Capitolo 1
Aprile 2023 - Crowley
Presto avrebbe dovuto tornare a lavorare. Crowley non aveva la minima idea di come avrebbe potuto ricominciare a vedere gente. Negli ultimi mesi era diventato l'ombra di se stesso. Era uscito il minimo indispensabile. Aveva mangiato il minimo indispensabile. Aveva bevuto molto più dell'indispensabile.
Era passato dal dolore alla rabbia, e poi di nuovo al dolore.
Perché Crowley aveva amato con tutto sé stesso, e non era bastato.
Perché quelli come lui non erano mai abbastanza.
(che tu sia maledetto, Crowley. Innamorarti così, a quarant'anni.
Idiota)
***
Marzo 2022 - Crowley
Probabilmente avrebbe piovuto, ma non era poi così importante. Sapeva dove doveva andare, conosceva il sentiero meglio di chiunque altro.
L'uomo sul sentiero aveva dei capelli che sembravano soffici come i pappi di un soffione, che in montagna, in quel periodo dell'anno, spuntavano un po' ovunque. Lo aveva salutato, come faceva sempre quando era in cammino, e lo straniero gli era sembrato un po' perso, come se non sapesse esattamente cosa fare. Crowley aveva proseguito per qualche minuto, pensando se fosse il caso di fermarsi e tornare indietro per dargli una mano, casomai ne avesse avuto bisogno. Poi si era sentito chiamare, e la sua vita si era trovata per un attimo in una di quelle situazioni che si vedono solo nelle commedie romantiche, come quell'accidenti di film con Gwyneth Paltrow, quello in cui le porte della metro si chiudono e tutto il corso delle cose si modifica per quel motivo. Perché non era riuscita a prendere quella cazzo di metro.
Non poteva saperlo in quel momento, anche se forse avrebbe potuto immaginarlo.
Gli occhi di quell'uomo erano i più puri e trasparenti che avesse mai visto. Il sorriso che gli aveva rivolto era il più aperto e radioso che potesse esistere. Sembrava un essere quasi ultraterreno.
Crowley non poteva saperlo, ma le porte del suo stupido treno immaginario si erano chiuse davanti a lui, perché si era fermato sul sentiero del rifugio a parlare con una persona che non conosceva ancora.
E quindi, da quel momento in poi, tutto sarebbe stato diverso.
***
Marzo 2022 - Aziraphale
Quando si era iscritto alla facoltà di Geologia aveva pensato molto di più ai misteri che si nascondevano sotto la crosta terrestre, più che ad andare effettivamente in montagna per fare rilevamento dati.
C'erano state le escursioni dell'università, questo sì, ma appena aveva potuto aveva scelto di rintanarsi nelle biblioteche a studiare. Non che non gli piacesse andare in montagna, per carità, ma c'era sempre troppo da camminare. C'erano insetti a non finire, poteva fare troppo caldo o troppo freddo, poteva piovere oppure esserci troppo sole. Ad ogni modo, lui aveva sempre preferito gli ambienti protetti e confortevoli, in cui sapeva sempre dove trovare tutto.
Andare in montagna lo sottoponeva a un qualcosa di selvaggio ed incontrollabile, e lui non si sentiva mai a suo agio.
Ultimo figlio di una lunga dinastia di studiosi, Ezra Fell aveva scelto degli studi che tutti in famiglia avevano reputato poco seri, ma che nessuno si era preoccupato davvero di impedirgli. Avevano blandamente disapprovato la sua scelta, preferendo altre materie considerate più "pure" - medicina, fisica, legge, perfino letteratura - ma lasciandolo in sostanza andare per la sua strada. In fondo era solo un ultimo figlio, e tutti gli altri fratelli e sorelle maggiori già eccellevano nelle professioni che si erano scelti.
Nella sua famiglia i rapporti erano generalmente cortesi, ma distaccati e anaffettivi. Il padre e la madre si erano sposati molto giovani, con una sorta di matrimonio combinato tra famiglie ricche ed influenti. L'ordine e l'educazione a casa Fell venivano sempre rispettati: pochissime - se non alcuna - concessioni erano state accordate, ma anche pochissime punizioni, perché ognuno di loro conosceva il proprio dovere e le proprie responsabilità fin dalla prima infanzia.
