4. Troppo tardi

Mi guardava come se si ricordasse di me, ma allo stesso tempo non rammentasse chi fossi e dove mi avesse vista prima d'ora.

La luce fioca e scostante del pub, sommata alla poca lucidità del momento, mi impediva di vedere in maniera nitida e chiara le sue gemme verdi, ma ero certa del fatto che l'avrei sicuramente riconosciuto anche in circostanze peggiori.

Stava cantando Attention, di Chalie Puth, in una versione del tutto sua ed originale. La sua voce era un qualcosa di soave. Era roca e profonda, ma non troppo da rendere burbera la bellissima canzone che restava piacevole e stava facendo letteralmente perdere la testa a chiunque si trovasse in quelle quattro mura.

Era come se lui rendesse il tutto unico e spettacolare, quasi passionale.
In un battito di ciglia l'atmosfera all'interno del locale cambiò totalmente e fu come se intorno a me tutto avesse cessato di esistere e rimasi lì impalata, affascinata ed ammaliata come la prima volta.

Repentinamente mi passò la sbornia.

Fu più forte di me e non riuscii a privarmi dell'occasione di poterlo guardare bene.
Era un bel ragazzo - anche più bello di quanto ricordassi- e il fatto di vederlo sereno, fervido e concentrato in ciò che stava facendo mi rese inspiegabilmente felice. Sembrava alto circa un metro e settantacinque e dalla camicia che vestiva con i primi bottoni aperti, sembrava avere un corpo asciutto, ma comunque ben piazzato. Nonostante la luce psichedelica mi accorsi che i suoi perfetti riccioli fossero neri e non castani e che gli incorniciavano il viso in maniera perfetta.

Mi sentii presto fuori luogo nei miei semplici jeans chiari e nel vecchio top nero che stavo indossando.
Lì dentro qualsiasi ragazza era certamente più appetitosa della sottoscritta e questa amara constatazione mi fece sentire sciatta. 

Con la coda dell'occhio notai che Jen stava ballando - poco più in là- assieme a Todd ed erano una visione angelica.

La rossa, che era circondata da ragazzi, era intenta ad allontanare Todd che a sua volta guardava in cagnesco chiunque ammiccasse o avesse il coraggio di avvicinarsi a lei. 

Jen era una ragazza così bella e sicura di sé da non avere bisogno di mettersi in mostra con abiti appariscenti per riuscire ad emergere e io la invidiavo così tanto da sentirmi incolpa a volte. 

Improvvisamente mi ritrovai nuovamente con i piedi per terra, in mezzo alla pista da ballo di un pub.

Mi sentii a disagio e avrei preferito essere altrove, magari in un luogo dove le ragazze non erano così perfette da farmi sentire uno stuzzicadenti.

Poi, però, occhi verdi intonò le ultime parole della cover e sorrise al pubblico rivelando delle tenere ed amabili fossette ai lati delle guance.
Trasalii e mi coprii il viso con le mani quando una scarica elettrica mi percorse da cima a fondo.
A quella visione decisi che per me era troppo ed era arrivato il momento di andarmene.

«Jen» mi avvicinai di qualche passo cercando di attirare l'attenzione della mia migliore amica «Jen i-io... devo... Jen io me ne vado» l'avvisai un poco titubante.

«Amanda» sorrise lei, con il fiato corto «Ehi tesoro, tutto okay?» mi chiese con aria preoccupata, ma venne interrotta da Todd che si avvicinò barcollando con un sorriso stampato sul viso «Amanda vuoi anche tu uno shottino?» biascicò incapace di reggersi in piedi e perdendo l'equilibrio subito dopo, rischiando di rovesciare la vodka sul vestito di Jen. 

«Dio Todd!» sbottò lei reggendolo e cercando di aiutarlo a mantenere l'equilibrio «sta attento, cazzo!» lo ammonì per poi guardarmi nuovamente «penso che andrò via anche io» borbottò fingendosi infastidita «il tuo migliore amico non può di certo guidare in questo stato. Vieni con noi? Potremmo prendere un taxi e tornare domani a prendere la macc-» iniziò a parlare a raffica, segno che fosse seriamente preoccupata per me e non capisse quale fosse il problema... che poi il guaio era che al momento nemmeno io sapevo esattamente quale fosse il problema, sentivo solo che quella sera mi avevano travolto troppe emozioni che non sapevo come gestirle.

«No Jen» ridacchiai «È tutto okay. I-io sto bene...davvero Humm... pensavo solo di fare due passi... Sì, sai per smaltire la sbornia» dissi cercando di tranquillizzarla.

