Capitolo 7

Prendo un grosso respiro ritornandomene in camera. Forse nel mio ambiente finalmente riuscirò a sentirmi meglio. È questo che continuo a ripetermi come un mantra, per autoconvincermi che una volta tanto andrà tutto per il verso giusto.
Giro intorno cercando una via d'uscita e, alla fine riordino tutto quanto provando a dare una ripulita a tutto ciò che, ai miei occhi, appare in disordine o fuori posto. La mia è solo una scappatoia, lo so. Quanto ancora resisterò prima di avere un crollo emotivo?
Quando ho finito, vado a fare una lunga doccia rilassante.
Sotto il getto caldo rifletto sull'inizio di una giornata che con ogni probabilità si concluderà in modo disastroso. Non è iniziata nel migliore dei modi questo sembra più che evidente e se continuerà così non so proprio cosa aspettarmi. E, anche se con la presenza di Scott qualcosa un po' si è aggiustato, avverto comunque una strana pressione addosso perché la parte difficile deve ancora arrivare, in quanto mi toccherà affrontare Anya e la nostra uscita.
Mentre me ne sto sotto il getto dell'acqua rifletto anche sul fatto di doverle parlare per evitare altri fraintendimenti. Le devo almeno una spiegazione. Le devo una verità sulla mia vita. Su quei ricordi dolorosi a cui nessuno ha accesso.
Voglio essere sincera con lei; anche se non so da dove partire perché non ho mai avuto un'amica e considerarla tale in così poco tempo per me significa molto. Così tanto da rischiare. Significa anche che, ho scavalcato quel muro che mi teneva lontana dalle persone per paura di essere ferita. Perché quando nella vita ricevi più pugnalate che abbracci, con il passare del tempo non fai altro che costruirti un'armatura abbastanza resistente da non lasciarti scalfire neanche più da una carezza.
Aperta l'anta dell'armadio, mi fermo al centro a fissare i pochi capi di abbigliamento che possiedo. È tutto maledettamente in ordine. Tutto secondo un disegno ben preciso. Dettato dalla mia maniacale perfezione.
Mi piacerebbe tanto gettare tutto all'aria ma, so già che oltre al senso di pentimento poi passerei ore ed ore a rimettere tutto com'era. Mi conosco.
Continuo a fissare gli indumenti quasi con distacco. Non ho poi così tanta scelta. Non amo fare shopping. Il pensiero di scegliere, passare ore ed ore in mezzo alla gente tra i reparti: mi destabilizza. Ecco perché dentro il mio armadio c'è l'essenziale. Quasi tutti capi di abbigliamento di colore nero e qualcosa comprata in una giornata positiva con del colore sopra. Tutto abbastanza semplice.
Sospiro sentendomi abbattuta.
Non capisco cosa non va in me. Perché non posso essere come ogni altra ragazza? Tenere ai vestiti o ai trucchi più della vita. Avere sempre i capelli in ordine. Essere impeccabile in ogni situazione. Sapere sorridere come una di quelle ragazze in tv abbagliando ogni essere vivente sulla faccia della terra.
Perché non posso essere così perfettamente normale?
Forse mi sto solo autocommiserando. La colpa è mia, perché ho passato un periodo abbastanza buio e non credo di essermi mai realmente rialzata dall'angolo oscuro in cui mi sono rannicchiata.
Forse il dolore a volte aiuta. Perché quando soffri percepisci ogni cosa che ti circonda in modo diverso. È come se avessi un senso in più. Come se ogni sensazione fosse intensificata.
Alla fine sappiamo tutti che nella vita si cade. C'è chi si rialza in fretta rimboccandosi le maniche, chi si ferma un momento, chi non riesce proprio ad alzarsi. Purtroppo è così. Siamo rottami abbandonati in cerca di qualcuno pronto a riutilizzarci. Io sono caduta e ricaduta. Adesso sto solo cercando di capire che cosa voglio.
Indietreggio sedendomi sul letto, cercando di decidere, di non deconcentrarmi lasciando deragliare i pensieri. Questi sono come assassini spietati e silenziosi. Non percepisci quando arriveranno ma senti quando sferrano quel colpo fatale lasciandoti tramortito.
Adesso ho solo un obiettivo: trovare qualcosa da indossare per questa strana uscita e togliermi il pensiero.
Il fatto è che non so nemmeno dove mi porterà. Non so se andremo in un locale dove ci si deve vestire in un certo modo o in un'altra delle sue fantastiche serate da strada dove ci sarà alcol a fiumi e gente folle da rinchiudere.
L'ultima volta, ho optato per qualcosa di comodo e anche questa volta ho la strana sensazione di non dovere esagerare. Anche se non ne ho nessuna intenzione perché non mi sentirei a mio agio.
Alzandomi mi avvicino ai capi sfiorando i vari tessuti, poi per istinto afferro una canottiera nera con il logo di Jack Scheletro stampato al centro, pantaloncini, sneakers ai piedi e una camicia in tartan rossa da legare in vita.
Mi sento un'adolescente. Ma che importa?Trucco un po' gli occhi con abbondante mascara poi cerco di coprire le occhiaie dovute alla crisi di pianto avuta senza una ragione facendo così del mio meglio per apparire riposata e serena. Pettino i capelli prima di creare una sorta di cipolla scomposta sulla testa.
Alzo gli occhi sul mio riflesso. Chi sono? Che ne ho fatto di Emma?
Ormai non faccio altro che mentire. Mento. Continuo a mentire per tirare avanti. Ma fino a quando riuscirò a resistere?
È come tirare una corda fino allo stremo. Prima o poi si spezzerà e io cadrò da qualche parte facendomi male.
Ripensandoci mi faccio pena da sola. Perché io non sono così fragile. Qualcosa dentro di me si è spezzato nell'esatto momento in cui quel...
Il pensiero di Ethan mi fa irrigidire. All'inizio però l'ho sentita. Ho sentito quella scossa, quella stilettata al petto. Scuoto la testa prendendo un respiro dietro l'altro provando subito a calmarmi.
Non sono abituata a provare così tanto e in così poco tempo per qualcuno. Non so neanche come definire ciò che tento di rifiutare ma che continua costantemente a fuoruscire verso una persona che non conosco e che sto iniziando ad odiare.
Le mani sudano, la mente rischia di scivolare e farsi male.
Essendo già pronta, alle otto in punto, decido di uscire dalla camera dirigendomi in soggiorno. Ho un pò di fame. Ho bisogno di mettere qualcosa sotto i denti; principalmente di distrarmi. Ho voglia di farmi un bel panino sostanzioso o di qualcosa da sgranocchiare velocemente.
