Capitolo 5
«Emma svegliati!»
Sento dolore, tanto dolore irradiarsi ovunque partendo dal petto, ma non riesco a muovermi. Il panico pervade velocemente i miei sensi già intorpiditi dal freddo. Non posso e non riesco ad aprire gli occhi. Non posso e non riesco quasi più a respirare perché attorno, attorno c'è puzza di sangue, di fumo, di benzina. Mi sento scuotere ma non ho nessuna forza per riprendermi. Inizio a sentirmi stordita, agitata. Inizio a perdermi.
«Emma svegliati!»
«NO!»
Urlo forte spalancando gli occhi. La mia stessa voce mi fa impaurire. Boccheggio agitata nel tentativo di capire dove mi trovo. Se questa è la realtà.
Sono sul letto, le coperte nere e bianche aggrovigliate attorno alle gambe. Sudo freddo, tremo. Il petto scosso dall'affanno, dalla paura.
Di colpo sento bussare insistentemente alla porta. Un rumore che si riverbera dentro le mie orecchie ferendomi.
Mi alzo velocemente, troppo, infatti provo subito dolore alla gamba. Quando penso di riuscire a reggermi in piedi, zoppico verso la porta. La mano trema posandosi sulla maniglia. Piego leggermente il polso e la porta si spalanca prima del previsto. Rimango impietrita e folgorata dall'intensità del suo sguardo.
A volte gli occhi sono un gran problema. Ti sussurrano parole, imprimono dentro sensazioni ed emozioni che non sarai più in grado di cancellare dalla tua pelle.
Ethan se ne sta assonnato, a torso nudo, attento e preoccupato proprio davanti a me. Mi irrigidisco. I miei occhi saettano su quei tatuaggi intricati che macchiano la sua pelle liscia e bianca. Sulle sue forme scolpite ma allo stesso tempo delicate. Quell'armonia tra pelle e inchiostro che lo rende ai miei occhi diverso.
Deglutisco a fatica. Che ci fa qui?
«Stai bene?» Domanda guardandosi attorno. Quasi entra in camera per assicurarsi che io sia sola e che nessuno si trovi sotto il letto pronto a farmi fuori.
Porto le dita sul sopracciglio, nel punto in cui inizia a farsi sentire il mal la testa. «Scusa, non volevo svegliarti. Anya avrebbe dovuto avvisarti. Mi dispiace!» Indietreggio a causa del dolore alla gamba verso il letto e mortificata abbasso lo sguardo. Ho un attacco di panico e prendo il viso tra le mani mentre cerco di recuperare il controllo e principalmente il respiro prima di perdere i sensi. Non ora. Non ora. Continuo a ripetermi.
Sento due passi sul pavimento. Ethan si avvicina con cautela. Non ha un'andatura goffa. È sicuro di sé anche mentre cammina. Inginocchiandomisi davanti posa due dita sotto il mento alzandomi il viso, costringendomi così a guardarlo dritto negli occhi. Lentamente le sue dita scivolano sulla mia guancia e in breve mi ritrovo la sua mano premuta contro pelle pronta a bruciarmi.
«Mia sorella avrebbe dovuto dirmi tante cose. Ad esempio che Scott è il tuo ragazzo», esclama quasi scocciato dalla cosa.
Mi sento confusa. «Avrebbe dovuto dirti che soffro di terrori nottu... cosa?» chiedo di getto.
Ho sentito bene? E cosa c'entra adesso questo?
«La notte della gara quando ti ho fatto una domanda ben precisa, non sei stata sincera. Non mi hai detto che hai un ragazzo e che quel ragazzo è Scott!» sbotta irritato.
Scuoto subito la testa come se volessi cancellare le sue ultime parole, come se volessi fermarlo.
«Non lo ero. Cioè non lo sono, Scott non è il mio ragazzo. Scusa se ti ho svegliato», sussurro battendo le palpebre velocemente e alzandomi dal letto mi allontano di un paio di passi da lui, dalla sua mano calda che rischia di scottarmi.