«Si si si, certo» rise isterica «tu stai bene e vai a casa a piedi» confermò «quando arrivi chiamami, si?» chiese teneramente e mi si spezzò il cuore, perché nonostante il bene immenso che le volevo, non ero in grado di essere totalmente sincera con lei quando si trattava delle mie emozioni.

«Non ti libererai di me così facilmente, dai lascia che ti aiuti a portare fuori Todd» sorrisi per poi aiutarla a portare Todd fuori dal pub e riuscire a metterlo in un taxi, cosa che si rivelò essere un'impresa ardua dato che era completamente andato e non faceva altro che lamentarsi ed ammiccare ad ogni persona che incontrava.

«Spiegami come fa ad essere il tuo migliore amico» si lagnò la rossa, chiudendo lo sportello posteriore.
«Ti ricordo che è anche il tuo migliore amico» le ricordai, anche se ero certa del fatto che avrebbe persino venduto la sua anima ad diavolo per me e Todd.

«Si si, come dici tu» mi liquidò con un gesto della mano «sei proprio sicura di non voler venire con noi? Sei di strada lo sai, ci metteresti la metà del tempo e poi-» «Jen» la interruppi ridendo «È okay. Davvero, sto bene» dissi appoggiando una mano sulla sua spalla per rassicirarla.

«Va bene, non dimenticarti di chiamare quando arrivi» mi guardò un po' sospettosa poco prima di abbracciarmi per poi salire sul taxi. 

«Ciao» sussurrai vedendo il taxi partire ed immergersi nell'oscurità della notte.

Respirai a pieni polmoni e mi fermai un attimo a guardare il cielo.
Quella notte il cielo stellato era più bello del solito o forse era semplicemente passato troppo tempo dall'ultima volta che mi ero fermata a contemplarlo, ma mi colpì particolarmente. Le stelle mi fecero sentire meno sola e tutte le preoccupazioni scivolarono via.

Il silenzio circostante mi fece pensare che la notte risolvesse tutti i problemi e che quella notte fosse mia, assieme a tutte le sue stelle.

«Non è nelle stelle tenere il nostro destino, ma in noi stessi» disse una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare per lo spavento. Mi voltai e appena mi resi conto di chi avesse appena citato Shakespeare, pensai che il mio cuore non avrebbe retto.
Occhi verdi stava tranquillamente appoggiato all'ingresso del locale, fumando una sigaretta con disinvoltura e gesti sensuali che mi portarono ad aggrottare le sopracciglia. Lo guadai mentre finiva la sua sigaretta e gettava il mozzicone a terra. 

«Perché non sei andata via con i tuoi amici?» chiese poi, mettendosi in posizione eretta ed avanzando un un po', ma non troppo, come se aspettasse un segnale da parte mia. Come se sapesse che non ero ancora pronta. Rimase a pochi passi da me.
Mi guardò intensamente facendomi tramare le gambe. 

Indugiai prima di darmi coraggio «Non è nobile» sorrisi. «Cosa esattamente? Perché credo che anche invadere la mia testa, non sia stato un gesto nobile da parte tua» assottigliò gli occhi e sorrise sghembo. 

Fu difficile reprimere un sorriso, e fui grata del fatto che nell'oscurità della notte avrebbe fatto fatica a notare il rossore delle mie guance.
«Non è nobile rubare la scena a William per cercare di rimorchiare una ragazza fuori da un pub» precisai stringendomi nelle spalle. Quella era la prima volta che gli rivolgevo parola e mi sentivo elettrizzata.
Il cuore batteva forte e una scarica di adrenalina mi travolse. 

«Non stavo facendo proprio niente» sorrise facendo spuntare le sue adorabili fossette «stavo solo fumando una sigaretta e ho visto la tua amica andare via» spiegò «mi stavo chiedendo perché non fossi salita su quel taxi, ma poi ti vista sai? Ho visto come guardavi il cielo speranzosa» fece ancora qualche passo annullando quei pochi centimetri che ci distanziavano e allungò una mano verso il mio viso per sistemare una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

«C-cosa... cosa stai facendo» sussurrai indietreggiando. Lui parse infastidito dalla mia diffidenza e si allontanò.

Non smise però di guardarmi con lo stesso fuoco, con lo stesso bisogno di salvarmi o di bruciare insieme all'inferno.

«Devo andare» borbottai poco prima di voltarmi e scappare, inconscia del fatto che non sarei mai riuscita a fuggire dalla mia mente perché ormai era troppo tardi: occhi verdi mi era entrato dentro solo con un gioco di sguardi.

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