L'unica cosa che contraddistingueva Ezra dagli altri fratelli (a parte l'ovvia propensione per studi puerili, come spesso gli avevano detto) era che nessuno lo aveva mai chiamato con il nome di battesimo, ma solo con un nomignolo nato per caso, nessuno ricordava mai più come: Aziraphale. Una sorta di contrazione tra nome e cognome, forse dovuto ad una storpiatura fatta da lui stesso quando ancora stava imparando a parlare. I suoi fratelli e sorelle avevano tutti nomi legati alla tradizione biblica, e quindi il nomignolo era rimasto così com'era.
Aziraphale - l'unico nome con cui parlava di se stesso ormai - pensava di essere contento, raggiunti i quarant'anni. Aveva vissuto una vita tranquilla fino a quel momento: non gli era mai mancato nulla, a parte il calore di una famiglia davvero unita. A volte, quando era più piccolo, aveva provato invidia per i suoi compagni di scuola e aveva desiderato essere abbracciato dalla madre, o lodato per un compito andato particolarmente bene. Quando niente di tutto questo era mai arrivato alla fine si era abituato, ed aveva ricacciato questi bisogni da qualche parte in fondo al suo cuore, in luoghi ben nascosti che riaffioravano solo di tanto in tanto, quando Aziraphale abbassava le difese. Quindi praticamente mai. Troppo pericolosi e incontrollati, rimanevano parte di quei desideri pigri e oziosi che era sicuro non si sarebbero mai avverati. Aziraphale si era abituato ad una vita solitaria, con abitudini da quacchero. Godeva del cibo, della lettura, della buona musica.
Ma soprattutto di quello che aveva scelto come carriera. Aveva fatto fluire tutta la passione che risiedeva in lui nello studio delle scienze della terra, appassionandosi via via sempre di più ad ogni esame che si lasciava alle spalle.
La sua era una materia per sognatori: i geologi osservano, disegnano, deducono, ricostruiscono mondi del passato guardando soltanto il taglio di una montagna. Ascoltano le eco dei terremoti, analizzano dati, usano algoritmi per creare immagini dai suoni. E vanno in profondità. Scendono fino nel centro della terra senza andarci mai davvero, solo con la loro intuizione. Spinti solo dalla passione, dal desiderio di comprendere com'è fatto il mondo, com'è nata la Terra, come si è evoluta e com'è cambiata da quando era solo un ammasso di rocce nello spazio.
Aziraphale aveva studiato con passione la chimica e la fisica, che gli avevano dato gli strumenti per comprendere quelle che per lui erano materie molto più complesse ed affascinanti: dallo studio della formazione dei cristalli alla geodinamica, la meraviglia delle eruzioni vulcaniche e la terrificante potenza dei terremoti. La sua discussione di laurea - e il suo dottorato a seguire - erano stati per lui un momento di trionfo. La famiglia, presente a quegli eventi, lo aveva guardato come si guarda un anatroccolo che mette le piume da adulto: un successo senz'altro, ma scontato e naturale, per cui nessuna celebrazione era necessaria.
In quel preciso momento però, Aziraphale aveva quasi iniziato a rimpiangere le sue scelte di vita.
Si trovava in Friuli, una piccola regione del nord-est dell'Italia, e non riusciva nemmeno a chiedere indicazioni per il punto dove voleva recarsi. Ovviamente avrebbe potuto usare Google Maps, se solo si fosse ricordato di caricare il cellulare. Purtroppo, per quanto Aziraphale fosse eccellente quando si trattava di lavorare a quello che gli interessava, era tremendamente sbadato per tutto il resto. Poteva restare immerso nella lettura per ore intere, a volte anche per tutta la notte, salvo poi dimenticare che aveva lasciato il té sul fuoco, o magari che avrebbe dovuto fare una telefonata a qualcuno, o chissà cosa.
Semplicemente, tutto ciò che per lui era triviale e mondano aveva pochissima presa, ed Aziraphale lo relegava all'ultimo posto delle sue liste di cose da fare. Il suo taccuino ne era pieno. Pochissime erano spuntate come effettivamente "fatte".
Aveva scelto di andare in Italia lui stesso, piuttosto che collaborare con altri ricercatori e lasciare a loro il compito di raccogliere dati,perché si era particolarmente appassionato della storia del disastroso terremoto avvenuto in Friuli pochi anni prima che nascesse. E poi, beh, non aveva trovato nessuno che lo accompagnasse, anche perché i fondi non gli erano sufficienti.
