Capitolo 8
Mi alzo di scatto affannata. Il cuore mi batte in modo convulso creando un suono orribile. Sembra quasi sforzarsi per riprendere il solito ritmo. Un po' come sto facendo io con la mia vita, visto che sto perdendo di vista quasi ogni cosa e continuo ad arrancare.
Passo una mano sul viso leggermente accaldato e nello stesso istante sento dei colpi alla porta abbastanza forti.
Chi sarà mai a quest'ora?
Guardo Scott comodamente sdraiato e dolcemente addormentato accanto a me. Il suo respiro regolare, l'espressione beata dipinta su quel viso a tratti timido. Io al contrario devo proprio avere un aspetto orribile.
«Scott, lo so che ci sei. Apri la porta o la butto giù!»
Una voce femminile abbastanza stridula, forse su di giri, arriva da dietro la porta. Continua a bussare ma Scott non si scompone.
Guardo prima la porta poi lui poi di nuovo la porta decidendo in fretta cosa fare.
Non accendo neanche la luce. Non voglio svegliarlo. Voglio solo vedere chi lo cerca. Chi vuole parlare con lui a quest'ora.
Scosto la coperta che deve avermi sistemato addosso quando mi sono addormentata. Poso i piedi sul pavimento fresco ricevendo un piacevolissimo brivido lungo la schiena e facendo attenzione a non urtare niente, basandomi sulle ombre e sulla luce che arriva dalla finestra, riesco a raggiungere la porta senza creare danni.
La ragazza continua a bussare; adesso quasi scocciata di attendere.
«Scott, apri! Non ho tutta la notte.»
In sottofondo sento delle risate, qualche esclamazione e della musica attutita dalle pareti di questa stanza, probabilmente insonorizzata anche se non del tutto.
Stringo la mano sulla maniglia della porta voltandomi leggermente per controllare che Scott stia ancora effettivamente dormendo. Lui si trova a pancia in giù con la mano sotto il cuscino, non mostra nessun segno di fastidio o disturbo provocato dalla voce femminile a poca distanza.
Prendo un bel respiro aprendo la porta quasi di scatto trovandomi davanti una ragazza che mi fissa spalancando dapprima gli occhi forse per mettermi a fuoco poi per la sorpresa.
E' davvero bella. Alta, abbastanza atletica, mora, abbronzata. I suoi capelli sono tirati troppo ai lati in una coda alta. Hanno qualche lieve sfumatura color miele e di un biondo chiaro forse creata di proposito per questa estate. Nel complesso ha un aspetto genuino.
Io invece, devo avere tanto l'aria di una "sciacquetta" che Scott si è portato a casa in una notte di alcol e risate.
Anche il suo abbigliamento adesso che la guardo meglio: è particolare.
Non è ancora carnevale, perchè mai indossa una tuta da poliziotta? Non sarà mica una spogliarellista?
«Scusa, non sapevo che Scott avesse visite altrimenti non avrei disturbato», si schiarisce la voce più volte attorcigliando le dita su una ciocca bionda di capelli guardandomi sempre più nervosa o forse imbarazzata.
«Non preoccuparti. Non era previsto che dormissi qui», dico ormai rossa in viso a causa del suo sguardo a tratti diretto.
Perché continua a scrutarmi in quel modo?
«Posso sapere chi sei? Scott non porta così tante ragazze nel suo appartamento e quando lo fa ci avvisa.»
Che cosa significa questo?
Ecco, Scott non è chi dice di essere. Mentre ti professa amore, porta nel suo appartamento altre ragazze.
La vocina dentro la mia testa inizia ad assillarmi e per non perdermi decido di metterla per qualche minuto a tacere. Tornerò a ragionare con lei quando chiuderò questa porta alle mie spalle.
Gratto una tempia. «In realtà... io sono... sono la sua ragazza.»
Perché continuo a balbettare?
Dio, Emma datti una calmata. Non sei sotto interrogatorio. Stai solo sondando il campo.
Notando che se ne sta ancora impalata chiedo: «Ti serve qualcosa da lui? Vuoi che lo svegli?»
Spalanca la bocca e gli occhi poi arrossisce scuotendo la testa. «Sei Emma? Oddio, allora è vero che è impegnato. Non ci credevo. In realtà non ci credevamo nessuno quando lo diceva», dapprima mette le mani sulla bocca poi gratta la fronte rossa in viso.
«Comunque no, volevo solo prendere uno dei suoi giochi visto che i ragazzi si stanno annoiando, ma non fa niente. È stato un piacere vederti. Notte!»
Gira sui tacchi ad una certa velocità e se ne ritorna in fretta in soggiorno da dove provengono le risate poi la sua voce concitata.
Richiudo la porta abbastanza confusa dalla reazione e non appena mi volto rimango sorpresa perché la luce della stanza è accesa e Scott se ne sta steso su un fianco a guardarmi assonnato e in modo dolce. Quando batte la mano sul lato vuoto accanto a sé con il lenzuolo stropicciato, mi avvicino timida prima di salire sul letto insicura.
Ha visto tutto? Ha sentito tutto?
Quella ragazza se ne è andata perché si è accorta della luce accesa alle mie spalle?
Sfiorandomi una guancia e con un sorriso furbo stampato sul viso mi scimmiotta ripetendo la mia risposta data alla sua amica.
E' solo una sua amica vero? Perché sono così insicura?
Non dovrei continuare a torturarmi con queste stupide paranoie.
Forse continui perché quella frase ti ha allarmata? Sentenzia la vocina tornando immediatamente alla carica.
«Non dovevo dirgli niente?» Mordo il labbro sentendomi improvvisamente a disagio. Non penso di avere sbagliato ad usare determinate parole. In fondo, sono uscite dal cuore.
Dici? Ne sei sicura? A me sembravano dettate dalla gelosia non dal cuore. Un cuore che non batte come dovrebbe per lui ma per un altro. Risponde piccata la vocina dentro la mia testa.
«Non mi aspettavo una risposta del genere da parte tua», sussurra quasi soddisfatto ma allo stesso tempo pensieroso.
Aggrotto la fronte. «Perchè?»
«Perché sei sempre un po' chiusa, poco espansiva. C'è un muro tra te e il mondo e non sempre questo si riesce a scavalcare. Non sempre riesco a capire quello che pensi, quello che vuoi.
E' la prima volta che ti sento dire che sei la mia ragazza. Di solito è come se lo nascondessi come se...»
