26. Quartieri malfamati (I)

Oltre la prima cinta, l'atmosfera si distese.

C'erano molte meno persone, in giro, e i palazzi eleganti avevano lasciato il posto a minuscole abitazioni a un piano solo, raramente due, addossate le une alle altre in modo disordinato, senza logica. Era pieno di senzatetto, alcuni dei quali chiedevano la carità; ma i più si limitavano a starsene seduti per terra ad osservare con occhi vacui il tempo che passava.

La legge non consentiva ancora ad Ahmed di rastrellarli e renderli schiavi e, con le tensioni in corso, non era il caso di forzare la mano. In caso contrario, Amina era certa che le strade sarebbero state vuote, e quei derelitti avrebbero dovuto lavorare senza compenso ai cantieri navali.

Il piano era chiaro e semplice, ma conteneva al suo interno alcuni passaggi alquanto nebulosi.

La prima cosa su cui aveva riflettuto, era che non aveva la minima possibilità di far fuggire da sola l'affascinante pirata, e farla franca: le serviva un alleato.

La sua seconda conclusione, era che l'unico possibile candidato in tale ruolo era la ciurma di Velluto stessa.

L'idea, dunque, era di mettersi in contatto con i bucanieri e, ottenuta la loro collaborazione, inscenare un diversivo, approfittando della confusione per far fuggire la loro capitano.

Su come fare per trovarli, però, aleggiava un grosso punto di domanda: i filibustieri non avevano una divisa riconoscibile, né tantomeno, per ovvi motivi, esisteva un quartier generale con l'insegna "equipaggio della Sea Wasp" appesa sopra.

Mentre superava anche la cinta esterna e cominciava a vagare per il porto, la giovane sentì montare il panico. Una vocina, dentro di lei, cominciava a ripeterle con una certa insistenza che aveva rischiato tanto per nulla, che aveva giocato a fare l'adulta senza averne le capacità, e che la sua ancella si era esposta senza motivo.

Quando le ombre cominciarono ad allungarsi, stava ancora vagando tra i vicoletti e le banchine.

La prese il panico: era stata troppo approssimativa nel pianificare le proprie mosse, e adesso si trovava in un'area sconosciuta, circondata da gente poco raccomandabile.

Che cosa si era messa in testa?

Ci voleva ben più della mera volontà, per riuscire in un'impresa del genere!

Quasi a sottolineare quel pensiero, tre individui dall'aria poco rassicurante la presero di mira.
«Guarda, guarda... Cosa ci fa cosa ci fa un senzapalle nel nostro territorio?»
«Si sarà perso? Credevo che non potessero uscire all'aria aperta!»
«In effetti, è già tanto se cammina! Avete visto quant'è ciccione?»
Ci mise un attimo a capire che si stavano rivolgendo a lei, ormai dimentica del travestimento indossato.

«Ehi! Ti hanno tagliato anche le orecchie, per caso!?» l'apostrofò uno dei tre manigoldi, vedendo che proseguiva come niente fosse.
«Ti credi chissà chi, solo perché puoi vivere tranquillo, nutrito, pulito e profumato nei palazzi dei padroni? Per loro vali meno di un acaro!» sbottò il secondo, dandole uno spintone con entrambe le mani, che la mandò a cozzare contro il terzo.
«Hai detto profumato? Questo puzza più dei loro acari!» rise costui, arricciando il naso.
«Per forza! Prova tu a portarti addosso tutta quella ciccia, e poi ne riparliamo!»

Il cuore della ragazza batteva all'impazzata.

Come aveva potuto pensare di cavarsela da sola nel mondo esterno? La sua avventura stava per trasformarsi in una disavventura, se non in una tragedia, e lei non sapeva davvero che pesci pigliare.

Si guardò intorno forsennatamente alla ricerca di qualcuno disposto ad aiutarla, ma si trovava in un quartiere malfamato, sul far della sera: i rarissimi passanti si limitavano ad accelerare il passo per tornare alla sicurezza delle proprie dimore, sforzandosi di guardare da un'altra parte.

In preda alla disperazione, mentre i tre lestofanti continuavano a provocarla e insultarla, ridendo sguaiatamente, per un momento pensò che il volto conosciuto che le era balenato di fronte fosse solo frutto della propria immaginazione.

Invece, eccolo lì, sbucato quasi per magia da un vicolo, e intento ad attraversare la strada per tuffarsi subito nell'ombra di un altro.

Era il cuoco di bordo della Sea Wasp, chiamato Ranciorancido.

Amina aveva trascorso molte ore, soprattutto notturne, a chiacchierare con lui.
In quella di cui parlava come se fosse una vita precedente, egli era stato un nobile ufficiale cetoniano, e aveva vissuto una vita avventurosa, combattendo le ostili tribù dell'entroterra a Est della sua città. Poi si era invaghito della donna sbagliata, attirando su di sé l'odio sia della famiglia della sua innamorata, sia di quella del di lei promesso sposo. Non parlava mai di quello che era successo tra il tradimento che l'aveva menomato e allontanato dalla sua patria, e il suo imbarco con la ciurma dei pirati; tuttavia, quel che aveva da raccontare della propria vita prima e dopo, sarebbe stato sufficiente a scrivere una collana intera di romanzi d'avventura.

La giovane Termite non sapeva se avrebbe potuto definirlo suo amico, ma in quelle notti trascorse a dialogare avevano raggiunto una certa confidenza.

Sarebbe bastata per indurlo ad aiutarla?

E avrebbe potuto davvero fare qualcosa, nelle sue condizioni? L'uomo, infatti, che aveva superato da tempo la cinquantina, aveva una vistosa zoppia, e il braccio sinistro quasi inservibile, dopo che una larva di ditisco per poco non gliel'aveva strappato dal corpo.

Tuttavia, era la sua unica possibilità, e lei prese a chiamarlo con tutto il fiato che aveva in corpo.

«Aiutami, Rancio! Sono Amina!» gridò, con quanto fiato aveva in corpo.

«Si danno pure nomi da femmina, questi schifosi!» ruggì uno dei tagliagole, sferrandole un violento pugno allo stomaco. Se non avesse avuto il cuscino a farle da finta pancia, probabilmente la ragazza avrebbe perso i sensi. Anche così, però, fu costretta a piegarsi in due.

Con la coda dell'occhio, vide la figura claudicante che spariva oltre l'angolo di un edificio.

Non l'aveva riconosciuta, non le aveva creduto, oppure semplicemente non gli interessava.

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