XXXVI - Legami di sangue

Lorenzo si accorse che non ero a mio agio in quella casa.

"Dai, che hai? Non ti mangio mica!"

Mi tornò alla mente quando aveva detto a la.camyyy che l'avrebbe sbranata. Ma lui stesso si era corretto scrivendo che si stava comportando da coglione. Si diresse verso la porta. Deglutii.

"Non... Non chiuderla a chiave." Giulio Angeli non dava dei consigli sbagliati.

Lui mi guardò stralunato e si mise a ridere, poi diede un colpetto alla porta facendola traballare.

"Secondo te 'sto schifo si riesce a chiudere a chiave? Sembra uscita dalla storiella dei tre porcellini, se ci soffi sopra cade! Stavo solo controllando che si fosse chiusa."

"Quindi tu... Sei rimasto per giorni in una casa abbandonata con una porta che nemmeno si chiude?"

"Esatto. Ho qui con me un telefono vecchissimo che ho utilizzato per mandare i messaggi a te e a Giulio dopo la finale. Nessuno sa dell'esistenza di questo aggeggio, che ho spento solo per sicurezza. Qui sono un po' precario: l'acqua è quella del pozzo e l'elettricità l'ho fatta arrivare da una stalla qui vicino. Le utenze sono staccate da secoli..." si lamentò lui. "Le scorte di cibo sono quelle che sono..."

"Le scorte? Te le ha portate sempre Giulio?"

"Certamente. Giulio Angeli è proprio un ragazzo d'oro." commentò lui e mi venne il sospetto che "il ragazzo d'oro" avesse chiesto al suo migliore amico di mettere una buona parola per sé in mio cospetto. Tipico di Giulio Angeli programmare tutto nei minimi dettagli, anche una cavolata simile.

"Ha portato anche i croccantini per Dirk... Sì cucciolo, vieni, è ora della pappa!" esclamò riempiendo la ciotola con il cibo per cani. Dirk non se lo fece ripetere due volte e si abbuffò scodinzolando allegramente mentre Lorenzo lo coccolava, facendomi tenerezza.

Ne approfittai per guardarmi attorno. C'era molta luce perché...

"Ti è passata la mania?" chiesi sorridendo, indicandogli le finestre.

Senza tapparelle.

"Oh, hai letto anche quel pezzo..." chinò il capo vergognandosi un po'.

"Non c'è nulla di male a mostrare le proprie debolezze." lo rassicurai. Lui si stupì e mi sorrise incerto: per tutta la vita aveva finto di non averle, come poteva credermi?

"Forse hai ragione. Avevo trovato le finestre già così. Quando sono arrivato sono impazzito, ho passato le giornate a gattonare per non farmi vedere se qualcuno fosse passato, ma qui non c'è anima viva... Per fortuna. Ci siamo solo noi."

Io lo ascoltavo ipnotizzata. Forse era così chiacchierone perché era sempre rimasto solo in quel periodo, ma ora era un fiume in piena.

"Forse è il caso di dirti perché ti ho cercata con così tanta insistenza. In realtà a te ho mandato solo alcuni messaggi per invogliarti a cercarmi. Scusami se non sono stato io a venire da te, ma tutti mi credevano morto, non potevo certo correre il rischio che qualcuno mi vedesse. È stata un'idea di Giulio anche quella dei messaggi. Io gli avevo spiegato la situazione e gli avevo chiesto di cercarti, lui mi ha suggerito questo strano metodo, cioè inviarti qualcosa di... mio, solo mio, che potesse coinvolgerti: d'altronde, se ti avessi scritto: Sono Lorenzo Strozzi, non sono morto, vieni a trovarmi in un casolare abbandonato a Roccabianca mi avresti creduto? Lui mi aveva suggerito di farmi un selfie per mostrarti di essere ancora vivo, ma questo perché non sapeva della mia passione per la scrittura. Così, appena arrivato qui, ho preso carta e penna che mi sono portato dietro e ho scritto quelle pagine che ti ho inviato, il tuo numero ce l'avevo ancora. Da quando ti ho incontrata la prima volta, sapevo che mi sarebbe servito. Scusa se, forse, ho creato un alone di mistero attorno a me."

Solo forse? Mi sembrava di vivere in un rebus e lui mi diceva che aveva creato, forse, un alone di mistero? Io però volevo sentire delle altre parole, non solo scuse. Dai, Lore: eri così bravo a indovinare cosa volesse sentirsi dire la.camyyy, non sapevi cosa volessi sentirmi dire io?

