Capitolo 20
Crowley, 25 Ottobre 2023
Crowley era stanco. Esausto.
La vita era stata dura in quei mesi. Risalire la china non era stato per niente facile, e la verità era che Crowley non credeva che sarebbe mai riuscito a tornare dov'era prima di conoscere Aziraphale. Sarebbe sopravvissuto, certo, ma non sarebbe mai più stato felice.
Dopo il primo periodo in cui c'era stato un po' di entusiasmo per il ritorno di Alex nella sua vita, era di nuovo scivolato verso il basso. Ormai si vedevano solo per le tanto agognate sessioni di shibari, in cui Crowley riusciva a liberare lo stress accumulato e poi a sentirsi più tranquillo. L'effetto non durava a lungo, ma era meglio di niente.
Passata l'alta stagione e gli escursionisti erano diminuiti, e Crowley si era ritrovato con molto più tempo libero. Per questo aveva ricominciato ad arrampicare ogni volta che poteva. Aveva ripreso dalle pareti più semplici, per aumentare via via la difficoltà dei passaggi. Le notti in cui non dormiva le passava a studiare i percorsi. Leggeva le guide di chi li aveva tracciati e le ripeteva decine di volte, fino a saperle a memoria. Quando li percorreva di persona, recitava le loro parole come un mantra, fissando nella mente ogni appiglio, ogni fessura, il colore e la consistenza delle rocce, i chiodi migliori, i punti più complessi. Aveva creato la sua personalissima mappa mentale, che ricreava tutte le sensazioni che riusciva ad immagazzinare. Poteva essere il vento sulla pelle, o magari il profumo dell'erba su di una cengia. La friabiltià o la solidità della roccia sotto le sue dita, la presa degli scarpini. La tensione di ogni singolo muscolo del suo corpo. Gli era sempre venuto in modo naturale, perché Crowley aveva sempre sperimentato tutto direttamente sulla sua pelle. Ogni sensazione che provava lasciava tracce invisibili sotto l'epidermide, ma lui le sapeva leggere e le ricordava tutte.
Arrampicare gli era sempre piaciuto moltissimo. Non c'era soddisfazione maggiore che quella di arrivare su di una cima e guardare tutto il resto del mondo intorno, potendo spaziare a trecentosessanta gradi.
Nella zona delle Alpi Giulie c'era un percorso in particolare che non era mai riuscito a completare, perché il tempo non lo aveva mai favorito. Era una salita molto lunga e servivano molte ore di luce, pazienza e tanta resistenza.
Conosceva bene le sue montagne ed era consapevole dei rischi, se il tempo non era buono. Ma quello era stato un ottobre mite, molto simile a quello dell'anno precedente. C'era stato molto sole e poca pioggia. Crowley aveva chiesto in giro e aveva sentito che il Bivacco Suringar era ancora in condizioni decenti, così si decise: avrebbe dormito lì dopo la salita e sarebbe sceso il giorno dopo. Eppure aveva una strana sensazione. Come se qualcosa non fosse a posto. Non era certo il tipo da credere a stupidaggini come i presentimenti e altre cazzate del genere, per cui si scrollò di dosso il pensiero. Però questo, insistente, tornò più e più volte nella giornata.
Fu così insistente che alla fine Crowley si trovò a gironzolare nel pomeriggio intorno al Give me Coffee or Give me Death. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno, e non aveva alcuna voglia di telefonare ad Alex. Aveva quindi inghiottito l'ansia ed era entrato.
Alla sua vista Nina aveva sgranato gli occhi.
"Guarda un po' chi si rivede" aveva detto lei sarcastica, mentre asciugava delle tazze con un panno.
"Sono ancora nel regno dei vivi, a quanto pare".
"Sei stato un vero stronzo a sparire così, lo sai? Mi hai fatto preoccupare".
Crowley si strinse solo nelle spalle. Non aveva risposte per lei che non fossero scuse che non aveva voglia di pronunciare nè che sentiva, in fondo. Aveva fatto quello che gli era stato necessario per andare avanti, anche quando in realtà sembrava che la sua vita fosse totalmente immobile.
"Beh, cosa posso portarti?".
"Niente. Un caffè".
