16. Una distesa di piante

Il sole era sorto e si era sollevato ma, anche se camminavano ormai da ore, non c'era traccia della fine di quello sconfinato mare argentato.

Interminabili filari di Xylaria si estendevano da un lato all'altro dell'orizzonte, seguendo il profilo di dolci pendii e colline appena accennate; qua e là, in lontananza, si intravedevano delle macchie più scure: villaggi non molto diversi da quello da cui il terzetto era partito.
Come palchi rinsecchiti di qualche animale mitologico, i rami cinerei protendevano le loro propaggini verso il cielo, simili a dita adunche che spuntassero dal terreno.

Quelle piantagioni erano il granaio di Vanessa: migliaia e migliaia di Rami quadrati, sui quali gli schiavi Coccinelle si rompevano la schiena ogni giorno della loro vita, per fornire alla città parte delle provviste necessarie.

«Le avevo viste solo dall'auto» mormorò Amina con aria assorta «ma devo ammettere che camminarci in mezzo fa un certo effetto.»

«Belle, vero?» Stevo, un ragazzo dal cranio completamente rasato e tatuato per metà con complicati motivi geometrici, sembrava sorridere sempre. «Abbiamo lasciato da un pezzo la parte gestita dalla nostra tribù, ma devo dire che anche quelli di Boldo non se la cavano niente male!»

«Belli quanto può esserlo la morte.» ritorse Donka, la sorella. Appena più vecchia, era cupa e ombrosa quanto il fratello appariva solare e radioso. Portava i capelli raccolti in una lunga treccia, un paio di orecchini a forma di anello, e un trucco nero e pesante ai bordi degli occhi. «Ogni pianta è il canto disperato di uno dei nostri, che è spirato sudando in questi campi, senza mai assaporare la libertà.»

«Eddai, Dò! Non fare la drosofila del malaugurio come tuo solito!» la rimproverò Stevo.

Proseguirono in silenzio per un po', ognuno immerso nel corso dei propri pensieri.

Amina si era sempre considerata una schiava al pari dei lavoratori delle piantagioni, con i quali faceva sovente il paragone: non poteva decidere dove andare o cosa fare, non poteva scegliere chi sposare, o influire in alcun modo sul proprio futuro.

Ora però, di fronte alle dimensioni della coltivazione, si vergognava di quei ragionamenti: lei, che aveva sempre vissuto nell'agio, aveva sempre dormito al caldo d'inverno e al fresco d'estate, non aveva mai sofferto la fame o la sete, e non aveva mai dovuto lavorare un solo giorno in vita sua.

«Questa zona è più in ombra della nostra, le piante sono quasi pronte per la mietitura» commentò Stevo, cercando di riportare un po' di allegria.

La piantagione era tutto il suo mondo, perciò non c'era molto altro di cui gli venisse in mente di parlare.

Amina ne approfittò per imparare sull'agricoltura qualcosa in più delle poche nozioni apprese a scuola. «Sono davvero tante piante» osservò, non sapendo bene come iniziare, mentre percorrevano a passo spedito l'ampia strada bianca che, come una cicatrice, tagliava in due la piantagione.

«In realtà, sono funghi...» cominciò Stevo, che però ammutolì quando la sorella lo incenerì con un'occhiataccia.
«La parte buona è la base, piena di proteine e vitamine.» spiegò quest'ultima «ma a noi è preclusa: quella è solo per le troiette viziate come te.»

Amina si irrigidì: non aveva mai avuto troppo a cuore la sorte delle Coccinelle, pur avendo sempre pensato che il modo in cui venivano trattate fosse una grande ingiustizia.
Ora che aveva visto tutto con i propri occhi, però, non si sentiva di smentirla.

Per fortuna, la sua interlocutrice non si aspettava una risposta, e riprese immediatamente il discorso, vomitando la sua rabbia: «Un giorno, hanno sorpreso nostro cugino con un pezzo minuscolo nella sua tenda. Lo hanno portato nel punto in cui di solito accendiamo il fuoco, e lo hanno frustato. Hanno detto che, se fosse ricapitato, avrebbero fatto di peggio. Ma cosa può esserci di peggio? Gliene hanno date tante che gli è venuta la febbre, ed è morto.»

L'ereditiera rabbrividì: le ferite dovevano essersi infettate. Possibile che quei derelitti non avessero accesso nemmeno ai medicinali?