«Ho fatto male? Non sono la tua ragazza? Vuoi che vada da lei a specificare che siamo solo colleghi di lavoro e ho avuto una pessima serata?»
La voce mi esce alquanto stridula. Mi sto agitando. In fondo le sue parole sono vere. Io e il mondo siamo distanti. Io e i sentimenti siamo distanzi. Io e le relazioni siamo distanti.
«No, no non lo fare. È solo... è un passo avanti direi», sorride in quel modo rassicurante che riesce a farmi sciogliere, a tranquillizzarmi.
«Non è una cosa brutta, vero?»
Nega abbracciandomi.
Appoggio la testa sul suo petto ascoltando il suono del suo respiro.
«No, non lo è. Mi piace sentirtelo dire. Mi piace quando sei spontanea e sincera.»
Schiocca un bacio sotto l'orecchio poi risale trovando le mie labbra. Ci scambiamo qualche bacio stringendoci l'uno all'altra per un paio di minuti.
Quando tutto sta per surriscaldarsi mi stacco spingendolo leggermente.
«E comunque, non mi hai mai detto che avevi delle coinquiline... che si travestono da poliziotte», faccio il finto broncio trattenendo a stento una risata. «Stavo scambiando quella ragazza per una spogliarellista.»
Assume una posa maliziosa. È più che divertito dal mio tono.
«Gelosa?»
In parte sembra anche eccitato all'idea ma sul suo viso credo di avere visto passare una strana sfumatura quando ho pronunciato quelle parole.
Notandomi distratta coglie l'occasione per afferrarmi per le cosce trascinandomi sotto il suo peso.
«Devo?», domando colta impreparata quasi boccheggiando.
Sta tentando di distrarmi o è solo eccitato?
Ok, calma Emma. Mantieni la calma. Non andare proprio ora nel panico.
«No, sono solo delle amiche», tentenna un momento poi mi stringe i glutei.
Le mie mani si posano sulle sue spalle. Il suo respiro cambia facendosi affannoso. Preme la fronte sulla mia inspirando più volte cercando di controllarsi.
So che non passerà ancora molto. Prima o poi chiederà qualcosa di più di un semplice bacio o di un abbraccio o di un gesto premuroso. Il pensiero in parte mi preoccupa. Che cosa farò?
Ho bisogno di seguire i miei tempi anziché correre. Ho bisogno di non spingermi oltre quel limite per sentirmi tranquilla.
Posa le labbra sulle mie e gliele mordo delicatamente perché colta alla sprovvista. Lui ansima scendendo con il viso lungo la mia gola, appoggiando poi la fronte sul mio petto.
«Sto facendo fatica Emma, per favore non provocarmi!», dice quasi bruscamente cercando aria.
Io invece sto tremando dentro e per sbaglio mi dimeno sotto di lui più che agitata. I suoi occhi si spalancano sorpresi. Scuote la testa poi stringendomi per il viso mentre con l'altra mano tiene stretta la coscia sollevandola leggermente, reclama ancora la mia bocca impossessandosene avidamente; senza controllo. Non si stacca nemmeno quando provo ad appormi.
Ad un certo punto inizia anche a mancarmi il fiato.
Però, che forza che ha.
Quando finalmente ci stacchiamo, siamo entrambi un po' affannati. Io per lo sforzo di togliermelo di dosso, lui più che eccitato. Non si è neanche accorto della mia strana reazione.
Stringo le sue dita intrecciate alle mie per staccarlo da me quando ci riprova e mi sistemo comoda sul letto dandogli le spalle.
Non posso correre.
Non è questo quello che voglio.
Si, perché vuoi sentire prima che effetto fanno sulle tue le labbra di un altro. Sai, un ragazzo moro, occhi azzurri, tatuaggi sulla pelle...
Strizzo le palpebre. Non posso tapparmi le orecchie perché desterei sospetti pertanto rilasso le spalle.
Non vedo neanche la sua reazione. So solo che mi dà un bacio su una spalla poi mi cinge la vita e chiudiamo gli occhi.
Mi risveglio un po' indolenzita. Ho dormito su un lato e per tutto il tempo con l'ansia addosso di ritrovarlo sveglio, pronto a baciarmi.
Mi volto come un robot e non è a letto.
Sollevata lascio uscire un breve sospiro alzandomi a metà busto.
Il rumore improvviso della doccia mi fa capire che è impegnato e che ho giusto qualche minuto. Mi tiro su appoggiandomi alla testiera del letto portando le ginocchia al petto. Non riesco a capire come mi sento. Cosa provo davvero per lui.
In realtà, sono confusa.
Valuto ogni possibile soluzione prima di decidermi optando per l'opzione più semplice ovvero: andarmene.
Devo tornare nella mia camera, lontana da lui.
Solo mettendo un po' di distanza tra noi riuscirò a capire; a trovare una soluzione.
Alzandomi dal letto mi avvicino ai miei indumenti sistemati ordinatamente sul divano rivestendomi più in fretta che posso. Farò la doccia una volta arrivata all'appartamento. Il pensiero in parte non mi entusiasma però spero di non trovarci nessuno. Non saprei gestire nuovamente la rabbia; soprattutto non riuscirei a guardare negli occhi Anya, Mark o peggio: Ethan.
Pensare a lui mi provoca un dolore sordo al petto. Mi fa ripensare ai suoi maledettissimi occhi; allo sguardo smarrito, pieno di stupore mentre gli urlavo contro tra le lacrime.
Ho fatto parecchi errori nelle ultime settimane ma questo, li supera davvero tutti.
«Sei sveglia?», Scott esce con un asciugamano attorno alla vita distogliendomi dai pensieri confusi che affollano la mia testa ormai da un pezzo.
È come avere un disco rotto dentro la mente.
In parte vederlo è una bellissima distrazione anche se momentanea visto come mi sta fissando.
Annuisco e quando si avvicina per non destare sospetti lo accolgo tra le braccia baciandolo anche se dentro percepisco altro.
«Buongiorno», mi sussurra tenendo stretti i miei fianchi a sé.
Mentre lo guardo, dentro la mia testa inizia a circolare il solito dubbio.
Sei davvero chi dici di essere o la tua è solo una facciata?
Cerco di scacciarlo via più in fretta che posso. Non credo sia il momento. Devo rimanere lucida. Soprattutto: devo andarmene da questo posto.
«'Giorno», mormoro.
Dopo un attimo, quando si accorge che mi sono già cambiata si fa cupo in viso. «Stavi andando via?» dice in un tono che mi fa rizzare i peli sulla nuca.
Infatti mi stacco da lui facendo un passo indietro.
