Rollercoaster 1

Sembrava di essere sulle montagne russe, e l'odore dolciastro di zucchero fuso si era attaccato alla felpa grigia di Isaac, come se l'avesse immersa in un pentolone di caramello.

Quell'odore persistente si mescolava ad altri: erba appena tagliata, popcorn, schiuma da barba all'aloe vera, cera di candela, cannella. 

Odori molto strani, che di norma, almeno secondo Isaac, non avrebbero dovuto appartenere agli armadi. Gli armadi di solito puzzavano di naftalina se erano vecchi come quello in cui si era rannicchiato.

Tum, tum, tum.

Il cuore gli batteva forte, agitato, in disaccordo col respiro che tentava di trattenere. Faceva troppo rumore. Lo sentiva nelle orecchie e rimbombare nell'armadio, come se quella maledetta alcova potesse amplificarne il battito.

Si portò l'indice alla punta del naso e sibilò un lento «Shhh», parlando al suo cuore, cercando di calmarlo. Doveva calmarlo, altrimenti lo avrebbe sentito. 

Altrimenti lo avrebbe scoperto. 

Il suo sguardo continuava a percorrere la fessura luminosa tra le due ante, unico punto luce in quel nascondiglio di vestiti polverosi mangiati dalle tarme. 

Gli sudavano i palmi e le piante dei piedi, mentre aspettava il momento opportuno. 

«Isaac, sei qui?»

La sua voce e il suono dei suoi passi riempirono la stanza al di là dell'improvvisato scudo di legno scuro. 

«Isaac, Isaac per favore» lo pregava la voce. 

Ecco. Quello era il momento opportuno. 

Sbucò dal suo nascondiglio, dimenando le braccia come ali di drago, ridendo. Alla sua risata si aggiunse l'urletto di Martha che si era voltata di scatto verso di lui, impietrita. 

«Vaffanculo, Isaac, mi hai spaventato a morte» lo rimproverò, spingendolo via.

Isaac ancora rideva mentre le labbra di Martha si piegavano in un broncio. 

«Dovresti vedere la tua faccia, dovresti proprio vederla» la prese in giro, senza fiato. 

Lei si scompigliò i capelli, lunghi fino alle spalle, arruffandoseli tra le dita, prima di tramutare quel broncio in un sorriso.

«Sei proprio scemo, ho avuto paura che fossi un fantasma»

«Ma dai, davvero credi a queste cose?»

«Ma certo che ci credo, scemo. Ci sarà sicuramente qualche entità in questa catapecchia. Qualche mostro nascosto in un cassetto o sotto a un letto, o magari...»

«Allora perché hai accettato di venirci?»

«Perché tu mi hai sfidato» roteò lo sguardo verso il soffitto, sbuffando: «E io odio perdere le sfide».

Aveva delle belle labbra Martha, e anche degli occhi particolari: azzurro chiaro con delle sfumature nebbiose di grigio attorno all'iride. Più Isaac li guardava e più pensava che somigliassero proprio alle uova di merlo. 

«Per fortuna che siamo pirati» la rassicurò, coprendosi l'occhio destro con la mano e imitando la forma di un uncino con l'altra: «E i pirati sono temuti da tutti, anche dai mostri!».

Lei rise, scaldandogli il cuore. Sentì la felicità farsi strada nel suo petto e alleggerire i suoi piedi, sciogliendo in dolci brividi ogni altra emozione, come neve al sole, come quei cioccolatini con l'interno di caramello che probabilmente gli si erano squagliati nella tasca della felpa. Se li era dimenticati. Quando era con Martha era facile dimenticarsi di tutto il resto ed essere trascinati dalla sua fantasia. 

Era proprio come essere sulle montagne russe, nell'attimo in cui stai per scendere, precipiti e chiudi gli occhi perché hai paura, e la paura sale in gola e poi svanisce in un urlo liberatorio e ti rimane solo la sensazione di aver appena spiccato il volo, in planata, galleggiando sul mondo. 