«Emma»
Anya spalanca la porta della sua stanza, la prima dello stretto corridoio dalle pareti in alternanza lilla e bianche, chiamandomi a gran voce. Lungo il corridoio si forma una stranissima luce dovuta probabilmente al colore della sua stanza.
È già un progresso se mi chiama e non mi evita come la peste, mi dico fermandomi proprio davanti a lei. Lei che mi sta facendo cenno di entrare nella sua stanza mettendosi da parte per lasciarmi passare.
La prima cosa che noto non appena metto piede dentro è l'enorme armadio a parete aperto e tutti i vestiti appallottolati o in disordine fuori, sul letto in legno scuro, sulla poltrona in pelle rossa, sul pavimento in cui vi è un tappeto peloso appariscente nero. Praticamente ha un negozio sparpagliato ovunque.
Gli è appena esploso l'armadio o cosa?
Mi blocco un momento. Il disordine qui dentro regna sovrano. Lo sto paragonando alla mia mente. Si, è proprio come dentro la mia testa.
«Lo so, sono disordinata.»
Storce le labbra ed intravedo un sorriso timido sotto quel gesto.
Potrei sciogliermi come neve al sole. Anya ha molte qualità una delle quali: la sua spontaneità. Poi c'è anche la sua allegria, la sua dolcezza infinita ad attrarre chiunque. Insomma lei è una di quelle ragazze perfette di cui ti innamori ad impatto mentre io...
Sto davvero pensando come una ragazzina?
Cavolo, dacci un taglio Emma.
«Non sai cosa indossare?» chiedo per evitare silenzi imbarazzanti e soprattutto domande su quanto accaduto questa mattina. So che si è accorta di ogni cosa.
Prima o poi farà due più due e io sarò più che fregata. Ormai è questione di tempistiche. Anya è abbastanza sveglia da non fare domande sul momento; anche se so che prima o poi le lascerà uscire e queste mi travolgeranno come un fiume in piena.
«No.»
Si siede sul letto come una bambina imbronciata e dopo essersi guardata attorno sbuffa rumorosamente trattenendo a stento la voglia di fare i capricci.
Mi muovo lentamente, facendo attenzione a non impigliarmi, iniziando a selezionare le magliette che trovo ovunque.
Non so ancora dove mi porterà, ma non ha fatto alcun commento sul mio abbigliamento quindi opto per il casual anche per lei.
«Prova questi.»
Le porgo un top bianco con del pizzo sulle spalline e sotto le costole, una camicia a maniche corte a quadri nera e grigia e shorts cortissimi neri. Ovviamente per le scarpe ci penserà lei. Ne ha una varietà indescrivibile e non voglio iniziare una discussione sull'importanza della zeppa o del tacco in base alle occasioni.
Dapprima mi guarda rimanendo un momento in silenzio poi, mi getta le braccia al collo emettendo uno strillo; lo fa per ringraziarmi.
Velocemente si spoglia indossando quello che ho scelto per lei. Il tutto davanti a me.
Non si preoccupa minimamente di essere guardata. Sembra abituata a questo genere di cose. Mentre io sono in imbarazzo per cui voltandomi dall'altro lato passo in rassegna le mensole e la scrivania. I miei occhi assorbono informazioni.
Cd, bracciali, collane, penne, trucchi, candele. Non ci sono foto di famiglia. Solo una in formato polaroid attaccata allo specchio probabilmente scattata con Mark in uno dei suoi momenti felici.
E' davvero disordinata. Di sicuro è una di quelle persone che trova il proprio ordine nel disordine.
Mi piacerebbe essere così. Purtroppo l'unica cosa disordinata che ho sono i miei pensieri perché dentro non ci trovo alcun ordine, anzi, mi sento sempre più confusa.
La porta si spalanca di colpo. In camera entra Ethan a petto nudo, con un asciugamano bianco morbido attorno alla vita.
Mi imbambolo per un nano secondo in cui credo di svenire. È l'immagine del Dio greco sceso sulla terra per tormentare giovani ragazze innocenti.
Si blocca.
Mi blocco.
Lentamente sento le guance prendere fuoco sotto il suo sguardo intenso in cui mi perdo.
Nella vita possiamo anche fare finta di niente. Fingere di non vedere, di non sentire. Ma, non possiamo mentire a noi stessi. Perché il nostro cuore saprà sempre cosa fare. Saprà sempre come contraddirci.
Ancora una volta mi perdo dentro il suo bellissimo sguardo. Dentro quegli occhi azzurri come il cielo, a tratti intensi, a tratti pronti a combattere, a catturarmi, a prendere tutto.
Anya ci fissa con la coda dell'occhio mentre sistema la camicia facendo finta di niente.
Schiarisco la gola voltandomi, dandogli le spalle faccio finta di niente.
«Hai qualcosa che mi appartiene.»
Le parla in tono brusco ignorandomi completamente. Avanza verso il centro della stanza afferrando il suo Ipod.
Adesso fa lo stronzo? Non mi parlerà più?
«Ci vediamo dopo», sussurro infastidita.
Non so se Anya ha capito che sto uscendo dalla sua stanza perché li lascio soli dirigendomi in cucina dove finalmente preparo un po' di insalata con del tonno e del mais. Nel frattempo accendo la tivù sedendomi poi comodamente sullo sgabello dell'isola.
Sento borbottare Anya e le loro voci si levano alte in casa, ma non voglio di certo starli a sentire. In parte non amo i litigi. Preferisco inoltre non invischiarmi in situazioni tra fratelli. Prima o poi risolveranno i loro problemi.
Non capisco nemmeno perché Ethan dorme ancora qui da noi. So che l'appartamento è di Anya ma suo fratello potrebbe stare da qualche altra parte. Non ha un lavoro? Non ha una casa tutta sua?
Per avere due auto non credo siano i soldi il reale problema.
La verità di tutto questo mio discorso mentale è che mi dà fastidio doverlo vedere ogni giorno o ritrovarmelo davanti e per di più in asciugamano. Mi dà fastidio essere messa alla prova così tanto.
Dopo quanto accaduto al parco e a quel non bacio che continua a tormentarmi, non penso proprio di volerlo ancora tra i piedi. Devo disintossicarmi in qualche modo. Non posso continuare a respirare la sua stessa aria o rischio di avvelenarmi.
Ancora una volta cerco di trovare una distrazione. Decido così di mandare un messaggio su WhatsApp a Scott. Curiosando tra i miei contatti recenti, noto che ha impostato come immagine del profilo una foto con una ragazza che non conosco. Deduco sia una delle sue amiche. È mora, occhi verdi, piena di tatuaggi e piercing. Sorriso da star stampato in faccia.
Non mi dà proprio fastidio, ma non dovrebbe cambiare la foto?
Esito un momento davanti la tastiera.
Che cosa gli dico? Lo sto facendo perché voglio sentirlo o perché non voglio pensare ad Ethan?