La sua presenza è forte. È come un fulmine a ciel sereno per i miei sensi. Irradia una strana aura attorno ed è carica. Mi folgorerò se sto ancora un pò accanto a lui. E poi, cosa significa la sua frase: "E che quel ragazzo è Scott!"
«Stai bene ora?»
Il suo tono è più dolce. Miele in grado di soffocarmi.
Contraggo la mandibola stringendo i pugni in vita per rimanere lucida. Non mi è mai successo niente del genere.
Per non perdere altro tempo rischiando di sciogliermi, annuisco mentendogli.
Perché gli importa? In fondo siamo due perfetti sconosciuti. In comune abbiamo solo Anya, probabilmente tra le braccia di Morfeo ormai da ore.
Ethan aggrotta la fronte assottigliando gli occhi. Dopo un momento di stasi in cui percepisco solo i battiti scostanti del mio cuore, si muove e un passo dopo l'altro esce dalla stanza lasciandomi sola.
Rifletto subito. Non so se sia la cosa giusta seguirlo. Il fatto è che è riuscito a sorprendermi, non mi aspettavo che sarebbe rimasto a dormire qui da noi.
Dandomi un grosso scossone decido di darmi una mossa. Con una certa pressione al petto esco dalla stanza percorrendo lo stretto corridoio di un fucsia appariscente. Sulle pareti c'è qualche quadro moderno. Sono per lo più schizzi di colore e fiori geometrici insoliti. Ci sono anche delle lampade alte bianche, una palma all'angolo. Più avanti un mobile dotato di specchio e appendiabiti, un tappeto davanti l'ingresso con la scritta "benvenuti" e un porta ombrelli vuoto. Mi sento in una galleria d'arte. Ogni oggetto ha una posizione strategica ben precisa. In fondo è così visto che Anya è un'artista a tutti gli effetti.
Mentre avanzo mi guardo attorno. Sto andando alla ricerca di Tara ma, in casa c'è solo silenzio.
Varco la soglia del soggiorno dove la cucina si trova a qualche metro di distanza in cui trovo Ethan intento a preparare due tazze. Mi siedo un pò rigida sullo sgabello. Tamburello con le dita sul ripiano grigio opaco.
«Ti ho svegliato?», chiedo interrompendo il silenzio che aleggia tra noi, sentendomi tremendamente in colpa per averlo svegliato, ringrazio per la tazza di tè che mi porge con naturalezza.
Certo che questo ragazzo ha sbalzi d'umore assurdi. Fisso la nuvola di fumo innalzarsi mentre fuori dalla finestra noto che è ancora buio. Istintivamente lancio un'occhiata all'orologio appeso alla parete in mattoni rossi proprio sopra il camino. Segna le 05:35.
«Non stavo dormendo, non preoccuparti. Quando ho sentito le tue urla non sono riuscito a trattenermi e sono corso a vedere se stavi bene», non appena pronuncia queste semplici parole apparentemente banali, corruga di nuovo la fronte; è come se trovasse strano il suo stesso comportamento. Gratta la tempia. Aprendo una scatola di biscotti con il cuore di cioccolato, avvicina il piatto alle mie dita strette attorno alla tazza. Un gesto premuroso il suo ma comunque misurato.
Osservo le sue dita ripercorrendo l'inizio del tatuaggio dal polso verso il braccio poi alzo gli occhi e i suoi mi stanno scrutando.
Il mio respiro cambia, quasi si spezza.
Perché mi fissa così? Perché riesce a farmi sentire in alto mare? Perché il mio cuore deve subire queste strane accelerate?
«Mi dispiace...» sussurro alzandomi. Purtroppo la gamba decide di non collaborare costringendomi a fare subito una smorfia per trattenere il dolore. Riesco a fare due passi in avanti. Quando penso di potermene andare dalla cucina però, rinuncio tornando sullo sgabello quasi sollevata, sentendo il dolore allontanarsi.