Lei glielo servì qualche attimo dopo e rimase in silenzio a guardarlo. A quell'ora non c'era molta gente al bar. I pochi avventori erano seduti ai tavolini fuori: alcuni anziani del paese, che probabilmente erano lì dall'ora di pranzo a bere Spritz friulano e Tocai.
"Senti, domani vado ad arrampicare. Vado su allo Jof del Montasio, per la Kugy Horn. Non è una salita facile e non so, non ho mai fatto quel percorso. È un po' complicato spiegare, ma è come se sentissi la montagna capito? Il tempo. E il tempo è strano, mi dice delle cose. Il cielo e le nuvole mi dicono cose. E la terra. E la roccia. Forse non dovrei andare ma non sono mai riuscito finora ed è una sfida che mi piace. Dormo su, al bivacco. Ecco, volevo dirti questo. Che se non mi vedi, sono lì".
"Crowley, sono mesi che non ti vedo. Non è che se non passi per un giorno vado nel panico".
"No però volevo dirtelo. Mmh. Va bene?"
"Ok, almeno credo".
"Ngk. Ok. A presto, magari".
Lei lo salutò, e Crowley tornò a casa. Si sarebbe alzato prestissimo l'indomani.
***
Il versante Nord Ovest del Montasio era totalmente in ombra in quelle prime luci del mattino. Aveva iniziato la salita che era ancora buio, perché come sempre le parti iniziali di un percorso, a bassa quota, erano le più semplici. Man mano che saliva il sentiero diventava più impervio.
Era salito dalla forcella Montasio reggendosi ad una serie di fessure, arrivando ai piedi della Torre Amalia. Il peso nello zaino era ridotto all'osso, quindi saliva senza faticare troppo. Per la prima parte non aveva nemmeno usato corde e imbragatura.
Le cengia del Walhalla l'avrebbe potuta seguire quasi ad occhi chiusi, perché qui e lì si trovavano alcuni ometti di pietra a segnalare il percorso.
Dopo qualche ora era arrivato in un punto in cui il colatoio era quasi verticale, quindi si era imbragato ed aveva continuato a salire. Gli appoggi erano più complicati e doveva ragionare per trovare il percorso corretto, ma per lui era un processo che impiegava solo piccolissime parti consce del suo cervello: era il corpo stesso a pensare, e lui riusciva a sentire la roccia persino con le dita dei piedi attraverso gli scarpini, e sotto quelle delle mani, sensibili ad ogni minima asperità. Si era fatto strada sulle Creste dei Draghi seguendo tracciati obliqui e non ovvi, per il gusto stesso di farli.
Le ore si erano susseguite lente, e il sole aveva fatto parte del suo arco nel cielo. Si trovava ora oltre lo zenit, mentre camminava lungo la Spalla Nord. Poteva scegliere cosa fare adesso, perchè era salito più velocemente del previsto e quindi aveva più tempo: Crowley smaniava per arrivare sulla vetta del Montasio. Poteva iniziare a salire sulla Torre Nord, e se si fosse fatto troppo tardi magari sarebbe risceso fino al bivacco Suringar.
Iniziò la salita e la trovò più difficile di quanto avesse pensato. Forse era stanco, forse non si era allenato abbastanza nonostante tutto. Quando fu a metà si rese conto che probabilmente non sarebbe riuscito a salire fino in cima quel pomeriggio, eppure continuò per un'altra mezz'ora per pura ostinazione. Poi capì che non era possibile andare oltre senza correre dei grossi rischi, e quindi iniziò la discesa nella Forca Rossa. Nel preciso momento in cui arrivò sul ghiaione mise un piede in fallo come un cazzo di novellino. Rotolò lungo la discesa coperta di brecce in malo modo, mentre pensava "Cristo, non può succedermi anche questo". Poi, dopo un brutto salto di qualche metro, rovinò su di una spalla.
(no no no no cazzo, no)
Per qualche attimo non riuscì a capire bene cosa fosse successo.
Era ancora vivo, di questo era abbastanza sicuro.
Cercò di muoversi, ma una fitta lancinante gli attraversò la schiena e il braccio destro. Era caduto su quel lato, proprio sulla spalla che si era rotto da giovane. Dovette respirare a lungo e profondamente per calmarsi, perché non poteva assolutamente restare in quel punto così esposto durante la notte, e quindi doveva capire l'entità dei danni e andar via appena possibile.