«No, prima volevo salutarti e ringraziarti. Sei davvero un ragazzo meraviglioso.»
Lo avvolgo di nuovo con le braccia attorno al collo alzandomi sulle punte per salutarlo.
«Non vuoi rimanere? Puoi stare quanto vuoi, lo sai che l'appartamento è mio. Inoltre, mi piacerebbe vederti girare per casa con addosso le mie magliette», morde le mie labbra tentando di convincermi tenendomi sempre più stretta a sé.
Mi oppongo con il cuore, anche con la testa. Mi oppongo perché non voglio sbagliare. Non riesco neanche a comprendere la ragione di questo mio strano rifiuto nei suoi confronti; in fondo mi piace.
I ragazzi fanno queste cose ogni giorno, si divertono. Ma io non voglio divertirmi in questo modo. Voglio fare ogni esperienza perché sento di volerlo veramente; non per moda, non per costrizione.
In parte con Scott mi capita di sentirmi quasi costretta ad avvicinarmi a lui. Come se dovessi accontentarlo in qualche modo.
Questo fa di me una persona orribile. Lo so. Lo sono.
«Non c'è niente che posso fare per convincerti, vero?», aggiunge con un tono quasi acido intuendo le mie intenzioni.
Scuoto la testa abbozzando un sorriso. «Non mi vedrai con quegli indumenti da poliziotta addosso quindi scordalo. Ah, e per la cronaca, sei davvero sexy così», lo bacio in modo frettoloso, recupero il cellulare e la borsetta e dopo avergli lanciato un ultimo sguardo, esco dal suo appartamento più in fretta che posso.
Esce dalla stanza e per fortuna non mi rincorre, non mi segue.
Forse ha capito che è meglio non opprimermi. Perché in fondo bisogna sempre fare ciò che si vuole e quando lo si vuole. Bisogna sempre sentirsi liberi di sperimentare e provare, soprattutto di amare perché lo si sente dentro.
L'aria fuori è afosa. Un mix di odori quasi sgradevoli a causa dell'inquinamento. L'estate inizia proprio a farsi sentire con la sua morsa asfissiante.
Mi fermo ad un camioncino a prendere una granita per rinfrescarmi e rimango per un po' al parco, seduta su una panchina a rinviare il momento. Questo posto ad un certo punto mi fa ricordare tanto lui.
Metto le mani tra i capelli scuotendo la testa.
Perché non riesco a togliermi di dosso questa sensazione? Perché non riesco a non pensarci?
Forse sto impazzendo. Sono solo annebbiata da un bel facciano.
Sono stata una sciocca quella notte. Quella in cui tutto ha avuto inizio e per effetto domino ha fatto crollare dentro di me qualche armatura.
Accendo il cellulare. Inizia a vibrare rumorosamente. Arrivano tanti, troppi messaggi. Intasano la segreteria.
Non ascolto un bel niente. So già chi è il mittente e sono tutte scuse. Non credo di averne bisogno in questo momento. Ciò di cui ho veramente bisogno, non posso averlo. Non potrò mai.
Purtroppo ho fatto la figura della stupida psicopatica che dà di matto proprio davanti a loro. Sono arrivata così in fretta al punto di rottura da non accorgermene. E adesso il pensiero di tornare a casa mi rende inquieta.
Infatti, evito l'ascensore salendo le scale per arrivare all'appartamento con molta calma. Sto prendendo altro tempo prezioso ma è l'unico modo che ho per non sentirmi male. Male dentro.
Al secondo piano trovo una delle tante vicine che non conosco. Che non ho mai conosciuto. Che probabilmente non conoscerò mai perché non sono qui per familiarizzare, per creare rapporti lunghi e duraturi. Perché in fondo lo so, so che me ne andrò da qualche altra parte perché ancora il mio cuore non ha trovato il suo posto sicuro.
Arrivo nel corridoio del mio piano senza incontrare qualcun altro. Qui c'è molto più silenzio. Ecco perché mi è piaciuto ad impatto. Ecco perché ho firmato immediatamente un contratto immaginario con la mia coinquilina.
Giro la chiave dentro la toppa facendo il minor rumore possibile. Per non spezzare la piacevole quiete che aleggia attorno.
Spalanco la porta chiudendola alle mie spalle. La casa è avvolta nel silenzio.
Evito di entrare in cucina o di soffermarmi troppo in corridoio. Arrivo in camera continuando a guardarmi attorno in attesa di sentire la voce della mia amica cogliermi di sorpresa ma questa, non arriva.
Chiudo la porta appoggiando la fronte sulla superficie liscia. Emetto un grosso sospiro prima di voltarmi indirizzandomi in bagno.
Ho bisogno di togliermi di dosso l'odore di Scott. Non so perché ma non lo sento mio. Non sento mio il suo profumo.
Per la seconda volta mi sento una persona orribile e ho la voglia matta di mettermi a urlare.
Disgustata da me stessa, tolgo i vestiti buttandoli a terra ed entro nella doccia lasciando scorrere sotto il getto dell'acqua: i pensieri, il dolore, la rabbia. Tutto.
Rimango dentro questo quadratino per interi e lunghi minuti senza muovermi; poi come impazzita inizio a strofinarmi la pelle fino ad arrossarla.
Quando esco, mi fermo qualche attimo davanti lo specchio. Mi pizzico le guance pettinando poi i capelli pieni di nodi. Forse troppo lunghi per un viso così piccolo come il mio. Ma, li ho sempre tenuti così. Mi è sempre piaciuto vedermi come una piccola ragazza selvaggia.
«Andrà tutto per il verso giusto», dico dandomi la carica in procinto di entrare in camera in accappatoio.
Sedendomi sul letto accendo il portatile, infilo le cuffie ed inizio a leggere una presentazione sulle note di Ed Sheeran. Uno dei miei cantanti preferiti.
Mi impegno anche con la stesura di una mappa creando delle slide da usare per il prossimo esame da sostenere.
Mi piace tenermi sempre avanti con lo studio. Non vedo l'ora di finire, laurearmi e trovare un lavoro decente, che mi permetta di vivere dignitosamente, senza preoccupazioni su come fare ad arrivare a fine mese.
Ora come ora non ho avuto problemi. Ho sempre fatto il possibile per avere un tetto sulla testa e un lavoro. Non mi è mai importato della paga. Mi basta tenermi impegnata e se c'è la possibilità fare qualche ora extra per non dovere dipendere da nessuno.
Lo schermo del telefono posto sul comodino si illumina segnando un messaggio in arrivo.