Ethan continua a fissarmi attentamente. Si è accorto di tutto e so con esattezza cosa sta pensando.
Mando giù un altro sorso di tè per riscaldarmi, riprendendomi mentalmente e per non cedere alla pressione del passato mordo un biscotto masticando lentamente.
«Cosa ti è successo?»
Spalanco gli occhi. La sua voce mi colpisce come uno sparo. Adesso fissa le mie gambe.
Mi sento improvvisamente messa a nudo sotto il suo sguardo indagatore e attento, come quello di un falco pronto all'attacco. Mi va di traverso il tè e tossisco convulsamente. Agilmente gira attorno il bancone, appoggiando la tazza sul ripiano dopo averla staccata dalle mie dita troppo strette al manico come ventose, mi dà un colpetto dietro la schiena. Quando la sua mano si posa sulla pelle, avverto una forte scossa, come se avessi toccato di nuovo un filo scoperto. Quel filo è lui. Lui è il filo scoperto causa di tutto. Faccio segno che va meglio scostando la sua mano. Continua a guardarmi in quel modo, con quel suo sguardo disarmante.
Il problema è che ha degli occhi in grado di lasciarmi senza fiato ogni volta che mi si posano addosso quando per sbaglio li incrocio. Sono occhi immensi. Occhi che ti rubano tutto.
Bisogna fare attenzione a certi occhi.
Certi occhi fanno vibrare il cuore.
Ha provato anche lui la stessa sensazione?
«Ho avuto un incidente. Mi sembra di avertelo detto», dico brusca.
Cerco di non ripensare al passato, a quegli eventi tristi e duri da superare. Ricadere in quel baratro buio non è difficile. Basta un attimo di distrazione e i flash tornano.
«Ti fa male?» Chiede ancora con insistenza appoggiandosi sui gomiti al bancone dell'isola.
Mi stringo nelle spalle. «Non quanto il suo ricordo», sfioro la cicatrice con il polpastrello.
«Che cosa ti è successo?» Ripete ancora una volta con una nota dura ed insistente nella voce. Un tono basso, roco in grado di farmi tremare.
Sento il vuoto sotto ai piedi e precipito con la mente nel passato. Sento di soffocare. No, non posso, non posso parlarne. I suoi occhi si accendono mentre i tratti del suo viso si induriscono.
Mi alzo traballante. La gamba continua a fare male, stringo i denti trattenendo il dolore. Questa volta non sono debole. Questa volta riesco a trovare la forza di allontanarmi. Vado dritta in camera seppur zoppicando con in testa una miriade di pensieri. Non posso parlarne con lui. Non posso parlarne con nessuno. Non voglio essere guardata come una persona troppo fragile e sola. Non voglio che pensino che io sia una debole.
Non ho neanche il tempo di fermarlo. Ethan mi raggiunge bloccandomi al muro, le mani sulle mie spalle. «Emma, cosa ti fa stare così male?»
Perché ho questa sensazione? È come se mi conoscesse più di chiunque altro. Gli occhi mi si annebbiano. Perché è così? Perché riesce a leggermi dentro?
Evito di guardarlo voltandomi. «Per favore non, non voglio parlarne...»
Scuoto più volte la testa.
«Che cosa ti è successo di così grave?» Sembra frustrato e turbato dal mio atteggiamento schivo e dalla mia voce che getta angoscia ad ogni parola pronunciata.
Nego ancora con la testa trattenendo a stento il panico. Chissà come riesco a divincolarmi rinchiudendomi in camera. Zoppico fino al bagno dove faccio una doccia fredda, mi vesto preparandomi per il lavoro ed esco fuori di casa nel bel mezzo dell'alba.
