Capitolo 3

Crowley - Aprile 2022

Tre settimane in giro sulle sue montagne con Aziraphale e già Crowley era totalmente perso. Aveva fatto un po' di resistenza all'inizio

(ammettilo Crowley, poca resistenza. Nessuna resistenza. Ti è bastato guardarlo su quel sentiero e dal primo momento eri già andato, kaput, zero speranze)

ma a quanto pareva non abbastanza.

Aziraphale era incredibilmente pieno di entusiasmo.

I primi giorni aveva camminato per lo più in silenzio, forse un po' affaticato dalla strada e dalle salite. Si era abituato abbastanza in fretta però: Crowley aveva notato come aveva cambiato il passo e come teneva le spalle più dritte, anche portando uno zaino pieno di attrezzatura e - al ritorno - di rocce.

Non si lamentava mai, e si rifiutava di lasciare indietro i sassi che raccoglieva lungo il cammino, per quanto fossero pesanti. Ci vedeva dentro intere storie. Animali del passato, ambienti che non esistevano più da milioni di anni. Con l'immaginazione e con le sue conoscenze tornava indietro fino a quando in quei luoghi non esisteva altro che acqua. Oceani interi, o magari spiagge, o luoghi incantevoli che Crowley appena riusciva ad immaginare. Centinaia di milioni di anni incastonati in un unico fossile, in un singolo pezzo di pietra.

Aziraphale guardava le montagne e ci vedeva le profondità del mare.

In altri momenti invece Aziraphale rimaneva in ascolto di quello che raccontava Crowley. Gli indicava le piante che nascevano lungo la strada. Gli parlava della bellezza del cammino. Della soddisfazione che provava quando scalava in solitaria.

Crowley amava guardare le valli che si stendevano ai suoi piedi quando era in cima ad picco, amava la sensazione di essere in cima al mondo. Amava il vento e, ogni tanto, il brivido di rimanere aggrappato con una sola mano.

Amava i muschi che crescevano nelle ombre dei boschi a basse quote ed i licheni che coraggiosamente restavano aggrappati alle rocce più in alto.

(che qualcuno mi salvi, perché non ho mai detto niente di tutto questo a nessuno prima di adesso. Chi è quest'uomo che mi tira fuori tutto, che mi fa parlare così tanto di quello che amo)

Crowley scalava le montagne e sognava di volare.


***


Quella mattina erano saliti presto. Per una volta, solo per il gusto di camminare. Aziraphale aveva seguito Crowley lungo una serie di salite impervie, e quando erano arrivati in cima era appena ora di pranzo. Si erano seduti per mangiare un boccone e riposarsi un po'. Era una giornata tersa e luminosa, senza nemmeno una nuvola nel cielo azzurro cupo.

Aziraphale era seduto con le spalle appoggiate alla struttura su cui era stata montata una croce in ferro, e la luce arrivava dalle sue spalle.

"Così sembri davvero un angelo" disse Crowley, pentendosene un secondo troppo tardi. Addentò il panino per avere qualcosa da fare, invece che rimanere imbambolato a guardarlo.

Aziraphale lo guardò confuso per un attimo, poi scoppiò a ridere e si alzò in piedi.

"Ferma la tua mano, demone!!" esclamò, con voce potente.

"Fermare la mia mano?"

"Hem, come non detto. Era per via dell'angelo, la croce alle spalle..." borbottò imbarazzato Aziraphale, sedendosi di nuovo.

"Non ho intenzione di fermare la mia mano. Ho fame" ridacchiò Crowley.

"Fai bene a mangiare, sei troppo magro" accennò Aziraphale, imbronciato. Aveva già finito di mangiare, e desiderava fare uno schizzo della vista. Tirò fuori il quaderno dallo zaino ed inziò a tratteggiare la linea delle montagne di fronte a lui.

"Sono sempre stato così, angelo. Ossa e nervi, niente carne. Per quanto mangi".

Aziraphale stava per ribattere, quando una folata di vento gli fece volare via il quaderno dalle mani.

"Oh no il mio quaderno!" aveva gridato.

Crowley aveva visto la scena come al rallentatore. Come se avesse sentito fischiare il vento ancor prima che arrivasse. Si alzò e guardò giù. Il quaderno era volato oltre il bordo della piccola spianata su cui sedevano e giaceva su uno spuntone di roccia una ventina di metri più in basso, quasi a picco rispetto a dov'erano loro.

Si sporse dal punto in cui si trovavano, visualizzando un percorso in pochi attimi, ed iniziò a calarsi giù. Prima che Aziraphale realizzasse cosa stava succedendo era già sceso di qualche metro.

