Capitolo 7


Quando erano arrivati alla chiesa, era quasi sera.

Crowley amava quei momenti estivi in cui c'era ancora luce, ma iniziava a cambiare il colore delle cose attorno a lui. Dall'altra parte della valle, oltre il Tagliamento e il monte San Simeone, il sole aveva iniziato a tramontare.

Sentiva una strana tensione, come un formicolio alla base della nuca. Come se qualcosa gli solleticasse la base della schiena. Era quasi la fine di Agosto. Il loro tempo stava per finire.

Crowley si sentiva come un elastico stiracchiato, pronto a scattare non appena Aziraphale avesse lasciato uno dei due capi, pronto a spezzarsi se lui avesse tirato troppo. Non avevano ancora mai parlato della sua partenza, non dall'inizio, quello che sembrava ormai una vita prima, quando Aziraphale gli aveva chiesto di accompagnarlo in montagna e gli aveva detto che avrebbe passato sei mesi in quel posto. Crowley si chiedeva come fosse possibile che fossero riusciti ad evitare il discorso così a lungo, soprattutto adesso che era così vicino, ora che la situazione tra di loro era diventata così densa e intricata.

(ma forse era questo il trucco, la vera magia era quella di ignorare le conseguenze, far finta di nulla, godere fino all'ultimo secondo)

Crowley non era riuscito ad immaginare quello che sarebbe successo, quello che sarebbe cambiato nella sua vita, conoscendolo. Aveva avuto il sospetto, ma non era stato capace di evitarlo, e probabilmente non lo aveva mai voluto. Aziraphale era così... carico di cose. Sembrava provare infinito entusiasmo per quello che Crowley faceva ogni giorno, così tanto che era riuscito a modificare persino la sua prospettiva e quindi lui stesso vedeva tutto con occhi diversi, almeno quando c'era Aziraphale con lui: non sapeva come, ma riusciva a rallentare i suoi ritmi mentali, rilassandolo.

Crowley era una di quelle persone che potevano provare solo passioni profonde che lo sconvolgevano nella sua essenza più pura, amori intensi come vere e proprie ossessioni. Non era mai riuscito ad apprezzare le piccole cose quotidiane: doveva osare, esporsi di più, cercare le stelle più lontane, arrampicarsi più in alto, sfiancarsi camminando un'ora di più di chiunque altro. Doveva usare sempre le sue energie fino all'ultima briciola, e poi appena un po' di più, altrimenti non sarebbe stato soddisfatto. E in fondo non lo era, mai. La sua natura lo portava a spingersi oltre, domandare, volere, struggersi verso qualcosa che era sempre fuori dalla sua portata di mano per appena un millimetro. Nonostante il suo schernirsi e la maschera quotidiana che metteva inforcando gli occhiali da sole per sembrare più duro, più inavvicinabile, più insensibile, Crowley era nato per essere un amante appassionato, tenero e, in qualche modo, sempre disperato.

Aziraphale sembrava totalmente diverso da lui, e in questo modo lo completava. Aziraphale era ben piantato con i piedi per terra. Amava le cose semplici, i piaceri terreni. Buon cibo, buon vino, gli piaceva viziarsi nelle piccole cose. Amava la bellezza di tutto quello che era quieto, di quello che poteva studiare sui libri, di quello su cui poteva riflettere con calma. La geologia era un esempio perfetto: vedeva le sue amate rocce come creature viventi estremamente rallentate, come un mistero da scoprire senza fretta alcuna, perché non sarebbero mai cambiate sensibilmente nel corso della sua vita.

Aziraphale viveva come se avesse a disposizione migliaia e migliaia di anni davanti. Crowley aveva l'energia di chi vive ogni giorno come se fosse l'unico a sua disposizione. Era energia pura, furiosa, nervosa, quanto quella di Aziraphale era profonda e tranquilla. Aziraphale era come il mare, come il cuore stesso della terra. Crowley si sentiva una creatura svolacchiante, come un pipistrello, dal volo goffo e incostante.

