XXXV - Il rifugio di Lorenzo

Salii sull'auto di Giulio Angeli in preda all'ansia, un po’ perché dovevo rivedere Lorenzo che non sapevo dove fosse e un po’ perché il mio accompagnatore aveva insistito per guidare lui. 

“Ti vedo troppo agitata… Guarda che so uscire dai parcheggi, ero solo nervoso...”

Non mi aveva aperto la portiera, forse Lorenzo avrebbe dovuto fargli lezioni di galanteria... Mentre lui avrebbe dovuto spiegargli come non farsi mettere i piedi in testa.

“Ci sei? Ora guarda attentamente…”

Ero al suo fianco e mi accorsi che ora padroneggiava il volante con maggiore sicurezza e infatti uscì dal parcheggio senza intoppi.

“Che ne dici? Non sono bravissimo?” mi chiese con un sorrisetto soddisfatto buttandosi in strada.

“Non ti gasare…”

In un attimo imboccammo l’autostrada, ero più che convinta che la destinazione sarebbe stata... Roccabianca. Non sapevo se essere felice o agitata nel  rivedere Lorenzo, era accaduto troppo in troppo poco tempo. Non riuscivo ancora a realizzare che fosse vivo, che avrei potuto vederlo e toccarlo. Non era più bidimensionale come la carta su cui scriveva, ora di dimensioni ne aveva tre, anzi, quattro: l’altra era il suo io profondo, che avevo avuto la fortuna di conoscere e tentare di capire.

Anche Giulio stava diventando una compagnia quasi piacevole, almeno non era il cattivo in questa storia come pensavo, anzi, era stato quello più in gamba di tutti e l'avevo trattato male ingiustamente. Certo che, se avesse ammesso da subito che Lorenzo era vivo... Perché non me l'aveva rivelato?

Avrei voluto chiederglielo, ma prima gli dovevo delle scuse. Passai buona parte del viaggio a riflettere in silenzio.

“Scusa, Giulio, ti ho sempre considerato male. All’inizio pensavo… Ecco, pensavo potessi aver ucciso Lorenzo, ti facevo spietato. Forse è per via della tua freddezza.”

“Anche se controllo le mie emozioni, non significa che io non le provi.” ribatté con quella voce sempre neutra che mi aveva un po’ stancata, non poteva almeno sforzarsi di cambiare tono?

“Certo, non sei un Ciccino Dolcino come Lorenzo, però… Oh!” esclamai quando lui frenò di colpo facendomi venire dieci infarti. Menomale che avevamo già lasciato l’autostrada imboccando l’uscita Sissa-Trecasali e ora eravamo dispersi nell’afa e nei campi della Pianura Padana dove non c’era anima viva, altrimenti saremmo stati tamponati di sicuro. Mi guardò stupito e divertito.

“Come fai a sapere il soprannome che gli ho affibbiato?”

“Era scritto sul diario.”

“Il diario, già! Mi piacerebbe leggere le altre parti. Cavoli, per colpa di quel Ciccino Dolcino ora sai tutto di me, da a che ora vado a fare la cacca fino a quante donne mi porto a letto.” si lamentò lui.

Quasi gli risi in faccia: “In realtà Lorenzo ha scritto che tu passavi le nottate a guardare le stelle…”

“Credi a lui o a me?” staccò le mani dal volante incrociandole sul petto e guardandomi male come un bambino offeso.

“Giulio, che fai? Sei un neopatentato, metti quelle zampacce che ti ritrovi sul volante!” urlai prendendole con la forza. Sapevo che stava solo fingendo di essersi offeso, ma non era il momento più opportuno per abbandonare il volante. 

“Saresti anche una compagnia piacevole se non avessi questi attacchi improvvisi di bimbominchiaggine.”

“Compagnia piacevole? Finalmente lo hai ammesso! Però non sono così immaturo come mi descrivi.” si risentì lui.

“Bah, sembrava che volessi provocare un incidente…” commentai, poi m’illuminai. Mi era venuto in mente che a quel ragazzo, da quando l’avevo visto per la prima volta, chiedevo sempre la stessa cosa e lui non aveva mai risposto.

