X - Dal diario di Lorenzo - LA.CAMYYY

Mi svegliai... Sì, certo, a chi la racconto? Non avevo chiuso occhio!

Mi aspettava un'altra giornata di lavoro in casa Strozzi. Non avevo mai fatto delle vacanze così stressanti! Avrei dovuto chiedere altre ferie a Zaveri una volta tornata, ma la risposta sarebbero stati dei calci nel sedere. Arrivai sul mio nuovo posto di lavoro puntualissima, il padre di Lorenzo mi stava aspettando

"Di cosa mi devo occupare, oggi?"

"Devi terminare il salotto e la palestra. Se avrai ancora tempo, potrai iniziare a lustrare anche i bagni."

"Sempre nell'ala est?"

"Sempre nell'ala est." confermò lui

"Le camere da letto non le pulisco mai? Ci sarà polvere." insinuai io. Avrei voluto entrare in camera sua.

"Può essere, ma non ne sono allergico." ribattè lui

"Devo uscire un attimo. Fra poco sarò di ritorno e mi aspetto un salotto già pronto all'uso."

si raccomandò il signor Strozzi chiudendo la porta di casa.

Certo, come no, mi lasciava la villa libera e io dovevo pensare al salotto? Aspettai qualche minuto e appena sentii un'auto che usciva dal garage mi misi alla ricerca della camera di Lorenzo.

Fosse stato facile trovarla, era una casa immensa! Aprivo ogni porta e poi la richiudevo appena mi accorgevo che non era quella giusta... poi ne trovai una chiusa a chiave.
Avevo già aperto tutte le altre e della camera di Lorenzo non c'era traccia, dunque doveva essere proprio quella. La chiave poteva averla il signor Strozzi come poteva essere nascosta in un mobile. Nei corridoi c'erano dei comodini e dei vasi e sbirciai in ciascuno di essi finché non la trovai in un cassetto. La infilai nella toppa: era quella! Potevo accedere alla camera di Lorenzo Strozzi.

Chiusi la porta dietro di me, entrai cercando di non fare alcun rumore come se fossi stata in un luogo sacro. Sorrisi: la prima cosa che notai, appeso a un muro, era il collage dei tifosi. Sì, quella era proprio la camera di Lorenzo Strozzi. Mi sorprese la libreria, i volumi sembravano usati. Ne sfogliai qualcuno: in alcuni c'erano le orecchie o delle sottolineature a matita. Alcuni erano sul calcio, altri erano dei classici che avevo letto anche io.

Da uno di questi, le Lettere al padre di Kafka, volò a terra un foglietto piegato in quattro. Lo raccolsi, stavo per rimetterlo a posto quando il mio "io giornalista" prevalse e lo aprii. In alto troneggiava il titolo scritto a lettere maiuscole, "PADRE", poi un testo composto da parole accavallate e una scrittura frettolosa.

La scrittura di Lorenzo Strozzi.

Bingo!
Baciai il foglio, sapevo che in quella camera qualcosa avrei trovato!

Il soffice lettone matrimoniale di Lorenzo Strozzi era molto invitante, avrebbe conciliato anche un insonne. C'erano due comodini, uno a destra zeppo di foto, libri e un lussuoso orologio da uomo, uno a sinistra spoglio, senza oggetti sopra. Mi coricai a sinistra, sentendomi avvolgere dal materasso... ma non dal cuscino. Come mai era così spigoloso?

Lo controllai e ne uscì un secondo foglio piegato in quattro. Come mai Lorenzo li aveva disseminati come i sassolini di Pollicino? Forse doveva trovare la sua strada anche lui? Lo aprii, stavolta il titolo era "LA.CAMYYY".
Perché aveva scelto proprio quella collocazione così assurda? Forse fino a poco tempo prima la parte sinistra del letto era riservata a lei? Ma certo, doveva essere così! Si era trasferita nella camera degli ospiti da quando era sparito Lorenzo, proprio per impedirmi di trovare la sua stanza!

Avevo un foglio nella mia mano destra e uno nella sinistra e li scrutavo dubbiosa: quale leggere prima? Visto che ero nella parte del letto che un tempo doveva essere de la.camyyy, perchè non iniziare proprio dal foglio dedicato a lei?