(si sentiva una falena attratta da una fiamma: ci girava attorno, sbatteva le ali in modo disordinato, ne era irresistibilmente attratto. Prima o poi avrebbe bruciato su di lui e con lui)

Quegli ultimi giorni gli era sembrato di vivere come in una città sotto assedio. C'era una sorta di sensazione di tragedia incombente, un desiderio di godere ogni singolo attimo. Sapeva che sarebbe stato orribile. Non aveva nemmeno chiesto quale sarebbe stato il giorno in cui Aziraphale sarebbe partito e lui non glielo aveva detto. Di tanto in tanto lo coglieva a guardarlo, ed Aziraphale rispondeva sempre con un sorriso accennato, una piccola increspatura delle labbra, e uno sguardo che tradiva un sentimento diverso. Probabilmente dispiaceva anche a lui di dover andare via. Crowley si era chiesto più volte quanto, ma non riusciva mai a darsi una risposta. Era troppo complicato, e pensarci troppo gli avrebbe fatto male in un modo o nell'altro. Non aveva senso illudersi di nulla, né che Aziraphale provasse quello che provava lui, né altro. Sarebbe andato via in ogni caso. Non sarebbe rimasto in quel posto che per Crowley era casa.

(tutta quella tensione lo aveva in reso ancora più acuto, come se gli avesse affinato i sensi, come se non potesse perdere nemmeno un singolo attimo, ora che erano contati)

Nessuno dei due aveva avuto voglia di cucinare quella sera, e così avevano mangiato pane e formaggio preso durante la breve escursione ad una Malga lì vicino, un po' di prosciutto, un po' di insalata del suo orto. Era stata una giornata semplice, non era successo nulla di particolare, eppure Crowley continuava a sentirsi teso, elettrico.


***


Seduti sul divano, avevano già bevuto una bottiglia di un Refosco della zona, e ne avevano da poco aperta un'altra. Finalmente c'era un'aria più rilassata. Aziraphale era sprofondato nell'angolo più vicino alla finestra e si era tolto le scarpe (aveva dei calzini di tartan beige che Crowley trovava allo stesso tempo teneri ed imbarazzanti, si sarebbe ucciso piuttosto che usarli). Sembrava l'immagine perfetta del relax: gote leggermente rosate per via del vino, occhi socchiusi, le forme solide e allo stesso tempo morbide. Crowley aveva la testa tirata indietro, e guardava il soffitto con il bicchiere mezzo vuoto in mano. Non si ricordava più bene quanti ne avesse bevuti. Non era ubriaco, ma c'era quel senso di soddisfazione e di benessere, quella specie di vago ottundimento che gli dava il vino rosso quando era un po' forte.

Tornò a voltarsi verso Aziraphale e si rese conto che lui doveva aver seguito il suo sguardo fino al soffitto. Per un attimo non riuscì a capire cosa stesse guardando, poi si rese conto che stava fissando il bamboo appeso orizzontalmente in alto, al centro della sala.

"Ti piace farlo?".

Aveva preso una sorsata di vino per avere qualcosa da fare, e aveva cominciato a tossire perché non riusciva a rispondere alla sua domanda.


"Che cosa?" era riuscito a bofonchiare.

Sapeva perfettamente cosa, ma sperò che il discorso non sarebbe andato avanti.

"Appenderti lì" gli rispose. Aziraphale lo guardava con occhi grandi e liquidi, le labbra rimaste semi aperte dopo aver parlato, come se fossero rimaste in attesa di una risposta. Lo stomaco gli si annodò e dovette fare uno sforzo per non deglutire rumorosamente.

(Crowley avrebbe potuto morire sulla piega del suo arco di Cupido, avrebbe voluto leccarle, morderle, succhiarle. Avrebbe voluto guardarle tese e umide attorno a)

"È una cosa che faccio da un tre o quattro anni, circa. Mi rilassa. È un modo per tranquillizzarmi, diciamo".

