2 «COFFE, PLEASE»
Dal capitolo precedente
Non veniva assorbito dalla sua mente in questo modo da molto tempo, non era quasi più abituato.
Lui pensava che non l'avrebbe mai ferito questa sua dote, invece lo colpiva ogni giorno di più.
Ogni giorno più forte.
*
2 settembre
Sherlock Holmes non era certo un tipo da tè.
Nonostante Londra fosse la città di quella bevanda, il nettare degli dei per alcuni, Sherlock si era categoricamente rifiutato di fare parte di quella "combriccola".
Odiava i cliché e, certamente, non sarebbe diventato uno.
"Caffè, signora Hudson" disse con un tono di voce alto, ma senza urlare. Pure questa era una cosa non da Scherlock.
"Non faccio caffè, solo tè" rispose la donna mentre si affrettava a scaldare una teiera di acqua, preparata oramai solo per Jhon.
"Allora me ne vado" disse Sherlock, alzandosi dal suo amato divano e indossando il solito giaccone nero.
La signora Hudson, l'anno precedente, gli aveva regalato un meraviglioso cappello, a sentirla parlare. John aveva sostenuto la tesi della donna, affermando che il detective avrebbe dovuto indossarlo.
Era un berretto di varie sfumature verdi, con qualche linea gialla; aveva la visiera leggermente sporgente.
"Voi due siete matti" aveva risposto il detective, affermando che anche questo era un tipico cliché a cui non si sarebbe prostrato.
"Vengo con te" disse Jhon spuntando dalle scale, che avevano leggermente scricchiolato sotto il suo peso.
"D'accordo" risponde Sherlock, sorridendo impercettibilmente.
"Perché non ti piace il tè?" domando l'ex medico mentre girava il cucchiaino nel suo caffè caldo.
Erano dentro un bar da circa cinque minuti; l'aria era leggera, fredda, e l'ambiente accogliente.
Delle lampadine bianche tappezzavano le pareti della stanza, mentre alcuni tavolino neri erano sparsi senza criterio, poggiandosi su un pavimento grigio.
"Cliché, John" rispose Sherlock bevendo il suo tanto ambito caffè.
"Cosa ne pensi del caso?" continuò il detective, cambiando repentinamente argomento.
Il giorno precedente non aveva ascoltato molto, talmente era immerso nei suoi pensieri.
"Mi sembra strano che sia scomparso così dal nulla, senza che ci fossero fraintendimenti fra loro" rispose Watson grattandosi il mento.
La barba rada stavo rincominciando a crescere.
Da quando Sherlock gli aveva detto che stava male con i baffi, e da quando Mary era morta, non se la faceva più crescere in quel modo.
Sherlock annuì.
"Senti, ma hai ascoltato almeno una minima parte di quello che la donna ha detto?" chiese John lievemente scocciato.
Appoggiò il cucchiaino sul piattino e poi squadrò l'amico.
"Sai benissimo che non l'ho fatto, altrimenti ti avrei già proposto qualche idea" rispose freddo Sherlock.
"Il marito della signora Kimberly è sparito due settimane fa. L'ultimo luogo in cui è stato visto è il Walthamstow. Ha lasciato a casa tutti i suoi averi tranne un orologio con un incisione a forma di luna".
Sherlock stava riflettendo, stava mettendo insieme tutto i pezzi.
Quei pochi che aveva.
Non potendo nè vedere la vittima nè avendo a disposizione qualche referto tangibile, rimaneva un'unica opzione.
"Andiamo a Walthamstow oggi pomeriggio, preparati" disse al compagno prima di alzarsi e uscire dal bar.
Toccò a Watson pagare i due caffè.
Corse. Corse più veloce che poté.
Non riusciva a resistere all'impulso di girarsi ogni tanto per controllare il suo inseguitore, ma ogni volta che lo faceva rischiava di inciampare.
Ormai aveva i pantaloni da lavoro logori sulle ginocchia, a causa delle numerose cadute.
Non riusciva a capire chi lo stesse pedinando, c'era troppo buio per scorgere un viso familiare.
Ma, infondo, l'identità dell'uomo poteva essere solo una.
Se lo sarebbe dovuto aspettare, dopo tanti anni di tranquillità qualcuno lo avrebbe scoperto.
Credeva di essersi nascosto bene, di aver occultato tutto. Eppure...
Sapeva dove lo stava portando. Gli stava facendo percorrere una strada che aveva già deciso, che aveva previsto. Non poteva più scappare.
Forse avrebbe dovuto sfilare il coltello che portava nei pantaloni e uccidersi.
Avrebbe fatto prima.
Magari sua moglie non lo avrebbe trovato mutilato da qualche parte.
Erano vicini a Walthamstow.
"Ti prego, lasciami stare. Non chiuderai nessun cerchio" tentò di urlare l'uomo.
Non voleva lasciare da sola sua moglie, non poteva immaginare come sarebbe stata Sara senza di lui.
Aveva rinunciato a tutto per lui, ad ogni tranquillità.
Il suo inseguitore ovviamente non rispose.
Quanto era bella sua moglie.
Aveva un'aria indifesa, seppure conoscendola bene si era accorto di quanta grinta avesse.
Era la sua arma letale, quella di fingere di essere debole. Stupiva tutti e lasciava senza respiro.
Le sue labbra erano bellissime, piccole e morbide. Non le avrebbe mai dimenticate.
Due giorni prima si era appoggiata una mano sul ventre, ma non aveva detto niente.
Che fosse...?
Non poteva pensare a certe cose ora.
Era tutta colpa sua se si trovava in una situazione simile, era stato lui a voler continuare, a portare avanti tutto.
Svoltarono su una stradina a destra, e riconobbe certi murali.
Sentì un tuono.
Era possibile?
"Ti prego, non toccare Sara" urlò ancora mentre sentiva il suo inseguitore farsi più vicino.
Si bloccò.
Non aveva senso continuare a correre.
«Tesoro, quando torni?».
Aveva tirato fuori il cellulare, e ora stava leggendo l'ultimo messaggio che sua moglie gli aveva mandato.
Non rispose. Sperava di poter tornare da lei.
Estrasse il coltello, poi aspettò l'uomo.
Era pronto, qualunque cosa sarebbe successa.
*
SPAZIO NOI:
Mi scuso per l'immenso ritardo nella pubblicazione del capitolo, spero vi piaccia.
Avete idee di cosa potrebbe essere successo all'uomo?
Un abbraccio,
darkwaystofly💕
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