Dal diario di Lorenzo - LA.CAMYYY

Aveva 46 nomi, ma si faceva chiamare Tiago Vato. Anche se condividevamo lo stesso spogliatoio, non ci parlavo quasi mai. Forse lo conoscete: era un brasiliano, sbarcato nel vecchio continente grazie al Wolverhampton. Dopo un paio di buone stagioni si era trasferito all'Inter e poi al PSG.
Di quelle avventure aveva con sé un ricordo indelebile: cinque lupi, quattro serpenti e due linci. Di ogni squadra in cui andava si acquistava l'animale rappresentato dalla mascotte. Li teneva liberi di scorrazzare in giardino, certo che nessun ladro avrebbe anche solo provato a entrare in casa sua! Quando era arrivato alla Juve, qualche anno prima di me, aveva speso il suo primo stipendio in cosa, se non una zebra?

Nessuno, a parte i frequentatori di casa sua, sapeva dei suoi acquisti folli, che non si limitavano solo alle bestie feroci ma anche a statue di sé stesso e a tavolozze del water in oro puro. Se qualcuno avesse diffuso la notizia del suo zoo domestico, la sua casa sarebbe stata assediata da orde di animalisti inferociti.

Io quella sera d'inizio novembre ero da lui, insieme a Giulio Angeli, perché era la festa di compleanno di sua moglie.
Tiago Vato aveva invitato chiunque conoscesse, senza badare alle simpatie della sua signora, che ignorava della nostra esistenza.
Tutti sapevamo che era cornuta addirittura da prima del matrimonio, eppure, con tutto quello sfarzo, con quei palloncini a forma di cuore sparsi ovunque, con la torta a cinque piani fatta arrivare direttamente da una pasticceria di Parigi, con il miglior deejay in circolazione presente quella sera, il nostro compagno di squadra cercava di nascondere ciò che in realtà tutti sapevamo.

Facendo gli auguri alla sua bellissima donna quella sera, dal sorriso così simile al mio, mi accorsi che forse anche lei lo sapeva. Ma le andava bene così. Accoglieva gli invitati con l'entusiasmo con cui avrebbe partecipato a un funerale, non era un caso se era nata il Giorno dei Morti. Suo marito invece ci aveva salutato con molto calore, vagava come una trottola impazzita a ritmo di samba, chiedendo a tutti e anche a noi

"Come va la festa? Vi state divertendo?"

per ricevere complimenti, sentirsi dire che era un buon organizzatore, un padrone di casa meraviglioso.

Fino a quel momento mi ero annoiato, non ero solito andare alle feste perché tutte quelle persone presenti m'infastidivano.
Mi sembravano così... False.

"Che cavolo facciamo?"

mi domandò Giulio Angeli con le mani in tasca, dando un calcio a un tappo che era caduto. Eravamo in un angolo vicini a un buffet luculliano.

Bring the action!

Il deejay aveva messo Scream & Shout a palla, ma su di noi non fece alcun effetto.

"Andiamo in un'altra stanza." proposi.

Lì finalmente si poteva stare più tranquilli, non era un luogo affollato e la musica era un' eco lontana.

"Cerca qualcosa con cui si possano fare due palleggi!" esclamò Giulio.

Lui ne era fissato: in spogliatoio palleggiava con le borracce, con le bottigliette di plastica, con tutto quello che trovava. Era fissato con il calcio in generale, non pensava a nient'altro se non all'astronomia. Quando tutti gli altri uscivano di casa per andare a divertirsi, lui andava fuori città e passava le notti a guardare il cielo stellato.

"Giulio, i bicchieri sono tutti di vetro..."

sospirai. E anche se ci fossero stati dei bicchieri di plastica, la sua era una trovata demenziale. Già era terribile che, alle poche feste a cui presenziava, venisse vestito con tute grigie che poteva aver acquistato al mercato, poi se doveva anche mettersi a fare il buffone...
Ma Giulio Angeli non lo capiva, semplicemente non lo capiva. Se a questo aggiungiamo il suo umorismo tagliente e la sua spontaneità nel dire sempre la verità nuda e cruda, ecco perché non veniva invitato quasi mai ai party, se non in serate come quella, per fare numero.

Non volevo pensare al calcio, non era il momento giusto. Ma non volevo nemmeno fare festa. Cosa volevo fare allora?

