Capitolo 15
Aziraphale, 21 Gennaio 2023, ore 09:15
Svegliarsi con il dolce peso di Crowley sulla spalla era stato meraviglioso, quel freddo mattino di Gennaio. Si sentiva così rilassato, così felice. L'ultimo mese era stato in assoluto il migliore della sua vita.
Le sue relazioni, se proprio lui avesse voluto azzardarsi a chiamarle tali, erano tutte state solo meri strascichi di una notte di sesso, e non avevano mai preso davvero il via. Non c'era mai stata l'attesa, il desiderio iniziale, l'emozione dell'incontro. Non c'era mai stata una separazione particolarmente sofferta, nè una riappacificazione così agognata.
Crowley era unico.
Così come unica era stata quella notte.
Come quasi chiunque al mondo, Aziraphale aveva avuto svariati rapporti sessuali in precedenza, ma non aveva mai pensato di chiamarli in modo diverso da quello. Per la prima volta sentiva che quelle parole non gli bastavano. Nonostante non avesse mai pensato a sé stesso come ad un romantico, come altro definire quello che era successo tra lui e Crowley se non "fare l'amore"?
Era strano come da giovane avesse desiderato disperatamente di essere amato e di provare i sentimenti che provava adesso, mentre nel presente era così tanto abituato ad altro che tutte quelle emozioni gli sembravano soverchianti e faceva fatica ad accettarle.
Proprio per questo però aveva bisogno di mettere più distanza possibile tra il passato e il presente, tra tutta la sporcizia che si era sentito addosso da ragazzo e la bellezza e la purezza di quel rapporto. Le definizioni erano importanti. Da giovane aveva avuto un momento di epifania quando si era finalmente identificato come omosessuale, e aveva trovato la pace in quel gesto di autodeterminazione, per quanto non lo avesse poi mai esternato con nessun altro che con Maggie. Aziraphale era profondamente introverso e riflessivo, ed era stato importantissimo per lui dare un nome a una parte di sé che fino a quel momento non ne aveva avuto uno.
E così doveva anche accettare che c'era una immensa differenza tra il sesso degli anni universitari e quello che aveva fatto la notte precedente. Con la maturità Aziraphale aveva cercato di ridurre mentalmente ognuna delle sue pulsioni a processi chimici del suo corpo, e aveva lasciato tutto quello che riguardava l'amore romantico ai libri che leggeva, fantasticando a volte che in un universo parallelo quello sarebbe forse potuto succedere anche a lui.
Eppure era lì, nudo tra le lenzuola calde, a guardare teneramente l'uomo ancora addormentato al suo fianco. Sentiva il suo odore, misto a quello del sesso che ancora era attaccato alla sua pelle. Era lì a carezzare i suoi capelli tanto belli, nonostante fossero arruffati e annodati. Ricordò un'alba di molti mesi prima - sembrava quasi una vita fa - quando in cima al Montasio, dopo aver dormito in un bivacco montano, l'alba li aveva sfiorati accendendoli di un rosso impossibile, e lui era rimasto a guardarlo a bocca aperta, quasi commosso che esistesse una bellezza tale al mondo.
Crowley respirava piano accanto a lui.
Aveva le spalle scoperte, e Aziraphale poteva vedere la spruzzata di lentiggini che le decorava. Ne aveva anche sul naso, sugli zigomi appuntiti, qualcuna sulla fronte. Meno dell'estate passata, ma comunque erano lì a ricordargli i lunghi giorni di sole e di vento, mentre camminavano sulle loro montagne.
Lo prese una profonda nostalgia di quei giorni. Non avrebbe scambiato il suo presente con niente altro al mondo, ma quei mesi in Italia erano stati una sorta di età dell'oro, fatti di meraviglia e scoperta e desiderio e attesa, e di godimento puro e semplice della natura, e di stomaci aggrovigliati di emozioni. Era stato un periodo magico in cui aveva seminato, incoscientemente, sulla terra nuda e rocciosa delle Alpi Friulane, e dopo aver perso la speranza che qualcosa potesse nascere, ecco che era germogliato un giardino intero. Crowley era un fiore nascosto, raro e prezioso, che Aziraphale non avrebbe mai sognato nemmeno potesse esistere.
