Libertà
Avvenne tutto così in fretta che non ebbi il tempo di crollare. E conoscendomi avrei potuto farlo. Io non ero esattamente una persona forte. No, se fossi stata forte avrei trovato la forza di ribellarmi molto prima. Quindi non ero decisamente un'eroina di qualche storia avvincente, sempre pronta all'azione e decisa. Al contrario, ero una fifona che per paura delle conseguenze non ha fatto che subire i maltrattamenti per una vita intera.
In realtà diciassette anni, ma per me erano stati davvero lunghi.
E quando fu il momento il mio intero corpo agí mosso da chissà cosa, forse dalla voglia di libertà, o istinto di sopravvivenza. Sentivo l'adrenalina scorrermi nelle vene, rendere tutto intorno a me più lento, come se la mia mente elaborasse tutti più velocemente, calcolando le azioni prima che avvenissero.
Nel preciso istante in cui l'uomo di sinistra si mosse, probabilmente per correre ad avvertire gli altri che io ero lì, e l'uomo di destra scattò per afferrarmi, il mio braccio su sollevò nella loro direzione, come guidato, e la mia bocca pronunciò l'incantesimo come se sapesse già cosa fare.
<Adhuc Lapis!>
Li avevo pietrificati. Non sapevo quanto avrebbe retto l'incantesimo, il che rendeva tutta la situazione piuttosto frenetica. Resi innocui i due carcerieri non c'era motivo per cui non dovessi usare la porta, e mi apre a la soluzione più rapida piuttosto che cercare di arrampicarmi dalla finestra.
Ma la porta era chiusa e il lucchetto che legava la catena protetto da un incantesimo. Imprecai. Scioglierlo sarebbe stato semplice una volta scoperto quale mia madre aveva usato, scoprirlo poteva essere un problema. Ma farmi prendere dal panico non sarebbe servito, piuttosto che pensare avrei dovuto agire, e in fretta.
Presi il lucchetto tra le mani e mi concentrai. Ero brava con la magia, ma mia madre era molto potente e in quel caso avrei dovuto fare appello a tutta la mia conoscenza per tentare di superare la sua.
Il sudore iniziava a scendere sulla mia fronte, sulle tempie, e non per il caldo. Era autunno, e la notte non era affatto calda, ma il sangue mi ribolliva in corpo per l'adrenalina e la paura. Quasi potevo sentire le mie mani tremare mentre le obbligavo a stare ferme.
Ma trovai l'incantesimo, e una volta individuato sapevo come romperlo. Una cosa la capii, mia madre non aveva fatto quella prigione per tenere lontano qualcuno dall'esterno ma per impedire che chi si trovasse al suo interno potesse scappare. E mi sembrava davvero eccessiva una tale precauzione per l'uomo che trovai al suo interno, incatenato ad una trave al centro del capanno.
Mi avvicinai, la debole luce che avevo fatto entrare aprendo la porta illuminò il suo volto, scoprendo i suoi occhi feroci, verdi, che mi guardavano con odio. Probabilmente pensava che fossi andata lì per ucciderlo, e non potevo biasimarlo. Ma non ero una sciocca, e se mia madre aveva preso tali precauzioni per immobilizzarlo, doveva esserci un valido motivo.
La odiavo, ma dovevo riconoscere che la sua esperienza non aveva eguali, e quindi non potevo sottovalutare il motivo per cui aveva messo fuori gioco in quel modo il prigioniero. Quindi dovevo essere assolutamente certa che lui volesse essere libero quanto me e che non sarebbe scappato senza di me.
Mi avvicinai, tenendo le mani tese in avanti come per tranquillizzarlo, mentre lui cercava disperatamente di protendersi verso di me. Sembrava più una bestia che un uomo. Mi sembrava quasi di sentirlo ringhiare sotto la museruola.
<Ascolta, io non sono qui per farti del male.>
Ma sembrava più che lui volesse farne a me e se fossi stata furba probabilmente sarei fuggita da sola. E avrei potuto farlo, ma dovevo ammettere che non solo non ero mai uscita da sola al di fuori della nostra comunità, e quindi non sapevo ne dove andare ne come muovermi, ma l'idea di portarmi via un prigioniero tanto importante per loro e fargli un torto del genere era una cosa a cui non potevo rinunciare.