Scott: "Oggi sei scappata. Me ne sono accorto, sai? Spero non sia per qualcosa che ho detto o fatto. Ti penso. Mi manchi già."
Mordo il labbro. Le sue parole mi fanno riflettere parecchio sul fatto che devo fare attenzione a come reagisco a determinate cose davanti a lui perché non è di certo stupido. Inizierà ad avere dei sospetti se non inizio a sciogliermi con lui. Se non inizio a vivermi il nostro rapporto come una ragazza normale.
Emma: "Non sono scappata. Avevo delle cose da fare, per questo sono tornata a casa. Non posso avere distrazioni mentre cerco di studiare. Grazie ancora per la compagnia."
Mi blocco con le dita sul tasto di invio poi cancello l'ultima frase lasciando solo un semplice "grazie per ieri".
Scott: "Non ringraziarmi. Ho fatto ciò che un ragazzo dovrebbe fare per la persona che ama. È stato impulsivo, spero di non averti spaventata. Sappi che non ho nessuna pretesa. Mi fa solo piacere averti vicina anche al di fuori del nostro lavoro."
Il cuore ha uno strano sussulto. Mi sto solo illudendo. Lo so. Forse devo ammetterlo. Devo ammetterlo a me stessa.
Emma: "Invece mi preme ringraziarti. Sono stata di una noia mortale ieri, mi dispiace."
Scott: "Sssh, va tutto bene. Mi piace ascoltarti. Ti va di cenare con me?"
Tengo il labbro tra i denti. Adesso?
Emma: "Non posso. Facciamo un'altra volta. Grazie per l'invito. Non mangiare la pizza senza di me o al lavoro ti farò lavare le stoviglie per punizione. :p"
Scott: "Ah ah ah, che spiritosa. La pizza la mangio lo stesso. Posso sempre riservartene un pezzo, magari cambi idea e mi raggiungi."
Emma: "Non tentarmi. Ho davvero delle cose da fare e mi stai distraendo."
Scott: "Ti distraggo da qualche ora, è divertente. Adesso però ti lascio qualche minuto in santa pace. A dopo, ti amo."
Emma: "A dopo, Scott."
Lascio cadere il telefono sul lenzuolo. Sbadiglio poi lanciando uno sguardo alla sveglia mi accorgo che è già ora di cena.
Tutti questi cambiamenti, mi stanno destabilizzando. Prima dovevo solo preoccuparmi di me stessa, di arrivare a fine mese, studiare ed ottenere una borsa di studio, lavorare. Ora mi sembra tutto un groviglio da quando ho conosciuto queste persone. Ho mandato all'aria ogni mio piano e non riesco a riordinare o tornare indietro.
Spento il portatile mi stiracchio alzandomi dal letto pronta a dirigermi in cucina dove per fortuna non trovo nessuno. Cucino un piatto di pasta al pesto preparando anche del pesce con contorno di patate. Cucinare mi rilassa. Una delle poche passioni che mia nonna è riuscita a trasmettermi nel corso degli anni.
Inizio ad ambientarmi e non voglio andare via proprio ora, ricominciare in un nuovo posto e adattarmi a nuove situazioni. Il pensiero mi fa quasi stare male.
Adoro questa cucina in stile moderno. Mi piace anche quell'orologio a cucù posto in corridoio anche se non si abbina all'arredamento, al gusto eccentrico della mia coinquilina.
Sistemo i due piatti sul bancone guardandoli. Mi sento tremendamente sola. Il mio stomaco si contrae. Mangio svogliata cercando di non pensare. Quando poi ho finito apro il frigo per posare gli avanzi. So che Anya non è una gran cuoca e quello che spesso cucino non finisce nell'immondizia ma dentro il suo stomaco. Apprezza e divora tutto.
Fisso le bottiglie di alcolici che abbiamo in casa e prendendone una la rigiro tra le mani grattando leggermente il bordo dell'etichetta. Scuoto la testa rimettendola al posto. Dovrò aggiornare la lista delle cose da fare in estate cambiando la voce: "ubriacarsi" con qualcosa di diverso e davvero sano.
Ritorno in camera accendendo le casse per un po' di musica. Ho bisogno di rilassarmi, di non riflettere troppo, di non lasciarmi sopraffare dal senso di vuoto che sto cercando di non provare.
Dopo avere acceso una candela profumata, mi stendo supina sul letto fissando le stelle attaccate al soffitto. Cerco di non crollare, di non mollare, di non deludermi ancora una volta.
Continuo a ripetermi: "ce l'hai fatta tante volte, sei forte. Hai superato cose peggiori. Dopo tutto dopo la tempesta arriva sempre il sereno. E tu cerca quel sereno".
Quando mi giro su un fianco i miei occhi si posano sul comodino. Manca qualcosa. Ogni persona normale ha una cornice con qualche foto di famiglia nella propria camera; mentre nella mia non ho mai tenuto foto della mia. A dire il vero, nonna prima di morire, sotto un violento attacco di ira e dolore ha creato un bel danno provando a bruciarle tutte. Quando le ho chiesto il perché del suo gesto mi disse che la faceva stare male vederle ed esserne circondata le provocava un'immensa tristezza mista a vuoto.
Forse perché si riteneva responsabile in qualche modo della loro morte.
Sono riuscita a salvarne un paio ustionandomi le dita, ma non sono mai riuscita a metterle in mostra. Anche a me provocano sensazioni strane. Sentimenti che non avrei mai pensato di provare e tenere dentro fino a stare male.
La porta cigola e la musica si interrompe ma sono già lontana, con la mente rivolta al passato ormai pronta a parlare. A lasciare uscire una verità difficile da accettare.
Ci vorranno anni, probabilmente tutta la vita per liberarmi del tutto da questo senso costante di mancanza. Forse rimarrà dentro, non mi abbandonerà mai. Mi punirà quando riuscirò ad essere felice.
«Avevo dieci anni. Ero a scuola quando l'ho saputo. Di quel giorno se chiudo gli occhi ricordo ancora la felicità, il profumo emanato dai miei genitori; quel giorno erano parecchio emozionati per la festa di compleanno della mia sorellina, Elly, così si chiamava. Compiva un anno. Era una bambina bellissima, affettuosa, dolce. Grandi occhi marroni e ricci sulla testa del colore del miele. Due denti bianchi davanti, guance paffute da baciare e un cuore enorme. Adorava i berretti con le orecchie. Gliene avevo preso uno. È rimasto confezionato, ad impolverarsi dentro la sua piccola tomba dove l'ho lasciato perché così non avrebbe sentito freddo nel suo lungo sonno.