Poteva fare benissimo da solo.
Doveva soltanto far ripartire la macchina, che a quanto pare aveva deciso di fermarsi proprio in quel momento, nel bel mezzo del... niente. Una stradina sterrata che non era nemmeno certo fosse segnata sulla sua cartina. Forse si era dimenticato di fare benzina? Forse quella spia che si era accesa un paio di ore prima avrebbe dovuto insospettirlo.
Il Pandino giallo 4x4 che aveva affittato non accennava a muoversi. Aziraphale uscì dalla vettura, chiedendosi se valeva la pena aprire il cofano. Non aveva realmente idea di cosa fare, ma sembrava sciocco non provarci nemmeno. Guardò il motore con sospetto. Ovviamente conosceva il principio di funzionamento, ma non si era mai nemmeno sognato di metterci le mani. Era un geologo, certo non un ingegnere, che dio ce ne scampi!
Aziraphale si appoggiò pesantemente con la schiena allo sportello della macchina.
Probabilmente aveva sopravvalutato la sua capacità di cavarsela.
Restò immobile per una manciata di minuti, pensando sul da farsi. Avrebbe dovuto camminare fino al primo distributore di benzina, comprare una tanica e riempirla di carburante, tornare indietro. Magari sarebbe stato abbastanza fortunato da farsi dare un passaggio. Non c'erano altre soluzioni. Purtroppo non sapeva la direzione, ma in qualche modo ce l'avrebbe fatta, o almeno così sperava.
Rovistò nel portabagagli per tirare fuori il suo zaino, e poi si incamminò lentamente sulla sterrata, per avvicinarsi alla strada asfaltata dove sicuramente avrebbe trovato aiuto.
Aveva camminato una buona mezz'ora, quando incrociò qualcuno che andava nella direzione opposta alla sua.
Era un uomo più o meno della sua stessa età - circa quarant'anni, forse qualcosa di più, forse qualcosa di meno. Aveva pantaloni corti e scarponcini, uno zaino iper attrezzato, occhiali da sole e i capelli più rossi che Aziraphale avesse mai visto, raccolti in uno chignon disordinato sulla nuca. Alcuni riccioli, sfuggiti al nodo, furono ricacciati indietro con un gesto secco. Sembravano quasi risplendere nella luce del tardo pomeriggio.
Aveva un fisico snello e longilineo, ed evidentemente non aveva un solo un grammo di grasso superfluo. Muscoli lunghi e tesi sui polpacci, sulle cosce, sulle braccia esposte.
"Buonasera" disse, accennando un breve saluto con il capo, senza rallentare il suo passo.
Pochi attimi dopo era già scomparso dietro una curva. Aziraphale si rese conto che non aveva nemmeno risposto al saluto. Era rimasto a bocca aperta come un idiota, dimentico di tutto tranne che del carisma che emanava da quella persona.
Scrollò la testa e voltò i tacchi per seguirlo, accelerando per raggiungerlo.
Lo raggiunse poco dopo.
"Buonasera!" esclamò, attirando la sua attenzione, in un italiano incerto.
L'altrò si fermò, girando il viso verso di lui.
"UK anche tu?" gli chiese, con un sorriso sghembo.
"Oh cielo! Sì, che fortuna trovare qualcuno che parla l'inglese!".
Aziraphale era deliziato. Fino a quel momento aveva incontrato solo persone del posto e qualche sporadico tedesco, e tutti parlavano un inglese poco più che stentato.
"Sono scozzese in effetti. Aberdeen. Dal tuo accento sembri essere di Londra, invece".
L'uomo aveva poggiato i pugni sui fianchi e inclinato leggermente la testa.
"Gallese. Ma ho vissuto tutta la mia vita a Londra. La mia famiglia ha una tenuta poco fuori Swansea, comunque".
"Una tenuta eh... che lusso!".
"Sì... forse troppo per me. Non ci vado mai".
Poi sorrise, e gli tese la mano.
"Ezra Fell, ma nessuno mi chiama così. Aziraphale ".
L'altro esitò un attimo, poi gli tese la sua.
"Anthony J. Crowley. Chiamami solo Crowley". Sorrise di nuovo.
"Hai scelto una giornataccia per andare a camminare in montagna, Aziraphale. Presto pioverà" aggiunse.
Questi si guardò intorno preoccupato. Aveva un k-way, ma niente altro.
