Bivio

Se dovessi pensare al momento che ha dato senso alla mia vita e al tempo stesso l'ha maledetta, penserei a questo. Ci sono episodi per ognuno di noi che rappresentano quel bivio inevitabile, la scelta che tutti si troveranno a fare prima o poi, una decisione che potrebbe cambiare tutto, o dimostrarsi l'occasione perduta di una vita intera.

E se quel cambiamento sarà giusto o sbagliato sarà solo il tempo a dimostrarlo. L'attimo che precede quella decisione è l'inevitabile frase fatta che ci gira in testa, come un mantra, figlia di una strana società che ci dice che in fondo, non abbiamo nulla da perdere. Quel consiglio che spesso ci diamo da soli, e che ci chiede, come fosse un demone tentatore, se ci pentiremmo un giorno di non aver fatto quella determinata scelta e aver lasciato tutto com'era. Che poi, che vantaggio ci sarebbe a non cambiare affatto? Soprattutto quando quello che si ha già fa inevitabilmente schifo.

E io intravedevo quel bivio. Lo vedevo da lontano, non come qualcosa di inevitabile, ma come un sentiero su cui avrei potuto imbattermi se avessi voluto. E ne sentivo il peso. Perché nonostante la mia vita facesse davvero schifo, era un'abitudine. E le abitudini creano una sorta di zona comfort. Si, quella cosa in cui puoi crogiolarti nell'addossare la colpa della tua situazione agli altri. Sai che la tua qualità di vita è decisamente pessima, ma non dipende da te.

Ecco, l'unica cosa che poteva non farmi affondare era che non dipendesse da me. Il mio dolore era inflitto dagli altri, da chi mi stava intorno e non mi concedeva il beneficio del dubbio, che non si prendeva il disturbo di conoscermi e solo allora, giudicarmi. Magari ero una persona comunque orribile e ne ero ignara.

E quando rientrai in casa quella mattina e mi chiusi la porta alle spalle, osservando i miei fratelli ignorarmi come sempre, capii che il loro disprezzo lo conoscevo. Ed era una loro scelta dettata dall'ignoranza e dal bigottismo. Al di fuori di quella realtà sarebbe stata mia la responsabilità di come sarebbe andata. Ma continuavo a ripetermi che peggio di come era non sarebbe potuto essere.

Quindi mi chiusi in camera, con la scusa di esercitarmi sugli incantesimi, e scrutai la mia stanza - se così si può chiamare all'interno di una casa mobile - in cerca di cosa avrei lasciato e cosa no. Ero certa che avrei portato i miei libri, perché una parte di me rinnegava la propria famiglia, ma l'altra era fiera dei propri poteri. Non avrei rinunciato alla mia magia.

Forse avrei preso qualche vestito, ma ero così distratta dal metterli nello zaino, che capii quanto poco mi importasse. Niente di quello che avrei lasciato indietro mi sarebbe mancato. E così, la decisione iniziai a prenderla ancora prima di trovarmi di fronte a quel bivio. Perché finché non avessi attuato il mio piano, niente era davvero deciso. Ma la mia mente era già altrove, lontana, con pochi indumenti e molto da leggere.

Nascosi lo zaino sotto il letto, in modo che nessuno, nemmeno accidentalmente, potesse vederlo. E lasciai fuori un libro di incantesimi blandi che probabilmente non mi sarebbe servito, giusto per salvare le apparenze. E feci bene, perché dopo qualche ora mia madre venne a cercarmi.

Il mio cuore colpevole non perse tempo e si mise a battere come se andando più veloce sarebbe stato salvo, la cosa aveva invece l'effetto di procurarmi ansia. Cosa che la donna che mi ha generata scambiò per ansia da matrimonio.

<Cos'è quella faccia, sapevi che saresti diventata sua moglie una volta vendicata la madre. Dovresti essere grata di avere uno scopo nella vita, e ringraziare lui di prenderti comunque in moglie nonostante la vergogna che hai portato a noi tutti con la tua sola nascita. Rallegrati, dunque! Finalmente la tua vita avrà un senso! Genererai una discendenza forte!>

Se i pensieri potessero essere usati come prova, sono certa che mi avrebbero accusato di tentato omicidio. Il desiderio che provai in quel momento di ucciderla era così forte che dovetti affondare le unghie nei palmi delle mie mani. E non fu abbastanza. Le lacrime di rabbia sfuggirono al mio controllo, e mia madre le interpretó come voleva.

Mi disse che ero ingrata a non comprendere quale straordinaria opportunità mi fosse concessa. Sorrisi. Dell'assurdità delle sue parole, ma almeno sorrisi. E in quel sorriso c'erano tutte le mi intenzioni nascoste e segrete che prendevano forma e forza.

<Domani mattina, subito dopo che Karl avrà ucciso quel demone ci sarà il rito del fazzoletto. L'Ajunatora sarà qui con le altre donne poco prima della mezza, non che la tua verginità sia messa fuori discussione, chi mai avrebbe voluto toccarti? Ma le tradizioni sono le tradizioni e gli anziani ci tengono. Quindi sta notte sarà tuo compito purificarti. Mi aspetto che tu lo faccia come si deve.>

Stava per uscire ma si fermò sulla porta. Ero effettivamente colpevole, quindi mi aspettavo qualsiasi cosa, o di essere già stata scoperta. Osservai la sua schiena con un'attesa e un silenzio schiaccianti.

<Sarai solo durante il tuo rito di purificazione. Ma ti avverto, tradisci questa famiglia e io stessa farò della tua morte la mia missione di vita.>

Aprí la porta ed uscì senza attendere la mia risposta. Credevo che salvarmi sarebbe stato facile? Che non avrebbe avuto un prezzo? Certo che lo avrebbe avuto. Quale disonore sarebbe stato per la mia cosiddetta famiglia se prima delle nozze la fanciulla fosse fuggita? Ah, che vendetta avrei avuto.

Immaginavo già le conseguenze. Quello che ero costretta a chiamare padre sarebbe caduto in disgrazia, disonorato dagli anziani per non aver saputo educare correttamente sua figlia, gli sarebbe stato tolto il potere di capo clan che sarebbe passato ad un altro, scelto dagli anziani. E mia madre, lei che era così potente, non avrebbe avuto l'erede che tanto si vantava di aver addestrato con una maestria tale da essere, a detta sua, la più potente Drabarni che la comunità zingara potesse desiderare.

Oh, io sapevo di essere potente. Ma mi disturbava l'idea di mettere la mia conoscenza al servizio di una comunità che mi disprezzava per via delle mie origini. Ero viva solo perché mia madre aveva un marito che l'amava, e solo perchè i bambini, per noi zingari sono intoccabili. Ma niente mi aveva protetta dall'odio.

C'era chi diceva che il mio grande potere era una maledizione, frutto del tradimento e che la mia magia sarebbe stata Bibahtali, portando solo disgrazie. Ma la magia dipende dalle intenzioni della persona e mi chiedo spesso se questo problema se lo fossero posto prima o dopo aver iniziato ad odiarmi. Credo che se la mia magia si fosse manifestata prima, mi avrebbero odiata di meno. Per paura, probabilmente, mi avrebbero trattata meglio.

Solo dopo che i miei poteri si sono manifestati hanno iniziato a trattarmi coi guanti di velluto, ma per me era ormai tardi. Io ero irrimediabilmente già rotta, spezzata. E la maledizione che avrei lanciato a tutti sarebbe stato il mio regalo d'addio.

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