Non riesco a contenere l'angoscia e ho un breve attacco d'asma nel bel mezzo del traffico mattutino. Alcuni turisti mattinieri mi guardano insicuri sul da farsi mentre mi trascino verso un vicolo per non farmi notare. Devo proprio fargli pena.
Provo a pensare a qualcosa di positivo. Purtroppo non trovo nessun appiglio. È come quando stai precipitando e nessuno corre a salvarti. Nessuno ti lancia una corda. Nessuno ti aiuta. Nessuno ti afferra portandoti al sicuro.
Appoggiata ad un muro pieno di graffiti di un vicolo silenzioso abitato da gatti randagi e cassonetti della spazzatura a qualche metro di distanza, proprio sotto le scale antincendio di un palazzo antico, alzo il viso verso il cielo. Ad occhi chiusi inspiro ed espiro prima di riprendermi, legare i capelli e avviarmi al locale come se niente fosse.
Trovo Max all'entrata, sta per aprire la porta. Quando mi vede il suo sguardo si illumina. Saluto allegramente il mio capo prima di entrare al locale sentendomi quasi nel posto giusto.
Facendo due passi in avanti raggiungo il piccolo spogliatoio del personale e dopo avere indossato il grembiule esco dalla stanza dirigendomi verso il bancone del bar accendendo le luci e le macchinette per il caffè. Tony, arriva pochi secondi dopo il mio arrivo dirigendosi subito in cucina, pronto a sfornare dei gustosi cornetti e qualche pezzo di rosticceria per gli amanti del salato.
Inizio il mio turno di lavoro sentendomi frastornata, un po' giù di morale. Devo trovare un modo per recuperare il buon umore.
Lo scampanellio della porta mi fa alzare lo sguardo dalle ciambelle alla glassa che sto disponendo in vetrina.
Scott arriva seguito da Sasha. I due si stanno sorridendo.
Mi volto. Forse sono solo annebbiata dalla gelosia e dal mio pessimo umore. Continuo ignorando ogni tipo di sensazione che arriva dal profondo. Sono solo paranoica.
Scott avvicinandosi mi bacia sulle labbra. «Buongiorno», sussurra allacciandosi il grembiule.
La mattinata inizia frenetica come ogni altro giorno all'interno del locale. Parecchie famiglie tornano sempre per fare colazione, alcune ragazze per farsi notare da Scott, i soliti anziani pronti a fare qualche battuta se il latte è troppo caldo o se la torta è troppo secca.
Arrivo a metà mattinata con i nervi a fior di pelle. Pulisco un tavolo passandomi il polso sulla fronte leggermente imperlata di sudore. Scott passa accanto sfiorandomi un braccio come segno di incoraggiamento, ci guardiamo per un lungo istante complici. Mi riscuoto, non voglio farlo preoccupare o sospettare.
Quando alzo lo sguardo noto Max tra la cucina e la sala intendo ad osservarci. Merda, di sicuro questo mi farà passare qualche guaio. Allontanandomi da Scott, mi dedico totalmente al lavoro senza distrazioni.
«Sasha in pausa, Scott tu in cucina, Emma tu vieni in ufficio!»
Deglutisco seguendo Max dopo avere lanciato uno sguardo carico di dubbi e allarmato a Sasha. Dopo il corridoio e due gradini c'è il suo ufficio, un quadrato pieno di vecchi libri, fogli di carta e confusione.
Max si siede dietro la scrivania in noce incrociando le mani sul ventre. Mi sento subito in ansia. Come se di fronte avessi un professore.
E se mi licenzia? Cosa faccio?
In un attimo ricado nello sconforto. Senza questo lavoro finirei sotto un ponte o peggio, sarei costretta a fare altro per permettermi gli studi e l'appartamento. Non tutti abbiamo la fortuna di avere dei genitori a cui interessa il futuro dei figli. L'idea è sgradevole come un gelato sciolto al sole tra le dita.