Seguì un silenzio lungo abbastanza perché Crowley potesse credere che l'argomento fosse stato esaurito in quel modo.

"Cosa ti piace, esattamente?"

Come non detto, a quanto pareva non sarebbe riuscito ad evitare questo discorso così imbarazzante. Cercò di raccogliere le idee, così da rispondere in modo calmo e il più possibile scientifico, senza parlare troppo di quello che effettivamente provava.

"La stretta delle corde sulla pelle. Mi piace la sensazione di pressione, di costrizione. Mi piace che mi tenga in posto, ancorato in qualche modo. Da soli è più complicato, ma più o meno il senso è questo".

Perfetto, sì, proprio quello che non doveva dire. Perché non riusciva a tenersi dentro niente, quando c'era Aziraphale di mezzo? Perché aveva sempre desiderio di dirgli tutto quello che gli passava per la testa? Doveva essere un vero idiota, o Aziraphale un mago. Crowley propendeva per la prima ipotesi comunque.

"Lo fai con qualcuno, altrimenti? Per... facilitare il senso di costrizione, intendo" si sentì chiedere, di nuovo.

(Alex non c'era più da due anni, l'ultima volta gli aveva fatto male, non lo aveva ascoltato. Crowley si era spaventato, e lo aveva lasciato subito dopo. Aveva cambiato il numero di telefono e aveva dovuto faticare per impedirgli di tornare alla chiesa. Non era stato facile)

"Non c'è nessuno, no".

"Mi faresti vedere? Se non è una richiesta strana".

Aziraphale non lo stava più guardando, teneva ostinatamente gli occhi fissi su proprio bicchiere, come se fosse la cosa più interessante del mondo e quella conversazione fosse totalmente casuale, come se non gli avesse messo in moto un milione di pensieri diversi, tutti assolutamente inappropriati.

(non pensava che questa cosa potesse succedere. Fino a quel momento era vissuto in un universo in cui Aziraphale non aveva interesse per quello che faceva appeso al bamboo con le corde, e adesso invece l'universo era cambiato, era stato catapultato altrove, in una dimensione dove l'uomo che amava gli aveva chiesto di poterlo guardare legarsi, qualcosa che per lui era intimo, intenso, a volte liberatorio quasi quanto un orgasmo)

"Posso farti vedere" si trovò a dire, a dispetto del cuore che sembrava volergli uscire dal petto.

"Mi devo cambiare però, perché così sarebbe impossibile". Si strinse nelle spalle. Indossava i soliti skinny jeans e una camicia nera altrettanto aderente.

"Oh, certo". Lo aveva visto arrossire. Poi Aziraphale si era seduto dall'altra parte del divano, dandogli le spalle.

"Ti lascio un po' di privacy".

Crowley attraversò la sala per aprire l'armadio e tirare fuori un paio di pantaloni tipo leggings. Avevano un serpente dipinto da una parte, erano i suoi preferiti. Si spogliò imprecando sottovoce verso se stesso e le sue pessime scelte di vita, e li indossò. In un momento di quella che più tardi identificò infermità mentale temporanea, rimase a petto nudo.

Aziraphale lo aveva guardato trascinare il tatami che era prima addossato al muro al centro della sala, e poi prendere alcune delle sue matasse di corda. Erano tutte arrotolate nello stesso modo pratico ed elegante, con un nodo nello stesso punto. Crowley maledisse se stesso per non aver messo qualcosa di più addosso. Una maglietta, una canottiera, un saio, se solo ne avesse avuto uno. Si sentiva lo sguardo di Aziraphale addosso, come a bruciargli la pelle. Ogni centimetro esposto era un centimetro di troppo, in quel momento. Le sue cicatrici, i suoi tatuaggi, la storia incisa nella sua carne. Il suo corpo troppo magro, troppo teso, troppo nervoso. Sentiva come se potesse guardargli attraverso, fino nelle ossa, fino nella sua stessa anima.