«Ma allora, cosa mangiate?»

«Noi dobbiamo accontentarci dei bracci, che sono legnosi e insapori, ma soprattutto scarsamente nutrienti.» rispose Stevo.
«È come mangiare carta.» confermò Donka. «A stento placa la fame. Per fortuna, le Coccinelle hanno trasformato in arte la capacità di arrangiarsi con quel che c'è a disposizione.»

A un cenno della sorella, con un grande sorriso, il giovane sparì fra i miceti. Poco dopo cominciò a fischiare, e le due donne lo rintracciarono seguendo il suono.

Stevo scostò una grossa propaggine; sotto di essa, immobili, erano acquattate alcune creature poco più grandi di una testa umana.
«I nostri trisavoli hanno scoperto che un certo tipo di acari è assai ghiotto delle radici di Xylaria» spiegò Donka con aria saputa.
«Così le tritiamo e le mescoliamo al fertilizzante, quando prepariamo il terreno!» esclamò il fratello, pieno di entusiasmo.
«Ci è proibito allevare bestiame, ma nessuno conosce un modo per tenere gli acari lontani.» riprese la sorella. «Durante la bella stagione consumiamo soprattutto le loro uova. Quando mietiamo, però, ne catturiamo a migliaia. Secchiamo la loro carne e la teniamo per l'inverno.»
«Sembra una figata, ma in realtà è a malapena sufficiente per non morire di fame, né far crescere malnutriti i nostri bambini.»

Tornarono alla strada, abbastanza larga da essere percorsa anche dai veicoli a motore, e di nuovo proseguirono in silenzio per qualche minuto.

«È bello che ti sia fidata di me, al punto da parlarmi degli acari» notà Amina a un certo punto «ti ringrazio.»
«Già. Fidarsi non è una delle specialità di mia sorella.» commentò Stevo.
«Tu non sei come gli altri. Lo sento.» replicò la giovane, stringendosi nelle spalle. «Sentivo di poterlo fare. Che i nostri nemici sono anche i tuoi nemici.»

Istintivamente, Amina si voltò. La strada sembrava libera, alle loro spalle, fin dove l'occhio poteva arrivare. Possibile che i pirati avessero rinunciato a ricatturarla, senza fare nemmeno un tentativo?

«Non ti troveranno, vedrai.» la rassicurò il ragazzo, mettendole una mano sulla spalla.
«Scommetto che quel volpone di Gunari li avrà mandati a cercarti sulla strada per Vanessa, dalla parte opposta!» confermò Donka «Ma è comunque meglio affrettarsi.»

***

A un certo punto, dalla cima di un lieve declivio, videro finalmente la fine dei campi coltivati e, più in là, il profilo di Gammarville e lo scintillare del mare.

Era ormai sera, e i ragazzi decisero di passare la notte in un capanno per gli attrezzi.

«È molto improbabile che qualcuno ci trovi. Gli stranieri non sono bravi a muoversi tra i funghi.» la rassicurarono, e Amina, grata di quell'insperato aiuto, accolse con grande entusiasmo la possibilità di riposare un po'.

Non aveva mai camminato così a lungo in vita sua: sentiva i piedi gonfi e doloranti, e la schiena a pezzi.

«Grazie per tutto quello che avete fatto per me.» sussurrò, al termine di una cena a base di pane di Xylaria e acaro arrosto: Stevo, infatti, non aveva resistito alla tentazione di catturare uno di quelli scovati in precedenza. «Vi giuro che, quando tutto questo sarà finito, me ne ricorderò.»

Donka scoppiò a ridere. «Davvero? E, che cosa? Cambierai il sistema? Abolirai la schiavitù?»

La figlia del governatore abbassò la testa, ferita. La sua guida aveva ragione: non poteva fare niente del genere, ovviamente. La sua opinione, il suo pensiero, contavano meno di niente.

«Ti abbiamo aiutato perché, per il nostro popolo, l'ospitalità è sacra agli dei: non nella speranza di una ricompensa.» le spiegò la giovane.

Senza sapere nemmeno bene perché, Amina lasciò affiorare una domanda sulle labbra: «Voi credete nel liberatore? Quello di cui mi ha parlato Nonna Yara?»