Mi rabbuiò digitando qualcosa più che distratta.

Emma: "Grazie ancora per oggi. Sei stato gentile. :*"

Continuo a mangiare foglie di lattuga e tonno guardando distrattamente lo schermo del cellulare. Rimango in attesa per un paio di interminabili minuti. Ne passano prima cinque, poi dieci. Scott però non risponde.
Tamburello nervosa con le dita sul ripiano in onice. Sto cercando di mantenere il controllo, di non arrivare a soluzioni affrettate ed impulsive.
Aspetto ancora un paio di minuti poi rinuncio a controllare la casella di posta sentendomi una pazza maniaca del controllo e, alzandomi in fretta do una ripulita alla cucina. Lo faccio, forse, anche perché è un disastro visto che Anya non presta attenzione quando cucina.
«Smettila di fare lo stronzo!»
Strilla proprio lei dal corridoio. «È da un paio di giorni che non ragioni. Che cavolo ti succede?»
Con la coda dell'occhio noto Ethan entrare in cucina. È teso. Si nota dal modo in cui contrae la mandibola e tiene le spalle rigide.
Apre il frigo prendendo una bottiglia d'acqua. Avvicinandosi apre l'anta della dispensa sfiorandomi involontariamente il braccio quando cerca e prende una confezione di toast.
Asciugo subito le mani sparendo dalla cucina. A metà strada però alzo gli occhi al cielo quando sento squillare rumorosamente lo smartphone. Torno indietro sentendo dentro un peso.
Trovo Ethan intento a fissare lo schermo del mio telefono che tiene tra le mani. Glielo strappo via e torno in camera pestando i piedi sul pavimento mentre Scott continua a chiamarmi. Decido di tenerlo sulle spine e lo ignoro. Proprio come ha fatto lui.
Mi sto comportando come una pazza, credo di avere le mie buone ragioni. O forse sto davvero perdendo il controllo di tutto.
«Siamo pronti!» strilla Anya dopo qualche minuto.
Faccio un grosso respiro uscendo dalla stanza mentre il cellulare trilla per la terza volta. Lo metto in modalità silenzioso raggiungendo Anya con disinvoltura.
Mi aspetta alla porta. Come sempre è meravigliosa. Al contrario di me, così a disagio nel mondo e con me stessa.
Camminiamo in fila. Non ho il coraggio di guardarli o domandare dove mi stanno portando. Tra loro c'è una certa tensione. La percepisco e posso notarla dal modo in cui si lanciano delle occhiate.
Inizio anche ad essere nervosa perchè il cellulare ronza di continuo. Anya mi lancia uno sguardo sospettoso come per dire: "lo fai smettere o ci devo pensare io?"
«Pronto?»
Cammino un po' distante. Non mi piace parlare al cellulare mentre sono per strada. Una svista e mi ritrovo sotto un autobus.
«Dove sei?»
Anche Scott sembra in mezzo al traffico, la sua voce è allegra. In sottofondo si sentono delle risate, femminili. Cerco di ignorare la sensazione di gelosia crescente. In fondo sono anch'io con qualcuno.
Si, qualcuno che ti ignora.
«Con Anya.»
Evito di nominare Ethan che intanto cammina al nostro fianco con lo stesso sguardo vitreo da quando siamo usciti da casa.
Mi piacerebbe sapere cosa sta pensando. Cosa vede mentre fissa la strada, le luci, i taxi, i palazzi. Mi piacerebbe sapere cosa cerca, cosa vuole. Perché è così distante dal mondo. Perché ha così tanto da nascondere.
Sento uno stridio di freni e una mano ad afferrarmi. Quando mi volto battendo le palpebre, il suo respiro mi sta solleticando le labbra.
Il cuore accelera di colpo facendomi perdere la ragione quando abbassando gli occhi noto la mia mano sul suo petto e la sua sulla mia schiena. Sono in equilibrio precario e non ho nessuna intenzione di muovermi o gli cadrò addosso.
«Emma?» strilla Scott dietro la cornetta. «Emma ci sei?» continua prima di rispondere a qualcuno.
Intanto i miei occhi sono incatenati da un mare in tempesta. Mi travolgono facendomi annegare.
Riemergo solo quando il mio corpo e forse anche l'orgoglio decidono di reagire scansandosi. Non ringrazio nemmeno. Sono solo rossa come un peperone.
Porto il telefono all'orecchio con le gambe che tremano.
«Si, scusami ci sono», balbetto distratta dalla sua reazione fredda e da quella di Anya che se ne sta raggelata sul marciapiede a qualche passo di distanza.
Perché deve essere così complicato?
«Se ti liberi chiama, mi farebbe piacere darti la buona notte... a modo mio.»
Aggrotto la fronte.
E' ubriaco?
«Ok. A dopo», dico frettolosamente e turbata fissando incredula lo schermo.
Quando stacco, Anya è già al mio fianco. Non dice niente su quanto appena accaduto.
«Ti ha chiesto dove stiamo andando? Hai detto dove può trovarti?»
«No, visto che se la sta spassando da qualche parte con le sue amiche. Inoltre non so dove stiamo andando quindi potrei anche dargli delle indicazioni sbagliate. Ad ogni modo, perché?» replico acida lanciando uno sguardo verso la strada.
«Meglio, così non verrà.»
Non riesco a credere a quello che sta dicendo. È ovvio che ad Anya non piace Scott ma non capisco il perché.
Forse perchè nessuno ti ha ancora detto cosa succede tra loro? Sentenzia la vocina dentro la mia testa.
«Cosa hai contro Scott?»
Sbotto fermandomi di punto in bianco in mezzo alla strada. Incrocio le braccia fissandola male.
«Non credo sia il momento. Sappi solo che non mi piace. Andiamo.»
Mi trascina quasi a forza prendendomi a braccetto senza darmi diritto di replica.
Superiamo una delle strade più trafficate, piene di locali e gente pronta a divertirsi, ad ottenere qualche scatto con gente famosa.
Svoltiamo a sinistra percorrendo un breve vicolo umido tra due palazzi alti e malridotti. L'unica luce presente non riesce neanche ad illuminare bene l'asfalto; tanto è vecchia. Si ha come l'impressione che da un momento all'altro qualche criminale uscirà puntandoci contro qualche arma prima di rubarci tutti i soldi e scappare rincorso da qualche pattuglia di passaggio.
Senza accorgermene, persa tra le mie più assurde fantasticherie da romanzo o fa telefilm, mi trovo di fronte un vecchio locale. Mattoni rossi rotti in più punti, saracinesche scassate, piene di scritte oscene, disegni spinti e bottiglie di alcol lasciate da qualche tossico agli angoli o per strada. Avvolti sotto dei cartoni due barboni. Stanno dormendo ignari del mondo che li circonda. Attorno c'è uno strano odore. Forse piscio o acqua ristagnata.