"Crowley! Cosa fai, sei impazzito?!" gridò Aziraphale preso dal panico.

Lui non rispose. Scivolò veloce verso il basso, trovando appigli dove non non sembrava nemmeno ce ne fossero. Arrivò allo sperone di roccia velocemente, infilò il quaderno nel retro dei pantaloni ed iniziò la risalita. Salire era sempre meglio di scendere. Ci voleva molto più coraggio a scendere, ma lo aveva fatto d'istinto, senza pensare alle conseguenze.

Quando arrivò di nuovo in cima Crowley gli porse il quaderno, che Aziraphale accettò con mani tremanti e il volto sbiancato dalla paura.

"Non hai un minimo di istinto di sopravvivenza? Saresti potuto morire!" disse, infine.

"Naah. Era una discesa facile. E poi non volevo sentirti lamentarti del fatto che avevi perso il tuo prezioso quaderno" aveva ribattuto Crowley.

"Andiamo?".

Crowley si voltò ed iniziò a scendere lungo il percorso da cui erano arrivati, senza rendersi conto che Aziraphale lo stava guardando con gli occhi spalancati e carichi di emozione, con il suo quaderno stretto tra le dita.


***


I giorni che non andavano in montagna spesso si vedevano a pranzo o a cena.

Crowley lo aveva portato in tutti i posti che conosceva meglio, e poi avevano fatto dei tentativi insieme in piccoli ristoranti e taverne in giro per la regione. Aziraphale era sempre curioso, e andava a leggere ogni recensione che riusciva a trovare su internet per essere sicuro di non trovarsi a mangiare in posti scadenti.

(Crowley trovava questa cosa adorabile)

Altre volte restavano a casa di Aziraphale, visto che gli piaceva tanto cucinare. Crowley non si preoccupava granchè di quello che ingeriva, gli bastava fosse commestibile, ma amava il soffitto in travi e la vista dalla finestra, gli piaceva sedersi sul bracciolo del divano e guardarsi intorno, anche senza fare niente. Da Aziraphale lui portava dolci e il vino, che scovava in questa o quella cantina della zona. Finivano le loro serate sempre un po' brilli.

Una sera Crowley era seduto per terra, con il bicchiere di vino semi vuoto accanto a sé.

Aziraphale stava sprofondando sempre di più nella poltrona imbottita di velluto color cioccolato. Forse avevano bevuto un po' troppo.

"Se finisse il mondo, dove pensi che andresti a finire?" chiese Crowley, tutto a un tratto. Probabilmente non la più intelligente delle sue domande.

"Cosa intendi, se finisse il mondo?".

"Ma sì hai capito. I quattro cavalieri dell'Apocalisse, le Trombe del Giudizio, quella roba lì".

"Non lo so, sinceramente. Tendo a pensare di essere una brava persona ma..."

"Sei una brava persona. Andresti in paradiso, sicuro. Poi sei un angelo, giusto?"

Aziraphale ridacchiò.

"Sono tutto fuorché un angelo. Non so, deve per forza esserci la fine del mondo? Non mi piace per niente come idea. Preferisco pensare che resteremo qui, tranquilli nel nostro caro vecchio Mondo".

"Io finirei all'inferno. È il posto giusto per me. E poi la musica è migliore, la compagnia migliore. In paradiso ci si annoia". Bevve il resto del vino e inarcò la testa indietro, stirando le spalle.

"La fine del mondo fa schifo, se ci pensi" aggiunse.

"Se dovesse esserci una cosa del genere spero sia solo per gli esseri umani. Tipo i delfini non hanno colpe. Nè le balene, nè i gorilla. È il nostro dio, non quello degli animali".

"Non credo che esista qualcosa come il dio delle balene" gli rispose Aziraphale, sbadigliando vistosamente.

"Beh, questo non possiamo saperlo, dico bene?".

(ma perché era finito a parlare di queste sciocchezze? Non serviva che Aziraphale sapesse proprio ogni idea strampalata che gli passava per la testa. Aveva bevuto troppo. E Aziraphale aveva le labbra rosse e morbide, le guance tinte di rosa per il vino, e gli occhi assonnati e dolci, e Crowley aveva una voglia matta di baciarlo e quindi doveva assolutamente adare via prima di rovinare tutto)

Si alzò, leggermente barcollante.

"Prima che finisca il mondo, forse è il caso che torni a casa".

"Non penso sia il caso che tu guidi in queste condizioni".