Cercò di concentrarsi solo sulle sue mani e sciolse alcuni rotoli di corda, per poi iniziare ad annodarsele addosso con movimenti rapidi e precisi. In pochi minuti aveva un'imbragatura sul bacino molto simile a quella che avevano usato per arrampicare. Aveva aggiunto un'altra corda sul torace, in una specie di altra imbragatura solo per il petto. Aveva poi legato altre corde nei punti nodali, e le aveva passate al di sopra della canna di bamboo.

Aziraphale lo guardava fisso, con gli occhi spalancati, come se fosse l'unica cosa importante al mondo.

Poi aveva iniziato a tirare.

Lo scricchiolio della canna e delle corde che ci stridevano sopra era per lui segno dell'inizio della sua fase di rilassamento. Finalmente riuscì a sentire qualcosa che non fosse una terribile ansia da prestazione.

Aveva tirato su le anche per prime, in modo da lasciar cadere le gambe molli mentre era rimasto con la schiena a terra. Aveva lentamente tirato su anche il torace, fino ad essere in una specie di amaca. Aveva tirato ancora l'imbragatura del bacino così da averlo abbastanza in alto per lasciarsi andare a testa in giù. Era rimasto così per un po', i capelli a strusciare sul tatami, le braccia posate mollemente, o tese dietro la schiena, a mimare un'ulteriore legatura. Poi si era tirato su con gli addominali ed aveva raccolto le gambe, come abbracciando la corda che lo teneva sollevato, ed infine era ricaduto in basso, per sentire la trazione sulle anche e sull'inguine. E poi aveva cambiato nuovamente posizione, usando la seconda imbragatura per sollevare in alto anche il torace, tirando su più che poteva, per sentire la corda stringergli sulle costole.

Per qualche minuto aveva continuato così, in qualche modo perso nella sua routine, dimentico della presenza di Aziraphale a pochi metri da lui.

Poi lo guardò.

"Hai mai... provato qualcosa del genere?" gli chiese.

"No. Sembrava come se nuotassi nell'aria. Come se volassi" gli aveva risposto. La voce era leggermente affannata. Si percepiva il suo respiro corto.

"Vuoi provare?" chiese, di nuovo senza riflettere.

"No, non potrei mai. Non sono così elastico e..."

"La parte delle corde, intendo. A tenermi su".

Aziraphale si alzò dal divano, con un'espressione indecifrabile sul volto. Sembrava quasi trasfigurato. Gli si avvicinò lentamente, mentre Crowley iniziava a preoccuparsi che il suo cuore non avrebbe retto la tensione. Era la cosa più intima ed erotica che gli capitasse da almeno due anni. Gli arrivò abbastanza vicino da toccarlo, ma non lo fece.

(poteva sentirne il profumo, quell'acqua di colonia dal sapore un po' antico, come se gliel'avesse consigliata il barbiere più anziano della storia dei barbieri e lui non se ne fosse mai liberato)

"Che cosa devo fare?" gli domandò. Sembrava che Aziraphale non sapesse cosa fare delle sue mani.

"Prendi questa" gli porse un capo della corda che gli teneva il torace appeso.

"Sorreggimi. Puoi tirare, o lasciarla calare. Il nodo del bacino è forte, non posso cadere qualunque cosa tu faccia".

Aziraphale prese saldamente la corda, saggiò il suo peso e sembrò sostenerlo senza alcuno sforzo. Crowley perse per un momento la connessione con il cervello. Aziraphale aveva il volto concentrato e le sopracciglia aggrottate, ma Crowley non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi avambracci muscolosi, tesi, con una peluria bionda appena accennata sulla pelle morbida. Poi Aziraphale si sedette accanto a lui e lasciò scivolare la corda per una buona metà. Arrotolò una cima sulla mano per una presa più salda, e con l'altra prese i capelli di Crowley in una ciocca per tirarlo verso di lui in un movimento che sembrò così naturale e giusto e istintivo che a Crowley si torse la bocca dello stomaco.