Di quel giorno ricordo bene un bacio sulla guancia da parte di mamma mentre mi scansavo, un abbraccio forte, un sorriso e un batti cinque da parte di papà, le sue bellissime parole di incitamento che continuano a rimbombarmi dentro la testa come tuoni quando penso di non essere capace. Voleva che lo rendessi orgoglioso ancora una volta. Ricordo anche un ciao con la manina da parte della piccola Elly, un bacio volante. Un gesto che gli avevo insegnato in un pomeriggio caldo d'estate e che non aveva più dimenticato.
Mi guardava dalla finestra mentre aspettavo il bus a qualche metro di distanza da casa. Mi guardava e una lacrima le scendeva sulla guancia perché non mi voleva lasciare andare. Forse sentiva che qualcosa ci avrebbe divise.
Dovevamo festeggiare a cena, sarebbe venuta anche nonna ed alcuni vicini di casa. Non avevamo altri parenti.»
Sospiro poi continuo lentamente e con un nodo in gola che tenta di soffocarmi.
«Rivedo una giornata fredda, del ghiaccio sull'asfalto, le strade rese impraticabili, le auto senza catene ferme e coperte di neve.
A scuola stava andando bene. Presi un buon voto in scienze. Ero così contenta perché di sicuro papà avrebbe scattato una foto al mio compito e poi l'avrebbe mostrata ai suoi colleghi ed amici durante la pausa in ufficio, sempre con orgoglio. Proprio come faceva tutte le volte prima di appenderlo sul frigo insieme alle nostre bellissime calamite.»
Sorrido piena di amarezza. «Mi sosteneva sempre. Mi aiutava quando facevo fatica ad essere una persona normale», sospiro prima di continuare. «Erano le nove e mezzo, fuori l'ambiente era reso grigio dal tempo. La porta si aprì lentamente e in aula entrarono due persone, due estranei con la divisa e una donna con un tailleur nero e un cartellino appeso al collo. Riconoscerei ancora i loro volti e i loro nomi.
Tutti trattenemmo il fiato mentre bisbigliavano con l'insegnante. Poi...
Chiamarono il mio cognome ed il mio cuore, iniziò a battere velocemente. Non ero una bambina cattiva o aggressiva quindi non avevo nulla da temere. Non avevo fatto niente. L'insegnante non aveva il coraggio di guardarmi così mi presi di coraggio e li seguii in presidenza dove mi fecero sedere sulla comoda poltrona dandomi un bicchiere d'acqua e una caramella di quelle alla frutta con lo zucchero sopra. Le ho sempre odiate.
Iniziarono a farmi strane domande per valutare una mia possibile reazione. Dopo un paio di minuti mi diedero la brutta notizia.
Non ebbi neanche il tempo di elaborare la cosa o di prepararmi. Fu come essere attraversata da un fulmine. Folgorarono la mia giornata felice.»
Tiro su con il naso stringendo il cuscino in grembo ma non mi volto perchè so di essere ascoltata. So a chi sto raccontando questa parte dolorosa. Mi sto fidando. Sto affidando un pezzo della mia anima a degli estranei.
«Un uomo, sotto effetto di sostanze stupefacenti e alcol, in pieno giorno, viaggiava nella corsia sbagliata a gran velocità. Ha perso il controllo del mezzo, così hanno detto alcuni sopravvissuti...
Stava iniziando a nevicare e le strade erano ingorgate da macchine e ghiaccio. Mio padre... lui non è riuscito ad evitarlo così come le altre auto alle sue spalle.»
Scuoto la testa e singhiozzo rannicchiandomi in me stessa. Rivedo i loro volti e poi le loro bare mentre scendono sotto terra. Riprovo quel brutto vuoto. Riprovo anche rabbia.
«Sono tutti morti sul colpo. La mia famiglia se ne è andata in pochi istanti. Spazzata via da un incidente. Non sono riuscita a dire loro addio, a dire loro...
Il mondo mi è caduto addosso. Sono rimasta sotto le macerie senza possibilità di rialzarmi.
Uno stronzo figlio di puttana, ha spazzato via la mia bellissima famiglia. Il mio spiritoso e coraggioso papà da cui non riceverò più gli abbracci, la mia smemorata mamma con tanta voglia di baciarmi le guance nei momenti più sbagliati, i sorrisi timidi della mia bellissima Elly e i suoi modi per richiamare la mia attenzione; non ci sono più.» Asciugo le lacrime e con voce rotta continuo.
«Nonna quel giorno è arrivata a scuola dopo circa due ore dal luogo dell'incidente con sguardo stanco e provato. Nonostante io volessi sapere, mi ha risparmiato i dettagli più raccapriccianti ma dai suoi occhi riuscivo a vedere l'orrore a cui aveva assistito. Mi ha abbracciata ma dal suo sguardo avevo già capito che il dolore da quel momento avrebbe accompagnato le nostre giornate, le nostre vite.»
Chiudo gli occhi aspettando un momento. Il mio cuore palpita come un cavallo al galoppo. Non sono sicura di potere arrivare alla fine ancora tutta intera.
«Non sono riuscita a versare una lacrima dopo quel giorno. Tutti mi ritenevano una bambina viziata, chiusa e insensibile. Una persona orribile, senza sentimenti. In realtà, io sentivo il dolore più degli altri e quando entravo nella mia camera, trovavo sempre un modo per sfogarmi e lo facevo anche contro me stessa. Già...
Ho sperimentato la mia prima via di fuga a quindici anni. Succedeva quasi ogni sera quando tornavo a casa e litigavo con mia nonna che non capiva. Attribuiva tutto all'adolescenza al mio essere viziata. Aprivo l'armadietto, prelevavo una semplicissima lametta e segnavo una piccola tacca sulla pelle. Usavo le cosce o le braccia. Zone in cui non si notava troppo sotto lo strato dei vestiti. Era un modo per ricordarmi che ero sopravvissuta ad un altro giorno senza di loro. Un modo per ricordarmi che ero ancora viva e forse non lo meritavo.»
Sento un singhiozzo ma rimango nella mia posizione. Non posso guardare nessuno in questo momento, ne morirei. So quanto può far male sentire tutto questo per la prima volta da qualcuno che non si conosce. Anche alle mie orecchie sembra assurdo ma l'ho vissuto. Ho vissuto un momento orribile che ha lasciato una voragine sul mio cuore.