"Non importa." gli sorrisi. Dai, Lore! Ero in ansia!

"Forse ti sei anche spaventata per la mia insistenza, non so se Giulio Angeli ti ha mostrato alcuni messaggi..."

"Devi portarmi Vittoria." recitai io.

"Esatto, quello. Non è nel mio stile, ero un po' nervoso perché era la notte dopo la partita, ero in autostrada e stavo decidendo in quel momento cosa fare della mia vita. Non che ora abbia le idee così chiare..."

Wow, non era nel suo stile. Ma certo, lui non era possessivo. Anche un'altra cosa non era: imperfetto. Però forse si dilungava un po' troppo, voleva arrivare al dunque sì o no? Certo, lì non c'erano alberi, ma poteva anche appoggiarmi al muro.

Mi accorsi che era teso anche lui, aveva fatto un bel respirone. Che cucciolo! Sembrava il suo primo appuntamento, sembrava... Sembrava quello di tanti anni fa in quel bar in centro. Per un attimo mi sentii in colpa. No, non gli avrei detto no una seconda volta, dovevo già farmi perdonare dal primo rifiuto. Volevo aiutarlo a sbloccarsi, ma proprio in quel momento parlò: "Vittoria, io ti..."

"Non dire niente: anche io." dissi gettandomi fra la sue braccia e cercando le sue labbra. Che però non trovai. Lui mi guardava senza capire, poi assunse un'espressione spaventata.

"Oddio, scusa! Credo che ci sia un grande fraintendimento..."

Non riuscii a sciogliermi subito da lui, il mio cervello si era disconnesso. Fraintendimento, quella parola mi era arrivata forte e chiara con almeno trenta secondi di ritardo. Non so bene con che faccia lo guardai, ma lui si preoccupò: "No, non piangere, ti prego."
Ma era troppo tardi, io ero esplosa: gli tirai un pugno sul petto.

"Fraintendimento? Io sono venuta fino a Torino per un fraintendimento?! Mi è costato caro, questo fraintendimento! Io ho perso il lavoro per te, io ho perso le mie ore di sonno per leggere i tuoi problemi, per capirti, io ho perso il mio tempo... E soprattutto il mio cuore per te!" urlai tirando schiaffi all'aria e sbattendo la testa sul suo petto, all'altezza del cuore, inondandolo di lacrime.

Volevo piangere per la confusione che avevo in testa, per il lavoro che avrei voluto fare per il resto della mia vita ma che era andato a farsi benedire, per l'enigma che non riuscivo a risolvere, e ora tutto questo usciva libero sul corpo di Lorenzo, che reagì in un modo che non mi aspettavo. Mi prese il viso con dolcezza sollevandomelo appena, lui si abbassò, ora eravamo alla stessa altezza, anzi, ora era più in basso lui, cosa stava facendo?

Era all'altezza del mio collo, ci poggiò sopra la sua mano destra tremolante, io ero immobilizzata. La lasciò scorrere, arrivò all'altezza del ciondolo con le iniziali, fece un mezzo sorriso e lo prese, sfiorandolo con la sua collana.

"La porti ancora..." riuscì solo a sussurrare commosso.

Io non sapevo cosa dire, ero ipnotizzata da lui, dalla sua mano, che continuava a scivolarmi addosso con quella delicatezza che solo lui sembrava conoscere. Sembrava una foglia autunnale che, cadendo da un albero, ti accarezzava appena e ti faceva accennare un sorriso facendoti esclamare "Toh, è già settembre!".
Ma non sarebbe stato uno di quegli autunni piovosi e nebbiosi, dove era difficile anche vedere una persona che avevi davanti, ma uno di quegli autunni in cui avevi voglia di tornare bambina e di saltare fra le foglie secche dai mille colori.

Le mie sarebbero state rosse. Lo avevo deciso appena la mano di Lorenzo aveva scelto di fermarsi all'altezza del cuore. Il ragazzo chiuse gli occhi. Io lo imitai. Per un attimo fummo entrambi concentrati solo sulle mie pulsazioni. Se fossero esistite delle visite al cuore così, con quel dottore e quel trattamento, avrei pagato anche il triplo. Peccato che non credo avessero un grande valore scientifico. Il mio battito accelerò appena mi accorsi che sul mio petto non c'era più la sua mano ma la sua fronte.