(non gli era più capitato da quando Alex era andato via, nessuno gli aveva più tirato i capelli in quel modo e)

Gli uscì un gemito imbarazzante, che non credeva di poter fare. Sperò di averlo sognato, ma dallo sguardo che aveva Aziraphale doveva averlo sentito anche lui alla perfezione.

Aziraphale tirò un po' di più, e Crowley si rese conto che quella situazione si stava trasformando in qualcosa che non riusciva a controllare. Si abbandonò completamente, lasciando che fosse Aziraphale a muoverlo, a farlo dondolare. Era quasi a testa in giù, e Aziraphale gli stava tirando la testa indietro e lui aveva tutto il collo esposto. Si sentiva vulnerabile, si sentiva pieno di vita.

Sentiva di avere la schiena impossibilmente inarcuata, la colonna vertebrale solo un vago suggerimento di scheletro, invece che essere fatta davvero di ossa. Era una tensione stimolante, eccitante, intensa. Ci mise qualche attimo prima di rendersi conto di avere una piena erezione, di non aver alcun modo per nasconderlo, e soprattutto che Aziraphale ne era cosciente quanto lui. Praticamente gli stava dondolando a pochi centimetri dal viso, era impossibile che non lo avesse notato.

Un attimo dopo Aziraphale aveva lasciato andare la corda che aveva tenuto stretta in mano, e gli si era allontanato. Gli aveva dato le spalle e aveva preso le scarpe per infilarsele, mentre Crowley scioglieva i nodi rapidamente, passando in rassegna tutto il repertorio di scuse che aveva mai usato nella sua vita.

"Non te ne andare" lo aveva implorato, raggiungendolo prima che uscisse.

Aziraphale si voltato, con un'espressione travagliata sul volto, gli occhi grandi che quel giorno sembravano più grigi che azzurri e più profondi di qualunque altra cosa Crowley avesse mai visto, ci si stava perdendo dentro e

E poi Crowley lo aveva baciato. Lo aveva tirato verso di sè prendendolo per il colletto della camicia, aveva pressato le labbra sulle sue, non voleva che andasse via, non voleva che partisse, non poteva perderlo. Aziraphale non lo aveva stretto a sé, per un tempo indefinibile. Le sue mani lo avevano sfiorato appena. E poi qualcosa era cambiato. C'era stato un minuscolo gemito, Crowley non aveva idea di chi dei due lo avesse fatto, ma gli era sembrato allo stesso tempo vergognoso ed incredibilmente erotico e

E poi Aziraphale aveva risposto al bacio. Gli aveva chiuso le braccia intorno e Crowley gli si era insinuato in mezzo, perché quello era l'unico spazio che voleva occupare per il resto della sua vita. Aziraphale aveva aperto le labbra e Crowley aveva sentito la sua lingua il suo sapore e

E poi erano arrivati al divano, chissà come, e Crowley gli si era inginocchiato tra le gambe, affamato, lo aveva guardato, Aziraphale aveva la bocca morbida e arrossata, umida e lucida e respirava affannosamente e così gli aveva chiesto

"Ti prego, lasciamelo fare".

"Crowley, non devi fare niente" aveva detto, coprendosi per un attimo il volto con le mani.

"Ti prego, farò qualunque cosa tu voglia. Lasciamelo fare. Lascia che ti faccia venire".

E poi gli aveva slacciato i pantaloni, aveva guardato quella piccola chiazza umida sui boxer tesi,

(dio, sì, è eccitato anche lui, mi vuole, non lo sto sognando)

e li aveva scostati per sentire la sensazione della pelle sotto le sue dita, e il peso tra le sue mani, e Aziraphale aveva aperto le labbra e

"Oh - sì".

