23. Una pizzeria ai confini della Galassia (prima parte)

-Io voglio essere milanese.

Queste furono le mie prime parole. Non "mamma" o "papà", proprio "io voglio essere milanese".

Come una sentenza elargita a due litiganti che se la tiravano da decenni. Avevo appena due anni ma ero un bambino davvero precoce!

Per mesi i miei mi avevano stressato con "eddai, di' a pappà" oppure "di' mammma, fai 'u brav'". Si può dire che ero già stufo del dialetto calabrese prima ancora di mettermi a parlare!

E così pronunciai questa frase, ponendo fine a una diatriba che era durata fin troppo per i miei gusti.

I miei genitori, a detta di papà, quel giorno finirono per litigare, dandosi a vicenda la colpa di ciò che era accaduto e rinfacciandosi torti del passato che credevano sopiti.

E da là in poi, la loro relazione prese una piega inaspettata...

Per mio papà fu un colpo terribile, ma lo incassò bene essendo un campione degli incontri di boxe underground catanzaresi... insomma, cadde indietro ma non fu un knockout.

Per mamma invece fu diverso: shoccata e avvilita, scappò col suo capo.
All'epoca faceva la segretaria e il suo principale venne eletto: un giorno quindi fece le valigie e volò con lui sul Pianeta Roma.

Quello fu davvero il destro per eccellenza, il knockout definitivo, il gong che portò la campana nella testa di papà a rompersi definitivamente: ben presto si arruolò nell'Impero e prese parte alle guerre d'espansione.

Già che c'è mi portò con sé così avrei imparato, a suo dire, il "duro lavoro" anziché giocare a fare il fricchettone.

Il nostro contingente venne inviato in un'area che da là a poco prese il nome di "Galassia Proibita" a causa dei terribili scontri e delle violenze che ne derivarono: l'Impero Galattico Terrestre, che ambiva ad espandersi, era impegnato in una lotta su due fronti contro l'Alleanza dei Pirati da una parte e i xhandariani dall'altra, cioè l'ultimo popolo alieno non ancora spazzato via. Quest'ultimi si erano rifugiati in una zona franca della Galassia ove avevano messo in atto una strenua resistenza. Perciò le truppe imperiali, bisognose di uomini, iniziarono a cercare soldati su ogni pianeta e papà colse l'occasione per entrambi.

Morale della storia: a 9 anni ero ufficialmente un membro dell'esercito terrestre.
A 10 sapevo parlare fluidamente milanese.
A 11 preparavo il miglior risotto allo zafferano della nostra unità.
A 12 votavo già Lega Antialieni.
A 13 assaggiai per la prima volta l'acqua del Po.

Insomma, la mia trasformazione era quasi completa... appunto, quasi.
Perché il Destino, il Fato o qualche divinità cosmica con uno spiccato senso dell'umorismo avevano altro in serbo per me...

Eravamo su un'astronave pronti a levare le tende da Xhandar, il pianeta dei nostri nemici.
Con noi, altre decine di astronavi che portavano via civili e guerrieri.

E così, dopo oltre venti anni di estenuante lotta, l'Imperatore si era arreso e aveva ordinato la ritirata.
Che però non durò troppo: tutte le navi vennero abbattute dai droni di difesa planetaria e solo io e mio padre ci salvammo.

A milioni di anni luce dal Sistema Solare Italia, passavo le notti a studiare il cielo stellato sdraiato sui rottami ancora fumanti, sospirando e sognando il Pianeta Milano.
Con lo sguardo mi soffermavo su ogni singola luce del firmamento che occhio nudo riuscisse a scorgere, in cerca dell'agognata meta.

Assordante desiderio di visitare i navigli, inebriarmi per le meraviglie del Duomo e sostare, anche solo per un istante, al leggendario Peck: erano questi i sentimenti che animavano le calde nottate insonni immerse nel deserto di un mondo che non ci apparteneva.

Mentre papà vicino a me tirava fuori corpi dalle macerie e cercava cibo o un qualcosa che ci aiutasse a sopravvivere, io ero impegnato a fantasticare un nuovo Pianeta e nuova gente, lontani da Xhandar e dall'Impero, più vicini a Calvin Klein e a Moschino.

-Eddai, sbrigati a mettere sto misale. Vedi che la pasta è già fatta! - mi urlò un giorno, con la crudele intenzione di strapparmi bruscamente al mio oziare.

-Ma babbo, anche oggi pasta no... - mormorai con aria afflitta, biascicando le ultime vocali quasi fosse una cantilena, - voglio il tofu, quello con lo zafferano...

Papà si fermò e per poco non gli cadde la pentola dalle mani: - No... eu aggia cresciutu nu giargianu no, eh. Che direbbe tua madre se ti sentisse, Antonio? Eh?!

Mi lasciai sfuggire uno sbuffo particolarmente infastidito dal fatto che, gira e rigira, nei suoi discorsi riusciva sempre a infilarci dentro la mamma.
E gira e rigira, riusciva anche a storpiare quelle poche parole milanesi che gli insegnavo.