«Più gli anni passano più non ricordo il loro viso. Non ricordo più la loro voce, il loro sorriso. Niente. Continuo a sentirmi in colpa perché se non fossi stata così chiusa, sarei riuscita a dimostragli che gli volevo bene. Sarei riuscita ad essere la figlia che loro meritavano perché erano delle persone meravigliose. Questo è e sarà sempre uno dei miei rimpianti più grandi.»
Il letto si muove cigolando lievemente. Sento due braccia circondarmi la vita. Unghie rosse e mani pallide si parano davanti. Non ho il coraggio di toccarle, potrebbero svanire.
«Poi cosa è successo?»
Domanda improvvisamente una voce maschile rauca, sensuale, calda. La riconosco immediatamente perchè fa vibrare ogni parte del mio corpo e della mia anima. È come la colonna sonora della mia vita.
La sua non sembra curiosità. C'è qualcosa di intenso nel tono di voce.
Deglutisco facendo un grosso sospiro.
«Poi ho iniziato ad essere un'adolescente intrattabile. Ho frequentato cattive compagnie, ho anche incontrato un ragazzo.»
Sento Anya trattenere il respiro. Agitarsi.
«Era tutto ciò che avevo. Era tutto ciò di cui avevo bisogno. Quando hai quindici o sedici, non bastano i rimproveri o gli avvertimenti ad impedirti di sbagliare o di commettere pazzie. Non bastano le ramanzine, le punizioni.
Ho incontrato lui. Pendevo letteralmente dalle sue labbra perché lo vedevo come il mio eroe. Mi proteggeva, mi faceva sentire speciale e meno sola. Riusciva in parte a colmare quel vuoto con i suoi strani modi, con le sue strane storie coinvolgenti.» Sbuffo passando una mano tra i capelli prima di continuare, «sono stata una stupida ma grazie a lui ho imparato tanto. Ho ricevuto una bellissima lezione dalla vita, questa non si dimentica di certo perché è più forte di una sgridata o di uno schiaffo.
A nonna non piaceva molto in quanto lo riteneva un trascinatore, uno da cui stare alla larga perché porta guai ed io non piacevo alla sua famiglia perchè mi definivano una randagia. Nonostante ciò, eravamo inseparabili o così credevo.»
Scoppio in lacrime al ricordo. Non riesco a pronunciare il suo nome. Perché fa ancora così male?
«Poi?» Sussurra cauta Anya massaggiandomi la schiena.
«Poi le belle favole sono finite, i tre anni insieme sono stati spazzati via come sabbia in balia del vento. Niente più promesse. Niente più sorrisi. Niente più amore. La bolla tranquilla è scoppiata ed io sono precipitata.
Nonna si è ammalata e non riuscivo, non potevo tollerare un'altra perdita. Sono andata proprio fuori controllo.
Come si può dire addio all'ultima persona che fa parte della tua famiglia e che ti vuole bene? Come si può reagire ad una cosa simile?
Da lì, io sono cambiata, lui è cambiato. I litigi sono diventati insopportabili a causa della sua famiglia, dei suoi continui gesti costruiti, dei miei errori; la gelosia un muro insormontabile. La nostra storia lentamente è arrivata alla deriva. Ed io che pensavo di sposarlo ed essere felice. Che stupida.
In quel periodo ho cercato e trovato rifugio da altre persone a cui importava qualcosa di me o così credevo. Mi davano attenzioni, mi facevano sentire parte del loro gruppo in cui condividevamo le nostre sventure. Erano dei compagni di vita. Una vita che mi ha tolto un pezzo davvero importante.
Lui vedendomi sempre più distante ha dato di matto. Chiamava sempre meno, mi scansava. Alternava momenti in cui per lui ero tutto a giorni in cui faceva finta di non conoscermi. Voleva voltare pagina; per questo ha cambiato gruppo, ha iniziato a bere, a fumare, a farsi, a frequentare cattive compagnie in case piene di tossici.
Mia nonna sempre più debole perchè non voleva nessuna cura ed io sempre più incazzata con la vita, con il mondo, con me stessa per non essere stata coraggiosa.»
Metto i pugni sul viso e singhiozzo scuotendo la testa. Mi sento male. Provo solo schifo verso me stessa.
«Va tutto bene», sussurra Anya forse intuendo i miei pensieri. «Va tutto bene Emma. Se non te la senti, non continuare».
Scuoto la testa stringendo le palpebre. «Una sera eravamo entrambi ad una festa. Mi stavo annoiando a morte perché continuava a darmi il tormento. Avevo solo bisogno di svagarmi.
Mi aveva invitata poi ignorata comportandosi da idiota con un'altra. Voleva che non lo evitassi, che tornassimo di nuovo insieme, come prima. Come potevo crederci dopo quello che aveva fatto chiuso in quel bagno al piano di sopra?
Volevo solo andare a casa da mia nonna e parlare un pò con lei. Ero sicura che mi avrebbe aiutata in qualche modo. Lo faceva sempre. Mi preparava un te' caldo, una scatola di cioccolatini al fondente e una borsa d'acqua calda da mettere sotto la coperta azzurra con i gatti stampati sopra. Parlavamo per ore quando succedeva.
Sono uscita in giardino con l'idea di prendere un passaggio e raggiungerla. In fondo era sola in casa e io non potevo comportarmi da stupita proprio mentre stava male. Dovevo prendermi cura di lei. Farla sentire meno sola anche se aveva i suoi amici del club della chiesa.
Un ragazzo ha iniziato a farmi delle domande e ci siamo seduti sul portico dove siamo rimasti per un paio di ore fino all'alba. Mi ha solo intrattenuta perché aveva visto il litigio, le mie lacrime trattenute, la mia voglia di fuggire. Voleva solo calmarmi, in parte ci è riuscito.
Lui ha visto tutto anche quando il ragazzo mi ha offerto la sua giacca perché sentivo freddo e ha dato di matto. È uscito come una furia sul portico, ha riempito di botte quel poveretto, mi ha afferrato e trascinato con la forza in auto. Ero impaurita ma in fondo sapevo che non mi avrebbe mai fatto del male più di quanto io non ne facessi a me stessa quando tornavo a casa.
Mi sbagliavo.
Si è messo al volante e prima mi ha picchiata. Ha perso il controllo, non aveva ancora smaltito del tutto la sbronza.»
