33- luce


Le lacrime scorrevano calde sul mio viso, bagnando la mano di Leo. Il suo corpo era così fragile, così lontano dall'uomo forte che conoscevo. Ogni giorno era una battaglia, un'attesa infinita. Mi raccontavo storie, gli cantavo canzoni, pregavo che aprisse gli occhi.

I giorni si susseguivano, lenti e pesanti. Il mio mondo si era ridotto a questa stanza d'ospedale, al ticchettio del monitor, al suono del mio respiro e ai miei singhiozzi. Jamie, nel frattempo, cresceva nella mia pancia, un faro di speranza in mezzo a tutta quella tristezza.

Una mattina, mentre accarezzavo la sua guancia, sentii un sussulto. Il suo corpo tremava leggermente. Tentai di non farmi illusioni, ma il mio cuore batteva all'impazzata. Chiamai l'infermiera, che si precipitò nella stanza.

"Sta succedendo qualcosa," dissi, la voce tremante.

L'infermiera mi guardò con attenzione, poi si avvicinò al letto di Leo. Lo osservò per qualche istante, poi si rivolse a me con un sorriso. "Credo che stia per svegliarsi."
Un nodo si strinse alla gola. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Stavo per riabbracciarlo.

Leo aprì gli occhi lentamente, come se uscisse da un lungo sonno. Mi guardò confuso, poi il suo sguardo si posò sulla mia mano che stringeva la sua. Un sorriso timido gli si formò sulle labbra.

"Ally?" sussurrò.

"Sono io," risposi, la voce rotta dalla commozione. "Sono qui."

Le sue lacrime si mescolarono alle mie. Ci stringemmo forte, come se avessimo paura di perderci di nuovo. In quel momento, capii che eravamo invincibili, che insieme avremmo superato ogni ostacolo.

Le sue parole, rauche e faticose, mi scaldarono il cuore. Lo strinsi ancora più forte, come se volessi fondermi con lui. I giorni che seguirono furono un lento risveglio. Leo, giorno dopo giorno, riconquistava un po' della sua forza. Ma la strada era lunga e in salita.

Il medico ci spiegò che per riprendersi completamente, avrebbe dovuto mangiare di più. Ma Leo rifiutava qualsiasi cibo. "Non ho fame," diceva con voce debole. "Voglio solo stare con te."

Il mio cuore si spezzava nel vederlo così provato. Provai a preparargli i suoi piatti preferiti, ma non riuscivo a convincerlo. Un giorno, mentre lo guardavo con tristezza, mi venne un'idea. Presi una mela, il suo frutto preferito, e la tagliai a piccoli pezzi.
"Apri la bocca, amore," gli dissi dolcemente.

Leo mi guardò con un'espressione confusa, ma obbedì. Portai un pezzetto di mela alle sue labbra e lo aiutai a mangiarlo. All'inizio fece resistenza, ma poi, lentamente, iniziò a masticare. Quando ebbe finito, lo guardai con orgoglio.

Da quel giorno, lo imboccavo come un bambino. Era un gesto d'amore, un modo per prendermi cura di lui. E lui, nonostante la sua fierezza ferita, si lasciava fare, felice di avere le mie attenzioni.

"Sei un angelo," mi sussurrò un giorno, mentre lo aiutavo a bere un sorso d'acqua.

"No, amore," risposi, accarezzando i suoi capelli. "Sei tu il mio angelo."

Con il passare dei giorni, Leo riprese gradualmente a mangiare da solo. La strada verso la guarigione era ancora lunga, ma eravamo insieme, uniti più che mai. E sapevo che ce l'avremmo fatta. Avevamo un motivo per lottare: il nostro piccolo Jamie, che cresceva dentro di me.

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