Faticavo ancora a comprendere come una montagna di muscoli di due metri perennemente coperto da quella spessa armatura grigia e verde potesse soffrire così tanto.
Era debole, terribilmente debole, e neppure l'inesorabile tempo poteva lenire quel dolore che portava con sé.
E il bello è che all'ora credevo che una cosa simile non mi sarebbe mai capitata!

Ah, sto divagando coi pensieri! Prometto che non lo farò più, ma il fiume della vita che mi scorre davanti agli occhi si dirama in una tela cangiante fin troppo grande da comprendere anche per me.

Tornando a quel momento, posai comunque la tovaglia su una roccia poco distante dal nostro accampamento, improvvisata a mo' di tavolo: - Se ci fosse stata lei, a quest'ora eravamo ancora a NeoCatanzaro - gli risposi in modo secco e distaccato.

E così la questione cadde nel vuoto, proseguendo a parlare del più e del meno, senza meta né particolare interesse.

Ma le mie parole contribuirono a gettargli addosso l'equivalente di una salutare doccia fredda: fece i bagagli e ci mettemmo in viaggio.

Dopo un lungo peregrinare fra alte cime, dune abitate da vermi giganti e fiordi incontaminati, arrivammo a un pacifico insediamento dei nostri ex nemici.

All'inizio fummo accolti in modo glaciale, riconoscendo in noi le loro nemesi, ma papà non era tipo da scoraggiarsi in partenza e ben presto finì per aprire una pizzeria e sposare la figlia del sindaco, anche lei uscita fuori da una tumultuosa storia d'amore con un americano che era scappato a Roma per comprare una fontana e da allora non era più tornato.

Com'era il detto? Ovunque tu vada nella Galassia, qualunque Pianeta tu scelga, troverai almeno una pizzeria e un italiano?

Beh, mai parole furono più veritiere e io e mio padre ne eravamo l'esempio vivente.

E così passarono i giorni, poi i mesi, e infine gli anni. Due, per l'esattezza.

Papà e la mia nuova mamma la notte facevano molta ginnastica per tenersi in forma, tant'è che mi regalarono ben cinque fratellini: Xexe, Xesi, Xisi, Xeni e Xasa.
Scelsi i loro nomi personalmente, perciò ne vado particolarmente fiero!

Tutti loro avevano preso i geni da parte materna, quindi erano verdi, squamosi e dalle fattezze di una lucertola, solo senza coda.

Forse a qualcuno appena giunto sul pianeta sarebbero potuti sembrare bruttini e tozzi, anche difficili da distinguere, ma io li trovavo adorabili e unici e li volevo davvero molto bene.

Xexe per esempio era la maggiore e mi aiutava a servire ai tavoli.
Xesi e Xisi erano due pestiferi gemellini che passavano il tempo a fare dispetti agli avventori e salire sugli alberi.
Xeni era quello responsabile che teneva in ordine la casa e aiutava il nonno coi suoi impegni da sindaco. E se non era il nonno, era la mamma: li si poteva trovare, come alieno e ombra, seduti a un tavolino del locale per tenere la contabilità o nelle cucine a preparare deliziosi manicaretti.
Xasa invece era l'ultima arrivata, ma era una secchiona e passava tutto il tempo sui libri, infatti era la prima della classe.

La nostra vita trascorreva felicemente e papà ogni tanto, quando poteva, ci dava lezioni di vario tipo: un giorno era dedicato al combattimento a mani nude, un altro ci insegnava a sparare, un altro ancora portava i bambini del villaggio a fare lunghe passeggiate nei boschi per addestrarci all'arte della sopravvivenza.

Ogni tanto qualche adulto chiedeva il perché di quell'impegno e lui rispondeva con la sua frase preferita: non si sa mai, conoscendo l'Impero.
Al tempo non capivo e mi limitavo a una scrollata di spalle, gettando immaginariamente la questione nel cestino delle "cose inutili dette da un boomer".

Ma non ci volle poi molto per comprendere il vero significato dietro alle sue parole e quanto dolore era ancora capace di gettarci addosso l'Imperatore...

Un dì d'inverno freddo e tempestoso, ove le dune nevose avevano preso il posto di quelle sabbiose e la tinta univoca del mondo era diventata troppo monotona anche per i miei gusti, quando pensavamo che nessuno si sarebbe presentato alla pizzeria preferendo il caldo rassicurante delle proprie case, le nostre vite cambiarono completamente.

Il locale come sempre era aperto, ma essendo deserto ne approfittai per prendere posto davanti all'imponente caminetto in pietra che troneggiava sulla sala, e salito su uno sgabello iniziai a decantare le meraviglie dell'Italia.
Pianeta che non avevo mai visto, ma di cui conoscevo a menadito le città, le vie e gli edifici, la storia e le tradizioni, grazie al buon vecchio Google Galaxy e alla sempreverde WikiGalaxy.