"Naaah. Ho guidato molto più ubriaco di così. Non ti preoccupare".

Andò via senza sentire ragioni, promettendo di mandare un messaggio appena arrivato.

(E sì. La strada era sempre la stessa e le curve sempre le stesse, così come gli alberi che si piegavano poco dopo il secondo tornante e il torrente che sentiva scorrere in fondo alla valle, ed era la stessa anche la macchina nera che guidava coi finestrini aperti per sentire il vento sul viso e gli odori della notte, eppure era tutto diverso perché era stato con Aziraphale, e aveva camminato nel suo spazio e aveva mangiato quello che lui gli aveva preparato, e aveva visto il suo volto un po' assonnato e un po' preoccupato e la sua bella bocca e aveva respirato la sua aria e cristo santo perché diavolo pensava tutte queste cose tutte insieme, doveva davvero essere impazzito)

Lasciò la macchina aperta e si stese sull'erba umida a faccia in giù. Aveva bisogno di raffreddarsi, perché si sentiva caldo ovunque. Dopo un paio di minuti si rivoltò e guardò il cielo. Esattamente sopra di lui poteva vedere l'Orsa Maggiore. Si ricordò del messaggio. Tirò fuori il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e digitò rapidamente.

"Xx".

Dovevano essere dei baci.

Crowley allargò le braccia sul prato. Guardò ancora per un attimo il cielo, poi chiuse gli occhi.

Dei baci.

Sarebbe stato molto meglio dimenticarsi della cosa. Ci avrebbe pensato domani.

Si addormentò sul prato.


***


"Sono un idiota" borbottò tra sé e sé quando si svegliò, un paio d'ore dopo, intirizzito e tremante.

Si trascinò dentro la chiesa, chiudendosi la porta alle spalle, si tolse i vestiti lasciandoli cadere per terra e si raggomitolò sotto il piumone del letto in fondo alla sala.

Quando si svegliò aveva la gola riarsa e mal di testa e si sentiva uno straccio. Aveva lasciato il cellulare da qualche parte, probabilmente nella tasca dei pantaloni. Si alzò rabbrividendo per andarlo a prendere: scarico.

Quando lo riuscì ad accendere, gli arrivarono di fila una serie di messaggi, tutti di Aziraphale.

Quindi stava arrivando.

Aziraphale stava arrivando a casa sua.

Era stata di sicuro Nina a dare il suo indirizzo ad Aziraphale. Quella donna non si faceva mai gli affari suoi. Crowley l'avrebbe mangiata viva, la prossima volta.

(Cazzo cazzo cazzo)

La casa era un disastro.

Crowley raccolse i panni sporchi sparsi per terra e sulle sedie e li ficcò sotto il letto, visto che non si era mai preoccupato di procurarsi una cesta per il bucato. L'angolo occupato dal cucinino era quasi decente, considerando che aveva mangiato fuori o a casa di Aziraphale spessissimo nell'ultimo periodo. Corse a prendere dalla macchina i contenitori della cena del giorno precedente, e si affrettò a metterli nel frigorifero.

Si rese conto di essere ancora in mutande.

Si infilò dei pantaloni di una vecchia tuta che un tempo forse era stata nera, e adesso era grigia e scolorita, e una felpa con la zip davanti e il cappuccio.

Aprì la porta e si sedette su una delle panachette ai lati, con il volto rivolto al sole. Doveva cercare di darsi una calmata.

Poco dopo sentì il rumore del motore di una macchina, quindi andò sul retro della chiesetta, dove finiva la strada, in una zona ombreggiata dagli alberi.

L'auto gialla di Aziraphale era una incredibile macchia di colore tra tutto il verde che c'era intorno. La sua era nera, un vecchio Land Rover d'epoca, squadrato e polveroso.

Aziraphale aprì lo sportello con lo sguardo accigliato, che però si distese quasi immediatamente quando posò gli occhi su Crowley.

"È una fortuna che io abbia una 4x4 e che esista Google Maps, o non sarei mai arrivato qui!" disse, avvicinandosi.

"Mh, sì. Non è il posto più facile da raggiungere. Mi piace per questo. Ascolta, non c'era bisogno che tu venissi..."

"Mi sono preoccupato" gli rispose semplicemente.

Crowley lo guardò, disarmato. Fece per sistemarsi gli occhiali sul naso, e solo in quel momento si rese conto di non averli indosso.

(Così vedrà tutto, si renderà conto che sono un idiota, che pendo dalle sue labbra, che sono inna..