“Giulio, ora posso ascoltare il vocale che Lorenzo ti ha mandato dopo la finale? Per favore.”

Lo stradello che stavamo percorrendo non era molto trafficato e poteva permettersi di parcheggiare sul ciglio della strada. Estrasse il telefono dalla tasca.

“Ho cambiato password.” ci tenne ad avvisarmi. Come se non lo conoscessi, era un ragazzo ermetico, impossibile da conoscere a fondo. Entrò su Whatsapp e cercò il vocale.

“Eccolo!” esclamò infine.

“Posso leggere anche le chat precedenti?”

“Non t’interesserebbero, gli scrivevo con quante donne andavo a letto.” accennò un sorriso, la mia espressione era in parte sorridente e in parte disperata.

Cosa diceva a proposito della maturità?

“Chiudi quel forno e fammi ascoltare l’audio.” gli ordinai.

Lui sbuffò e lo avviò. Già dalle prime parole mi accorsi che la voce sempre calma di Lorenzo era disperata.

Ciao, Giulio. Sono confuso. Non so se ho capito perché l’ho fatto... perché mi sono dopato, mi conosci così bene che sai che il problema è questo. Giulio, sai una cosa? Della finale non me ne fregava un accidente. Io non volevo vincere la Champions League, nemmeno il campionato, nemmeno la coppa Italia, nemmeno gli MVP. Non per questo gioco a calcio.

Non volevo nemmeno diventare ricco e comprarmi ‘sta macchina, né fidanzarmi con un’ influencer, né avere per amici delle celebrità. Non per questo gioco a calcio.

Io voglio solo essere amato.

E mi sono dopato per questo. Mi ero detto una bugia, credevo di averlo fatto per vincere la finale, ma non era così. Io volevo giocare una grande partita, essere ricordato come l’eroe del match, perché solo gli eroi sono amati da tutti, non i codardi. Non io.

Tu penserai che io ero già amato dai tifosi ed è vero: mi adoravano innanzitutto perché ero bravo, certo, ma anche per la persona che ero. Ti ricordi quanti complimenti ricevevo fermandomi più di tutti gli altri a fare gli autografi ai tifosi? Mi sentivo davvero bene. Io stasera volevo essere amato più del solito.

Il più amato.

Perché l’amore è una droga, ne vuoi sempre di più e poi la droga te la inietti nel corpo con il nome di doping. Non avevo capito che un corpo dopato senza testa e cuore non può andare da nessuna parte. Ecco perché la finale l’ho giocata male nonostante il veleno che avevo nelle vene. E le persone dalle quali volevo essere amato, quando scopriranno la verità, mi odieranno, non mi perdoneranno mai!

terminò con un urlo. Noi restammo in silenzio, un minuto di silenzio per celebrare Lorenzo Strozzi che quella sera era più morto che vivo. Giulio non parlava, non sprecava il fiato per parole di circostanza come “Mi dispiace, povero ragazzo” o chissà cosa.  Disse soltanto: “Dobbiamo aiutarlo a girar pagina: non può stare tutta la vita nascosto.”

Io mi limitai a sospirare.

L’agitazione in me cresceva a ogni metro, il pensiero che ero sempre più vicina a Lorenzo mi martellava. Anche Giulio, sempre inespressivo al mio fianco, forse un po' teso, ora mi sembrava distratto al volante.

“Non dirmi che ora finisci anche tu in un senso vietato come Lorenzo.” lo punzecchiai.

“No, queste stradine di campagna sono così orribili che dovrebbero essere già vietate!” rise lui.

“Sono io a distrarti?” citai la.camyyy con un sorriso genuino, per nulla paragonabile al suo malizioso e attraente quando aveva pronunciato le mie stesse parole.

“Sì.”

Cosa? Lo guardai, ma lui non si era voltato verso di me. Mi guardò di sfuggita, era arrossito appena ma si notava su quel volto pallidissimo.

“Lo sai che non si flirta al volante, sennò si finisce contro a un muretto. Non avrò letto il diario, però Lorenzo mi ha raccontato parecchi particolari di quella notte.” disse accennando un sorriso. Era un’impressione mia o si stava sforzando di sorridere di più?