Il mio pubblico, cioè i miei fratellini, erano seduti a cerchio attorno a me e pendevano dalle mie labbra.
Seguivano con lo sguardo i miei gesti, si mangiavano le unghie per l'impazienza di voler viaggiare con me verso l'agognato pianeta; perfino i gemellini, che erano sempre agitati e irrequieti, stavano fermi e immobili, quasi due statue colorate.

Xasa, da buona secchiona, prendeva appunti sul suo quadernino rossiccio posato sulle gambe incrociate, alzando di tanto in tanto la testa per farmi capire che era vigile e attenta.
Vicino a lei vi era Xexe che, per non essere da meno rispetto alla sorellina, gettava in alto la mano quasi a ogni parola e mi tempestava di domande.

Xeni stava poco distante, seduto a un tavolo che aiutava la mamma con i conti, e anche lei mi ascoltava, un po' preoccupata per il fatto che fossi troppo vicino al caminetto.

Papà invece era in cucina, a prepararci le sue pizze speciali, ma sapevo che anch'egli prestava attenzione al mio discorso perché ogni tanto si lasciava andare a fragorose risate e faceva a sua volta domande, dando qualche spunto in più anche a Xexe.

Se potessi scegliere un momento da ricordare in eterno, credo che sarebbe questo.
Quella pace, quelle risate, quella felicità: un momento nell'infinità dello spazio.
Eravamo un piccolo punto perso in una pizzeria ai confini della Galassia.
Tutti noi eravamo naufraghi dispersi che si muovevano a rallentatore non pensando al futuro, pregni come spugne di ignoranza e stupida fiducia che niente ci avrebbe mai potuto fare del male.

Ma a me quella ignoranza piaceva.
Anzi, a noi piaceva, perché non pensavamo all'Impero e giravamo lo sguardo a ciò che ognuno sapeva accaddese di là a poche miglia di distanza, ove i mezzi pesanti e i militari lasciavano profondi solchi sulla neve per cui presto mio padre e gli abitanti del villaggio si premuravano di coprire.

Di là, non lontano dalle nostre pacifiche case, nel punto in cui le tenebre venivano squarciate da fasci di luci scagliati verso il cielo e droni da combattimento con le insegne dell'imperatore tempestavano la notte di mille puntini rubandone il primato alle stelle.

Tornando a quel momento, ero nel bel mezzo di un articolato discorso sulla nascita delle Nuove Marche, a ridosso di una vallata di erba fosforescente e circondata da alte montagne, quando la porta d'ingresso venne aperta con violenza.
Io mi bloccai con le mani a mezz'aria, preso com'ero dalla mia spiegazione mentre gesticolavo per farmi capire meglio, e guardai lo strano arrivato, e con me anche gli altri fratellini, che si voltarono nella sua direzione.

La bufera di neve infuriava alle sue spalle e freddi fiocchi si insinuavano all'interno.
Un ululato temibile impregnò della sua presenza la stanza mentre la temperatura, anche vicino al caminetto, sembrò calare di colpo, quasi che fosse giunta una presenza spettrale.

Il misterioso viandante era vestito di cenci, con un cappotto e scarpe logore, mentre la pelle sembrava cadergli dalle ossa ove le strette bende che gli avvolgevano il corpo non arrivavano.

Mio padre, uscito dalla cucina poiché attirato dal trambusto in atto, a quella vista per poco non svenne dallo spavento avendone riconosciuto l'inconfondibile sagoma.
Tuttavia riuscì a mantenere la calma: sbiancato di colpo e ancora madito di sudore, gli si avvicinò pregandolo di accomodarsi all'interno.

Per la prima volta vidi quella montagna di muscoli aver paura di qualcuno o qualcosa.

Il nuovo cliente non si fece pregare e andò a sedersi.
Prese il menù fra le mani, restando ben quindici, lunghi minuti, a studiarlo.

Non un sibilo di udì per la stanza e tutti, a nostra volta, studiavamo lui e le sue mosse.
Ovviamente nascosti dietro papà.

-Ananas - mormorò alla fine, con una voce gutturale e cavernosa.
Alzò la testa dal foglio e fissò gli occhi in quelli di lui: - Ananas... pizza...

-N... no, non c'è nel menù, - pronunciò questi a fatica.

-Tu... - e puntò il dito marcio e purulento nella sua direzione - Non vieni da Bellinzona.

(continua...)

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Dopo un tempo che mi sembra infinito, torno con il primo capitolo della seconda parte!!
Da qua in poi sarà un continuo crescendo e mi concentrerò di più sulla trama, lo prometto!

Non si direbbe, vedendo la poca cura dei capitoli, ma io amo questa storia! Il tempo purtroppo è pochissimo e molto spesso pubblico direttamente la bozza per avere almeno qualche capitolo ogni tanto...
Chiedo scusa a coloro a cui ho dato questa impressione di noncuranza!

Il prossima sarà... mh fra un po' xd finalmente scopriremo chi è il misterioso ragazzo che sta parlando, la vera identità del visitatore e cosa vuole dai protagonisti...
Solo un po' di pazienza!!!

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