IV

Attese. Io restavo zitto, c'erano troppi perché. Alla fine salì in auto e se ne andò. Per un attimo provai i brividi, mi sentii veramente l'uomo più solo al mondo. Montai anch'io in auto e me ne andai.

M' immersi nel buio della notte, dove non potevo nemmeno vedermi in faccia. Mi sentivo molto più tranquillo. Per un attimo misi addirittura la musica. D'altronde per quella sera, agli occhi degli altri, ero ancora un Dio. I guai ci sarebbero stati il giorno seguente. Cosa sarebbe successo alla squadra? Non me l'ero ancora chiesto. Un tuffo al cuore: e se alla Juve fosse stata ritirata la coppa? Da buon juventino qual ero avevo davvero condannato la mia squadra del cuore?

Era assurdo, ma non riuscivo a togliermi dalla testa i bambini. I bambini li amavo per come si affezionavano, per come erano ligi alla loro morale. I bambini non tradivano. Ogni volta che ne vedevo uno con addosso la mia maglia sapevo che ciò che stavo facendo aveva un senso. A casa avevo tappezzato un intero muro di disegni che mi avevano inviato i miei piccoli tifosi. La mia fidanzata e mio padre si lamentavano perché era robaccia senza valore, ma era la mia collezione, ognuno ne aveva una diversa: la mia fidanzata collezionava i miei soldi, mio padre le donne. Non c'era poi così tanta differenza. Per i bambini ero sempre disponibile per foto e autografi e adoravo come mi guardavano. Ma ora? Ora avrebbero gettato via la mia foto autografata, avrebbero nascosto in un angolo remoto dei loro armadi la mia maglia, avrebbero urlato piangendo che ero un disonesto, un cattivo, uno che non si meritava il loro affetto. Era questo il dolore più grande: essere il disonore dei fanciulli. Perché non avevo figli, ovvio, ma ero stato bambino. E sapevo che un idolo che ti delude è la cosa peggiore che ti possa capitare.

Arrivai a casa, parcheggiai in garage e appena aprii la porta la.camyyy mi gettò le braccia al collo e mi baciò. la.camyyy era la mia fidanzata, su Instagram era famosissima e si chiamava così, con quelle inutili 3 y. Lei non era venuta allo stadio, aveva seguito da casa la partita con amici e amiche, e forse anche mio padre, per poi cacciare tutti prima del mio rientro, visto che aveva un "Fidanzato musone che non vuole mai stare in compagnia."

"Loryyy!" urlò pronunciando il mio soprannome con 3 y "Sei un eroe!"

Cosa cavolo stava blaterando? Non avevo salvato nessuno.

"Già. Fammi entrare amore, non voglio passare la serata sullo zerbino. C'è quel cane?"

"Intendi Dirk?"

"Se avessi voluto dire Dirk, l'avrei chiamato per nome... Oh, ciao, bello!" esclamai mentre il barboncino mi veniva incontro scodinzolando e facendomi le feste.
Io avrei preferito un cane di taglia maggiore come un labrador, ma la.camyyy riteneva che un animaletto fosse più fotogenico. Così anche Dirk era diventato una star di Instagram.

Lei capì che stavo parlando di mio padre. Senza che ci fosse bisogno di chiamarlo, lui apparve con Alice, sua compagna e mia coetanea. Non sapevo cosa pensare del fatto che avesse la mia età, mi sembrava assurdo. Era nata addirittura il mio stesso giorno. Non avevo mai dato uno schiaffo a una ragazza, ma una come Alice doveva essere presa a botte solo per la persona che era. E mio padre con lei.

Bella la vita dopo che mamma era andata in coma. Aveva avuto l'incidente il giorno esatto del mio esordio con la maglia del Parma, pochi minuti prima, e io ero venuto a saperlo solo a fine partita. Mamma non mi aveva mai visto giocare né in serie B, né in A né in una finale di Champions. E quell'uomo la considerava già morta, l'aveva già rimpiazzata almeno dieci volte, mentre per me era più viva che mai.

"Il cane, eh? Un po' di rispetto non guasterebbe." s'intromise mio padre.

Abbassai lo sguardo.

"Ben fatto, Lore. Certo, non tu, i tuoi compagni, ma sei fortunato che il calcio sia uno sport di squadra." commentò ridacchiando mio padre.

"Buonasera. Ciao, Alice. Può lasciare me e la mia fidanzata soli? Non ho voglia di parlare." dissi cercando di defilarmi.

" E cosa dovresti dire? Stavi per rovinare la serata alla tua squadra!" rincarò la dose lui. Ma io avevo la mia arma segreta. Lo guardai e dissi lentamente, con un sorriso cattivo.

" 26 aprile."

Lui mi guardò spaventato, si zittì.

