Giocavo ancora nelle giovanili del Parma, avrò avuto sedici anni.
Ero tornato a casa in corriera dopo l' allenamento come ero solito fare.
"Mammaaaa! Sono a casa!" esclamai appena varcai la soglia. Nessuno venne ad accogliermi.
Strano, di solito mamma mi veniva incontro sorridente chiedendomi come fossero andati gli allenamenti e, soprattutto, se mi fossi divertito.
Mi giunse alle narici un invitante odore di lasagne che proveniva dalla cucina. Allora aveva pensato a me lo stesso, cucinandomi il mio piatto preferito!
Mi lasciai trasportare da quell'aroma e sentii delle risate in salotto
"Lorenzo! Vieni qui, ragazzo!" mi chiamò mio padre con una voce stranamente gioiosa.
Mi affacciai sulla stanza. Sul tavolo c'era un'enorme teglia di lasagne e la tavola era imbandita, mia madre aveva scelto di usare il servizio di posate che di solito conservavamo per Natale. Mio padre mi sorrideva, mia mamma m'invitava a raggiungerli. E davanti a me c'era un ospite speciale che riconobbi subito.
"Giovanni Laclausola? È lei?"
"Proprio io, Lorenzo! Vieni, puoi darmi del tu. Siediti davanti a me, così possiamo parlare meglio." m'indico la sedia libera con tono paterno.
Ero un po' timoroso: Giovanni Laclausola era un procuratore molto importante, curava gli affari di quasi tutti i calciatori di Serie A. Nessuno si ricordava il vero cognome, Laclausola era un nome d'arte poiché lui si considerava il "Picasso del calciomercato".
Casa mia mi era sempre piaciuta, ma per la prima volta me ne vergognai: sicuramente il signor Laclausola era abituato a ben altro. Forse era stato lo stesso pensiero di mia madre quando aveva deciso di cambiare il servizio da tavola.
Mi feci piccolo piccolo e mi sedetti. L'agente mi fissava bonario.
"Però, che tempismo! Arrivi giusto quando si stava iniziando a parlare di soldi!" esclamò lui, mio padre rideva a ogni sua battuta.
"ma forse prima devo spiegarti il piano che avevo in mente per te, Lorenzo. Sono qui stasera perché ti ho visto giocare, o meglio, non io, ma un talent scout che lavora per me. Parma-Inter, ti ricordi?"
Eccome se mi ricordavo! Avevo impartito una bella lezione a uno dei migliori settori giovanili d'Italia. Era incredibile che un talent scout fosse venuto a vedere proprio la mia partita migliore della stagione, un vero colpo di fortuna.
"Lui era rimasto stregato da te. Mi diceva che dovevo assolutamente vederti giocare. Avevo trovato anche dei tuoi video su alcune piattaforme. Alla fine avevo pensato... perché non venire direttamente alle tue partite? Quando avete giocato ieri ero in tribuna. Tu hai fatto doppietta, una prestazione strepitosa. Mi sono subito informato su di te: non avevi ancora un procuratore, com'era possibile? E ora, Lorenzo, mi sa tanto che ne hai trovato uno..."
Ero estasiato, provavo un'eccitazione pazzesca come dopo un gol, macché, come dopo una tripletta! Lui, il migliore degli agenti, il più famoso, il più ricercato, voleva me. Mi vedevo già con le maglie dei maggiori club d'Europa.
"Diciamocelo chiaro e tondo: vorrei portarti alla Juve, Lorenzo."
"Cosa?" Rischiai di cadere dalla sedia.
Laclausola mi aveva appena promesso il sogno della mia vita, quello su cui avevo fantasticato troppe volte senza avere il coraggio di trasformare questi miei desideri in parole, anche solo dire che sarei diventato un calciatore della Juve per me era un tabù, ero un tantino superstizioso. E innamorato di quella maglia.
Non avevo mai capito se mio padre tifasse Juve o meno, era assurdo ma non sapevo quale fosse la sua squadra del cuore, non seguiva molto il mio sport. Mi ricordo solo che, quando andavo ancora all'asilo, aveva deciso di punto in bianco che dovevo avere un modello da seguire, ed elesse colui che per gli anni a venire avrei considerato il mio idolo: Alessandro Del Piero. Chissà, forse sperava che potessi arrivare a quei livelli, vedendo le mie prime partite si era forse convinto di avere un campioncino in casa... Anche se non credo abbia mai prestato veramente attenzione anche solo a un mio incontro.
Il suo parere dopo non fu più necessario, già ai tempi delle elementari mi consideravo uno juventino sfegatato. Il mio tifo era alimentato dai successi in patria del club e dalla mia idolatria assoluta per Dybala e Higuain. Volevo diventare come loro, in tutto e per tutto. Al campetto esultavo mimando la Dybala mask, a casa fissavo sognante la foto autografata di Higuain che avevo appeso al muro. Una volta a scuola avevo addirittura finto di essere argentino, esasperando la mia vecchia maestra perché non volevo più parlare italiano, solo l' "argentino" come lo definivo prima di scoprire con delusione che in quel Paese si parlasse lo spagnolo.