Non scherziamo, non posso crollare così, non è nemmeno un mese)

"Mi dispiace".

"Non fa niente. Mi inviti ad entrare?".

"Oh. Certo, hai ragione. Vieni pure".

Le persone che vedevano la casa di Crowley per la prima volta (non che ne fossero venute molte a trovarlo, negli oltre quattro anni in cui aveva vissuto lì) restavano innanzitutto stupite dall'edificio in sé: era una piccolissima chiesa in uno spiazzo erboso, con una meravigliosa vista sulla valle sottostante. Aveva un minuscolo campanile al centro della facciata, con una campana a cui era stato tolto il batacchio, ed era interamente fatta di pietre grigie. Due finestrelle chiuse da una grata in ferro e una porta in legno con chiodi in ferro battuto completavano il tutto.

L'interno era piuttosto minimal. I muri erano di pietre grigie esattamente come all'esterno, mentre sul pavimento era stato posato un parquet di legno chiaro, con delle belle assi lunghe e di larghezze differenti. Era un'unica sala, con ambienti più o meno separati dai pochi mobili. A sinistra si trovava un cucinino con un grande tavolo antico e una stufa a legna che sembrava essere l'unico riscaldamento presente. In fondo c'era una stanzetta con muri bianchi che fungeva da bagno. Sulla destra invece era stata ricavata una grossa finestra, così che chi si sedeva sull'enorme divano in pelle poteva guardare all'esterno il bosco che circondava la chiesa. In un angolo, una poltrona di velluto rossa che aveva tutta l'aria di essere stata usata come trono in qualche spettacolo teatrale: aveva l'intelaiatura in legno intagliato e dorato e lo schienale alto. Come fosse arrivata lì sembrava un vero mistero. Sul lato opposto alla porta, nella nicchia sul fondo che un tempo era stata l'abside, c'era incastrato il letto. Un grosso armadio completava la zona notte. Vasi e piante di ogni tipo erano sparse un po' ovunque.

Il soffito era alto, in legno e con travi a vista. Da questo pendeva una spessa canna di bamboo esattamente al centro della sala. L'illuminazione era data da una serie di lampade a pinza aggrappate sui mobili e da piantane.

Ad Aziraphale piacque moltissimo.

"È bellissimo qui" disse.

"È solo un sacco di roba recuperata. Non ho comprato praticamente nulla" rispose Crowley, grattandosi la nuca.

"Ho sistemato tutto io qui. Era quasi un rudere quando sono arrivato. Mi piace fare cose con le mani. Mi tiene la testa occupata e nel frattempo faccio anche qualcosa di utile".

Aziraphale era rimasto in piedi con la giacca color crema addosso, e una bustina di carta tra le mani.

"Vuoi sederti? Non sono abituato ad avere gente qui" borbottò Crowley.

"Che cosa hai portato?".

"Questi? Sono dei dolcetti. Già che ero al bar a chiedere il tuo indirizzo, ho pensato di portare qualcosa".

Aziraphale gli porse il pacchetto e si sedette sul divano.

"Ngk. Nina non dovrebbe dare il mio indirizzo a chiunque".

"Non sono chiunque!" esclamò Aziraphale, evidentemente piccato.

"No, certo, è solo che non dovrebbe proprio dare il mio indirizzo".

"Oh per l'amor del cielo. Non ti sentivo da ore, le ho detto che ero preoccupato per te".

Crowley non riuscì a rispondere. Era davvero molto tempo che nessuno si preoccupava per lui, ed era una sensazione strana. Il pensiero che proprio Aziraphale lo pensasse così tanto da preoccuparsi perché non rispondeva al telefono per qualche ora era inebriante. Cercò di darsi un contegno.

"Non sono un bambino" rispose, scioccamente.

"Per favore" sbuffò Aziraphale.

"Non puoi semplicemente portarmi quei dolcetti? E fare un té, magari".


***


Quando Aziraphale si accommiatò, Crowley lo guardò andare via. Rimase in piedi ad aspettare fino a che l'auto gialla non scomparve del tutto tra il verde degli alberi. E poi ancora un attimo in più.

Quando rientrò e guardò dentro casa (una casa ora vuota e silenziosa, in cui aleggiava un vago odore di té), ebbe una sensazione lucidissima e netta, tagliente come una lama: quell'uomo lo avrebbe fatto soffrire. Non sapeva cosa sarebbe successo, né perché ci stava pensando proprio in quel momento (perché in fondo poteva anche cercare di farsela passare, era un uomo adulto e quella non era certo la prima persona per cui si prendeva una cotta inopportuna, e non era poi così impossibile lasciar perdere, giusto?), ma ne era certo, così come sapeva che il sole sorgeva ad est e tramontava ad ovest.