Arriccio il naso cercando di non perdermi di nuovo disturbata da ciò che vedo e sento.
Per camminare sto attenta a dove metto i piedi. A volte si notano anche delle siringhe gettate a casaccio per strada.
Non possono pulire?
Questo posto mette i brividi; tanto è trascurato.
Entriamo dal retro salendo una piccola scala di ferro arrugginita e traballante. L'ultimo gradino è più alto.
Ethan è il primo a farci strada, si ferma e aprendo la porta ci lascia passare prima di richiuderla alle nostre spalle. È buio e non riesco a vedere dove metto i piedi. Ho paura di inciampare e fare una delle mie solite brutte figure.
Prima o poi dovrò affrontare il problema. Prima o poi dovrò impegnarmi ad essere più sicura di me. Equilibrata. Non posso continuare a mantenermi in equilibrio precario.
Anya continua a tenermi stretta mentre proseguiamo lungo un corridoio con la carta da parati rossa, a tratti strappata o addirittura lasciata pendere in più punti anziché toglierla del tutto.
La presa con cui mi trattiene è ferrea. È come se non volesse che io scappassi. In fondo, in fondo, inizia a conoscermi. Sa che in un posto del genere non ci verrei mai e poi mai da sola. Tanto meno di mia spinta volontà.
Superiamo lo stretto corridoio scarsamente illuminato da lampade così gialle da fare male agli occhi che, si abituano in fretta alla tenue luce; poi però vengo abbagliata da due grossi fari bianchi.
Quando riesco ad abituarmi alla luce e a mettere a fuoco, noto che la sala è piena di gente. Al centro c'è una sorta di ring da combattimento costruito su un piccolo palco recintato da corde. Da un lato Mark, dall'altro un ragazzo più alto e forzuto di lui. Mai visto niente del genere. Portano dei guantoni da box e si fissano in cagnesco muovendo le labbra, mostrando di tanto in tanto l'apparecchio che protegge i denti.
Anya continua a trascinarmi tra le persone presenti e già in fermento aumentando il passo fino ad arrivare nelle vicinanze del ring.
Merda, penso subito.
Ci ritroviamo ad un incontro clandestino. Noto che circola alcol, soldi ed erba. Soprattutto scommesse in un tavolo posto a distanza in cui sono seduti degli uomini vestiti più che bene, eleganti. I loro occhi nascosti dalle lenti scure. I sorrisi dietro un bicchiere di vetro pieno di liquido ambrato.
Deglutisco a fatica.
È questo quello che vogliono fare nella vita? È questo quello che li fa divertire?
Mi sento parecchio fuori luogo qui dentro.
Proprio come un vaso rotto dentro un acquario senza pesci.
Tutto questo non mi piace. La mia percezione sulla giornata in fondo non era poi così sbagliata. Devo iniziare a fidarmi di più delle mie percezioni, delle mie sensazioni.
C'è di nuovo quel Bron ed il ragazzo, Eric. Non lo ricordavo così bello. Eric sembra un angelo ma di quelli stronzi. È biondo, ha gli occhi azzurri e un sorriso da fare invidia ai divi di Hollywood. Perché mi sembra gay?
Presentano i due a gran voce elogiandone le caratteristiche, ricordando le varie vittorie ottenute. Poi iniziano le scommesse. Gli uomini al tavolo puntano dei soldi lanciandoli nello stesso istante sulla superficie liscia del tavolo di plastica. Abbastanza da poterci comprare una casa.
Eric passa in rassegna la pista ed i suoi occhi, puntano nella nostra direzione. Anya lo saluta con la mano, lui ricambia con entusiasmo.
Le luci si abbassano di colpo. Per qualche attimo tutto tratteniamo il fiato mentre l'arbitro da inizio all'incontro.
Anya stringe subito la mia mano, anzi la stritola. Capisco che è agitata e che di mezzo hanno puntato parecchio denaro perché continua a controllare uno degli uomini seduti in quel tavolo.
Non riesco a guardare. Non voglio che si facciano fuori. Inizio pure a sentirmi male quando vedo barcollare Mark dopo avere ricevuto una sequenza di pugni e colpi abbastanza forti dall'energumeno.
Chiudo gli occhi, mi abbraccio cercando di non avere un attacco di panico in mezzo a tutto questo trambusto.
Non ci riesco. Non posso farcela.
L'aria è un misto di alcol stantio, fumo e profumi vari. Quando alle mie narici, arriva l'odore del sangue, non riesco più a reggere. Mi allontano da Anya barcollando più in fretta che posso verso l'uscita. Scappo fuori. Ho bisogno di aria pulita. Spalanco la porta e piegandomi in due sulla inferriata boccheggio nel tentativo di non vomitare. Mentalmente inizio a contare. Prima dieci, poi venti, poi perdo il conto e crollo. È tutto così sbagliato.
Perché amano vivere in mezzo al pericolo? Sono molto lontani da me, dalla mia vita. Io non ho niente in comune con queste persone. Odio gli ubriachi, odio le auto, odio la violenza e odio me stessa per essermi fatta coinvolgere una seconda volta nei loro strani piani per il sabato sera quando potevo rimanere a casa, a leggere o a guardare una delle mie serie tv preferite e sentirmi a mio agio. Invece sono qui, persa in una stradina malsana di New York, piegata in due e pronta a stare male per i prossimi giorni.
La porta alle mie spalle emette un cigolio. Drizzo subito la schiena cercando di ricompormi.
Quando mi volto rimango di sasso. Tra tutte le persone che mi aspettavo di vedere, lui è l'unico a trovarsi sempre nel momento sbagliato e nel luogo sbagliato; qui di fronte a me.
Trattiene per sé i pensieri, forse qualche domanda sulla mia postura storta o sull'espressione che devo avere proprio quando mi trovo davanti a lui.
«Anya ti cerca», Ethan rimane in attesa.
Che cosa mi aspettavo?
Non è di certo un tipo loquace. Lui squadra solo con quegli occhi azzurri e giudica. Lo fa indirettamente facendomi sentire costantemente fuori posto. Ha la capacità di farmi venire i complessi come pochi.
Sospiro. Riluttante faccio per tornare dentro ma riesce a bloccarmi per il braccio. Mi immobilizzo. Mi sento proprio come una lepre spaventata. Milioni di volt mi attraversano da capo a piedi in una scossa senza fine.
Com'è possibile? Come?
Non riesco a capire perché riesce a farmi provare tutto con un semplice gesto.
«Ti senti bene?»
La domanda mi coglie alla sprovvista. Forse perché non mi aspetto di certo comprensione da uno come lui tanto meno un tono così dolce. O semplicemente perché non voglio apparire sempre come quella che ha bisogno di aiuto.