Mosse con cautela le dita della mano, e poi l'avambraccio. Se si era rotto qualcosa doveva essere l'omero. L'altro braccio stava bene, escoriazioni a parte. Iniziò lentamente a mobilitare anche le dita dei piedi, le caviglie, le ginocchia. Plausibilmente aveva almeno una slogatura, ma nulla di troppo serio. Non restava che provare a tirarsi su e capire se aveva qualche problema al bacino. Si sedette tirando i muscoli addominali, cercando di non muovere il braccio, ma non riuscì a non lanciare un gemito.
Si guardò intorno, lo zaino era a qualche metro da lui.
Ci mise una vita ad arrivarci, muovendosi strisciando sul sedere. Lo aprì per tirare fuori la giacca a vento e stringersi il braccio al petto. Lanciò numerose maledizioni mentre lo faceva: doveva essere una brutta frattura.
A quel punto non restava che tirarsi su e arrivare al bivacco. In qualche modo il giorno successivo avrebbe aggirato le cime con un un percorso più semplice e sarebbe tornato giù. Non aveva bisogno dei soccorsi, inoltre chissà dove cazzo stava il cellulare. Non si ricordava nemmeno dove lo aveva messo. Lo trovò in una tasca dello zaino, aveva lo schermo in frantumi e non si accendeva nemmeno. Beh, poco male, comunque aveva già deciso che non aveva intenzione di chiamare il Soccorso Alpino.
Camminare si rivelò un tormento. A parte il braccio, anche una caviglia non doveva essere messa benissimo.
Aveva proseguito per un'altra ora, ma si sentiva stanchissimo. Non aveva poi tutta questa voglia di arrivare fino al bivacco. Sapeva che avrebbe dovuto farlo, ma doveva riposare un po'. Pensò con nostalgia al sacco a pelo che aveva lasciato indietro con il resto dello zaino, in quel momento gli avrebbe fatto comodo. Si sarebbe seduto solo un attimo. Dieci minuti, per riposare un po'.
Prima di addormentarsi, l'ultimo pensieri di Crowley fu un "Mi sa che sto facendo una cazzata".
Aziraphale, 26 Ottobre 2024
Faceva freddo in quota, molto più di quanto non si fosse aspettato.
Era partito la mattina presto e aveva preso il percorso più semplice per arrivare allo Jof del Montasio, perché non sarebbe mai riuscito a eseguire quello molto più complesso che Crowley aveva detto a Nina. Aveva raggiunto il bivacco Suringar sotto la cima nel pomeriggio, sperando di trovarlo lì. Secondo i suoi calcoli sarebbe dovuto arrivare entro sera. Aspettò seduto su una roccia per un tempo che gli sembrò davvero infinito, guardando il sole che lentamente scendeva verso ovest, ma di Crowley nemmeno l'ombra.
Aziraphale sapeva che Crowley aveva una sua sorta di testardaggine, quindi se aveva detto che avrebbe fatto quella salita sicuramente ci sarebbe riuscito prima o poi. Però sapeva anche che non era uno stupido e che conosceva bene la montagna, quindi non avrebbe rischiato se si fosse reso conto di avere troppi problemi. Quando arrivò il tramonto e Crowley non era ancora lì, Aziraphale iniziò a preoccuparsi seriamente. Non era proprio da lui restare in giro in quota oltre il calare del sole. Doveva essere successo qualcosa, ne era sicuro.
Aziraphale era una persona che non rischiava mai. Non aveva mai fatto una sola mossa azzardata nella sua vita e assolutamente nulla che potesse anche solo essere accostato alla parola "avventuroso". Non era il tipo, non gli piaceva, non aveva nessun desiderio di sfidare la sorte. Tornare in Italia nella speranza di riuscire a recuperare il rapporto con Crowley era in assoluto la cosa più rischiosa che aveva fatto. Beh, rischiosa per la sua psiche quantomeno. Ma in quel momento non poteva esitare, perché c'era ben altro in gioco. In montagna si poteva facilmente finire nei guai, guai seri. Certo, poteva anche semplicemente essere tornato indietro o non aver mai intrapreso quell'escursione, Aziraphale non aveva modo di saperlo con assoluta certezza, però qualcosa dentro di lui gli diceva che invece non era così, e che Crowley in quel momento aveva bisogno di lui.