E Martha... Oh, lei entrava nelle case degli altri in punta dei piedi e sceglieva con cura le parole da dire agli sconosciuti, dormiva con la luce accesa per allontanare il buio, cambiava i nomi alle stelle, catturava le lucciole nei barattoli, le piaceva costruire altalene e acchiappasogni, apriva i boccioli dei papaveri per vedere se fossero rossi, rosa o bianchi e li chiamava re, regine o soldatini, ma sopratutto s'inventava le storie. 

E più tempo passava con lei, più Isaac avrebbe voluto essere il protagonista di ogni sua storia. 

Martha si avvicinò al vecchio armadio, le ante erano rimaste spalancate. 

«Cosa cerchi?» le domandò incuriosito. 

Lei si accucciò e iniziò a tastare tra le scatole sotto ai vestiti. 

«Due cappelli. Ogni pirata ha un cappello che si rispetti, altrimenti poi il sole gli scotta la testa». 

Lui si chinò al suo fianco e osservò quegli abiti strapazzati e ingialliti. Una fluttuante gonna blu attirò la sua attenzione e iniziò a immaginarla addosso a Martha. Sarebbe stata bene con una gonna, e quel colore avrebbe fatto risaltare i suoi occhi e i suoi capelli neri, neri come piume di merlo. 

Deglutì. 

«Non credo sia una buona idea cercarli lì. Potrebbero esserci le tarme»

«Se ci fossero penso che ti avrebbero già mangiato» sorrise ancora, e imitò due chele di granchio con gli indici e i pollici. 

Avrebbe voluto baciarlo, quel sorriso. Spesso si ritrovava a fissare la luce tra i balconi della sua camera, prima di andare a dormire, quella piccola riga luminosa che lo avvisava della sua presenza nella casa di fronte. 

Scacciò quei pensieri e si concentrò nell'alzare il coperchio della scatola metallica che gli aveva premuto la punta dei piedi quando si era nascosto. 

«Guarda» sussurrò sorpreso con gli occhi puntati verso il basso. 

Martha si stava provando un cappello sbarazzino a falda larga, decorato con un fiocco e violaciocche di plastica. Gettò anche lei lo sguardo nel contenuto della scatola nera. 

«Hai scoperto un tesoro...» stava dicendo, ma la parte restante della frase le morì sulle labbra. 

La scatola era piena di pastiglie di aspirina scadute, foglietti stropicciati che ritraevano lische di pesce e fili di paglia. 

«Mmmh mi chiedo chi vivesse qui» si domandò, estasiata dalla scoperta. 

«Una signora che poi se ne è andata a Londra» le raccontò: «Lenora Gavedart, qualcosa del genere. Me lo hanno raccontato i miei genitori»

«Ma perché lasciare qui tutta questa roba?» 

«Non lo so» fece spallucce, osservando il fondo buio oltre le grucce coi vestiti: «È la prima volta che vengo qui».

Martha tamburellò soddisfatta le dita sul legno. «Direi che la catapecchia in fondo alla strada sta diventando interessante» sfiorò un foglietto: «E che faremo meglio a legarci le scarpe con il doppio nodo. Ho letto che ai fantasmi piace rubarle». 

«Comunque sembra... Sembra quasi un nido, non trovi?» constatò Isaac rimettendo a posto il coperchio. 

Martha gli tirò una giocosa gomitata sul fianco: «Complimenti, hai appena liberato chissà quale bestia invisibile che soffre di mal di testa».

«Non credo più ai mostri negli armadi, da almeno dieci anni» ammise fiero. 

«Ceeeerto» lo prese in giro, ridacchiando. 

Isaac non seppe dove trovò il coraggio per allungarsi su di lei e farle il solletico, finché le dita gli scivolarono troppo sotto l'orlo della sua maglietta, i polpastrelli affondarono nella pelle morbida e calda, e si ritrasse scusandosi. Si erano ritrovati a lottare distesi sul grande tappeto polveroso. 

Lei scosse la testa, una ciocca di capelli le finì fra le labbra: «Dai, andiamo fuori da qui prima che faccia buio. Tu magari non ci credi ai fantasmi, ma io sì». 

Prima di uscire, Isaac diede un ultimo sguardo alla stanza. Martha era già scesa a metà scala. 

«Sono innamorato di te» sussurrò rivolto all'armadio intarsiato.

Si chiuse la porta alle spalle, lasciando lì dentro il suo segreto. 

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