E forse avrebbe dovuto lasciar perdere in quel momento. C'erano altre guide disposte ad aiutare chiunque volesse andare su quelle montagne. Aziraphale non sarebbe certo rimasto solo, ci sarebbero stati altre persone dispostissime a lavorare per lui. Per Crowley ci sarebbero stati molti altri lavori. Il periodo peggiore era passato, e l'estate era alle porte. Non avrebbe avuto problemi come i due anni precedenti, in cui aveva fatto quasi la fame. Bastava dirlo, giusto? "Ho degli impegni, mi hanno chiamato per una cordata, mi hanno prenotato escursioni per i prossimi tre mesi".

Se era così sicuro che avrebbe sofferto, per quale ragione continuare in questo modo?

Crowley non era certo uno stupido, ma non era un granché quando si trattava di occuparsi del suo benessere. Non aveva un grande spirito di conservazione. Era avventato, spesso incosciente, e non era mai riuscito a seguire la ragione piuttosto che i sentimenti.

Se fosse stato capace avrebbe fatto l'avvocato come avevano sempre voluto i suoi genitori. Non sarebbe andato via di casa a 20 anni perché non sopportava una vita che lo costringeva ad essere rigoroso, a studiare qualcosa che detestava, in una famiglia fatta di sorrisi finti e di infiniti silenzi, di discussioni vuote e di inutili cerimonie. Se fosse stato capace di usare la ragione probabilmente non avrebbe mollato il lavoro al pub quando di anni ne aveva 21 per suonare con quello stupido gruppo di sbandati in giro per l'UK. Probabilmente non avrebbe mai provato nessuna droga, nè si sarebbe ubriacato così tanto da gettarsi da un ponte sul Tamigi quando era a Londra, a 25 anni, solo perché qualcuno dei suoi cosiddetti amici lo aveva sfidato a farlo (ne era uscito con una spalla rotta, che ancora gli faceva male ogni tanto quando arrampicava). Non sarebbe mai e poi mai finito in ospedale per un overdose quando la madre era morta senza averlo mai perdonato, e il padre si era rifiutato di accettarlo al funerale (lui ci era andato lo stesso, ed era rimasto in fondo, da solo, ed era andato via prima della fine).

Se però avesse usato la ragione e non il cuore non si sarebbe mai improvvisato astrologo per guadagnare due soldi quando moriva di fame per strada, e conseguentemente non si sarebbe mai appassionato allo studio delle stelle. Non avrebbe mai comprato un telescopio con i pochi soldi che aveva e non sarebbe mai partito da solo per andare in campagna, lontano dalle luci della città, per guardare le stelle ed innamorarsi della loro bellezza. Non avrebbe iniziato a camminare in montagna perché come vedi le stelle in montagna non le vedi da nessun'altra parte, non sarebbe mai finito in quel paesino in Italia, non avrebbe mai conosciuto Alex e non avrebbe mai iniziato ad arrampicarsi. Non avrebbe imparato ad amare quella sensazione di restare appeso per qualche minuto, in quell'abbraccio che erano le sue corde e le sue imbragature.

Se non fosse stato quell'essere tutto cuore e sangue bollente e poco sale in zucca non avrebbe mai comprato quel pezzo di terra con una chiesa in rovina solo perché era bello e magico e gli dava un senso di pace.

Se avesse avuto cervello, Crowley sarebbe stato un avvocato battagliero, l'orgoglio dei suoi genitori, un predatore gelido e capace, magari un marito, un padre, un adultero (perché che cosa ti aspetti da uno come lui, non sarebbe mai riuscito a vivere tutta la vita con una persona scelta dalla sua famiglia). Sarebbe stato un uomo di successo, un involucro fatto di cene di gala, feste con l'alta società, e magari cocaina nella solitudine del suo ufficio. Si sarebbe scopato le sue segretarie e si sarebbe fatto scopare dai praticanti del prestigioso studio legale della sua famiglia, invece che languire come stava facendo in quel momento, sprofondato sul suo vecchio divano in pelle, dimentico della luce che andava calando, dimentico dell'aria fredda che entrava dalle finestre aperte, dimentico del resto del té nella sua tazza sul tavolino.

Se avesse avuto cervello, Crowley avrebbe avuto una vita diversa.

Ma soprattutto, soprattutto, non si sarebbe mai innamorato di Aziraphale. 

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