Scosse la testa.
Che fosse un po' un rammollito, fisicamente parlando, lo aveva sempre pensato, ma si era sempre fregiato del suo intelletto e della sua razionalità. A quanto pareva, bastava solo conoscere la persona giusta e il raziocinio andava a farsi benedire, per lasciare posto a pensieri sdolcinati e sorrisi da ebete. Probabilmente Crowley non si rendeva conto di quanto effettivamente lo avesse cambiato. Prima c'erano stati tutti quei mesi in Italia, mesi passati all'aria aperta, che lo avevano riportato in qualche modo all'infanzia, quando giocava nel cortile della scuola o nel grande giardino della tenuta di famiglia in Galles, e aveva le ginocchia sbucciate e le guance rosse di vento e di felicità, e ora c'erano questi sentimenti nuovi e potenti, intensissimi e allo stesso tempo delicati, che lo scuotevano e lo riempivano fino all'orlo. Si sentiva traboccante di gioia e bellezza, e per la prima volta da che ricordava, aveva desiderio di gridare al mondo intero quanto fosse felice. Non era da lui, sicuramente.
Era un sabato mattina, quel 21 di Gennaio, e tutti i sabati c'era una cena in famiglia. I suoi fratelli e sorelle maggiori presenziavano spesso: Gabriel e Michelle e persino Uriel e Saraquel andavano quasi ogni settimana. Aziraphale non andava quasi mai invece. Non aveva mai molto piacere nel vedere nessun membro della sua famiglia, fatta eccezione per una delle sue nipoti, figlia di Saraquel, che gli ricordava fin troppo sé stesso quando era ragazzo. Muriel era l'adolescente più delicata ed ingenua che avesse conosciuto, ed era per amor suo che Aziraphale andava di tanto in tanto a quelle cene orribili. Saraquel l'aveva educata con la stessa rigidità con cui i loro genitori li avevano trattati, eppure lei era rimasta fresca e sorridente, mai cupa. Di sicuro era la sua nipote preferita. Gabriel ad esempio aveva due figli maschi, uno più borioso ed insopportabile dell'altro, che avevano sempre preso in giro la cugina più giovane. Aziraphale li aveva ripresi più e più volte quando se ne era accorto, ricevendo in cambio smorfie quando erano solo dei bambini e occhiate di sfida e disprezzo quando erano cresciuti abbastanza da essere alti come lui.
I suoi fratelli e le sue sorelle portavano sempre i propri partner e la prole a quelle riunioni. Aziraphale era andato sempre da solo. In qualche occasione i suoi genitori avevano invitato amici con figli per fargli conoscere qualche ragazza approvata da loro, in modo da aiutarlo ad accasarsi. Ricordò quel periodo con un vago disagio: per fortuna sembrava che i suoi si fossero rassegnati a considerarlo un fallimento anche sotto quel punto di vista. In fondo tutti e quattro gli altri figli erano sposati e con delle belle carriere, potevano anche permettersi un insuccesso come Aziraphale.
Quella mattina Aziraphale si sentiva così ubriaco di felicità che desiderò davvero di dirlo a chiunque. Voleva dire di Crowley alla sua famiglia. Un po' perché era felice come non mai, e voleva che sapessero che lui amava ed era amato a sua volta. E poi, se doveva essere del tutto sincero con sé stesso, un po' anche perché voleva sfoggiare, in qualche modo, quella gioia che fino a quel momento gli era stata negata. Che forse lui stesso si era negato. Forse non era esattamente una cosa corretta da fare, ma in quel momento non aveva davvero voglia di pensarci. Per una volta nella vita voleva pensare a sé stesso. Avrebbe vestito Crowley di oro e pietre preziose, e lo avrebbe portato al suo braccio a casa dei genitori, li avrebbe stupiti e scandalizzati quel tanto che bastava per fargli assumere quello sguardo acido e rinsecchito che gli avevano riservato ogni volta gli aveva parlato delle sue scelte (ad esempio quando aveva deciso di iscriversi alla facoltà di Geologia invece che a quella di Giurisprudenza), e poi sarebbe andato via sapendo che per la prima volta da quando era un bambino si era comportato in modo del tutto sincero davanti a loro. Ad ogni modo loro non avrebbero mai avuto il coraggio di essere apertamente sgarbati né con lui né con Crowley, perché erano troppo formali per scadere in un comportamento simile.