"Stai tranquilla."

Avevo ancora gli occhi chiusi, ero convinta che li avesse ancora così anche lui, era un patto silenzioso che nessuno dei due voleva sciogliere.

"Non posso averti rubato il cuore: lo sento ancora. Ed è un bene che sia così. Perché noi abbiamo due cuori diversi, ma il sangue... Quello è lo stesso."

Non avevo colto subito l'ultima frase. Stavo sorridendo, convinta che, al "è un bene che sia così" di Lorenzo, Giulio Angeli, se fosse stato presente, avrebbe aggiunto ironico come al solito "sennò saresti morta". E sorridevo anche perché Lorenzo era un cardiologo troppo sexy!

Non volevo coglierla l'ultima frase, era un momento magico che non poteva rovinare con le parole. Non le avevo nemmeno ascoltate più di tanto, ma fui costretta quando lui, dalla sua postazione, annunciò.

" Vittoria, io ti... devo dire una cosa: tu sei... la mia sorellastra."

Cosa?

Guardai la sua testa alzarsi verso di me, mi fissava sorridendo come un bambino che ne aveva appena combinata una grossa.

"Accidenti se ci sei rimasta! Il tuo cuore ha saltato qualche battito, da qui l'ho sentito bene!" ridacchiò.

Non sembrava mentirmi e non avrebbe avuto nemmeno senso dirmi una bugia. Lui si rialzò, mi uscì un verso spontaneo, un rumore che il mio cervello non aveva nemmeno pensato.
"Ti ho proprio stupita, eh?"

Voglio ben vedere! Doveva assolutamente spiegare la sua, la mia, la nostra storia: come cavolo facevo a essere la sua sorellastra?

"Io i tuoi genitori non li conoscevo nemmeno qualche giorno fa! Come possiamo essere imparentati? E perché tu lo sai e io no?"

"E' una lunga storia, dobbiamo prenderci del tempo."

"Ce lo abbiamo, no? La stagione per te è finita..."

... e io sono rimasta senza lavoro.

mi limitai a pensare, il trattamento ricevuta da Zaveri non sarebbe andato giù facilmente.

"Allora sediamoci!" esclamò lui occupando il divano riservandomi con una mano il posto come facevo da ragazza quando alle feste di compleanno volevo vicina la mia migliore amica. Mi sedetti al suo fianco, scatenando una nube di polvere che mi fece tossire. Lui era imbarazzato.

"Scusami, qui nulla è pulito. Ero abituato alla donna di servizio... Credo che l'ultimo ospite di questa casa sia stato Laclausola."

"Non importa." gli sorrisi. Con lui andava bene anche stare sotto a un ponte, perché lo amavo. Però dovevo accontentarmi, dovevo vederlo con gli occhi di una sorella... Oddio, maggiore! Mi sembrava molto più maturo di me!

"Sei, si fa per dire, comoda? Per precauzione, non alzarti: non voglio che tu, ehm... svenga."

Ora sì che stavo iniziando anche a preoccuparmi!

"Aiuto, cosa vuoi raccontarmi? Un altro 26 aprile? Tu racconti le disgrazie solo sui divani?"

"Tranquilla, non sarà nulla di così catastrofico... Per me, per te non lo so." mi sorrise.

"Poco fa ho preso in mano il ciondolo della tua collana" esordì lui, e non poteva cominciare con una frase che mi suscitasse un ricordo migliore "che è uguale alla mia. Sopra ci sono due iniziali, L e V. Sono i nostri nomi, Lorenzo e Vittoria. Sai cosa mi fa riflettere? Che ce le abbiano regalate due persone diverse, che non si erano nemmeno messe d'accordo nel farci lo stesso dono!"

"E allora com'è potuto succedere? E chi erano questi due?" domandai curiosissima.

"Si vede che fai la giornalista, sei molto incalzante!"

"Facevo..." lo corressi rabbuiandomi, e lui mormorò delle scuse capendo che era un argomento delicato "Per forza ti faccio delle domande, Lore! Tu sai più cose della mia infanzia di me!"

"Hai ragione, non ti terrò più sulle spine e ti racconterò tutto. Eppure tu dovresti essere più informata, perché all'epoca dei fatti io ero ancora in fasce mentre tu eri già all'asilo. Forse ti sarai stancata, ma anche stavolta era aprile, precisamente del 2009, quindi io dovevo avere due mesi circa. Sai bene che, ai bambini piccoli, vengono regalati dei gioielli, magari per la nascita o per il battesimo: non può quindi stupirti che quel giorno mia madre fosse in centro a Parma dall'orefice a commissionargli la creazione di una collana. Invece ti sorprenderà chi ha incontrato, un uomo che tu conosci bene: tuo zio."