Prese lo zaino e la cartina topografica dove c'erano segnati i sentieri, e si incamminò nella direzione della strada da dove sarebbe dovuto arrivare Crowley.
Non era nemmeno mezz'ora che camminava che lo vide, una chiazza rossa di capelli contro uno sperone di roccia. Distava da lui meno di un centinaio di metri, e Aziraphale si affrettò per raggiungerlo. Quando fu abbastanza vicino si rese conto che aveva gli occhi chiusi e teneva stretto al petto il braccio destro. Gli ultimi metri li fece di corsa, quasi senza guardare dove poggiava i piedi. Non che ci fosse molto da vedere, era quasi buio ed era stato incredibilmente fortunato a identificare Crowley nonostante ci fosse pochissima luce.
Crowley si stava lamentando di qualcosa.
"Dio mio, Crowley, stai bene?".
Lui socchiuse gli occhi.
"Ho freddo".
"Non ti preoccupare, ecco, prendi questa" gli disse Aziraphale, mentre si sfilava la giacca a vento e gliela poggiava sulle spalle.
"Che ci fai qui" disse con tono incolore e la voce debole.
"Ne parleremo dopo. Ora vieni qui, fatti aiutare, andiamo via".
"Ho un braccio rotto. Forse anche la caviglia, non lo so".
"Non ti preoccupare, ti aiuto, dammi la mano".
Crowley gli tese la mano.
Crowley, 26 Ottobre 2023
Quando aveva aperto gli occhi e aveva visto Aziraphale tra le ciglia socchiuse era rimasto per qualche attimo imbambolato. Non era possibile che lui fosse di nuovo in Italia, sulla cima del Montasio poi. Quindi lui doveva essere morto, e quello era il paradiso. Quello che davvero gli sembrava impossibile era che effettivamente esistesse qualcosa dopo la morte, e che lui fosse addirittura finito nel paradiso. Scosse la testa, incredulo. La religione quindi non valeva proprio niente di niente.
Aziraphale però sembrava proprio vero.
Non riuscì a crederci del tutto fino a che non gli prese la mano. La sensazione delle sue dita calde e forti però era tangibile, non poteva sbagliare. Aprì meglio gli occhi, ma era quasi buio e lui non riusciva a vedere granché.
Aziraphale lo aiutò a tirarsi su, sorreggendolo saldamente. Quando fu in piedi, Aziraphale lo tenne per il fianco sinistro e lo aiutò a camminare. Crowley era talmente stanco e provato che non protestò e non chiese nulla, nonostante avesse una miriade di domande che gli premevano sotto la lingua.
(perché sei qui? Come mi hai trovato? Perché sei tornato? Mi ami ancora? Mi hai mai amato? Questa è una di quelle seconde occasioni, anzi terze, di cui ho sentito parlare ma che non mi sono mai capitate prima? Potrai perdonarmi della rabbia che ti ho rovesciato addosso? Potrò perdonarti io di non avermi compreso?)
Ci misero un infinità di tempo ad arrivare al bivacco.
Quando Crowley si sedette sul piano di sotto di uno dei letti a castello non riuscì a parlare per moltissimi minuti. C'era una piccola lampada a gas che Aziraphale aveva acceso, e tutto sembrava talmente simile alla prima volta che si erano incontrati che Crowley aveva il groppo in gola e le lacrime sul punto di sfuggire dalle sue ciglia socchiuse. C'erano le stesse luci calde e le stesse ombre profonde sul viso di Aziraphale, ma lui sembrava diverso da prima. Non c'era più il suo sorriso radioso, ma uno sguardo mesto e titubante, più rughe attorno agli occhi. Erano davvero passati nove mesi? Sembrava molto di più. Sembrava soltanto un attimo. Nessuno gli era mai mancato tanto quanto Aziraphale, e cercò di imprimersi negli occhi tutti i minuscoli dettagli che gli sembrava di aver dimenticato nel frattempo. La forma leggermente diversa delle due sopracciglia, il fatto che l'occhio destro avesse qualche ruga in più attorno del sinistro. Le piccole asimmetrie che rendevano il suo volto così interessante. In quel momento aveva anche un po' di barba. Non lo aveva mai visto con il viso che non fosse perfettamente rasato, e gli sembrò incredibilmente sexy. Voleva baciarlo. Voleva arrampicarsi sulle sue cosce e farsi stringere, farsi cullare, farsi tenere tra le braccia per sempre. E poi Aziraphale lo guardò con un misto di preoccupazione e tristezza, e a Crowley tornò come una marea crescente tutto il dolore di quei mesi, la solitudine, la rabbia.