Mordo le labbra, tremo. Anya continua a stringermi forte. «Non gli ho dato la soddisfazione di vedermi in lacrime. Era fatto e fuori controllo, non se ne sarebbe accorto. Ho cercato solo di farlo ragionare mentre continuava ad urlarmi contro, a colpirmi. Solo quando ha sentito il rumore del mio labbro che si apriva e ha visto il sangue sgorgare dalla mia bocca ha avuto la decenza di fermarsi. In quell'esatto momento mi ha chiesto scusa provando ad abbracciarmi. Sembrava tutto normale, forse irreale perché non sentivo niente. Non riuscivo più a sentire niente. Il ragazzo dei miei sogni, era diventato uno stronzo spietato. Un orco. Uno sconosciuto.»
Sento il panico arrivare lentamente e stringermi la gola. Resisto, devo liberarmi dal peso, loro devono sapere chi sono e cosa rivedo nei miei sogni la notte quando cerco di trovare un pò di pace e invece mi ritrovo ad urlare.
«Mi ha disinfettato la ferita anche se non ha visto quello che mi ha fatto dentro. Poi parlando tra sé ha messo in moto l'auto ed io non ho protestato. Avevo paura a parlare e non potevo farci niente. Volevo solo tornare a casa, farmi una doccia, una dormita e poi dimenticare tutto.
Faceva freddo ed era ormai autunno inoltrato mi ero stretta in un abbraccio e lui aveva acceso il riscaldamento notando che tremavo come una foglia. Il viso mi faceva male a causa degli schiaffi, il cuore era in tanti piccoli pezzi. Stranamente stava guidando attentamente, era guardingo, forse preoccupato da ciò che avrei potuto fargli se lo avessi denunciato. Conosceva mia nonna. Conosceva anche me.
Non so cosa sia stato: un attimo, un millesimo di secondo, una svista, il destino, non lo so perchè è tutto confuso dentro la mia testa. Ricordo solo due enormi e accecanti fari che spuntano dal nulla; un clacson, lo stridio delle ruote sull'asfalto; il rumore del ferro che si piega e l'odore insistente del sangue, della benzina, delle gomme bruciate. Ho chiuso gli occhi, poi in lontananza ho sentito delle voci, qualcuno scuotermi. Io mi allontanavo sempre di più perchè non volevo svegliarmi, volevo...»
Stacco le mani di Anya sedendomi, appoggiando la schiena sulla testiera del letto. Non sto più piangendo, è un sollievo.
Mi permetto di guardarli. Anya ha gli occhi rossi, Ethan se ne sta seduto appoggiato sui gomiti con sguardo grave, Mark è seduto sul letto e ha gli occhi sbarrati e rossi. Li sto turbando? Questa è stata la mia vita. Una vita ormai piena di schegge taglianti pronte a ferire.
«Mi sono risvegliata dopo circa un mese e non riuscivo a muovere le gambe. Non sentivo più la parte inferiore del mio corpo ed è stato traumatico. Ho dovuto fare alcuni interventi per rimettermi in piedi, ho dovuto affrontare lunghe sedute di dolore e terapia.»
«E lui?» chiede stringendo un pugno, contraendo la mandibola.
«Nessuna traccia, era sparito dalla mia vita, mi aveva lasciata da sola in un momento difficile. Ironico no?
È stata tutta colpa sua eppure non è rimasto intrappolato tra le lamiere e non ha ricevuto nessun graffio fisico o nel cuore.» Mi manca il respiro ma so che devo continuare.
«E tua nonna?» chiede Mark. «Ha denunciato l'accaduto?»
Nego. «È morta dopo due mesi ed io sono rimasta sola. Non avevo più una famiglia, degli amici, un ragazzo. C'ero solo io con me stessa. Ho ripagato i debiti iniziando a lavorare ovunque anche nei posti meno raccomandati. "Gli incidenti capitano" continuavo a ripetere con rabbia mentre la vita proseguiva con tutte le sue insidie ed io mi chiedevo di continuo il perchè di tutto questo. Dopo due anni, sono riuscita a fuggire dal passato e sono venuta qui. Sono tornata a respirare, a sentirmi libera e lontana dal passato.»
Tocco e fisso la cicatrice sul ginocchio.
«Non pensavo di dovere rivivere tutto questo. Non pensavo fosse così difficile lasciare tutto indietro e andare avanti. Non pensavo di conoscere voi. Non pensavo di potere sopravvivere così a lungo con questo dolore che mi squarcia il petto ogni notte. Mi dispiace... se ho esagerato con i toni e i modi. Sono scoppiata e me ne vergogno. Voi non ne avete colpa ed io sono solo arrabbiata con me stessa perché il cuore mi fa così tanto male da volerlo strappare a mani nude per non sentire più niente...»
Tiro con i denti una pellicina sulle labbra. Ho finito, non so che altro dire. Non riesco a capire come mi sto sentendo. Forse tutto questo avrei dovuto farlo anni fa.
«Siamo noi quelli insensibili, Emma.»
Mark si alza stropicciando gli occhi arrossati. Si sta trattenendo, è davvero un ragazzo forte. Ha il viso tumefatto ma è in piedi come se niente fosse. Lo ammiro. Mi piacerebbe essere come lui.
Anya annuisce prendendo la mia mano. «Dire mi dispiace credo sia ridicolo. Ma, sappi che lo sono davvero e non riesco a credere che tu sia stata così forte in tutti questi anni, affrontando tutto da sola. Al confronto noi... noi siamo dei dilettanti che giocano. In più hai difeso Mark e questo è stato...»
Fatica a parlare, staccando le mani si sventola poi sbuffq scoppiando in lacrime, abbracciandomi con impeto.
«Ti voglio bene Emma. Perdonami.» Singhiozza poi mi stampa un bacio sulla guancia alzandosi dal letto quando Mark le fa un breve cenno con il capo.
«Grazie per quello che hai fatto ieri. Credo di essere in debito con te. Cerca di non chiuderti troppo con noi, ti vogliamo bene.»
Mark avvicinandosi mi dà una pacca sulla spalla abbastanza energica e poi esce dalla stanza con Anya.
Mi sento improvvisamente svuotata. Come un palloncino pieno d'aria lasciato libero nel cielo.
Ethan rimasto per tutto questo tempo in silenzio alza lo sguardo. Passa una mano sul viso sollevandosi, andando a chiudere la porta. Quando sedendosi sul letto mi prende la mano, sento la pelle iniziare a formicolare, dapprima lentamente poi di colpo ogni piccola parte di me prendere fuoco. Reazione che non mi capita di sentire con Scott, questa però è più che piacevole, intensa. Ma il suo tocco se associato ad altro, fa quasi male. La sua presenza in camera mia è pericolosa. Lui è pericoloso. Mi destabilizza. E' come una boccata d'aria fresca dopo una giornata afosa.