Ero circondato da persone vuote e anche io ero caduto in quel circolo vizioso, in quel buco non nero ma bianco, bianco come i fantasmi che alla fine eravamo, eravamo dei morti che per una sera volevano sentirsi vivi. Eravamo tutti degli scheletri, anzi, avevamo tutti degli scheletri. Scheletri nell'armadio che volevamo nascondere vestendoci così eleganti, mostrandoci così perfetti, inossidabili, indistruttibili.
Allora forse Giulio Angeli non aveva tutti i torti.

Mentre riflettevo su questi pensieri assurdi, forse anche un po' macabri, tornò Tiago Vato che mi diede una pacca sulla schiena appena mi vide, con il suo sorrisone sempre stampato in faccia.

" Come va la festa? Vi state divertendo?"

Ma non me l'aveva già chiesto?

"Sì, Tiago, sei davvero un buon organizzatore!" affermai con un finto sorriso.

"A me si stanno staccando le palle..."

"AHAHAHAHAHA, bella questa Julioooooo!" rise lui come una iena, per fortuna alcune espressioni in italiano non le capiva benissimo.

"Cosa mi posso aspettare da uno che ha i capelli color piccione?"
continuò a prenderlo in giro il mio amico.

Giulio Angeli e Tiago s'intrattenevano con chissà quale discorso, io ero nel mezzo, poggiato contro il muro. Il mio cervello si era fermato con l'arrivo del nostro compagno e ora sarebbe stato difficile riprendere il filo dei pensieri, quindi decisi di desistere. Trattenni a fatica uno sbadiglio, e per fortuna.

Perché in quell'attimo la vidi.

Ero davvero stato così cieco fino a quell'istante? Come avevo fatto a non notarla prima? E lei da quanto mi stava fissando? Stava fissando me, non Giulio, non Tiago: ero io il prescelto. Inclinò la testa di lato, mi sorrise. Era il messaggero che dava inizio alla storia e io, in qualità di prescelto, dovevo decidere se accettare la missione che mi proponeva.
Ricambiai il sorriso: avventura accettata.

Era a posto la cravatta? Speravo di sì, non potevo certo staccarmi da quello sguardo magnetico, anche solo abbassare per un attimo gli occhi avrebbe potuto rovinare tutto: era una questione di dettagli. Passai in mezzo a Giulio e Tiago, forse si voltarono verso di me, ma io continuavo ad avere gli occhi incollati su di lei. Era sola su un divanetto, le gambe accavallate e non smetteva di fissarmi nemmeno mentre arrivavo. Mi sedetti sullo stesso divanetto, anche se a debita distanza, quel metro che faceva capire che non volevo che diventassimo solo semplici conoscenti ma che non mi rendeva nemmeno troppo invadente.

"Bella serata, vero?"

Mi annoiavo a morte, ma dovevo in qualche modo esordire.

"Mah, poteva essere migliore... Forse da ora lo sarà."

"Lo penso anch'io." affermai

Assunse un'espressione soddisfatta, un sorriso malizioso e una scintilla le attraversò gli occhi azzurri. Forte di ciò, proseguii:

"Sei venuta da sola?"

"Bah, con delle amiche... Ma non ha importanza." rispose lei continuando a sorridermi "Mi sono state raccontate molte cose su di te, Lorenzo Strozzi... Si dice che tu sia un gran seduttore."

Non so chi gliel 'avesse detto, ma circolava questa voce su di me. Forse l'avevano iniziata a far girare proprio i miei compagni di squadra, e come dar loro torto: dopo ogni festa portavo a casa una ragazza diversa.

"Non sei certo un ragazzo timido. Nemmeno io la sono."

"E allora perché non ti sei ancora presentata?"

Ebbe un attimo di smarrimento, il suo viso si fece per un attimo quasi spaventato, ma tornò subito serena, o forse lo appariva e basta.

"Vuoi dire che non mi conosci?" chiese riassumendo quel sorriso luminoso come tutte le stelle della Via Lattea che osservava ogni sera Giulio Angeli. Ma era il mio il panorama migliore.

Stavo facendo una figuraccia? Mi sforzai di ricordare se l'avessi già vista, ma non poteva essere perché non me la sarei certo dimenticata.