Sobbalzai "Mio zio?"

"Tuo zio. E anche mia madre lo conosceva bene. Lui era andato in quel negozio per ritirare una collana."
Prese di nuovo in mano il mio ciondolo e tirò la catenina senza usare la forza, solo per obbligarmi a guardarla.

"Questa collana."

"E cosa c'entri tu? Perché ci sono le nostre iniziali?" insistetti, ma lui ignorò la mia domanda.

"Mia madre e tuo zio quel giorno si erano guardati a lungo. Molto a lungo. Non si erano parlati, forse un semplice ciao di circostanza che chissà, magari si era tramutato in un più freddo buongiorno. Perché non potevano più parlarsi, almeno non come prima. Prima erano due giovani che provavano a cercare insieme un posto nel mondo. E ora non erano più giovani e un posto nel mondo lo avevano già: mia madre era diventata mamma, la mia mamma, e ancora prima sposa di mio padre. In quanto a tuo zio, aveva capito che la sua strada era il giornalismo e aveva dedicato tutti i suoi sforzi in quello. E nessuno dei due aveva più la voglia, il coraggio o l'incoscienza di fare un passo indietro."

"Indietro? Si dice passo avanti." lo corressi con insicurezza, non capivo dove volesse arrivare.

"No, indietro, a molti anni prima. A quando erano fidanzati, Vittoria."

"Cosa?" esclamai. Questa proprio non me l'aspettavo. Nonostante l'età avanzata, nonostante la sua situazione, avevo scorto la bellezza giovanile di quella donna all'ospedale. Davvero mio zio era stato con lei? Aveva buon gusto.

"Sì, in effetti c'era una differenza d'età notevole: mia madre aveva diciotto anni, tuo zio ventiquattro, la tua età. Lui faceva già l'università, lei non aveva nemmeno ancora finito la scuola... E poi lei era una paesana e lui un cittadino, ecco un'altra differenza di pochi chilometri che però era grande come un abisso. Non potevano stare insieme, proprio non potevano. Soprattutto quando a complicare le cose, oltre al chiacchiericcio dei roccabianchini, era sopraggiunto lo stesso problema che abbiamo avuto io e la.camyyy: mia madre era rimasta incinta."

"Eeeeh? Di mio zio?" chiesi incredula, questi gossip mi erano nuovi.

"Esatto, ma il loro era un problema davvero serio: erano senza soldi, Vittoria. Mia mamma era una paesana figlia di contadini, tuo zio era il primo della sua famiglia che cercava di laurearsi, provando a farsi spazio in un mondo culturalmente più elevato di quello da dov'era venuto. I genitori di mia mamma, i miei nonni, erano molto all'antica. T'immagini la loro reazione quando avevano scoperto con i loro occhi, complice il pancione, che mia madre aveva fatto sesso molto prima del matrimonio? Ne aveva ricevute di ogni e le chiacchiere si erano diffuse in paese. Anche tu ne hai avuto la prova, a Roccabianca tutti sanno tutto di chiunque. Pensa che lei, ormai allo stremo della sopportazione, aveva addirittura proposto di abortire. Ai miei nonni all'antica? Ne aveva ricevute ancora di più! E così, non sapendo più cosa fare, si era rinchiusa in casa per gli otto mesi restanti. Tuo zio, dal canto suo, era nella sua stessa situazione, poteva solo aspettare. Infatti, otto mesi dopo, il bebè nacque."

"E chi era?"

"Non l'hai ancora capito?" mi sorrise lui.

Ci misi un attimo a realizzare. Perché non poteva essere vero. Era una storia assurda, quel bebè non poteva essere...

"Vittoria." mi aiutò lui.

Avete presente lo stomaco? Ecco, il mio era sparito. Non sapevo cosa pensare, dovevo ancora metabolizzare tutte quelle informazioni. Lorenzo Strozzi, il mio fratellastro, mi guardava con tenerezza. Forse si sentiva finalmente padre, ero come la Vittoria di ventiquattro anni fa, una bambina piccola appena venuta al mondo alla quale bisognava spiegare tutto. E lui non aveva ancora finito.