(tutte quelle ondate che gli avevano via via eroso l'anima, il cuore, i pensieri. Voleva urlargli contro e fuggire via, e piangere e gridare ancora, e chiedergli perché. E di nuovo il desiderio, il ricordo di quelle notti pelle a pelle, la paura di restare solo e l'orgoglio di stare al suo braccio. Un milione di pensieri confusi e contrastanti che lo stiracchiavano da una parte all'altra, lacerando ancor più la fragile trama di sé, che aveva rammendato un po' a caso in quegli otto o nove mesi. Voleva solo dimenticare, tornare com'era prima, forse com'era prima di conoscerlo, ignaro del potere che lui aveva sulla sua stessa essenza)
(come si fa a perdonare? Come si fa a smettere di amare?)
E Aziraphale forse era inconsapevole di tutto quello che gli passava per la testa, ma aveva continuato a guardarlo a tratti, mentre girava il cucchiaio in una zuppa lioflizzata che aveva rinvenuto con un po' d'acqua presa dalla borraccia. Non aveva più parlato, e forse era meglio così, perché Crowley non aveva parole per lui. Non in quel momento.
Mangiarono in silenzio.
"Posso controllare la tua caviglia?".
"Mh-mh" aveva annuito lui.
Lo aveva toccato con le dita morbide e delicate, tanto diverse dalle sue.
"Chiamerò i soccorsi, così domani verranno a prenderti con l'elicottero. Non sei in condizione di camminare".
"No".
"Crowley, non essere sciocco, non è il caso di fare l'eroe adesso".
"Ho detto di no. Ce la faccio. Ce l'avrei fatta anche senza di te ad arrivare qui".
"Ti ho trovato che dormivi con la testa su un sasso, potevi morire, e se fossi rimasto lì magari sarebbe successo, ti rendi conto? Crowley, hai bisogno..."
"Non ho bisogno di aiuto! Non ho bisogno di te" aveva quasi gridato Crowley.
"No certo. Non hai bisogno di me. Ma di aiuto sì. E non ti permetterò di rifiutarlo, perché puoi anche odiarmi, puoi pensare tutto quello che vuoi, ma non ti lascerò qui nella merda, mi hai capito?".
Aziraphale aveva parlato con un tono di voce violento, furioso. Di certo non aveva mai detto una parolaccia di fronte a lui.
Per lungo tempo rimasero entrambi in silenzio.
"Ora mettiti giù. Non vuoi chiamare i soccorsi? Va bene. Ma ti aiuterò a scendere, e poi ti porterò in un ospedale. E poi uscirò dalla tua vita, per sempre".
Crowley non gli rispose. Si appoggiò con la schiena al muro, gemendo di dolore.
(dio se odiava essere così vulnerabile)
Si addormentò quasi subito.
***
Fu una discesa complicata ed estremamente faticosa.
Erano partiti alle prime luci del giorno, subito dopo che Aziraphale gli aveva fasciato stretta la caviglia dolente con una benda trovata nel kit di soccorso del bivacco.
Aziraphale non lasciò mai il suo fianco, nemmeno per un attimo. Gli tenne la mano, guidò i suoi piedi nei punti più complicati, lo tenne su quasi di peso quando, verso la fine della strada, non ce la faceva proprio più.
E Crowley avrebbe voluto avere qualcosa da recriminargli, ma in quel frangente era stato proprio perfetto, e doveva ammettere con sé stesso che se non ci fosse stato se la sarebbe proprio vista brutta. Il contatto con il suo corpo lo accendeva sempre, nonostante tutto. Il calore che emanava era lo stesso, così come l'odore della sua pelle. Crowley non era tipo da dimenticare cose del genere. Aziraphale lo aveva tatuato addosso, sulla pelle e sotto di essa. Come se una parte della sua essenza fosse dentro di lui. Ci sarebbe stata per sempre.
