1. Amore e odio
Dark baciò Kasumi. La toccava e la baciava sullo stipite della porta, come due adolescenti che non riuscivano a trattenersi. Con foga e passione. Con amore e impazienza.
Continuava a studiarla con le mani, senza avere il coraggio di andare più a fondo; e studiava anche la sua lingua, le labbra, il respiro.
La sua unica dea era vicino a lui, stretta a lui, e non l'avrebbe mai più lasciata andare.
Mise la mano sulla sua coscia, poi la portò più su, lentamente ma non troppo, per assaporare piano quel piacevole brivido della scoperta.
Impazienza e avidità si mischiavano in lui. Voleva di più, ma al contempo no. Non ancora. Non era ancora il momento di farla completamente sua. Il corpo di Kasumi era come un'opera d'arte: da essere rivelato e ammirato pezzo per pezzo, senza foga, senza ansia, ma con piacere e sorpresa.
Con l'altra mano le aveva intanto afferrato la nuca, portandola più vicino, se mai fosse possibile avvicinarsi ancora di più. Voleva sentirla meglio, unirla a lui in quella stretta indissolubile: voleva assaporarla, toccarla, sfiorarla; accompagnato dalla costante paura che ella, al minimo tocco, potesse distruggersi, scomparire, svanire. Che lei fosse soltanto una sua fantasia e che in qualche modo potesse smettere di esistere, sia nella realtà che nella sua mente.
In fondo lo sapeva che non era possibile, avvertiva che in quei pensieri c'era qualcosa che non andava, che lui non andava. Non che lui non andasse bene per lei, ma che la sua stessa esistenza non andava bene all'Universo: lo turbava e scombussolava. Lui riusciva a scuotere quel falso ordine che permeava il Tutto e lo rendeva tale. Reale senso di logico caos. Ecco cos'era: caos. Il caos dell'Universo riversato in quel piccolo e angusto corpo che lo racchiudeva. E il caos voleva nutrirsi della perfetta Kasumi, e distruggerla.
Ma sapeva anche che niente sarebbe mai andato alle sue regole, che la fisica e la matematica avrebbero continuato il loro corso, ignorandolo, e che quella Kasumi non sarebbe certo scomparsa in una miriade di bollicine di sapone. Tuttavia, poteva pur sempre aiutare l'Esistenza a compiere quel gesto estremo.
E in tutta questa sua riscoperta della Verità Assoluta, era accompagnato anche da un'altra consapevolezza che pian piano si faceva largo nel suo contorto cervello grigio, sensuale e invitante, proprio come le sue mani che si facevano strada sul corpo perfetto di Kasumi: quella sarebbe stata l'ultima volta che qualcuno l'avrebbe toccata perché lui sarebbe stato l'ultimo.
In questo complesso processo volto alla conoscenza di sé stesso e delle labbra della donna, la accompagnò con delicatezza sul materasso e la fece stendere, continuando a stringerla e baciarla, preda della passione più profonda. Sentiva il suo petto premere contro il suo, avvertiva come si alzava e abbassava, dolcemente, ritmicamente.
Tolse le labbra dalle sue – anche se ciò lo faceva soffrire, come un debole uomo privato del suo ossigeno – ma se questo la faceva eccitare di più, poteva anche restarne privo per qualche istante.
Continuò a darle fugaci baci a stampo sulla bocca, quindi passò al mento e poi giù sul collo, fino ad arrivare al petto.
-Mi fai il solletico – mormorò la donna con una risatina.
Probabilmente era a causa dell'ispida barba che gli stava ricrescendo, ma ciò non sarebbe bastato a fermare quel piacere crescente che li avvolgeva.
Kasumi non riuscì a trattenere un gemito, sommesso immediatamente dal dorso della sua mano.
L'uomo continuava ad assaporare la sua pelle, non riuscendo a staccarsi da lei. Ogni bacio era come un droga che gli sussurrava "ancora, ancora" e lui non poteva far altro che ubbidire. Perché il suo unico scopo nell'Universo, la sua nascita, la sua esistenza, erano tutte scandite da un mantra che come una nenia si riversava nella sua piccola materia celebrale, ed era di servire alla sua Dea. La sua Signora. Il suo Calvario. La sua Droga. Il suo Dolore. Amore. Sentimento. Emozione. Odio. Disprezzo. Orribile, terribile, meravigliosa, estasiante visione.
Le sciolse con mano tremante i lacci degli stivali, allentò la cintura che le teneva stretto il cheongsam nero, le tolse i pantaloni. Temporeggiò qualche istante, baciandole delicatamente gli incavi del collo, la clavicola perfetta.
Passò allo chignon e infine al reggiseno. Ed eccola: dinanzi a lui in tutto il suo splendore, libera da quegli schifosi ornamenti materiali che offuscavano la sua perfezione.
Iniziò a baciare quel seno perfetto, poi scese lentamente giù, verso lo sterno, lo stomaco, il bacino. Quindi si fermò, facendole il solletico, quasi per prendersi gioco di lei. Si misero a ridere all'unisono.
Ma la risata di lei... quella non era solo sua.
È vero, ora era rivolta a lui, ma non si illudeva che sarebbe stato sempre così. L'indomani o quella stessa sera avrebbe potuto ridere per qualcun altro. Per una barzelletta letta da qualche parte, un qualcosa visto alla televisione, una frase detta da qualcuno... quella piccola magia, quel piccolo momento d'intesa, sarebbe svanita perché quella risata non sarebbe più stata solo sua.