"Mia madre e tuo zio erano molto logici, non prendevano decisioni di pancia: avevano pensato che tenerti con loro era impossibile, ti avrebbero fatto solo del male, non avrebbero mai potuto soddisfare i tuoi desideri. Così decisero di affidarti al fratello maggiore di tuo zio, quello che fino a pochi istanti fa consideravi il tuo vero padre, e a sua moglie, che non potevano aver figli. Questo è tutto, il resto lo sai tu."

Mi tornò alla mente quando ero all'asilo e avevo chiesto a mia mamma un fratellino. Lei si era messa a piangere. Solo ora ne capivo il motivo.

"Ma come, ma mio zio... Non può essere, proprio non può essere..."

"Come ti ha trattato tuo zio in tutti questi anni?" chiese lui.

"Bene, molto bene: voleva sempre vedermi, passare del tempo con me, trasmettermi le sue passioni... Come quella per il giornalismo, appunto!" sorrisi pensando a quando gli avevo annunciato con orgoglio che ero entrata a fare parte del giornalino della scuola.

"E come si dice quando una persona ti tratta così? Pensaci bene: ti tratta come..."

"Come... Come un padre." terminai con la voce smorzata e qualche lacrima agli occhi. Stavo pensando alla mia infanzia con lui. Mio padre mi aveva sempre trattata bene, non mi faceva mai mancare nulla, eppure era il legame con mio zio quello speciale.

Vedendomi assente, Lorenzo cercò di dire qualcosa.
"Hai gli occhi uguali a quelli di mia madre... Peccato che ora, con gli occhi aperti, non la possiamo vedere." aggiunse con malinconia.

Ecco cosa volevo dirgli! Ora era lui a doversi preparare alla notizia.
"Cerca di non svenire tu, stavolta... Tua madre ha riaperto gli occhi."

No, quella frase non andava più bene. Avrei potuto dirla prima, ma non ora, non ora che avevo scoperto che io e Lorenzo altro non eravamo che due fiocchi di neve della stessa nuvola, due gocce d'acqua della stessa sorgente, due foglie dello stesso albero. Di colore rosso. Mi corressi.

"Nostra madre."

Stavolta fu lui a piangere e a cercarmi, a cercare me come punto d'appoggio, bagnandomi la maglietta bianca. Era questo che avremmo dovuto essere uno per l'altro. Mi piaceva sentire il calore del suo corpo nonostante il caldo infernale di quella casa, mi piaceva sentire i sobbalzi del suo petto, mi piaceva sentire l'odore della sua pelle contro la mia, mi piaceva accarezzare i capelli soffici e dorati che io purtroppo non avevo ereditato, chiudere gli occhi e sorridere. Ora eravamo entrambi la cura dell'altro. E non eravamo più solo cardiologi, ma anche fisioterapisti, perché dovevamo sollevarci e ricominciare a camminare, a vivere.

Eravamo senza un lavoro, senza una dimora fissa, senza uno scopo. Però avevamo ritrovato noi stessi e ci eravamo ritrovati l'uno con l'altro. Lorenzo si staccò da me, portò le mani davanti agli occhi arrossati sfregandoseli. Solo in quel momento me ne accorsi e mi spaventai a morte.

"Lorenzo! Le tue mani!" urlai
Lui cercò di nascondersele dietro alla schiena come un bambino ingenuo, ma ormai me n'ero accorta.

"Fammele vedere!" gli intimai. Lui obbedì mostrandomi la parte immacolata.

"Lo sai anche tu che voglio che le giri."
Chinò il capo, ma obbedì un'altra volta. Le esaminai trattenendo le lacrime: avevano dei tagli molto evidenti ai polsi.
Forse Giulio Angeli aveva avuto ragione quando diceva che, se non fossero intervenuti loro, Lorenzo si sarebbe ucciso.

Mi sentivo una merda: come avevo fatto a non accorgermene prima? Eppure lui aveva passato la mano sul mio corpo, io quella mano l'avevo vista, perché prima mi sembrava normale? Che egoista che ero stata. Ero concentrata solo sul mio piacere da non accorgermi che lui, il piacere, lo provava a fare altre cose: a tagliarsi le vene, per esempio. Autolesionismo. Ed ero riuscita a passarci sopra.

"Lorenzo! Che hai fatto? Perché?"

Lui non mi rispose.

"Rispondimi, cribbio! Che cazzo hai fatto?!"