Chissà come mi vede, che cosa pensa...
Annuisco colpita da questa sua strana attenzione. Provo ad avvicinarmi alla porta spalancata ma, ancora una volta riesce a bloccarmi il passaggio.
Lo guardo negli occhi e i suoi sono improvvisamente adombrati da qualcosa. All'improvviso sospirando passa una mano tra i capelli. Apre e richiude la bocca; come se stesse combattendo interiormente.
È un'attesa lacerante. Dentro di me si sta risvegliando qualcosa. Avverto un certo sfarfallio sulla bocca dello stomaco mentre il mio cuore, traditore, ha già preso il galoppo.
«Possiamo parlare?» domanda in tono brusco.
Subisco come una frustata dietro la nuca. All'inizio mi immobilizzo poi prendendo aria riempio i polmoni. Mi faccio coraggio pensando che li dentro c'è Anya tutta sola in mezzo a tanti, troppi estranei mentre io sono scappata come una codarda qui fuori ritrovandomi il ragazzo che mi ha fatto stare parecchio male nelle ultime ore. Non dimentico di certo il suo sguardo, le sue parole e quel non bacio.
Continuo ancora a chiedermi che effetto mi avrebbe fatto sentire le sue labbra sulle mie e sento dentro come una tensione costante.
«Non abbiamo niente da dirci.»
«Emma», dice perentorio.
Passo la lingua sulle labbra negando. Strattono il braccio riuscendo a liberarmi dalla sua presa più insistente.
«No, non abbiamo niente da dirci», ripeto. Forse lo faccio solo per convincermi e per non continuare a fissare i suoi maledettissimi occhi che mi attirano come una falena attratta dalla luce, consapevole del fatto che si brucerà più volte.
«Emma», ripete con un tono più duro.
Scuoto la testa continuando a barcollare all'indietro. Superata la soglia sono già dentro e non posso fare altro che correre ripercorrendo lo stretto corridoio senza mai guardarmi alle spalle.
Di tanto in tanto chiedo scusa per passare quando trovo il passaggio ingombro da ragazzi eccitati per il combattimento. Ci sono anche altri pronti a mettersi in gioco. Si preparano a combattere proprio come sta facendo Mark in questo momento.
La folla è in estasi. Mi faccio strada per arrivare nel punto in cui intravedo Anya. Sul ring c'è ancora Mark. Quest'ultimo colpisce il ragazzo con cui si sta sfidando più volte. Il ragazzo moro barcolla poi cade e si rialza in fretta colpendolo con ferocia. Mark si ritrova a terra in pochi secondi e non si muove mentre il tipo infierisce più volte su di lui.
Dalla gola mi esce un urlo acuto ed inizio a contare i secondi in cui Mark rimane a terra su quel tappetino pieno di schizzi di saliva e sangue privo di sensi mentre il ragazzo continua a pestarlo urlandogli contro di rialzarsi, schernendolo.
Anya tiene la mano sulla bocca inorridita sono sicura che sta anche piangendo. C'è troppo buio verso quella zona per notarlo e, sono ancora lontana per raggiungerla perché la folla a questo punto sembra proprio impazzita.
I miei occhi si riempiono di lacrime. Non so che cosa mi succede. Vedere Mark ridotto in quello stato e tutta questa gente ad urlare, a scommettere mi fa stare male.
Non so nemmeno perché lo faccio; per istinto o per pura follia, corro verso il ring facendomi largo tra i ragazzi e le ragazze che urlano, alzano le mani piene di soldi, fumano, bevono e si divertono in questo modo orribile.
Salgo sul ring spingendo via l'arbitro che conta. Barcolla all'indietro cadendo fuori dal ring e la folla si anima ulteriormente con fischi, urla, parole indicibili.
Ignoro tutto quanto, non guardo nemmeno verso quel tavolo dove quegli individui sono tutti alzati, in attesa della mia prossima mossa.
Non so nemmeno io che cosa sto facendo. So solo che mi beccherò un colpo, mi ritroverò probabilmente in ospedale tra pochi minuti ma questo va fatto. Devo raggiungere Mark e vedere se respira.
Spingo via anche il ragazzo che cerca di sferrargli un altro calcio e non si rende conto che Mark è inerme. Attorno, quando si ritrova all'angolo, cala uno strano silenzio. Mi proteggo per non ricevere i colpi destinati a Mark e valuto le sue condizioni. Sfioro il collo posando sopra due dita poi una mano sul petto, abbasso l'orecchio sulle sue labbra piegate in una smorfia di dolore. Una smorfia grottesca priva di espressione a causa delle botte, a causa del sangue che si trova ovunque.
«Che cazzo stai facendo ragazzina?» Ringhia l'avversario passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore e sangue. Rimane all'angolo valutando il da farsi. Noto come mi guarda e come i suoi occhi viaggiano immediatamente verso quel tavolo dove probabilmente ci sarà il suo capo pronto a manipolarlo.
Io, sono solo un imprevisto.
Mi inginocchio accanto a Mark ignorando tutto e tutti. Per fortuna respira ed emette uno strano lamento quando percepisce le mie dita sul suo viso.
Singhiozzo abbozzando un lieve sorriso quando riesce ad aprire un solo occhio e vedendomi prova a parlare.
Di colpo mi sento sollevare per i fianchi. Provo un moto di paura quando l'avversario mi inchioda in un angolo.
Mi paro da ogni possibile colpo tenendo le mani davanti. So che non funzionerà a un bel niente tutto ciò, ma lo faccio lo stesso.
«Cosa credi di fare?», ringhia con sguardo glaciale. «Sei impazzita?»
Avverto l'odore acre del sudore, del sangue e provo un certo disgusto. Mi viene un bisogno impellente di vomitare. Trattengo tutto dentro, anche la vergogna per avere fatto una cosa assurda come questa credendo di non dovermi beccare alcuna punizione.
«Questo è un gioco e io ci guadagno se riesco a battere quel tipo. Non puoi intrufolarti sul ring e comportarti come una pazza. Che c'è, sei una sua fan?»
Lo guardo con disprezzo. Non appena lo faccio, appare colpito anche se il suo viso si indurisce.
«Battiti con qualcuno che riesce a difendersi e non con una persona già a terra razza di coglione», gli urlo contro spingendolo ma non si muove di un centimetro. Il suo petto è come cemento armato. «Ti piace guadagnare soldi facili battendo qualcuno che è già a terra?»
Mi sento arrabbiata, infuriata, con lui, con Mark con tutti.
«Chi cazzo ti ha insegnato a combattere in questo modo? Sei uno stronzo incapace. Un infimo essere!»