E Crowley lo aveva preso tra le labbra, ed era sceso più in basso, più giù che poteva, perchè se solo avesse potuto lo avrebbe inghiottito per intero, e aveva mosso la lingua mentre Aziraphale gli aveva infilato una mano nei capelli, come poco prima, come quando lui era lì appeso alle sue corde. E Crowley aveva brividi ovunque, la schiena inarcata come un gatto, il desiderio che gli si stava accumulando in un nodo doloroso alla base dell'inguine, sentiva la sua erezione pulsante e negletta, voleva toccarsi ma

(lo ascoltava, mentre si chinava ad inghiottirlo ancora e ancora, e poteva sentire che cercava di trattenersi, ma che non riusciva del tutto, e a un certo punto aveva detto oh dio, ti prego e il sentirlo così lo aveva quasi strappato in due, non poteva pregarlo, non voleva che lo facesse, voleva solo che lo desiderasse, che si spingesse dentro più in fondo, che gli prendesse la testa e)

"Crowley - sto per venire - non devi"

(ed invece era tutto quello che voleva, davvero, non voleva altro, voleva solo che Aziraphale lo tenesse e lo guidasse e lo usasse per darsi piacere)

Oh

E poi aveva avuto la bocca piena di quel sapore caldo e salato, e il cervello gli era quasi andato totalmente in tilt, aveva guardato Aziraphale con gli occhi pieni di lacrime e gli si era arrampicato addosso, gli si era aggrappato come se fosse l'unico punto saldo in un universo troppo veloce e rumoroso e Aziraphale lo aveva stretto e lo aveva baciato e infine gli aveva nascosto il volto sul petto, gli aveva bagnato la pelle di lacrime.

E poi era finito.

Non era cambiato nulla, eppure era cambiato tutto.

Aziraphale si era irrigidito, e Crowley era scivolato al suo fianco, in ginocchio, sul divano.

"Non avremmo dovuto" aveva detto poi, senza guardarlo.

"Aziraphale".

"Non è giusto. Non avrei dovuto".

"Aziraphale, ti prego".

"Devo andare".

Si era alzato, e Crowley era andato in pezzi in quel preciso istante.

(Aziraphale lo aveva voluto, per un attimo solo, ma quell'attimo era finito)

"Certo, capisco" aveva risposto, con una calma che non credeva possibile avere.

(non c'era nulla di vero, era una maschera, ma era qualcosa che conosceva. Fingere era la cosa giusta, in quei casi. Non era la prima volta che gli succedeva che qualcuno che sembrava volerlo poi lo abbandonasse. E Crowley avrebbe dato l'universo perché questo non fosse mai successo con Aziraphale, ma il tempo va in una sola direzione)

(Aziraphale era disgustato da lui, da quello che era successo)

Lo aveva accompagnato alla porta a piedi scalzi.

"Cerca di capire" lo aveva implorato Aziraphale.

Lo aveva guardato per un'ultima volta con un'espressione sofferente, ma poi si era voltato via, di nuovo, ed era sparito nella notte.

Crowley aveva messo in ordine meccanicamente. Aveva lavato i piatti e i bicchieri, li aveva asciugati e li aveva riposti nel loro ripiano. Aveva riposto le corde nei loro scomparti e spostato il tatami, e poi si era messo sul letto.

Quando era arrivata mattina non aveva ancora chiuso occhio, ma una piccola comitiva lo attendeva alle dieci per una breve escursione.

Si vestì, salì sulla macchina e si avviò di nuovo verso il paese.



Note:

1) Questo è il primo capitolo che contiene qualcosa di spiccatamente erotico. Ne verranno altri, ma ci vorrà un po' ancora.

2) Da qui in poi, ci sarà un bel po' di angst.

3) Martina, la mia amica e compare che ha creato l'header per questa storia, ha anche creato una fan art che oserei dire meravigliosa e perfetta per questo capitolo. Andate a cercare il suo account IG (https://www.instagram.com/martina_a_duck/) <3




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