Lui continuava a tacere, gli occhi concentrati sul suo ginocchio, le mani che staccavano con movimenti a scatti a ritmo con le mie parole dei pelucchi dal divano. Mi accorsi che gli iniziava a tremare un lato del labbro e capii che, se volevo curarlo davvero, urlando non avrei ottenuto nulla. Sospirai esasperata, gli accarezzai il viso liscio da ragazzo.

"Non volevo urlarti addosso. Davvero. Scusa, perdonami. Ti amo." dissi citando il suo diario.

Lui accennò un sorriso: "Sai come ho scoperto che nostra madre si era fidanzata con tuo zio?"

"Come?"

"Come tu hai scoperto me."

Sorridemmo entrambi: con un diario.

Avrei voluto leggerlo, e il prima possibile! Lorenzo doveva assolutamente farmelo vedere. Dovevamo recuperare il tempo che avevamo perso in tutti quegli anni. Lui mi lesse nel pensiero.

"Te lo mostrerò. L'ho trovato poco tempo fa in camera mia fra i miei libri, non ne ho idea di come sia finito lì."

Nonostante questa scoperta, non riuscivo a smettere di pensare alle condizioni delle sue mani che stavo accarezzando senza nemmeno essermene resa conto. Dovevo curarlo, e alla svelta.

"Cosa vuoi fare ora della tua vita, Lorenzo?" gli chiesi con dolcezza.

"Ancora non lo so di preciso."

"Non dirmi che non hai avuto il tempo di rifletterci."

"Da quando sono qui ho solo pensato a cosa avrei fatto il giorno dopo, solo che quel giorno non arrivava mai. Le notti erano terribili, erano interminabili. In paese c'è una campana: a ogni rintocco, mi sovvenivano tutti gli incubi che avevo vissuto." ammise lui.

"Non domini più la notte?"

"No, mi lascio dominare da lei."

Questo mi portò a fargli una domanda che magari lo avrebbe anche potuto aiutare a scegliere il suo futuro.

"Tornerai con la.camyyy?"

"No. Ammetto che quelle notti mi mancano, ma le persone si conoscono meglio alla luce del sole." rispose lui.

Era davvero più maturo, ma non dovevo mollare l'osso, dovevo continuare a tartassarlo.

"Tornerai alla Juve?"

Ridacchiò scoraggiato. "Credi che abbiano ancora bisogno di me? Avranno già trovato un rimpiazzo. Morto un Lorenzo Strozzi, se ne fa un altro. Inoltre non sarebbe così carino ripresentarsi dopo che per colpa mia gli è stata ritirata la Champions vinta... rescinderanno il contratto..."

"Ma almeno tornerai a giocare a calcio?" domandai stavolta speranzosa.

Lui si portò le mani alle labbra mordicchiandosele, ci stava pensando, anche se ero sicura che ci aveva riflettuto già almeno un centinaio di volte.

"Non lo so."

"Ma è la tua passione!" esclamai " Come puoi vivere senza?"

"In realtà un'idea ce l'avrei, ma per proportela devi prima leggere l'ultimo pezzo del mio diario." disse estraendo un foglio dalla tasca.

Lo presi incredula, non mi ero accorta che ne avesse uno.

"Spiega tutto quello che è successo dopo il vocale che ho mandato a Giulio." aggiunse lui.

Ci mettemmo più comodi, io appoggiai la testa a un cuscinetto e mi coricai senza stendere le gambe, non volevo mettergliele addosso.

"C'è spazio anche per me?" chiese lui con mio stupore e cercò di coricarsi al mio fianco, anche se così rischiava di farmi cadere. Se ne accorse.

"Scusa, è che questo è il pezzo del diario che più mi piace, voglio rileggerlo anch'io! Vieni qua, sorellina!" esclamò ridendo e spostandomi dalla riva del divano stringendomi a sè. Eravamo appiccicati. Lui si era voltato verso di me, ma poteva vedere solo i miei capelli perché io mi ero voltata, ero troppo rossa in viso.

"Allora, leggi?" chiese in fibrillazione. Era maturato, ma su alcune cose era ancora un bambino. Ora sembrava uno scolaretto che, dopo avere preso dieci nel tema, lo riportava a casa per farlo vedere ai suoi con orgoglio.

Ancora un po' rossa, obbedii. Iniziai a leggere, continuando a spostare lo sguardo dal foglio al suo profilo che meritava di essere rappresentato su una moneta romana.

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