Continuo a spingere il ragazzo e ad urlargli contro come una pazza fuori controllo. «Non hai un briciolo di buon senso perchè nessuno ti ha mai detto che non si colpisce ancora e ancora chi è a terra.»
Gli mollo un ceffone sonoro in piena faccia e sento delle esclamazioni piene di sorpresa e sconcerto. Il tutto nel silenzio della sala.
Il ragazzo sputa in un angolo poi voltandosi sorride. Ha un ghigno maligno dipinto sulle labbra imbrattate di sangue. Rabbrividisco ma non distolgo lo sguardo. Mantengo il controllo e il contatto.
«Perchè allora non provi a mettermi al tappeto tu? Sembra che hai più palle di molti altri qui dentro», mi provoca facendo un passo avanti.
Il suo viso è vicinissimo al mio. Così vicino da riuscire a sentire il suo fiato caldo sulla mia pelle.
«Emma, che stai facendo? Scendi giù!» mi urla Anya.
Deglutisco fissando in cagnesco il ragazzo. Non ho nessuna intenzione di dargliela vinta.
Bron sale sul ring pronto ad intervenire, ma il ragazzo lo ammonisce. «Non provarci neanche. Adesso è una questione tra me e lei», ringhia.
«Emma, scendi dal ring!»
Il ragazzo sorride in modo sghembo e senza darmi alcun preavviso sollevandomi, caricandomi in spalla, mi trascina via dal ring mentre la folla esplode in un boato di voci, urla e fischi.
Inizio a scalciare, a picchiare i palmi contro le sue spalle. È tutto inutile.
«Mettimi giù!» urlo più forte del necessario.
«Sta ferma piccoletta», esclama divertito.
Scalcio ancora riuscendo chissà come a scendere dalla sua presa. Mi rimetto a posto sistemandomi i capelli e la maglietta.
Quando alzo lo sguardo, mi fissa in modo malizioso divorandomi. Mi sento immediatamente a disagio, specie quando mi ritrovo in una piccolissima stanza senza uscite di emergenza.
«Perché siamo qui dentro?» mantengo una certa calma mentre dentro spero vivamente di uscirne illesa.
«Tesoro, perderò un mucchio di soldi se il tuo amico si rialzerà da quel ring. So perché l'hai fatto e qui l'unica scorretta sei proprio tu», aggiusta il nastro adesivo sulle dita.
«Io? Tu che colpisci una persona già a terra no? Sei uno stronzo che non sa...»
Fa un passo avanti posandomi l'indice sulle labbra. «Sssh», ghigna. «Adesso io e te risolviamo questa questione e poi, mi lascerai ritornare su quel ring.»
Nego. «Devi batterti con chi sa come difendersi e può farlo», dico allontanando il suo dito dalle mie labbra.
La porta si spalanca ed entra proprio lui: Ethan.
«E tu chi sei?» sbotta il ragazzo guardandolo male, pronto a scattare.
«Sono chi ti farà a pezzi se non la lasci andare!»
Lo guarda in quel modo freddo che farebbe rimpicciolire chiunque. Infatti anche se non lo fa notare il ragazzo si agita lievemente.
Il mio cuore subisce una forte accelerata. Mi avvicino immediatamente a lui spingendolo verso la porta. «Vattene», sussurro.
Mi fulmina con lo sguardo. «Andiamo!» dice freddamente artigliandomi un polso.
Il ragazzo assistendo a questa scena scoppia in una fragorosa risata.
«Ti tiri indietro o mi affronti? Un solo colpo. Se riesci a colpirmi, dichiaro la sconfitta davanti a tutti e ti chiedo umilmente scusa.»
Il suo manager entra nella piccola stanza e sentendo le sue parole fa per obbiettare ma lui lo ammonisce come ha fatto con Bron e adesso con Ethan.
Crede di potermi spaventare?
«OK», sussurro togliendomi di dosso le mani di Ethan.
«Che stai facendo?» mi urla.
Stiamo diventando in troppi in questo buco di stanza. Non vedo l'ora di uscire fuori e tornarmene a casa.
Mi sento piena di rabbia. Non ho mai fatto niente di simile.
«Non ho tutta la notte dolcezza», si guarda le unghie. «Sai, prima il tuo amico si elogiava troppo. Ho dovuto metterlo a dormire, zuccherino.»
Mi volto e con rabbia, senza riflettere, senza mettermi in posizione, gli mollo un pugno in faccia con tutta la forza di cui dispongo cogliendolo di sorpresa.
Sento uno scricchiolio orribile prima di sentirlo urlare.
La rabbia mi esplode in corpo e gliene mollo un altro e un altro ancora scoppiando in lacrime mentre qualcuno mi afferra trascinandomi a distanza.
«Sssh», Ethan prova a stringermi ma lo spingo via tra i singhiozzi.
«Non toccarmi! Io vi odio!» strillo uscendo fuori dalla stanza.
Cammino a grandi passi lungo il corridoio prima di svoltare a sinistra inoltrandomi tra la folla sempre più compatta. Cerco Anya ed è a poca distanza dal ring in cui Mark se ne sta seduto all'angolo con Eric.
Salgo la scalinata che prima non avevo notato avvicinandomi a lui.
Mi piego e dico: «Scendi dal ring. Hai vinto», con rabbia lo spingo.
Eric e Bron prendono Mark facendolo sedere al tavolo con quegli uomini mentre Anya lo raggiunge impaurita continuando a cercare qualcuno tra la folla, probabilmente suo fratello che, non vedo da nessuna parte. Asciugo in fretta le lacrime preparandomi alla pessima figura che sto per fare ma poco importa purchè Mark sia al sicuro.
Quando il ragazzo sale sul ring, attorno la gente cessa di respirare. Sento solo il rumore del mio cuore, forte, la mano che pulsa terribilmente; si sta anche gonfiando leggermente. La guardo con disgusto.
«Ho dato la mia parola a questa ragazza. È riuscita a...», inumidisce le labbra consapevole delle ripercussioni sulla sua carriera dopo ciò che dirà.
«Terminiamo questo incontro», urla Mark con voce roca.
La folla ancora una volta esplode.
Scendo in fretta dal ring e scuotendo la testa corro verso l'uscita ormai in lacrime.
Spingo più volte la gente che si ammassa per vedere la fine di un incontro che vedrà qualcuno piegato in due dal dolore.
Sto provando tante, troppe emozioni dentro. Tante sensazioni che si depositano sullo stomaco.
Mi volto solo quando arrivo sulla soglia. Vedo Mark colpire con rabbia il ragazzo cercando forse di difendere il mio onore o di ricambiare il favore per il trattamento ricevuto.
Delusa, amareggiata, mi incammino verso l'uscita. Ad un certo punto le pareti attorno si restringono così tanto da asfissiarmi.