"Dannazione! Oh no, non ho portato nulla con me! Pensavo di spicciarmi, dovevo solo raccogliere alcuni dati e poi sarei tornato giù al paese, ma ho perso tempo e non mi sono reso conto dell'orario, e la macchina mi si è fermata un chilometro più avanti lungo la strada".
"La macchina? Questo sentiero è chiuso. Saresti comunque andato poco avanti".
Crowley aveva inarcato le sopracciglia, adesso ben evidenti al di sopra della montatura delle lenti scure che gli nascondevano gli occhi.
Aziraphale notò che aveva sopracciglia estremamente mobili ed espressive.
"Accidenti a me. E dire che dovrei essere in grado di leggere una cartina topografica. Evidentemente ho lasciato tutto sepolto insieme ai ricordi del primo esame che ho fatto" sospirò, leggermente deluso da sé stesso.
"Beh, posso sempre dormire in macchina" aggiunse. Non che la prospettiva lo allettasse, ma era meglio di stare sotto la pioggia.
Crowley rimase in silenzio per un attimo. Sembrava indeciso sul da farsi. Strinse le labbra sottili tra loro, torcendole leggermente. Poi parlò di nuovo.
"C'è un piccolo rifugio, ad un'oretta di strada da qui, dipende quanto sei allenato. Avevo intenzione di passarci la notte e controllare un po' l'area lì intorno. Non lo conosce nessuno, è praticamente poco più che quattro mura e un tetto, ma è sicuramente meglio di una macchina. Se vuoi puoi venire. Il tempo dovrebbe reggere ancora per un po', se ci sbrighiamo arriveremo ancora sciutti. Zaino in spalla, angelo".
"Angelo?".
Aziraphale si era fermato in mezzo al sentiero, confuso.
Crowley sembrava ancora imbarazzato invece. Aveva la bocca semi aperta, come se fosse stato colto sul fatto, nel bel mezzo di un pensiero inopportuno.
"Beh" si impappinò leggermente. "Non è il nome di un angelo? Aziraphale intendo".
"Si ma..."
"Ti si addice" farfugliò. "Sai, i capelli così chiari e i riccioli". Accompagnò le parole con un gesto vago della mano.
"Ah". Non riuscì ad aggiungere altro per un attimo.
"Beh, grazie, immagino?".
"Nnnh, yep, ok, andiamo adesso".
Si voltò ed iniziò a camminare.
***
Quella zona era davvero bella.
Aziraphale si guardò intorno ammirando il paesaggio, per un attimo dimentico del fatto che si trovava su di un sentiero a malapena segnato, con un perfetto sconosciuto, e che era per giunta in procinto di piovere.
I prati erano verdissimi, gli alberi, anche se sporadici, rigogliosi. Qui e lì si vedevano fiori gialli e violetti. La primavera su quelle montagne era davvero splendida.
***
Quando arrivarono sul pianoro le nuvole si erano addensate e stava iniziando a piovere. Nel laghetto che si trovava nella piccola conca si vedevano i cerchi concentrici delle gocce. In pochi attimi la superficie prima calma sembò quasi ribollire. La cascina di cui aveva parlato Crowley era poco più in alto, aggrappata sul fianco spoglio di un pendio. Percorsero l'ultimo centinaio di metri quasi correndo, ed entrarono proprio quando il primo lampo, seguito dal brontolio lontano di un tuono, illuminò il cielo plumbeo.
"Per un pelo!" aveva esclamato Aziraphale, togliendosi pesantemente lo zaino dalle spalle.
Si guardò intorno nello spazio angusto della casupola di pietre.
C'era un caminetto con una piccola scorta di legna a fianco. Un piccolo tavolo fatto con una sezione di un tronco sotto la finestra, con due sgabelli a tre piedi. Sembrava tutto intagliato a mano. Non c'era alcun letto, ma una scala a pioli portava su di un soppalco proprio sopra alla porta di ingresso. Probabilmente era lì che si poteva dormire, anche perché il pavimento di pietra ai suoi piedi sembrava meno invitante dei sedili della sua macchina.
Era un ambiente spartano, eppure dava l'idea di essere confortevole.
Gli sgabelli erano lucidi e lisci, segno evidente che erano stati usati per molto tempo. Il camino era pulito accuratamente, ma aleggiava un odore di legna bruciata che gli fece arricciare il naso leggermente. C'erano un paio di figurine intagliate nel legno su una mensola, accanto a un pentolino e un paio di padelle.