" Cos'è successo il 26 aprile?" domandò Alice.

" Nulla, andiamocene."

Lui e Alice lasciarono la stanza, la.camyyy mi fissava sorridente in attesa di chissà cosa. Ricambiai con un sorriso malinconico.

"Hai sempre avuto questo sorriso così figo." si complimentò lei. Non aveva proprio capito niente.

"Andiamo in cucina, ho molta fame." la invitai. Aprii il frigo e mi feci un panino con il cotto. Lei osservava da lontano schifata i miei movimenti.

"Non credevo nemmeno che ci fosse il cotto nel nostro frigo: è un prosciutto fatto con gli scarti..."

"Guarda che è buono lo stesso. Vuoi un po'?"

"No, grazie." rispose con una smorfia.

Mi sedetti sospirando. Lei era ancora in piedi. Non so, dovevo invitarla anche a sedersi? Non aveva un cervello autonomo per decidere cosa fare? Eppure quando le feci cenno di occupare la sedia affianco alla mia, lei eseguì. Non mi ricordavo di averla programmata, solo il pensiero mi faceva paura.

Inaspettatamente, lei fece qualcosa di sua spontanea volontà: mi prese la mano
"Lory, io non capisco... Non sei felice? Non dicevi che questo era il tuo sogno? Hai fatto solo un sorriso.".

Meccanicamente feci un sorriso malinconico.

"Va tutto bene. È solo successa una cosa di poco conto...". Una cosa di poco conto uguale mi ero dopato. Rischiavo di farle venire un infarto una volta raccontata la verità, povera ragazza. Lei subito indagò.

"Cosa, Lory? Non dobbiamo avere segreti io e te."

Ne avevamo fin troppi, di segreti. Troppe poche cose sapeva di me, me n'ero accorto solo in quel momento. Altrimenti perché avevo così tanta paura di dirle la verità? Ma dovevo.

Sospirai, altro sorriso malinconico.
"Mi sono dopato, tutto qua. Mi hanno fatto anche il test antidoping. Domani ne sapremo di più.".

Silenzio, ma la sua faccia diceva tutto. Aveva la bocca aperta, ma non emetteva alcun suono. Le ci volle qualche istante per riprendersi, poi mormorò.
"Si tratta di uno scherzo, vero?"

Io feci un sorriso malinconico e lei finalmente capì che "il sorriso così figo" non era né di gioia né di uno che scherzava. Mi avevi capito, la.camyyy, ma forse era un po' tardi. Il mio sorriso però sparì subito: lei si alzò di scatto sbattendo il suo telefono che teneva sempre in mano sul tavolo e mi fece prendere un accidente.

"Tu stai dicendo che sei un dopato?! Che io sono la ragazza di un dopato?! Tutti d'ora in poi mi diranno così, che sono la ragazza di un dopato! Lo sai quanto scenderà il numero dei miei followers? Lo sai che mi stai distruggendo la vita, Lorenzo, lo sai, vero? Lorenzo! Che cazzo hai fatto, che cazzo MI hai fatto!"
urlò iniziando a piangere.

Ero allibito.

Io stavo morendo dentro e lei mi parlava dei suoi fottuti followers? Gli unici numeri che m'interessavano erano quelli delle mie analisi. Mi chiedeva cosa io avessi fatto a lei, ma non cosa avessi fatto a me stesso. Non era la reazione che mi aspettavo. Certo, non mi aspettavo che mi perdonasse: io tutt'ora non mi sono ancora perdonato. Però... stava pensando solo a sé stessa, che con la squadra e la finale non c'entrava nulla.

"Va tutto bene, amore mio. Sarò squalificato sei mesi, un anno, due anni? Ormai è andata così." dissi con voce neutra come se recitassi un copione, non ero io a parlare, io volevo urlare che non me ne fregava niente del suo profilo social.

Lei però non stava recitando, era già troppo falsa sui social per continuare a fingere anche nella vita reale.

"Io non sono l'"amore mio" di chi mi rovina, d'accordo? Ora vado a dormire."

"Aspetta..."

"Vado a dormire!" gridò sbattendo la porta con un gran fracasso.

"Vado a dormire" era la sua classica frase di quando litigavamo. Ero sempre io che dovevo scusarmi, sia se avevo torto che se avevo ragione. Dovevo aspettare un po', poi dovevo entrare nella nostra camera dove c'era la luce già spenta e lei che fingeva di dormire e solo allora potevo coricarmi anch'io, avvicinarmi a lei e sussurrarle all'orecchio.

"Scusa, perdonami. Ti amo." Ero però convinto che quella volta non mi avrebbe perdonato. E forse nemmeno io volevo il suo perdono. Allora cosa facevo ancora lì, in una casa che era legalmente mia ma di cui si erano impossessati tutti gli altri?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top