XVIII - L'esordio
Ero seduta su una panchina al parco del Valentino, la tenue luce di un lampione illuminava come poteva le parole di Lorenzo, le leggevo a cinque centimetri dalla mia faccia per capirci qualcosa.
Perché ero lì? Mi era venuta la malsana idea di buttarmi nell'acqua del Po. Avete capito bene! Ero davvero disperata, non mi lavavo da ormai troppi giorni e puzzavo come una capr... Ehm, meglio tralasciare certi dettagli. Mi ero però accorta che l'acqua che scorreva nel fiume che attraversava Torino non era così differente da quella che scendeva - quando scendeva - dalle docce dell'affittacamere di Natasha. Inoltre, se avessi fatto il bagno nuda in un fiume alle undici di sera, qualcuno avrebbe avuto dei dubbi sulla mia sanità mentale e avrebbe chiamato la polizia e gli agenti sarebbero stati indecisi se sbattermi in galera o in un centro psichiatrico.
No, dietro le sbarre doveva andarci solo l'assassino di Lorenzo Strozzi.
Ripensai allo stupore di Giulio quando gli avevo detto che per me Lorenzo non si era suicidato, era chiaro che lui sapesse qualcosa che a me era oscuro. Provai a immaginarmi che discorsi avesse potuto fare in vita Lorenzo con il suo migliore amico, ma lui era così misterioso che non capivo cosa potesse passargli per la testa. Perché si era comportato in quel modo con me? Cosa voleva nascondermi?
Dovevo cercare di mettere da parte l'antipatia che provavo per Giulio, per scoprire la verità avrei avuto bisogno del suo aiuto, più o meno consapevole. Anche se secondo me era l'unico che aveva già capito che non ero una vera donna delle pulizie... Cercai di scacciare quel pensiero dalla testa, convincendomi che la mia identità era ancora segreta, al contrario di quella di Lorenzo a cui ormai avevo libero accesso.
Diario
La Juventus lo era stato, il nostro pallino. Merito delle mie prestazioni in Serie B dove avevo potuto giocare grazie alla testardaggine del mio agente e agli accordi che avevo preso con il mio futuro club, a marzo avevo già firmato un pre-contratto che mi avrebbe legato alla Juve. Il primo luglio fu ufficializzato il mio trasferimento dal Parma ai bianconeri per 50 milioni più 10 di bonus vari, il mio stipendio di 4.5 milioni all'anno più altri bonus vari e la faraonica commissione di Laclausola di 5 milioni. Un affare dispendiosissimo, che aveva prosciugato le casse della Vecchia Signora, che non aveva fatto altri colpi se non un ragazzo dell'Asti neopromosso in serie C pagato nemmeno mezzo milione su cui però nessuno avrebbe scommesso nemmeno un centesimo: Giulio Angeli.
Laclausola mi aveva aiutato molto durante i miei primi mesi alla Juve. Io mi lamentavo di essere lasciato in panchina, non me l'aspettavo considerando la cifra del mio trasferimento, ma lui mi guardava e commentava con fare paterno
"Tranquillo, verrà il tuo momento. Sii spensierato e andrà tutto bene.".
Difatti arrivò.
Era la prima partita in Champions League della stagione, fase a gironi. Io ero in panca, Giulio Angeli ancora nella seconda squadra in serie C. Giocavamo nella fredda Scozia sul campo del Celtic e il risultato non si sbloccava. I loro giocatori picchiavano come dei fabbri e proprio questo causò l'infortunio del nostro trequartista. Era il sessantesimo e il mister si girò per scrutare la panchina. Il suo sguardo poco convinto cadde su di me, ero l'unico disponibile in quel ruolo.
"Vai a scaldarti in fretta, Lorenzo."