Per parecchi secondi, gli unici suoni furono quello del vento che faceva scricchiolare le colture, e il canto degli acari.

Il ragazzo era coinvolto, ma al tempo stesso non pareva disposto a parlare prima della sorella.

Infine, Donka sentenziò: «Io credo che questo stato di cose non possa durare per sempre. Finora, ogni nostro tentativo di ribellione è sempre stato sedato nel sangue e nella violenza, ma verrà il giorno in cui troveremo le Termiti deboli e impreparate. Io... spero che, per quella volta, emerga un leader in grado di guidarci.»

SPAZIO AUTORE

C'è tanto da dire, stavolta. 

Il capitolo è di collegamento, ma necessario ad Amina per rafforzare la sua nuova opinione sul mondo che la circonda e sulle persone che lo popolano, svincolandosi dai preconcetti e dalle dottrine che le sono state inculcate.

Cominciamo dai nomi, come sempre. Tutti gitani.
"Boldo" non è un parente del celebre attore italiano, ma significa "il difensore del re".
"Stevo" (probabilmente della stessa radice di Stefano) significa "incoronato", mentre sua sorella "Donka" è "inestimabile".

Per quanto riguarda le piantagioni, ho riflettuto a lungo su cosa usare. Servivano delle piante alte pochi centimetri (non molto di più dei micro-uomini stessi).  Avevo pensato dapprima a svariate piante ad uso umano (di quelli della nostra taglia), poi avevo valutato vari tipi di muschio. Per esempio, una distesa simile a questa sarebbe stata visivamente perfetta (immaginate l'uomo di Vitruvio fuori dalla sua moneta):

Però non ero del tutto soddisfatto. Il paragone con il mondo di insetti e artropodi non era completo. Volevo qualcosa come le mandrie di afidi che Ashlie bada nel "Dominio", volevo qualcosa che fosse correlato al popolo di Amina, le Termiti.

Provo a documentarmi un po' di più, ed eccola qui: la Xylaria. È un genere di funghi che... viene coltivato dalle "vere" termiti, nei loro nidi!

Sì, proprio così! Incredibile, vero?

"
La relazione fra le termiti e i funghi coltivati costituisce un impressionante esempio di simbiosi, si conoscono da cinquanta milioni di anni e da allora, progressivamente, l' esistenza di uno è diventata impossibile senza la presenza dell'altro. Il materiale vegetale (legno ed erba secca) viene masticato, ingerito ed eliminato come pseudo-feci, utilizzate per la costruzione dei letti di coltivazione, [in camere apposite]. Nel corso di queste manipolazioni il materiale è inoculato con diverse spore fungine nella fungaia (in cui [le termiti mantengono] condizioni di umidità e temperatura ottimali per lo sviluppo fungino).
Le spore germinano e degradano la cellulosa e la lignina [presenti nel letto di coltivazione] in zuccheri semplici e azoto; le termiti si nutrono di questo materiale "arricchito"
. (*)
   "

Era perfetto!
Inoltre, la forma particolare del corpo fruttifero ben si presta, visivamente, all'idea che avevo per una sconfinata distesa coltivata, in cui gli schiavi Coccinelle sono costretti a lavorare.
Infine, ha una sorta di aspetto spettrale, che non guasta.
Date un'occhiata rispetto al solito omino di spalle:

Nella storia ho voluto anche rafforzare il parallelo con la "vera" coltivazione: Donka infatti si lamenta del fatto che la parte buona sia la base, mentre i bracci sono legnosi, insapori e con un basso contenuto di nutrienti.
Infatti le vere termiti, come abbiamo visto, si nutrono del sottoprodotto del fungo (che rimane alla base, o per meglio dire sul "terreno"), ignorando la parte aerea.

Non so invece se esistono davvero degli acari che amano questo tipo di funghi, ma in fondo, perché no? In ogni caso, pare che esistano nel MicroWars Universe! XD


(*) questo testo è ripreso pari pari dalla seguente pagina, eccezion fatta per le parti fra parentesi quadre, dove ho voluto esplicitare meglio alcuni concetti che magari erano espressi in altri punti del testo. Comunque si parla del rapporto tra Termiti e funghi anche sulla pagina di Wikipedia dedicata alle termiti appunto, genere "isoptera"

http://www.mondofungo.it/Funghi_spontanei/Pagine/Termiti_e_formiche....html

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top