Per una volta, Aziraphale poteva prendersi la sua piccola rivincita.
Naturalmente avrebbe chiesto a Crowley se se la sentiva, prima di annunciare la sua presenza.
Non stava nella pelle dal desiderio di domandarglielo.
Era talmente emozionato che non riusciva a stare fermo nel letto, quindi cercò di sbrogliarsi dall'abbraccio di Crowley e andare a preparare la colazione, ma lui lo strinse di più e gli strusciò il viso sulla spalla, quasi come un'animale in cerca di attenzioni.
"Mmmh" disse.
"Crowley, mio caro, ti ho svegliato?".
"Mhhhh".
"Perdonami".
"Mhhhhh angelo, shhhhh".
Lo strinse ancora. Aziraphale sentì a quel contatto il sangue iniziare a scorrere più veloce, ma aveva troppa urgenza di chiedere a Crowley se se la sentisse di andare con lui dalla sua famiglia quella sera.
"Mio caro" lo baciò dolcemente sulla fronte "sei sveglio abbastanza perché io ti possa chiedere una cosa?".
"Mmmh. Ho ancora voglia di te" gli disse, piano.
"Tesoro. Anche io ho voglia di te". E ne aveva. Il desiderio aveva ripreso ad accumularsi nei suoi lombi, e immagini della notte precedente gli affollavano i pensieri.
"Volevo chiederti una cosa però, prima".
"... dopo".
Gli si strusciò addosso, premendo la sua erezione sul fianco di Aziraphale.
"Crowley, se fai così perderò il filo e..."
"Appunto". Si strusciò ancora. Più insistentemente.
Ci volle tutto il coraggio di Aziraphale, per pronunciare la frase che seguì.
"Se te la senti, vorrei portarti a cena dai miei, questa sera".
Ecco, l'aveva detto.
"Se dico di sì mi scoperai fino a farmi dimenticare il mio stesso nome?".
"Santo cielo, Crowley, non riesci a pensare ad altro quindi la mattina?" ridacchiò Aziraphale.
"Non se ci sei tu qui nel letto con me".
"Farò quello che posso allora, solo se non ti farai problemi a dirmi di no se non hai voglia di vedere la mia famiglia. Lo capirei e..."
"Ok angelo, parliamone" aveva detto Crowley, alzandosi su un gomito e guardandolo finalmente negli occhi.
"Probabilmente, da quello che mi hai detto, sembrano essere una massa di stronzi con un palo su per il culo, ma è la tua famiglia, e se gli vuoi bene lo capisco. Se vuoi, verrò con te da loro. Mi basta stare con te per stare bene".
Lo aveva guardato con gli occhi dorati spalancati, le sopracciglia arcuate ed un'espressione serissima in volto.
Aziraphale aveva sentito il cuore di nuovo gonfiarsi di gioia. Non meritava quell'uomo meraviglioso. Gli sorrise e poi lo tirò a sè per baciarlo.
"Ora, se abbiamo finito con le pratiche noiose..." aveva ghignato Crowley direttamente sulle sue labbra.
"Sei terribile. Un pericolo pubblico. Non so davvero perché sto ancora qui a sentirti" aveva risposto Aziraphale, cercando di impostare un tono severo. Ovviamente senza alcun successo. Era troppo felice.
"Mhh. Lascia che ti mostri perché sei qui".
Accompagnò le parole con una lunga ondulazione del corpo, che ad Aziraphale ricordò il movimento di una danzatrice del ventre. O di un serpente, per quanto ne sapeva.