Aziraphale non era mai stato in un posto così piccolo eppure così accogliente.
Fuori la pioggia aveva iniziato a cadere più forte.
***
Crowley aveva tirato fuori da uno stipetto in un angolo un paio di altre pentole, e le aveva messe fuori nell'erba insieme ad un bacile più grande in legno a raccogliere l'acqua piovana.
Era rientrato di corsa, con i capelli umidi e spettinati. Li aveva tirati indietro e raccolti di nuovo con noncuranza.
"Beh, eccoci qui" aveva detto poi, stringendosi nelle spalle.
Sembrava quasi volesse scusarsi di qualcosa.
"Grazie mille Crowley, mi hai salvato la vita" gli aveva risposto Aziraphale con un sorriso.
"Non ho fatto niente. In montagna ci si aiuta. Magari la prossima volta farai lo stesso per me. Potrei non avere un ombrello, se mai dovessimo incrociarci in una città".
Aveva sorriso, e poi si era sfilato gli occhiali da sole.
Aziraphale rimase senza fiato quando vide i suoi occhi. Il taglio era affilato, gli angoli interni allungati e le ciglia folte. Ma la cosa davvero eccezionale era il loro colore: l'occhio destro era di un castano ambrato così chiaro da sembrare quasi giallo, mentre il sinistro sembrava molto più scuro. L'eterocromia era una caratteristica rara, e li rendeva alquanto spettacolari. A guardare meglio però, Aziraphale si rese conto che il colore delle iridi era identico, ma la pupilla sinistra sembrava dilatata, dando così l'impressione di una sfumatura totalmente differente.
Ovviamente Crowley se ne accorse.
Doveva essere abbastanza comune che la gente lo guardasse così.
"Lo so, sono strani" disse a mo' di scusa, stringendosi ancora nelle spalle.
"Cosa? No, sono bellissimi! Sembrano d'oro".
Aziraphale si rese conto di aver detto una cosa di troppo quando Crowley rimase per un attimo a bocca aperta. Si imbarazzò delle sue stesse parole: fare complimenti a qualcuno appena conosciuto non era proprio da lui. In generale fare complimenti non era da lui. Ad un uomo, per di più. Eppure non era riuscito a trattenersi, e aveva parlato senza pensare.
Fai finta di niente, Aziraphale. Giocatela così. Fai finta di essere una di quelle persone tranquille e sicure di sé che fanno complimenti a chiunque. Complimenti a semi-sconosciuti bellissimi e gentili. Come se fosse niente. Come se fosse naturale.
"Sono sicuro che te lo abbiano detto migliaia di volte" azzardò.
"Non di recente, no".
Ecco, perfetto. Un perfetto idiota.
"Grazie, comunque".
Per qualche minuto ci fu un silenzio imbarazzante. Aziraphale si rifugiò nell'argomento principe dei discorsi di ogni inglese. Quantomeno non rischiava di dire sciocchezze parlando del tempo.
Almeno lo sperava.
"È incredibile come sia cambiato velocemente il tempo" azzardò.
"In montagna è così. Non si dovrebbe andare in montagna se non la si conosce".
"Beh, non è esattamente così. Non è che proprio non la conosca. Sono un geologo, quindi conosco bene l'evoluzione delle Alpi. La mia tesi di dottorato..."
"Non intendo quel tipo di conoscenza. Puoi studiare tutto quello che vuoi sui libri, ma qui il sapere è dato dall'esperienza. Devi annusare l'aria. Riconoscere le nuvole. Sentire come cambia la pressione, sentire da dove tira il vento. La montagna è viva, e devi capire come si muove".
"Oh su questo sono d'accordissimo... le montagne non sono mai davvero ferme. Sono delle macchine immense, e sono testimonianza di forze inimmaginabili. Sono le cicatrici di una collisione, e ci fanno capire come si è evoluta la Terra".
Aziraphale si era ovviamente infervorato. Crowley lo guardò, con curiosità.
"Sei proprio un tipo strano. Vedi la vita nelle rocce e non la vedi nell'aria? Non la riconosci nel cielo? Senti la pioggia qui fuori... è arrivata all'improvviso e se ne andrà altrettanto rapidamente, eppure se non ci fosse non ci sarebbe nulla qui".