“Qua non ci sono muretti.” osservai, senza sapere come aveva fatto a pronunciare quella frase, ero ancora stupita dalla risposta di Giulio Angeli.

“No, però c'è il vecchio casolare degli Strozzi. Siamo arrivati e stavolta niente parcheggi difficili, c'è così tanto spazio che... Mi sono allenato per nulla.”

si lamentò lasciando l'auto nel cortile di ghiaia della casa di campagna, raggiungibile solo attraverso carrugi minuscoli da cui mai e poi mai sarebbero circolate altre auto.

Lui scese, io non sapevo bene cosa fare: il pensiero di vedere Lorenzo mi spaventava.

Ah, allora Giulio Angeli le portiere alle signore le apriva! Mi allungò la mano e gliela porsi volentieri, solo che… quel braccio non era il suo: era troppo abbronzato. Scesi dall'auto e alzai lo sguardo. Quel sorriso malinconico non lasciava alcun dubbio: Lorenzo Strozzi.

Provai un misto di emozioni nel  vederlo. Avrei voluto abbracciarlo, sapevo quanto aveva sofferto, ma, nonostante conoscessi tutto di lui… ci avevo parlato solo un paio di volte troppi anni prima, trattandolo anche male. Ero imbarazzatissima, anche perchè lui, invece, con quel sorriso, stava cercando di accogliermi in modo caloroso. 

“Scusa. Per… molti anni fa.” farfugliai con le guance in fiamme. Lui mi strinse ancora di più la mano.

“Non preoccuparti, è acqua passata.” rispose con una voce profonda e tranquilla. Gli era cresciuta un po’ la barbetta giovanile e i capelli arruffati gli davano un'aria più selvaggia, ma era lo stesso divino.

“Hey coglione, vieni a darmi una mano, ‘sta roba è tua, mica mia!” rovinò tutto Giulio Angeli che, a braccia incrociate, attendeva Lorenzo per scaricare le provviste. 

“Volete un aiuto, ragazzi?” mi proposi, ma Giulio rifiutò “Siamo noi i palestrati. Anzi…”

“Anzi cosa? No, aspetta, mettimi giù!” urlai vedendo il terreno troppo distante, ma ormai Giulio mi aveva sollevata.

“Dove la metto questa provvista, Lore? Vicino ai croccantini di Dirk o fra la frutta?”

“Portala in casa, per favore.” propose lui con un sorriso trasportando, le vere provviste nel casolare. Giulio mi sistemò con delicatezza sul divano della casa mentre il suo migliore amico portava il cibo in quella che una volta doveva essere la cucina. Sentii qualcosa di peloso contro la mia gamba destra e sobbalzai, ma mi misi a ridere quando mi accorsi che era solo Dirk.

“Vuole fare amicizia, è molto espansivo. Non ha tutti i torti, anche io voglio riallacciare i rapporti con te.” mi sorrise Lorenzo, poi guardò Giulio che si era accomodato al mio fianco. Si schiarì la voce.

“Giulio, scusa, non è che potremmo restare un attimo soli io e Vittoria? Lo so che non è molto cortese visto che sei venuto fino qua, ma é solo per qualche minuto...”

Dovevo proprio? L'attaccamento morboso che aveva dimostrato di avere per me mi lasciava molte titubanze. Accidenti a te, Vittoria! Era dall'inizio che volevi sapere che fine avesse fatto Lorenzo Strozzi, avevi perso il lavoro per quello e ora che ce l'avevi davanti volevi scappare via? Implorai con lo sguardo Giulio Angeli di restare. Non pareva affatto felice del compromesso, anche se dalla sua bocca uscirono parole diverse.

“E va bene.” sbuffò alzandosi incamminandosi verso la porta, fermandosi sull’uscio e aggiungendo ironico: “Dopo posso anche rientrare o mi è proibito?”

“Giulio, per favore…”

“E va bene, e va bene, me ne vado!” uscì  sbattendo la porta.

Ero sola con Lorenzo.

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