"Mi sembra abbastanza convincente" riuscì a dire.
"Solo abbastanza? Vuol dire che dovrò migliorare".
Si infilò sotto alle coperte, scendendo con una scia di baci lungo il suo ventre.
Aziraphale tirò la testa indietro stringendo i pugni sulle lenzuola, e poco dopo nella camera da letto si sentirono solo i suoi gemiti.
21 Gennaio 2023, ore 11:00
Un paio di ore dopo, Aziraphale aveva telefonato ai suoi genitori e aveva parlato con sua madre, la quale aveva accolto la notizia della sua presenza con una fredda contentezza, e il fatto che non sarebbe venuto da solo con una malcelata sorpresa. A quanto pareva, a parte Uriel gli altri fratelli sarebbero stati presenti.
Aziraphale aveva avuto un'altra idea luminosa. Una sorpresa per Crowley.
Aveva spiegato cosa desiderava e poi aveva chiesto a sua madre se poteva organizzare lei la cosa.
"Naturalmente, figlio. Farò il possibile" aveva risposto lei, con il solito tono compassato. Non aveva aggiunto altro, e anche se Aziraphale moriva dalla voglia di sapere cosa le passasse per la mente, la salutò dandole appuntamento a quella sera.
21 Gennaio 2023, ore 12:30
Aveva portato Crowley a pranzo fuori.
Avevano passeggiato in un piccolo parco nei pressi della casa di Aziraphale, tenendosi per mano, e si erano seduti su di una panchina sulla riva del laghetto. Avevano guardato insieme le anatre, con le penne arruffate dal freddo.
"La prossima volta gli porteremo i piselli surgelati" promise Aziraphale.
21 Gennaio 2023, ore 17:00
Con il passare delle ore Aziraphale si fece più nervoso. L'idea di vedere la sua famiglia non era mai stata un pensiero rilassante, e il fatto di andarci con Crowley non gli sembrava più la migliore delle idee. Non perché se ne vergognasse, anzi, ne era più che orgoglioso, ma perché in qualche modo riuscivano a farlo sentire sempre in difetto. Ormai però era cosa fatta, e non poteva più tirarsi indietro. Inoltre, la madre gli aveva mandato un messaggio per dirgli che era riuscita a fare quello che le aveva chiesto, quindi a maggior ragione non poteva proprio cambiare piani.
Crowley sembrava tranquillissimo invece. Era seduto in una di quelle solite posizioni assurde su una delle sue poltroncine, una gamba su un bracciolo e l'altra stesa, la schiena piegata come se di vertebre ne avesse avute una sessantina, invece che trentatré come qualunque altro essere umano. Giocherellava con il cellulare, che teneva tra le sue dita lunghe ed eleganti.
"Caro, non vuoi vestirti?".
"Sono appena le cinque, non abbiamo appuntamento alle sei e mezza a casa dei tuoi?".
"Sì, naturalmente, è che..."
"Lo vedo che sei nervoso, e prometto che non ti farò arrivare in ritardo. Ho solo una giacca con me, e il maglione a collo alto. Niente di più elegante. A meno che tu non pensi che possa indossare quello che avevo ieri sera" concluse, con un sorrisetto allusivo.
"Forse no, caro, lasciamolo per il Ritz".
Dopo una decina di minuti, che Aziraphale aveva trascorso in piedi a spostare libri che erano già in ordine, Crowley si era alzato e aveva preso la giacca.
"Andiamo allora, anche se arriveremo sicuramente in anticipo".
Aziraphale gli sorrise, grato.
Sperava con tutto il suo cuore che quella serata sarebbe strata perfetta. Glielo doveva. Sarebbe andato a prendere la luna per metterla ai suoi piedi, se solo avesse saputo come fare. E anche se non poteva raggiungere la luna, sperava che quella serata sarebbe riuscita a riappacificarlo, almeno in parte, con il mondo.