<Sono qui per liberarti.>
Mi parve di vedere incredulità nei suoi occhi, ma improvvisamente si calmò, pronto ad ascoltarmi. Chissà cosa stava passando per la sua testa in quel momento. Mi avvicinai di un altro passo, lui ansimava, evidentemente dubbioso delle mie intenzioni. Dovevo guadagnarmi la sua fiducia.
<Quel marchio che ti hanno imposto sulla fronte deve darti dei dolori inimmaginabili. Eppure sei vivo, curiosa come cosa. Ma immagino non sia piacevole, quindi ora mi avvicinerò e lo cancellerò. E tu starai buono mentre lo faccio.>
L'ultima frase era più per tranquillizzare me piuttosto che chiederlo a lui. Era provato, pallido, madido di sudore. Non era immune al dolore, ma ero certa che chiunque altro sarebbe svenuto sotto quella maledizione potente.
Poggiai due dita sulla sua fronte, fredda come il ghiaccio, e pronunciai l'incantesimo di scioglimento.
Non fu facile scioglierlo, e mi procurò un violento capogiro, che mi costrinse ad aggrapparmi a lui. Rimasi a stento in piedi, e quando riaprii gli occhi, vidi i suoi guardarmi incuriositi. Non ansimava più, anche il suo volto era più disteso, libero dal dolore del marchio. Ora non mi rimaneva che sciogliere l'incantesimo delle catene che lo immobilizzavano e la museruola, ma prima dovevo assicurarmi che non mi avrebbe lasciata indietro.
<Sei quasi libero, mi restano solo le tue catene. Ma prima voglio la tua parola che mi porterai con te e non mi lascerai indietro. Se lo farai io sarò morta. Non c'è perdono per quello che ho fatto. Nemmeno per la figlia del capo clan.>
Allungai le braccia fin dietro la testa di lui per sciogliere il laccio che lo costringeva al silenzio. Perché poi impedirgli di parlare. Anche se avesse urlato, non c'era nessuno nel raggio di km che potesse sentirlo. Forse era uno stregone, e avevano paura che pronunciasse qualche incantesimo contro di loro.
E forse anche io avrei dovuto temere qualche maledizione, in fondo cosa gli avrebbe impedito di lasciarmi li e fuggire da solo? Niente. Ma ormai ero in ballo.
La museruola cadde a terra con un tonfo, e notai che le sue labbra erano secche, mentre tentava di umettarle inutilmente.
<Nello zaino ho dell'acqua, aspetta...>
<Perché?>
Aprii lo zaino e tirai fuori una bottiglia di plastica, aprii il tappo e l'avvicinai alla sua bocca, che avidamente si spalancò per bere.
<Perché li odio. Tutti. E voglio disperatamente andarmene di qui. Sono disposta anche ad affidarmi ad un presunto assassino pur di scappare, solo per darti un'idea di quanto io sia disperata.>
Si staccò dalla bottiglia e sbrigandomi, la riposi nello zaino. Mi spostai alle sue spalle, pronta a sciogliere l'incantesimo che lo teneva prigioniero.
<Voglio la tua parola che non mi lascerai qui.>
<Io sono d'avvero l'assassino che cercavano. Ho davvero ucciso quella donna.>
Sapevo che lo era. Certo che lo sapevo, Karl non avrebbe preso l'uomo sbagliato. Ma a me non importava. Desideravo di più la mia libertà.
<Quel che hai fatto e perché lo hai fatto non è affar mio. Anzi, dovrei quasi ringraziarti visto che a causa tua le mie nozze con il figlio della donna che hai ucciso sono state rimandate. Fino adesso. E non intendo sposarmi, quindi, mi aiuterai?>
<Hai la mia parola!>
<Bene, abbiamo un accordo. Infrangi la parola data e sarà di me che dovrai avere paura.>
Potevo quasi sentire la sua risatina trattenuta, ma aveva dato la sua parola, e un uomo è niente se non ci si può fidare della parola data.
Così sciolsi l'incantesimo che lo teneva prigioniero, le catene caddero a terra e lui era di nuovo libero.
Ma da lontano, mia madre era rientrata nel campo e anche se non vedevo chiaramente il suo volto, potevo sentire l'odio che mi stava lanciando nel vedere cosa avevo appena fatto.