Spalanco la porta, scendo i gradini saltandone qualcuno maldestramente fino ad arrivare accanto ad un muro dove piegandomi su me stessa vomito più volte. Non riesco a credere di averlo fatto, non riesco a credere di avere dato un pungo ad una persona per difenderne un'altra. Non riesco a credere di avere perso il controllo così in fretta e di avere rifiutato l'aiuto di un ragazzo che stava solo cercando di proteggermi.
La mano pulsa e brucia come fuoco sulla carne ma non importa. Tornerei dentro solo per continuare a massacrarlo di botte. Questo mi aiuterebbe a sfogare anni e anni di incassi. Ma, in questo modo cosa risolvo?
«Emma?»
Mi volto di scatto pulendomi le labbra con il dorso della mano. Non è il massimo della femminilità ma è necessario.
Anya mi rivolge uno dei suoi sguardi dolci. In una mano tiene una busta. I soldi della scommessa? Ethan esce dal locale reggendo Mark, ridotto male ma sorridente. Dove era?
Ha un occhio tumefatto, il labbro spaccato, la maglietta insanguinata. Provo un certo ribrezzo.
«NO!»
Urlo quando Anya prova a parlare.
«NO!», urlo di nuovo mettendo la mano davanti.
«A tutto c'è un limite. Che diavolo vi passa per la testa? Mark poteva morire o farsi del male sul serio. Siete impazziti? Di cosa vi fate? E' per questo che avete bisogno di quei soldi sporchi? E' così che volete sentirvi vivi?» Singhiozzo scrollando le lacrime disgustata
«Emma non volevo...»
«Si invece! Da quando ti conosco non ho fatto altro che assecondare le tue strane e fottute esigenze solo per non perderti. Hai bisogno di bere per dimenticare un fottuto litigio con il tuo ragazzo chi chiami? Emma; tanto sai che risponderà e si farà tanti km anche a piedi per raggiungerti. Hai bisogno di fare shopping quando la tua amica ti da buca facendoti sentire sola, chi chiami? Emma; tanto come tappabuchi è brava. Hai bisogno di assistere a delle gare clandestine per che cosa? Chi chiami? Emma. Voi siete fuori! Mark poteva morire! Non capite quanto sia preziosa la vita?»
Indietreggio arrabbiata preparandomi a perdere di nuovo il controllo.
«Ho perso i miei genitori e la mia sorellina per un grave incidente e guarda caso è stata tutta colpa di un pirata della strada drogato e ubriaco oltre il limite. Io stessa dopo anni stavo per morire a causa di un fottuto ragazzo e di un camionista assonnato dopo una notte di alcol e cocaina. Mia nonna è morta dopo due mesi per una malattia ma forse anche per il dolore che provava, mentre io ero in via di guarigione. Sono rimasta a guardare che la vita della mia famiglia mi venisse strappata via e da cosa? Da chi? Pensate che sia bello correre con una fottuta auto? Pensate che sia bello ubriacarsi come se non ci fosse un domani? Pensate che sia bello rimanere soli e non avere nessuno su cui poter contare? Pensatelo pure... ma fatelo senza di me. Mi fate schifo!»
Inizio a camminare lungo la strada cercando di ricordare i vicoli presi. Poi raggiunta dallo sconforto, inizio a correre tra le lacrime. Inciampo più volte sui miei passi. Piango, singhiozzo, vorrei urlare che la vita mi ha tolto tutto, che io non ho più niente e che il destino è solo un altro male ma rimango zitta. Zitta mentre dentro faccio a pugni, mi ferisco.
«Emma?»
Una voce familiare mi coglie di sorpresa e alla sprovvista. Non posso più nascondermi. Non posso nascondere il mio dolore. Non posso nascondere la rabbia che sto provando. Non riesco nemmeno a nascondere come mi sento. Mi volto lentamente. Così lentamente da avere male alle ossa.
Scott mi fissa mentre si avvicina preoccupato. Non appena si trova davanti, gli getto le braccia al collo stringendolo con tutta la forza di cui dispongo. 
«Cosa ti è successo? Stai tremando. E perché hai la mano imbrattata di sangue e gonfia? Emmy, mi sto preoccupando...»
«La vita fa schifo!»
Singhiozzo così tanto da non avere fiato.
«Emmy, guardami. Qualcuno ti ha...»
Scuoto la testa ma le mani sicure di Scott alzano il mio viso. Asciuga in fretta le mie lacrime prima di fare un grosso respiro. Come se volesse controllare qualcosa dentro di sé. Come se sapesse già la risposta.
«Emma respira. Sei per strada, in una trafficata da tossici. Piangi, hai gli occhi rossi ed il respiro affannato. Sei ferita. Che cosa ti è successo?»
«Possiamo non parlarne qui? Ti prego.» Tiro su con il naso nascondendo il viso sul suo petto. È il mio unico rifugio. La mia unica ancora di salvezza in questo momento così assurdo della mia vita.
«Siamo vicino al mio appartamento. Non è poi così lontano come sembra se vuoi andiamo.»
Chiede il mio consenso. Annuisco senza riflettere oltre.
Scott non avvisa neppure i suoi amici a poca distanza e stringendomi la mano e a grandi falcate, mi porta in un palazzo altissimo che si trova proprio sulla destra dopo un paio di isolati dal punto in cui ci siamo scontrati e poi al nono piano.
L'appartamento è moderno e sontuoso. Diverso da come lo immaginavo. Vengo trascinata all'interno di una stanza senza avere modo di riflettere in fretta. Mi blocco comunque notando il gran lusso.
Scott non è quello che sembra, dice la vocina dentro la mia testa. Quante altre prove vuoi per capire che le persone mentono?
Mi ha mentito sulle sue origini ecco perchè Max e Tony continuano a mettermi in guardia. Potrebbe anche riguardare un altro lavoro, magari uno che faceva in passato.
Non faccio domande, non è il momento, sono ancora troppo scossa per parlare di questo. Ci sediamo sul grande letto.
Inizio a parlare e scoppio tra i singhiozzi. Mi fido di Scott, è tutto ciò che mi rimane di sano ed incontaminato nella vita. Parlo senza freni, parlo della serata, della reazione di Anya, di Mark a terra, del tizio che ho picchiato. Gli parlo della mia reazione una volta fuori e delle mie parole e di come mi sto sentendo ad affrontare tutto questo da sola.
Scott ascolta attentamente senza interrompermi. Non sembra neanche sorpreso. Quando finisco, asciuga le mie lacrime con un tovagliolino in modo delicato.
«Sei una ragazza meravigliosa Emma. Non lo dico perché sei parecchio giù di morale ma perché lo penso e mi sento fortunato ad essere il tuo ragazzo. Nessuno avrebbe fatto un gesto simile. Non l'ha fatto Anya che è la sua ragazza ma l'hai fatto tu perché tieni molto alla vita e alla salute dei tuoi nuovi amici. Sono orgoglioso di come sei e non cambierei niente di te. Io ti amo Emma.»