21 Gennaio 2023, ore 18:00
La residenza dei Signori Fell era una di quelle tipiche, splendide case vittoriane di South Kensington. Una piccola siepe a delimitarne l'area dove sorgeva, muri bianchi candidi, ringhiere nere lungo la piccola scalinata che saliva verso la porta, anch'essa nera. Un piccolo portico con colonnine che reggeva una balconata al di sopra di esso. Infissi e decori bianchi su muri che dal primo piano in sù diventavano di mattoncini rossastri. Antica, classica, pomposa.
Crowley la guardò senza emettere un singolo fiato. Stirò solo appena le labbra.
Aziraphale si sarebbe aspettato un apprezzamento, ma Crowley rimase in silenzio, con un'espressione indecifrabile sul viso.
Scesero dal taxi e Aziraphale guardò l'orologio con lieve costernazione: come aveva predetto Crowley erano arrivati in anticipo, dato che erano solo le sei del pomeriggio. Poi spostò gli occhi su Crowley, che era ancora appoggiato con il braccio sul taxi. Probabilemte aveva appena pagato, senza che lui nemmeno se ne rendesse conto. Gli rivolse un piccolo ghigno, scuotendo la testa. Era chiaro che il sottotesto fosse un "te l'avevo detto", ma Aziraphale lo ignorò. Per buona regola personale arrivava sempre in anticipo sugli appuntamenti.
Salirono quindi le scalette, e Aziraphale suonò il campanello.
A quel punto aveva oramai il cuore in gola e sentiva i palmi delle mani sudati, nonostante il gran freddo di gennaio. Si chiese chi sarebbe sceso ad aprire.
Un attimo dopo, la luce calda dell'ingresso si fece spazio tra quella fredda e bluastra del tardo pomeriggio. Sua madre era in piedi sull'uscio, con un'espressione che per un attimo ad Aziraphale sembrò di vago disprezzo, e che si trasformò immediatamente in un sorriso cortese ma non realmente caloroso. Le si avvicinò per baciarle le guance, sentendole tiepide contro le sue. Lei si spostò per farli entrare.
"Mamma, questo è Anthony Crowley" disse poi, con un lieve imbarazzo.
"È un piacere, signora Fell" aveva detto lui, porgendole la mano.
Lei sembrò esitare per una frazione di secondo, poi la prese con la punta delle dita e la strinse appena.
"Piacere, signor Crowley".
Probabilmente le presentazioni con sua madre erano sempre fredde e distanti come quella, ma Aziraphale fece un po' di fatica a scrollarsi di dosso il gelo che gli era sceso lungo la schiena. Non riusciva bene a rendersi conto della reazione di Crowley, perché da quando erano arrivati lui non aveva più parlato - a parte salutare sua madre - ed era rimasto con indosso gli occhiali da sole, mascherando quindi la sua espressione. Sapeva che per lui erano una sorta di protezione, oltre che avere lo scopo di evitare troppi sguardi a causa del colore così inusuale, però nel profondo di sé Aziraphale aveva un desiderio quasi soverchiante di chiedergli di toglierli. Perché voleva vederlo in viso, capire cosa pensasse. E poi perché in effetti non stava bene tenerli dentro casa. Si vergognò di questo pensiero, ma non riusciva assolutamente ad evitarlo. Era maleducazione. La sua famiglia non accettava la gente maleducata. Aveva paura che qualcuno avrebbe fatto qualche commento salace ai suoi riguardi.
Non riuscì a trattenersi e si voltò verso di lui, prima di entrare nel salone dove evidentemente stavano servendo l'aperitivo, e gli sibilò "gli occhiali, Crowley". Lui trasalì al suo tono concitato, poi se li tolse e li ripiegò nel taschino della giacca senza fiatare.