Quando Crowley si sedette in macchina a fianco di Aziraphale si accasciò totalmente sul sedile, spossato. Lui non aveva quasi parlato durante tutto il percorso, se non per pochissime parole per dargli qualche indicazione, o chiedergli se aveva bisogno di una pausa. Non aveva cercato nessun dialogo, e Crowley gliene era estremamente grato, suo malgrado. Non sarebbe mai riuscito ad affrontarlo in quel momento.
Si addormentò con la testa appoggiata al finestrino, e non vide Aziraphale che gli rincalzava attorno la sua giacca a vento per tenerlo al caldo.
Si svegliò a un certo punto, e Aziraphale non se ne accorse, o magari fece finta di nulla. Il finestrino dal suo lato era aperto, e l'aria fresca entrava e gli scompigliava i capelli. E Crowley capì in quel memento che le cose sarebbero cambiate. Aziraphale era lì, era venuto lì per lui.
Crowley sapeva di amarlo, di non aver smesso nemmeno per un singolo attimo, nonostante la rabbia e il dolore. E forse, forse, anche Aziraphale lo ricambiava.
(e tu sei lì in silenzio, concentrato sulla strada. Ti vedo anche tra le ciglia, anche se faccio finta di dormire. Ti guardo perché sei l'amore della mia vita, e niente di quello che ho provato prima si avvicina anche solo lontanamente a quello che provo adesso, in questo preciso istante, per te. E quello che ho sentito da subito, non appena ti ho visto con l'aria sperduta su quella strada di montagna, tanti mesi fa. Non andrà bene, non subito. C'è ancora tanto da capire, tanto di cui parlare, e ancora tanta rabbia. Avrò bisogno di tempo, Aziraphale, tempo per rimettermi, tempo per curare queste ferite che mi hai lasciato addosso. E non ti prometto che non rimarranno delle cicatrici, che non ci saranno dolori nei giorni di pioggia. Ma se resterai accanto a me lo farò anche io. Non scapperò mai più e cercherò di comprendere le tue ragioni, se tu ascolterai le mie.
Ti guardo, e vedo il tuo profilo splendido e perfetto, che si staglia sullo sfondo delle mie montagne, vedo il tuo naso e la tua bocca, la curva un po' morbida del tuo mento, i capelli chiari e soffici che ti si arricciano dietro le orecchie. Mai nessuno mi è sembrato più bello di te quando ti ho visto arrivare, ieri sera. Non solo perché mi hai salvato, no, ma perché i miei occhi erano rimasti vuoti dei colori del mondo, e me li hai riportati. Mi ero quasi abituato a vedere tutto distante e sbiadito. Tu rifulgi di luce. Sei davvero un angelo. Il mio angelo)
Aziraphale si era voltato verso di lui e Crowley aveva distolto lo sguardo, imbarazzato. Non voleva dargliela vinta, non ancora. Non poteva cedere proprio subito.
Non mancava più molta strada per l'ospedale. Crowley sapeva che lo stava portando lì. Ormai si erano lasciati le cime più alte alle spalle. Avevano da poco attraversato il Tagliamento e Crowley aveva guardato con desiderio la strada che portava a Venzone e poi, più in là, a casa sua sulle pendici del Plauris. Ancora non aveva detto nulla, perché comunque Aziraphale non lo avrebbe lasciato stare fino a che non si fosse fatto vedere da un medico. Si chiese come avrebbe fatto se gli avessero ingessato il piede oltre che il braccio.
(resterai con me, se avrò bisogno di te? Mi aiuterai? Mi starai vicino?)
Non voleva pensarci adesso.
Ci avrebbe pensato dopo, se fosse successo.
Per ora era ancora in macchina con Aziraphale. Gli sembrava quasi che quei lunghi mesi di silenzio e solitudine fossero stati solo un brutto sogno, e che lui fosse sempre rimasto al suo fianco. Ora che il sole era luminoso e l'aria fresca come nelle prime settimane della primavera dello scorso anno, quando ancora era tutto in potenza, e non si erano ancora fatti male, e tutto era bello ed elettrizante e pieno di voglia di scoprirsi.
E in fondo non erano loro due le stesse persone?
E non era lo stesso il vento che gli sfiorava i capelli? E la voce che lo chiamava, adesso, non era un'eco di quella che aveva sentito tante e tante volte quando erano stati insieme e avevano parlato di tutto e di niente? Non era la stessa che aveva sentito rotta di piacere?
E se la pelle era un po' diversa, di certo non lo era la sua anima.
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