Mi bacia senza preavviso trascinandomi contro le lenzuola. «Ti amo davvero per quello che sei.»
Attorno c'è odore di pulito, di ammorbidente. Scott ha il suo solito profumo e questo, mi permette di ritrovare la calma.
Ha detto che mi ama. Sono stupita di come si stanno evolvendo le cose tra di noi. Io non corro, lui invece riesce ad esprimere ciò che pensa quando lo pensa. Lo invidio per questo.
«Vado a prenderti dell'acqua o preferisci del tè freddo? Dovrei avere del ghiaccio per quel gonfiore.»
«Acqua va bene», sussurro tirando su con il naso.
Annuisce e alzandosi si sposta in cucina.
Ho il tempo di guardarmi attorno più che curiosa. Forse lo faccio perché ho bisogno di una distrazione.
Scott ha un appartamento stupendo. La sua stanza è spaziosa. Pareti color borgogna e crema, un grande letto in legno scuro, un armadio enorme. Un salotto a poca distanza con divani in pelle nera e una parete attrezzata piena; dotata di stereo, cd, giochi, tivù a schermo piatto...
Chissà quanti lavori ha fatto per potersi permettere questo posto a meno che...
Ritorna con una bottiglia e me la porge. Mentre il ghiaccio lo sistema sulla mia mano gonfia, ancora piena di sangue e quasi viola in più punti.
Ringrazio bevendo subito un sorso d'acqua; ignorando il dolore alla mano dovuto al contatto con il ghiaccio. Non mi ero accorta di avere la gola così secca.
«Anch'io devo dirti delle cose Emmy...»
Sembra agitato.
«In realtà non ho bisogno di lavorare. Non ho bisogno di un affitto per permettermi una casa in cui vivere. Sto solo sfidando i miei genitori.»
«Che cosa significa?» deglutisco a fatica.
«Sono figlio unico e sono ricco. Voglio solo essere indipendente.»
«Indipendente con i soldi dei tuoi?»
Fa una smorfia. «Forse non ci crederai ma questo appartamento è frutto del mio sudore.»
Non so se sentirmi offesa per questa bugia o lodare la sua tenacia.
Perché in parte comprendo i motivi che devono averlo spinto ad allontanarsi dalla frenesia degli agi.
«Mi dispiace non avertelo detto. Ero insicuro sulla tua reazione quando sei entrata qui dentro. So che ho mentito e mi dispiace. Devo anche dirti...»
Adesso comprendo tutto in modo chiaro. Le ragazze che gli girano attorno, i commenti di Anya, di Max, di Tony e persino quelli di Tara. Tutto ha un suo perché. «Grazie per essere stato sincero.»
Mi rannicchio tra le sue braccia interrompendolo. Non ho bisogno di sapere altro. Mi va bene anche così. Per oggi credo di avere fatto abbastanza il pieno.
«Rimani qui con me. Ti va?»
Domanda guardingo.
«Vuoi davvero che rimanga?», tocco le sue clavicole.
«Assolutamente si. Così posso averti tutta per me. E posso controllare questa», indica la mano Ancora parecchio gonfia.
Passa le labbra sul mio collo.
«Mi vuoi tutta per te?»
Domando rilassandomi. Abbasso proprio le spalle e le difese. Scott ha un effetto calmante su di me. Inizio lentamente a sentirmi meglio. Non penso neanche più ciò che ho fatto.
«Uhm, uhm», annuisce sorridendo appoggiando le labbra sulle mie.
«Hai bisogno di qualcosa?» Mi guarda attento.
Perché non riesco a provare ciò che lui prova per me? Cosa c'è che mi blocca? Perché la mia testa è decisa ma il mio cuore si trattiene ancora? Cosa ho di sbagliato?
«Ho tutto ciò di cui ho bisogno», sussurro di getto. Decido di sfidare il mio cuore. Forse anche il destino. Non posso continuare in questo modo.
Scott sorride raggiante. Le sue lentiggini si intensificano. Sono davvero carine da vedere e le guarderei per ore. Incorniciano il suo sguardo mentre i suoi occhi verdi fanno pensare alla primavera.
«Vuoi cambiarti? Ti do una mia maglietta così stai più comoda», si alza aprendo l'armadio alla sua sinistra. È tutto in perfetto ordine. Passa in rassegna le magliette con i loghi. Mi lancia uno sguardo e con l'indice sulle labbra sorride prima di prendere quella nera degli Aerosmith.
«Il bagno è dopo quella porta», me lo indica.
Prendo la maglietta e un po' insicura entro nel bagno. Gli lancio uno sguardo prima di richiudermi dentro. Mi avvicino al lavandino enorme appoggiandomi con le mani sul mobile prendendo un gran respiro.
«Che cosa sto facendo?» sussurro a me stessa.
Il bagno è in stile moderno, sui toni del crema. Non è niente male. Lo specchio si appoggia lungo tutta la parete ed è costellato dalle luci. Fisso il mio riflesso con distacco.
Mi ritrovo in un appartamento estraneo, con un ragazzo che ha delle aspettative su di me e devo indossare una sua maglietta. Sfilo i vestiti ripiegandoli poi infilo la maglietta. Mi sta larga e arriva sotto il sedere. Apro il rubinetto sciacquando le mani ancora macchiate di rosso.
Quando esco dal bagno, Scott se ne sta seduto sul letto. Si è cambiato ed è a torso nudo con i pantaloni della tuta. Mi fermo a guardarlo. Ha un fisico niente male. Mi ritrovo a sorridere perché inizio anche a sentirmi un po' nervosa a condividere il letto con un ragazzo. Mi avvicino e lui si affretta a farmi spazio.
«Ti sta bene. Sono sicuro che diventerà la mia preferita.»
Arrossisco visibilmente. Devo ancora abituarmi a questo genere di complimenti celati in frasi maliziose.
Scoppia a ridere stringendomi in un abbraccio prima di schiacciarmi sul materasso. Poggio i palmi sul suo petto mentre le sue mani scivolano sulle mie cosce. Strofina il naso contro il mio facendomi ridacchiare.
Il telefono inizia a vibrare rumorosamente e staccandomi lo spengo. Scott inarca un sopracciglio ma non fa domande. Noto solo un guizzo nei suoi occhi, dura solo un attimo. Poggio la testa sul cuscino e chiudo gli occhi. Mi sento improvvisamente stanca.
Si sporge spegnendo la luce, poi si sdraia stringendomi a sé.
«Buona notte piccola», sussurra contro il mio orecchio.
Stringo le sue braccia attorno al mio corpo con più forza.

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