"Certo, lo capisco. È che sono abituato a pensare in milioni di anni. Tendo a dimenticare la bellezza delle cose effimere" si giustificò.
Per un po' si sentì solo il rumore della pioggia scrosciante.
***
"Vuoi un té?" chiese Crowley tutto a un tratto.
"Sarebbe splendido" sorrise Aziraphale di rimando.
Crowley si alzò e aprì la porta, sporgendosi quel tanto che bastava per recuperare uno dei pentolini, adesso pieno d'acqua piovana. La travasò in un bricco, poi tirò fuori dallo zaino un fornelletto da campeggio, e accese la fiamma.
"Oh..."
Aveva sperato che Crowley accendesse il camino. Era soltanto aprile, ma iniziava a fare freddo, adesso che il sole era tramontato e la pioggia non accennava a voler smettere.
"Sembra molto ingegnoso" osservò, cercando di mascherare la propria delusione.
"Posso accendere il fuoco, se vuoi. Ma così è più veloce".
"Davvero? Mi piacerebbe moltissimo".
Il suo entusiasmo era palese. "Sei davvero molto gentile" aggiunse.
"Naaah. Non è niente. E comunque fa freschetto. Qui in montagna le temperature possono scendere anche parecchio di notte, nonostante la primavera".
In pochi minuti le fiamme illuminarono l'ambiente di una luce calda e morbida, disegnando ombre mutevoli intorno a loro. Aziraphale si trovò ad osservare il profilo affilato di Crowley. Quella luce radente lo rendeva ancora più spigoloso, ma donava ai suoi capelli delle sfumature infuocate, tanto da farli sembrare qualcosa di vivo, mobile, assolutamente magnifico. Si accorse solo in quel momento che sulla mascella destra, accanto all'attaccatura dei capelli, Crowley aveva un tatuaggio. Era piuttosto insolito avere tatuaggi sul viso, eppure nella sua figura generale sembrava perfettamente inserito: come se ci fosse nato, in qualche modo. Cercò di capire cosa fosse, visto che nella penombra della stanza non riusciva a vedere benissimo. Un ricciolo di qualche tipo. Forse qualcosa di decorativo? Un piccolo arabesco? Non riusciva a distinguere bene il tratto.
Si costrinse a distogliere lo sguardo: non era buona educazione fissare qualcuno in quel modo. Spostò quindi la sua attenzione sulle mani di Crowley, il quale rimestava in una pentola appesa ad un gancio nel focolare con un cucchiaio di legno. Le sue dita erano lunghe e affusolate, eppure sembravano incredibilmente forti. Erano leggermente abbronzate e avevano qualche piccola cicatrice sparsa: le mani di qualcuno che sa lavorarci, che si portano dietro una storia. Le sue in confronto erano molli e prive di carattere. Sospirò brevemente.
Nell'arco di un'oretta il pasto era pronto: una zuppa di verdure con un po' di carne secca reidratata, un paio di fette di pane e dei biscotti facenti parte dell'equipaggiamento di Aziraphale come dessert.
"Non è granché, ma è meglio che niente" si giustificò Crowley, offrendogli una scodella piena fino all'orlo.
Aziraphale allungò le mani con gratitudine.
"Sono sicuro che sia ottimo. E poi se non ti avessi incontrato adesso sarei in macchina da solo e non avrei proprio un bel niente da mangiare, se non questi biscotti. Devo ricordarmi di partire più attrezzato la prossima volta. Magari potrei comprare una tenda".
"Una tenda è sempre comoda" sentenziò l'altro seriamente, annuendo.
Consumarono il pasto tranquillamente, senza sentire il bisogno di scambiare tante parole. Era incredibile come Aziraphale si sentisse a suo agio. Avrebbe dovuto essere nervoso e agitato in una situazione simile. Perso sulle montagne. In un rifugio incredibilmente spartano. Con una pioggia scrosciante fuori. Insieme ad un uomo sconosciuto. Era assurdo, eppure allo stesso tempo sembrava perfetto.
Crowley gli passò una fiaschetta di metallo quando ebbero finito anche i biscotti.
"Per scaldarti un po'".
Aziraphale annusò storcendo leggermente il naso.
"Rum?"
"Whiskey!! Sono pur sempre scozzese!" ridacchiò l'altro.
"Va bene, scusami!" ridacchiò Aziraphale di rimando.
