per replicare qualcosa.
L'altra poté così proseguire imperterrita, e ne approfittò per metterla ancora più in crisi, domandandole: «Cosa pensi che sia un pirata?»
Presa in contropiede, la giovane indietreggiò istintivamente, come se si fosse ricordata solo in quel momento quanto la sua interlocutrice potesse essere pericolosa.
«Un criminale.» rispose «Un ladro. Un assassino. Una minaccia per la società.»
Era consapevole di rischiare di finire in guai peggiori ma, per qualche motivo, non aveva saputo resistere alla tentazione di provocarla. Tuttavia, quando provò a cercare rabbia o amarezza sul viso dell'altra, non ne trovò traccia alcuna.
«Di certo non sbagli.» convenne infatti capitan Velluto, esibendo un sorriso a mezza bocca «ma ti stai concentrando sugli effetti, senza vedere le cause.»
Amina si indispettì ancora di più. Voleva prendersi gioco di lei? Nessuna storia strappalacrime avrebbe potuto giustificare il terrore che, ogni giorno, ceffi di quella risma seminavano nell'oceano.
«Su cosa dovrei concentrarmi, allora?» domandò.
Se quello era il suo gioco, bene, ci sarebbe stata, e avrebbe sfoggiato tutto il suo disprezzo per quei deboli, che avevano scelto la via più facile piuttosto che fare la cosa giusta.
«Essere un pirata significa che nessuno può dirmi cosa devo fare. Significa che valgo quanto la mia spada dimostra che valgo, indipendentemente dal fatto che io sia uomo o donna, bianca, nera o gialla. Significa che le persone mi ubbidiscono non perché siano obbligate a farlo, ma perché riconoscono che la mia capacità di prendere decisioni è migliore della loro. Significa che nessuno ha deciso chi dovevo essere, al posto mio: sono libera, libera davvero! Ho rinunciato a tutto per avere questa possibilità, e me la sono guadagnata in punta di lama!»
La giovane aprì la bocca per rispondere, ma all'improvviso i polmoni sembravano avere esaurito tutta l'aria. Cosa stava dicendo quella donna? Perché le sue parole facevano vibrare qualcosa nel profondo della sua anima? Era come se qualcuno avesse all'improvviso scoperto una porta nascosta in una cantina, una porta murata da tempo, dietro la quale era stato imprigionato un mostro terrificante.
Vedendo che esitava, la comandante la incalzò: «tu dovresti capire bene questo discorso. Tu, che sei stata spedita come merce su un bastimento, per adempiere a un destino che altri ti hanno imposto.»
«Io non sono...» provò a replicare la giovane, ma l'altra la prevenne: «Andiamo! Avrebbe potuto essere più evidente solo se ti avessero messo dentro una cassa con l'etichetta "non aprire fino al matrimonio!" »
«Tu non sai niente di me!» sbottò. Era arrossita, sentiva la rabbia montare contro quella sconosciuta che osava metterla di fronte alla realtà.
«Io ti ho osservata, principessa, e penso che sia tu a non sapere nulla di te: io vedo il tuo spirito indomito e ribelle che cerca di venire allo scoperto, come la spuma che fa da cappello alle onde, quando il mare comincia a ingrossarsi.»
SPAZIO AUTORE
Questo era il primo confronto tra la protagonista e la nostra pirata preferita.
Ci tenevo che fosse di impatto, che avesse un senso. Più o meno consapevolmente, le due ragazze si stanno mettendo a nudo (una delle due non solo metaforicamente, ma vabbé, dettagli XD )
Spero che il loro dialogo sia convincente e vi piaccia.
Amina è spiazzata, perché la bella capitano non è come se la aspettava e, quando parla, fa vibrare in lei corde di cui ignorava il suono.
Per Velluto mi ero ripromesso di fare dei capitoli più corti, quindi ho spezzato questo che era da 1600 parole circa; purtroppo però l'unico punto dove aveva senso interrompere, ha generato una prima parte molto breve e una seconda che ha comunque un certo "peso". Spero non scoraggi la lettura.
Appena le mie attuali lettrici mi daranno conferma di essere passate, farò in modo di pubblicare a stretto giro anche il successivo, con la seconda parte di questo loro primo dialogo.
Un caro saluto a tutti! :)
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