"Io... Potrei davvero giocare nella mia squadra del cuore?" domandai a Laclausola incredulo.
"Ti ci porterò. L'ho già deciso. Sono uno determinato quando mi ci metto. È il massimo club al quale possiamo ambire qui in Italia, dopo vedremo."
"Non ci sarà un dopo, rimarrò alla Juve tutta la vita!" esclamai sognante, ma Laclausola scosse la testa.
"Ora sei solo un ragazzino, non puoi sapere cosa vorrai dopo. Ma perché stiamo parlando del nulla? Per arrivare alla Juve dovrai continuare a esprimerti a questi livelli. Per ora mi limiterò a pressare quei senza testa del Parma affinché ti portino in primavera e poi prima squadra, è pazzesco che uno come te non ci sia già, in un campionato diverso avresti già esordito. Comunque ti prometto che la Juve sarà il nostro pallino, ok? Allora, lo firmiamo questo contratto?"
E lo firmammo. Quando il Picasso del Calciomercato se ne fu andato verso mezzanotte, io ero troppo in fibrillazione per dormire. Non riuscivo a stare fermo, camminavo veloce per tutta la casa ripetendo: "Ho firmato il mio primo contratto con un procuratore! Con Laclausola, con Giovanni Laclausola!"
"Speriamo che si riveli una buona scelta..."
sentenziò mia madre mentre finiva di lavare i piatti. Mio padre era ancora seduto al tavolo e si mise a ridere.
"È la scelta migliore della nostra vita! Sono convinto che, se Laclausola vuole portare Lorenzo alla Juve, ci riuscirà! Ci siamo affidati al miglior procuratore sulla piazza, ricordatelo."
"Esatto, è bravissimo!" gli feci eco io, ma lei sospirò
"Lore, tesoro, non è la sua professionalità che voglio mettere in dubbio, ma l'impatto che avrà su di te: tu devi giocare tranquillo, senza pressioni, non sei ancora un professionista."
Mio padre non la prendeva sul serio: "Tu ti fai troppe paranoie, Lorenzo sa che deve rimanere con i piedi per terra. Dico bene, giovanotto?"
Feci un cenno di assenso con la testa sorridendo. Era la prima volta che mi difendeva. Lei non aggiunse nient'altro, anche se, osservando il suo volto, capii che non era sempre vero che chi taceva acconsentiva.
Proseguirono il discorso circa un'ora dopo, nella loro camera con la luce spenta, per cercare di distendere il clima. Io non riuscivo a dormire dall'entusiasmo e vagavo per casa alla ricerca di qualcosa di dolce da mettere sotto ai denti nonostante quella giornata fosse già stata squisita, quando incappai nei loro sussurri: "Non voglio che si bruci troppo presto, tutto qua. Non voglio che si monti la testa credendosi già arrivato. So che è un ragazzo intelligente, ma queste situazioni sono più grandi di lui." mormorò la voce di madre.
Mi si scaldò il cuore: ecco perché a mia mamma non piaceva Laclausola, semplicemente perchè era... una mamma, appunto, e come tale voleva solo proteggermi. No, mamma, te lo promettevo in quell'istante anche se non potevo parlare perché mi avresti sgamato intento a cercare una barretta di cioccolata: non mi sarei mai montato la testa. Non ti avrei mai deluso, mamma.
Mio padre era di un'altra opinione: "Ormai è abbastanza maturo per capirlo da solo. Vuoi tenerlo tutta la vita sotto a una campana di vetro? Inoltre questa situazione mi sembra vantaggiosa per tutti, anche da un punto di vista economico..."
"L'essere umano viene prima dei soldi, Flavio. È il suo benessere che conta. Ormai questo contratto lo abbiamo firmato, ma... mi prometti che terrai d'occhio nostro figlio? Lo proteggerai?"
"Va bene." rispose prontamente mio padre, ma lei si stizzì: "Non dev'essere un "va bene" di circostanza solo per farmi smettere. Ti voglio convinto."
"Lo ripeto, va bene. Mi conosci, no? Lo sai che mantengo le promesse. Lo sai che non tradisco mai. Ora possiamo dormire?" e udii lo schiocco di un bacio.
Se prima ero addolcito dalle parole di mia madre e dalla barretta che già pregustavo, ora avevo ricevuto quella coltellata che mi era stata negata sei anni prima. Ed era sempre lo stesso uomo ad avere l'arma in mano. Mi attaccai al muro del corridoio, lasciandomi scivolare giù. Come poteva dire a mia madre che non tradiva mai?
Ancora non russavano, ancora non dormivano. Nell'oscurità totale, dove nessuno poteva vedermi in faccia, ecco, solo lì avrei potuto ammettere a mia madre ciò che era accaduto sei anni prima quando lei non era in casa ma a lavorare per noi. Però mi era mancato il coraggio.
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