Arrivò a comprendere, in pochi secondi, che doveva essere rivolta solo a lui. Solo per lui. L'unico che ne avrebbe mai beneficiato. Puro oppio che inebria i sensi. Lui, primo e ultimo a sentirla. E per far ciò, Kasumi era destinata a scomparire.
Come aveva sognato fin troppo spesso, come aveva immaginato in tutti quegli anni, il momento era finalmente giunto: all'apice del piacere, afferrò il coltello che teneva a lato del letto e la colpì.
Quell'espressione di puro terrore che le si dipinse in volto, strappando il posto a quella fugace felicità nel momento in cui aveva visto il coltello; la consapevolezza, che prendeva posto nella sua mente, che quella lama era per lei; il fatto che non l'avrebbe potuta schivare; e la vita che flebilmente lasciava quelle pupille... quel momento! Quel momento, quei pochi, infinitesimi istanti, inutili secondi nell'enormità dell'Universo, sarebbero rimasti per sempre incisi nel suo cervello. Perché per lui non erano inutili. Quei momenti erano stati meravigliosi. Unico istante in cui si era sentito vivo. In cui si era sentito più vicino a lei.
Sfilò lentamente il coltello dal petto.
Si mise a giocare con lui, passandoselo di mano in mano, sfiorandone la lama con le dita, osservando con curiosità il sangue cadere.
Tutto ciò lo aveva sempre affascinato.
"Non trovi che il sangue della persona amata abbia un colore diverso?" si era chiesto un giorno guardandosi allo specchio, dopo aver appena compiuto l'estremo gesto verso l'ultima sua compagna.
Aveva infatti notato che il sangue delle donne non era bello. Non era bello il proprio e non lo era stato nemmeno quello delle precedenti. Perché lui lo capiva che tipo di sangue fosse. Con uno sguardo ti poteva dire se era il tuo o di un'altra persona.
E in quel momento, alla decima vittima della sua personale missione di vita, si rese conto della triste realtà: non amava nessuna di loro. Anzi sì, le aveva amate per quella sera, le aveva sentite vive e poi fredde, ne aveva assaporato ogni attimo e, col loro sacrificio, erano diventate una cosa sola con lui. Ma non erano Kasumi. La dea irraggiungibile che amava oramai da anni.
Nessuna poteva essere lei. Nessuna lo sarebbe mai stata, anche se le sceglieva molto simili: medesima carnagione lattea, quasi trasparente, medesima frangetta nera, stessa altezza, stesso sguardo, come perso nel vuoto, simile modo di vestire. Ma nessuna riusciva a rimpiazzarla.
A fine serata, l'unica cosa che rimaneva era solo un infinito vuoto, una profonda tristezza, oscura fossa infernale nella quale lentamente e inesorabilmente sprofondava, come se fosse stato immerso in un lago di catrame rosso sangue.
Più si dimenava, più cercava di uscire, più quello lo attirava a sé, lo bramava, lo voleva per lui. Ma lui non poteva far altro che affondare sempre più.
Però quella sera era arrivato alla conclusione di quella lunga e logorante lotta: abbracciò finalmente tutta quella profonda voragine tentatrice. Non si era lasciato sopraffare, l'aveva semplicemente inglobata in lui.
E unitisi in quell'abbraccio vampirico, aveva ricercato la donna che più desiderava al mondo, e l'aveva fatta sua, per sempre.
Si sdraiò esausto vicino al suo caldo corpo esanime. Si distese per bene sul materasso, assaporando nelle narici il gradevole profumo del sangue che si propagava per la stanza.
Restò così per qualche minuto, respirando ed espirando lentamente, con la mente finalmente sgombra da qualsiasi pensiero.
All'improvviso uno strano ronzio si diffuse per la stanza. Le pareti cominciarono a svanire, l'odore si disperse, Kasumi scomparve nel vuoto. E di quella scena non rimase nulla, se non un bellissimo ricordo.
«Fine riproduzione file 42». Una voce robotica annunciava il termine del programma di realtà virtuale e la camera tornò a essere composta da freddi colori grigi.
Dark questa volta giaceva a terra. Calde lacrime gli rigavano il volto.
-Insomma, alzati – una sagoma avvolta dalla luce si ergeva dinanzi a lui.
Probabilmente era stata là a osservare la scena nascosta nella penombra, come tutte le sere da un mese a quella parte.
L'uomo si portò una mano agli occhi, coprendoli, non ancora abituato a tutto quel bianco accecante del sistema di illuminazione.
-Avanti, non vorrai stare qua ancora per molto?! – chiese la voce con un misto di impazienza e irritazione. Dal timbro sembrava essere femminile. – Sbrigati, dai! – continuò esasperata.
Dark non le rispose, ma continuò a piangere, girandosi su un lato e assumendo una posizione fetale.
La donna stette qualche istante a osservare quel patetico e misero uomo che doveva essere il suo capo con le mani ai fianchi, battendo incessantemente il piede per terra. Infine sbuffò irritata e se ne andò.
Non poteva decisamente continuare così. Era tempo di uccidere quella dannata donna, per davvero. Poi magari sarebbe tornato a essere il vecchio Capitano di un tempo...
(continua...)
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Primo racconto lungo (non tanto) che pubblico. Sarà più che altro una parodia, ma non mancheranno scene splatter e un po' d'azione. Spero che possa intrattenervi :3
Buona lettura e alla prossima, che sarà quando mi ricorderò xd
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