"Sono la.camyyy" mi aiutò lei

Non aveva un cognome? Poco importava, poteva uscire qualsiasi nome dalle sue labbra. Poteva anche dire di essere il Diavolo, andava bene lo stesso. Forse lo era davvero, visto come mi tentava. Una volta i poeti paragonavano le amate agli angeli, esseri opposti a lei. Perché loro si limitavano alla contemplazione, alla divinizzazione, al culto della donna amata. Io invece volevo passare all'azione. Bring the action!

"E come mai sei qua stasera, Camy?"

"Perché mi hanno invitata, no? Tu invece ti sei imbucato, vero? Ammettilo!"

In effetti stavo facendo una serie di domande stupide, dovevo rimediare facendo la seconda cosa che mi veniva meglio dopo giocare a calcio: recitare.

"Hai ragione, mi sono imboscato, devo andarmene prima che qualcuno mi trovi." recitai alzandomi e spiandomi attorno guardingo.

"Ma ho bisogno di una persona che mi copra le spalle, che mi protegga da questi sguardi indiscreti... Li vedi? Mi stanno cercando!" esclamai indicando le persone presenti. In realtà non mi guardava nessuno, solo Tiago Vato che mi fece l'occhiolino sorridendo.

Lei si alzò ridacchiando: "Quindi saresti un infiltrato? Incollati al muro, vediamo se riesci davvero a uscire senza essere visto. Non dev'essere facile per uno abituato a vivere sotto i riflettori, no?"

"Mi sottovaluti."

dissi appiccicandomi al muro e muovendomi furtivamente come un agente segreto.
Giulio Angeli mi guardava stralunato, senza capire che diavolo stessi combinando. Io gli sorrisi, lui non ricambiò, e tornai nella stanza dove la festa era in pieno svolgimento, lì mescolarsi fra la gente che ballava sarebbe stato molto più facile. Infatti riuscii a uscire senza che nessuno mi fermasse. Impresa compiuta.

In giardino non c'era un'anima, per fortuna quella sera il padrone di casa aveva avuto il buonsenso di rinchiudere le sue belve in gabbia. Mi nascosi dietro a un albero, non dovevo non farmi notare? Attesi che uscisse anche lei, mi aveva seguito come da copione

"Sei scappato davvero?"

chiese al nulla in giardino, simulando una grande delusione. La recita stava continuando. Si avvicinò solo quando le feci cenno di raggiungermi nel mio nascondiglio. Aveva avuto un'ottima trovata, la.camyyy: lì eravamo soli e al buio era più facile parlare

"Te ne sei andato senza salutare nessuno, non ci si comporta così!"

mi rimproverò lei per finta e mi parve essere molto più vicina rispetto a quando eravamo sul divanetto.
Le cinsi i fianchi e la poggiai con delicatezza contro l'albero. Non aveva una grande libertà di movimento, anzi, i nostri petti erano incollati, ma sentivo i suoi sospiri rilassati e ammiravo il suo sorriso giocoso, era a suo agio.

"Hai ragione, sono proprio un maleducato, un vero pirata! Ma tu, sventurata avventuriera, mi hai seguito fino qua e ora ti ho legata all'albero maestro della mia nave: come farai a liberarti?"

Spostò di nuovo la testa lasciando scoperto il collo, preda perfetta per un vampiro assetato d'amore come me. Dovevo smetterla con le maratone di film horror, avevo in mente solo immagini macabre.
O forse qualcosa mi faceva paura? Sì, avevo paura, molta paura, perché sapevo che quel momento era perfetto ma che l'avrei rovinato. Anzi, lo stavo già rovinando giocando a fare il pirata. Perché a recitare ero bravo. Ma solo in quello. Lei chiuse gli occhi, i suoi muscoli si allentarono, la sua voce era un sussurro

"Semplice: non mi libero."

Quanto ero stupido. Mi ero già condannato. Ma la mia lingua continuava a blaterare cazzate, il mio cervello pensava che non sarebbe andata come le altre volte. Perché non era la prima volta in cui recitavo, e nemmeno la seconda. Certo, non ero mai stato così attratto da una ragazza, ma nemmeno la mia buona volontà poteva nulla contro quei ricordi che mi strangolavano.

Anche la mia voce era diventata un sussurro al suo orecchio, ma era sempre decisa.