Crowley gli sorrise, ma aveva gli occhi tristi e le spalle curve. Sembrava quasi un'altra persona, rispetto all'uomo che aveva giocato con lui quella mattina tra le lenzuola. Aziraphale iniziò a pentirsi di quello che gli aveva detto, e del fatto di avergli chiesto di andare a quella maledetta cena. Non avrebbe nemmeno dovuto pensarci. Era stato un cretino e un illuso, se aveva pensato anche solo per un attimo che quella potesse essere una buona idea. Almeno avrebbe dovuto ripensarci nel pomeriggio, inventarsi una scusa. I suoi genitori, e soprattutto sua madre, gliel'avrebbero fatta scontare per qualche mese con un'atteggiamento ancor più freddo e distaccato del solito, ma lui avrebbe potuto gestirla.
Invece non aveva idea di come fare con Crowley, che rifulgeva come un astro solitario in un angolo della sala senza che nessuno se ne accorgesse, senza che nessuno gli rivolgesse uno sguardo che non fosse di quelli che si riservano ai fenomeni da baraccone, agli storpi e ai deformi. Non lo vedevano. Non lo capivano. Non andavano oltre ai suoi occhi castani troppo chiari e diseguali, non riuscivano a comprendere perché avesse i capelli tanto rossi da sembrare quelli di una puttana di un postribolo, non potevano afferrare la sua natura di fuoco, perché tutti quelli che erano lì erano vuoti involucri di ghiaccio.
Gabriel, che lo aveva salutato invece con più calore del solito, stava parlando con loro padre. Si voltò e lo guardò con compassione. Come se, per qualche strano motivo, capisse cosa provava.
Aziraphale voleva disperatamente che quella serata andasse bene, perché, si rese conto solo in quel momento, desiderava ancora l'approvazione della famiglia. Credeva di essersi liberato di quel giogo, ma non era del tutto vero. Voleva poter parlare con sua madre come stava facendo Michelle, e voleva che suo padre riuscisse a posare gli occhi su di lui senza che sentisse la necessità di distoglierli subito dopo. Voleva che Gabriel lo trattasse come suo pari. Voleva che gli permettessero di vedere Muriel al di fuori da quelle riunioni, e senza la solita supervisione di Saraquel e della loro madre, come se lui potesse corromperla in chissà quale modo.
Aziraphale non aveva mai ripudiato la sua famiglia, e ancora inconsciamente guardava loro come a qualcosa di desiderabile. In fondo, appunto, era la sua famiglia. Facevano parte dell'alta società di Londra, non erano persone... comuni. Erano migliori.
E Crowley era così speciale che loro avrebbero dovuto capirlo. Avrebbero dovuto riconoscerlo come loro pari.
Aziraphale era l'uomo più fortunato del mondo. Perché era lì con lui.
Gli camminò incontro, dimentico per un attimo di tutto il contorno.
Quando vide che lo guardava, si sentì invaso dall'amore che provava per lui. Lo amava, ora lo sapeva, e voleva dirglielo. Voleva sussurrarglielo in quel momento e dirglielo di nuovo quella notte, quando avrebbero fatto di nuovo l'amore. Voleva andare da lui e prendergli la mano, e far vedere a tutti che coppia splendida erano.
Crowley gli sorrise di rimando, ma poi gli si gelò il volto.
La sua espressione si trasformò in orrore, e poi rabbia. L'intero viso era stravolto da un sentimento di odio così profondo e infuocato che Aziraphale si immobilizzò, spaventato. Non era così, il Crowley che conosceva. Non era lui.
Si rese conto che però il suo sguardo andava oltre lui, proseguiva alle sue spalle. Si voltò di colpo, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Un uomo magro e con i capelli bianchi, dal volto ossuto e raggrinzito, sorrideva con occhi crudeli verso Crowley.
"Anthony. Dopo tanti anni torni all'ovile, a quanto pare. Il figliol prodigo, proprio come quella parabola che raccontava tua madre, prima di morire".
Il tono era mellifuo e velenoso, con un pesante accento scozzese.
Crowley emise una sorta di ringhio verso di lui invece di rispondere, e poi guardò Aziraphale con un'espressione che lo avrebbe tormentato per sempre. Sembrava avere il cuore spezzato.
Annuì lentamente, stringendo le labbra, e poi uscì dal salone senza dire un'altra parola.
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