"Di solito non bevo superalcolici, ma per stavolta farò un'eccezione penso. Credo si tratti di un'occasione speciale, in fondo".
"Puoi ben dirlo. Un angelo salvato sulla strada da un montanaro qualunque".
"Tutt'altro che qualunque, direi".
***
Il fuoco non scoppiettava più come prima e le fiamme si erano abbassate.
Nel rifugio le braci rossastre erano l'unica luce. Erano scivolati di nuovo nel silenzio. Le braci erano ipnotizzanti.
"È un peccato che piova ancora. Di notte qui si vedono delle stelle splendide".
Aziraphale si trovò in un turbinio di pensieri che implicavano il guardare il cielo di notte con qualcuno. Le ricacciò nel profondo. Non era il caso. E comunque, appunto, pioveva ancora a dirotto.
Crowley battè coi palmi delle mani sulle cosce, poi si alzò.
"Beh, sarà meglio dormire. È sempre meglio svegliarsi presto e iniziare a camminare di buon'ora, così avremo più luce".
Aziraphale si agitò immediatamente.
Fino a quel momento non aveva pensato a dove avrebbe dormito. Dove avrebbero dormito. Aveva accantonato il pensiero perché aveva fame ed era ancora agitato dalla disavventura con l'auto. Adesso però si rendeva conto che con quello spazio così ristretto si sarebbe trovato spalla a spalla con Crowley.
"Posso dormire qui sotto. Sali pure sul soppalco, ci sono un paio di coperte che tengo qui per sicurezza. Ho il sacco a pelo, e non sarebbe la prima volta che dormo per terra".
Aziraphale quasi trasalì. Crowley era troppo gentile. Si sarebbe sentito troppo in colpa per lasciarglielo fare. Non poteva permetterlo assolutamente.
"Non se ne parla! Posso stare io qui sotto, questo posto è tuo. Mi basta una coperta e starò benissimo" gli rispose mentre si pizzicava con le dita la pelle dell'altra mano.
"Tutto quello che vedi qui l'ho fatto io. Il soppalco prima non c'era. Ho dormito qui per terra per parecchie notti. Non è così male una volta che ti ci abitui".
Aziraphale percepì un sorriso nel tono di voce di Crowley, più che vederlo. C'era troppa poca luce per quello.
"Se non ti disturba, potremmo dormire entrambi sul soppalco" disse, a voce molto bassa. Quasi non era del tutto sicuro di averlo detto davvero. Gli sembrava una cosa troppo ardita, per uscire dalle sue labbra.
"Certo, se per te non è un problema" rispose l'altro, dopo un attimo di esitazione.
"Salgo a sistemare le coperte sul piano. Possiamo usare il sacco a pelo per coprirci. Così non avremo freddo".
Aziraphale deglutì mentre Crowley si arrampicava sulla scaletta, agile come un gatto.
Non sembro nemmeno io. Che imbarazzo!
Beh, è una situazione di emergenza. Può succedere.
La prossima volta sarò più attento.
La prossima volta...
"Puoi salire se vuoi" sentì dire dall'alto.
Aziraphale poggiò le mani sui pioli, poi si tirò su fino a raggiungerlo.
Il tetto era vicinissimo, e quella in cui si trovavano era poco più che un'alcova. Il calore del fuoco era risalito e si era accumulato lì, fino a rendere la temperatura piuttosto confortevole.
Si stese accanto a Crowley, che tirò il sacco a pelo su entrambi e poi si voltò a dargli le spalle, rannicchiandosi su un fianco.
"Beh, buonanotte allora".
"Buonanotte... e grazie".
Si addormentò con il ticchettio della pioggia sul tetto di legno e lamiera. Un attimo prima di cedere al sonno, si rese conto di sentirsi perfettamente al sicuro.
Note:
1) Ho iniziato a scrivere questa storia mesi fa, ma ho avuto un brutto incidente che mi ha fermata per quasi due mesi. Sono di nuovo qui, sperando di riuscire ad essere costante con la scrittura. Cercherò di pubblicare ogni martedì, quindi se vi piace la storia troverete qualcosa di nuovo ogni settimana.
2) L'header e i divisori con le corde (che in questa storia hanno un doppio significato) sono fatti dalla meravigliosa Martina, che se non lo sapete è la ducko migliore del mondo. Andate a cercare le sue meraviglie (https://www.instagram.com/martina_a_duck/).
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