Avevo i muscoli indolenziti, entrai in campo per nulla pronto. Però ero ancora spensierato. Ero una riserva, era la mia prima partita, a chi importava di me? Se il risultato non fosse cambiato non sarebbe stata tutta colpa mia. Non ero per niente preoccupato. I pochi tifosi ospiti mi avevano accolto con un boato. Non dovevano essere nemmeno cinquemila, la loro trasferta doveva essere premiata. Mi concentrai da subito e in poco tempo entrai in partita. Sapevo che, se il pubblico non si aspettava nulla da me, nemmeno i miei compagni, quindi dovevo chiamare palla io e non aspettare di essere servito e pressare ogni volta che erano in possesso gli avversari.
Eravamo in possesso di palla sulla fascia destra. Io, fuori dall'area di rigore, mi guardai attorno cercando di prevedere i movimenti dei difensori avversari. Mi accorsi che non c'era nessuno sul secondo palo e m'inserii, chiamando palla sperando di essere notato. Visto e servito. Non avrei avuto il tempo per stopparla ed era troppo bassa per colpirla di testa, potevo solo tirare al volo con il collo del piede e fare... GOL!
Me ne accorsi solo quando i miei compagni mi sommersero di abbracci bagnati di sudore. Volsi lo sguardo al settore ospiti in festa e mi venne spontaneo andare ad esultare con loro, scavalcando le insegne pubblicitarie e alzando le braccia per incitare la folla. No, quel calore che provavo non era quello dovuto all'attività fisica, era dovuto alla loro gioia. Volevo guardare i loro volti uno a uno. Mi scese una lacrima sfuggente, com'era sfuggente il tempo: dovevo già tornare a centrocampo. Ma quella sensazione strepitosa non mi abbandonò... anche perché feci doppietta!
Una doppietta all'esordio non era cosa da poco e il mondo si era accorto di me. Oltre ai complimenti del mister e dei compagni, fui sommerso dai messaggi dei miei nuovi e vecchi fan, fra cui persone che avevano avuto un ruolo marginale nella mia vita e che all'improvviso si facevano di nuovo vive. Tutti quei complimenti mi facevano stare bene. Erano solo parole su uno schermo, ma mi facevano capire che quello che facevo aveva un senso.
I miei compagni mi deridevano: per tutto il viaggio di ritorno, anche se era notte fonda, ero rimasto incollato al telefono a controllare le troppe notifiche che forse avrei dovuto disattivare, ma volevo leggerle tutte.
"Promettimi che questa sarà la prima e l'ultima volta in cui passi la serata su Instagram." mi redarguì il nostro capitano
"Il supporto dei tifosi è importante, leggere qualche commento e rispondere è concesso, ma leggerli tutti è una follia. Anche perché ricorda, non saranno sempre elogi."
"Hai ragione, ora smetto!" gli risposi sorridendo, ma continuai cercando di non farmi vedere per altre due ore. Finché non mi arrivò una chiamata da un numero che conoscevo bene.
"Pronto, Giovanni?"
"Loreeenzo! Innanzitutto complimenti, bella prestazione. Direi che, ora che tutti ti conoscono, possiamo pensare non solo alla persona ma anche al personaggio."
esordì il mio procuratore
"Cosa intendi dire?" chiesi con curiosità.
"Semplice: devi avere un tuo stile. Una tua esultanza. Un tuo modo di porti. Un tuo modo di postare, la classica fotina con la didascalia "bella vittoria, +3" non va più di moda, è troppo poco. La gente deve parlare di te. La gente vuole conoscerti... E il nostro compito è accontentarli, no? Interviste! Pubblicità! Eventi mondani! Gossip! Ecco cosa ci vuole ora, ecco su cosa dobbiamo lavorare!"
Ero perplesso: "Non diventerò un fenomeno da baraccone?"
Laclausola si mise a ridere: "Lorenzo, non ci siamo proprio: tu DEVI diventare un fenomeno da baraccone!" esclamò lui chiudendo la chiamata, senza darmi il tempo di pensare e di ribattere. Ero perplesso: ero convinto che gli accordi si prendessero in due...
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