Rimasi pietrificata, contavo di avere più tempo. Capii di essere spacciata.
Vidi mia madre muoversi verso di noi, tentava di mettere meno distanza possibile tra lei e me allungando spasmodicamente i passi. Ero stata scoperta, probabilmente il mio tentativo di fuga era appena finito sul nascere e io sapevo che non mi avrebbero perdonata, sia per aver tentato di sottrarmi al mio matrimonio imminente, sia per aver liberato il prigioniero.
Ma mentre la paura mi pietrificata, l'uomo che avevo appena liberato mi afferrò bruscamente un polso, richiamandomi alla realtà. E io mi destai, come da un sogno, osservai la sua mano sul mio braccio e subito dopo lo zaino che avevo lasciato a terra.
<Se non hai intenzione di tornare alla tua vita, zingarella, forse dovremmo muoverci. Io non voglio tornare in catene, non so tu.>
Mi chinai in fretta a prendere lo zaino, e con la sua mano ancora stretta al polso, ci precipitammo fuori dal capanno. Stavo per lanciare un incantesimo per aprirci la strana attraverso la rete che delimitava il campo in quel punto, ma lui fu più veloce, e con mia sorpresa, strappó a mani nude il freddo metallo che ci impediva la fuga. Tornò ad afferrarmi il polso, tirandomi per farmi aumentare la velocità.
Avrei voluto chiedergli chi fosse, dove avesse preso tutta quella forza ma non era proprio il momento adatto, le nostre vite erano in pericoloso e l'unica cosa che contava davvero, era fuggire.
Ma era buio, e il bosco che delimitava il campo da cui fuggivamo era enorme e non illuminato. E come se non bastasse, i nostri inseguitori ci stavano addosso, col vantaggio di avere delle torce ad illuminare il loro cammino, mentre noi, o almeno io, dovevo mettere i piedi affidandomi ai passi dell'uomo che avevo salvato.
La terra era umida e scivolosa, e nella mia veste bianca avevo freddo. Lo zaino mi sbatteva sulla schiena e le copertine dei libri che ci avevo messo dentro iniziavano a farmi male. Lui se ne reso conto, tanto da fermarsi quel tanto che bastava per sfilarmelo dalla spalle e farsene carico lui.
Continuammo a correre, ma le piccole e delicate scarpette che avevo messo con la veste erano ormai fradice, i piedi scivolavano al loro interno, tanto che ne pensi prima una e poi l'altra.
<Mi chiedo quale sciocca progetti la sua fuga con delle scarpe del genere!>
Non risposi, ma aveva ragione. Quando ero uscita dal campo però dovevo mantenere le apparenze e fare credere a tutti che stavo andando a purificarmi. E mia madre non mi avrebbe mai fatta uscire con le scarpe da ginnastica sotto una veste tanto sacra. Che ormai di sacro aveva ben poco.
Caddi a terra, scivolando sulla fanghiglia su cui tentavamo di fuggire, e mentre tentavo di rialzarmi, con le dita affondate nella terra, qualcosa mi colpí alla spalla, poi un altro colpo raggiunse la mia schiena. Non avevo sentito gli spari. Avevo avvertito solo il dolore che mi spezzava il fiato.
Improvvisamente non ebbi la forza di tirarmi su, tutto il mio corpo cedette di peso e mi ritrovai stesa su un fianco. Era finita per me. Sarei morta nel tentativo di fuggire. Di positivo c'era che in ogni caso, viva o morta, nessuno mi avrebbe tolto la libertà. Potevo quasi sorridere.
Lo straniero si chinó su di me, lo sentii poggiare due dita sul mio collo, poi prendermi il volto. I suoi occhi traboccavano di rabbia.
<Resisti. Torno subito.>
Lo vidi allontanarsi da me con una velocità impressionante. E sentii le urla, in lontananza, sempre più distanti, come se piano piano svanissero. O ero io quella che stava svanendo. Prima di perdere del tutto i sensi però feci in tempo a vedere una testa rotolare davanti a me, quella di mia madre.
Per ironia della sorte avevo fatto in tempo ad avere la mia vendetta prima di morire. Le urla cessarono, e due braccia forti mi sollevarono da terra.
<Resisti zingarella!>
Resisti. Che idiota.
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