"Non ti liberi? Allora il pirata deve anche riportari a casa? E se fosse anche un pirata della strada? Davvero vuoi rischiare la tua notte con lui? Non è una domanda semplice, Camy: chi ti porta a casa?"

Ma lei, mio malgrado, aveva già deciso. Un altro sussurro

"Tu."

Iniziavo ad avere dei dubbi, la mia voce iniziava a tremare. Non sapevo nemmeno io se volevo sentire ancora quelle dolci sillabe. Forse, alla fine, a me piaceva solo giocare e fare del male alle sventurate avventuriere catturate. Ma non un dolore fisico, non sia mai: un dolore psicologico. Volevo che lei smettesse di darmi corda perché quella sofferenza non se la meritava, non si meritava di essere trattata come un giocattolo. Forse l'avrei trattata così perché io, da piccolo, i giocattoli non li avevo mai potuti scegliere, qualcuno li decideva per me.

No, non poteva dirmi "tu" un'altra volta.

"Stai molto attenta, questa è una domanda ancora più difficile: chi ti porta in camera tua?"

Avevo paura della risposta, eppure ero io a suggerirle cosa dire con le mie domande: potevo essere più stupido? Un altro sussurro

"Tu."

Non c'è due senza tre, mi verrebbe da dire. Non sapevo bene chi fosse caduto nella trappola di chi, ma una cosa era certa: io mi ero intrappolato da solo. Perché non potevo fermarmi ora, avevo creato tutta quella suspense per nulla? No. La voce mi tremava ancora di più, si smorzò addirittura

"Camy, è la tua ultima chance per desistere... Pensaci bene, ti prego."

Ero partito deciso, ma questa ormai era una supplica. Se prima volevo sentire le sue dolci sillabe, ora avrei preferito sentire un nome qualsiasi, anche quello di persone che magari mi stavano antipatiche.

"Chi ti porta a letto?"

Stavolta era un sospiro così vicino a me che mi mosse una ciocca di capelli

"Tu."

Tu. Tu. Tu.
Rispondeva la segreteria telefonica di Lorenzo Strozzi.
Perché non ero più lì con lei, non ero più l'uomo audace che aveva iniziato la conversazione, forte di essere un calciatore, di avere un bel fisico e due occhi a detta di tutti stupendi, ma ero tornato quello che ero sempre stato, quello che ero davvero, quel ragazzetto di dieci anni che non viveva nel mondo reale ma nel mondo delle sue ansie, delle sue paure. Era fatta, l'avrei riportata a casa e non mi sarei fermato lì, ma forse più che fatta ero fatto. Perché la stavo illudendo? E perché illudevo me stesso?

Chiusi gli occhi anche io, ma perché quella realtà non la volevo vedere, non la volevo e non la potevo vivere. Lei i suoi occhi li aveva serrati per abbandonarsi a me, per abbandonarsi a un pazzo. Volevo aprirglieli con la forza quegli occhi azzurri come il mar glaciale artico, in grado di sciogliere qualsiasi ghiacciaio, e farle vedere la realtà: non era vero che ero un seduttore, non era vero che ero un pirata, no, Camy, non era vero che ti avrei portata a letto. Perché per farlo, dovevo prima liberarmi di quegli scheletri nell'armadio che, nel mio caso, ne occupavano uno grande quanto quello delle Cronache di Narnia.

E sapevo che questo non sarebbe avvenuto.

Mai.

Ti stavo fregando, Camy, e non sapevo come scusarmi, perché prima ancora stavo fregando me stesso.

Non so se parlarne.

Avevo 10 anni. Ero appena stato preso nelle giovanili del Parma. Ero un bambino. Non avevo mai avuto una fidanzatina. Non sapevo cosa fosse l'amore. Ero vergine. Non sapevo cosa fosse il sesso. Ma avevo visto qualcosa che mi aveva fatto intendere che io, l'amore, non l'avrei capito mai.

Avevo 19 anni. Ero appena stato acquistato dalla Juve per 50 milioni. Ero un bambino. Sì, mi ero fidanzato, ma mai con la persona giusta. Non sapevo cosa fosse l'amore. Ero vergine. Sapevo cosa fosse il sesso. Proprio perchè avevo visto qualcosa che mi aveva fatto capire che io, il sesso, non l'avrei capito mai.

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