E come quando si frena o si sterza di colpo cambiando strada, i miei pensieri subiscono una battuta d'arresto.
«Quella notte, quella in cui hai accettato il mio aiuto e sei entrata nella mia auto, molte cose sono cambiate. Non faccio altro che pensarci. Dentro la mia testa non c'è altro. Questo mi fa impazzire, mi fa sentire fuori controllo. In te ho visto qualcosa di diverso, di incredibile. Nessuno è come te. Nessuno si nota come ti fai notare tu. Io me ne sono accorto. Me ne stavo dietro quei vetri oscurati mentre tu in mezzo a tutta quella gente con quell'aria smarrita stampata sul viso. Ti guardavi attorno, avevi tanto l'aria di chi non riesce a trovare un proprio posto nel mondo e pertanto si costruisce un piccolo rifugio per sopravvivere dentro se stessa. Ma non ti accorgevi che gli occhi di tutti, erano puntati su di te. Non ti accorgevi di come ti guardavano tutti quei ragazzi eccitati per una stupida gara. Non te ne accorgevi perché cercavi di capire, di non perdere la concentrazione; cercavi di non perderti. Nel frattempo non ti accorgevi di come Eric ti ha notata, di come io ti ho notata; sembravi solo... distante, quasi incurante.
Quando poi è successo quel putiferio non ho riflettuto abbastanza e ho provato. Non immaginavo che avresti stravolto una serata come tante. Non mi aspettavo che mi avresti attirato, incuriosito così tanto come una formica attratta dallo zucchero.
Avevo solo il sospetto che dietro quel tuo essere distante si celasse qualcosa.
Quando ti ho lasciata qui, sotto casa, mi sono detto: "fanculo sarà solo la solita ragazza insicura con tanti sogni e un ragazzo figlio di papà pronto a manovrarla". Mi sono anche detto: "è inutile cercarla tra la gente, tanto le possibilità che lei voglia rivederti sono scarse, se non nulle". Ogni volta che cercavo di convincermi qualcosa mi frenava perché non sono riuscito a toglierti dalla testa.»
Sono scioccata. Non riesco ad aprire bocca. Perché me ne sta parlando? Perché si sta aprendo con me? Perché mi sta dicendo proprio ora tutto questo?
Pessimo tempismo Ethan, penso subito.
«Avrai molte domande tipo: come facevo a non capire che eri la coinquilina di mia sorella, quella bella, intelligente di cui parlava di continuo a tal punto da farmi incuriosire. Semplicemente non sono andato alla ricerca del dettaglio perché durante la gara non eravate insieme. Potevo arrivarci quando hai parlato con lei al telefono o quando ti ho lasciata sotto casa, ma mi hai distratto. Sei riuscita a fuorviarmi.»
Sulle sue labbra spunta un breve sorriso.
«Ti chiederai come mai non sono venuto mai a trovare Anya. Perché non ho mai avuto il tempo. Ho anch'io un lavoro. E credimi, sono rimasto bloccato e spiazzato quando ti ho vista arrivare agitata davanti al club per recuperare mia sorella. In quel momento, ho capito. Ho capito che doveva essere proprio destino e che la sorte si stava prendendo gioco di me ancora una volta.»
Aggrotto la fronte. Parlo senza mettere in funzione la ragione.
«Che cosa significa tutto questo, che cosa vuoi dire?»
Si fa così vicino da riuscire a sentire il suo fiato caldo al sapore di menta e liquirizia sulla mia fragile pelle.
«Mi piace una ragazza perché so di conoscerla dentro come non la conosce nessuno, ma non posso averla perché sono impegnato con un'altra. Sono impegnato con una persona ma non con il cuore perché quello sa da solo per chi battere...»
Scuote la testa rialzandosi quasi scottato dalle sue stesse parole. È come se avesse appena detto troppo.
«Cosa?», balbetto con il cuore a mille.
Ethan alza lo sguardo. Mi perdo nei suoi occhi azzurri, nell'intensità del suo sguardo, nel suo tono di voce.
Inumidisce le labbra e seguo ogni singolo movimento.
«Il destino tira brutti scherzi proprio quando noi non ce lo aspettiamo. E non possiamo fare niente per impedire di provare determinate sensazioni verso qualcuno di cui non sappiamo niente ma che in fondo sentiamo di sapere tutto.»
Porta la mano sulla mia guancia. Abbasso lo sguardo lasciandomi incendiare dal suo tocco. Chiudo gli occhi inspirando il suo profumo, facendolo penetrare in ogni fibra del mio corpo, sotto pelle.
Sono i minuti più intensi della mia vita. Non ho mai provato niente del genere.
Il polpastrello si sposta delicatamente sulle mie labbra. Questo mi provoca una sferzata violenta di brividi e apro gli occhi ritrovandolo a pochi centimetri.
Ora come ora desidero ciò che non posso avere. E lo so. So che bisogna fare attenzione a ciò che si desidera perché si è sempre tossici di cose che non appartengono, che fanno male.
«Quello che hai detto al parco... Nessuno mi aveva mai detto niente di simile e ad essere sincero, mi ha colpito. Non posso impedirti di stare con chi ami ma non mi pento del gesto che ho fatto. Non mi pento se stavo per perdere la testa. Perché con te è facile impazzire.
Ho fatto solo ciò che sentivo e quando sto a pochi passi da te, quello che sento, mi incendia nel profondo facendomi mancare il fiato», lascia ricadere la mano e staccandosi si alza creando una certa distanza prima di lasciarmi in camera piena di dubbi, sola.
Che cosa significa tutto il suo discorso? Vorrei ricorrerlo, fermarlo, avere un chiarimento ma so già che abbiamo tutti bisogno di tempo per digerire la situazione.
Mi guardo attorno frastornata prima di infilarmi sotto il lenzuolo.
Nonostante i pensieri foschi, i rumori in sottofondo, le lacrime, il dolore, mi rannicchio e cerco di dormire. È stata una giornata intensa e sfiancante.
Capita di andare a dormire per mettere finalmente a tacere i sentimenti. Ma, ci sono pensieri che non possono essere bloccati, sentimenti che non possono essere fermati. Perché il nostro sarà sempre un pensiero fisso pronto a trascinare il cuore in un posto lontano, dove non siamo mai riusciti ad arrivare per paura di non sapere affrontare i sentimenti; l'amore.
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