«Stai bene?» piega la testa di lato forse intuendo il mio stato attuale.
«Si», rispondo piano fissandomi le punte delle scarpe. Cosa altro potrei aggiungere?
«Ho notato che vai parecchio d'accordo con Scott...» si fa serio, noto che la sua mascella si contrae leggermente.
Mordo il labbro chiaramente in imbarazzo. Ecco, ci siamo, ora arriva la parte in cui mi licenzia. Max si alza ed io sobbalzo facendo un passo indietro. Fortunatamente non inciampo in uno dei bordi sollevati dell'enorme tappeto.
«Mi dispiace signore!», stringo le dita.
«Emma, ti prego chiamami Max. Ti ho chiamata nel mio ufficio perché voglio metterti in guardia su quel ragazzo e sulla tua amica, quei due proprio non mi convincono», dice gesticolando.
Spalanco la bocca e gli occhi. «Cosa?», balbetto.
Prende un grosso respiro prima di lasciarlo andare. Gira per la scrivania ritrovandosi davanti a me. Al confronto mi sento una lillipuziana.
«E' da un anno che sei qui e ti reputo parte della famiglia. Ti considero come una figlia e credo che questo valga anche per Tony. Abbiamo a cuore la tua felicità e se dovesse succedere qualcosa di spiacevole, spero riuscirai a parlarne tranquillamente con noi.
Se ti tratta male o ti importuna, se si comportano male, basterà una parola e riuscirò a buttarli fuori.»
Usa il suo tono autoritario e solenne.
So che dietro questo discorso c'è qualcosa. Max sa più di quanto vuole farmi credere. In parte mi sta proteggendo, ma ciò mi destabilizza perché non posso spingermi troppo oltre senza prima avere la certezza di potermi fidare di Scott o di Sasha.
Mando giù le sue parole con un sorriso tirato.
«Grazie», è tutto ciò che riesco a dire.
So che non dovrei, ma le parole appena sentite mi riscaldano il cuore e corro ad abbracciarlo. Mi stringe come uno zio, con tanto affetto.
«Mi raccomando, fa attenzione», ripete con sguardo severo.
Non l'ho mai visto così affettuoso ed arrossisce quando mi stacco. Per me conta tantissimo ciò che ha appena fatto e sapere di essere ritenuta una figlia mi fa sentire accettata. Nessuno ha mai detto questo per me. Sono anni ormai che mi sento protetta solo da me stessa. Sapere che qualcuno tiene a me, mi rassicura.
«Adesso torna di sotto. Fai una pausa, mangia qualcosa e poi riprendi il lavoro. Oggi abbiamo un compleanno.»
Rammento subito i coniugi Miller che hanno prenotato la sala grande per la festa di compleanno del loro bambino che oggi compie un anno. Questo evento, mi fa ricordare un evento spiacevole ma sono gente ricca e dobbiamo essere impeccabili.
Ringrazio ancora tornando in sala. In cucina trovo Tony appoggiato al bancone. Sta pranzando. Non appena mi vede arrivare mi porge un piatto fumante di pasta con gamberi e pistacchio. Buonissima.
«Oggi sembri giù di corda, qualcosa non va?» rigira gli spaghetti con la forchetta prima di metterli in bocca masticando velocemente.
Tony va sempre di fretta. Tutto per lui deve essere perfetto e la sua vita sembra gestita dal rintocco dell'orologio. È come un computer, non si ferma mai.
Svuoto il piatto affamata. Agitarmi mi mette sempre una gran fame.
Dalla porta entra Scott quasi di corsa, ha lo sguardo serio. Che gli succede?
Afferrandomi per un polso mi trascina fuori. Non ho neanche il tempo di una domanda perché mi preme contro il muro con il suo corpo prima di baciarmi con una certa forza non lasciandomi scampo. Gli metto le mani sul viso inizialmente per oppormi poi ricambiando il bacio senza riuscire a riflettere. Quando si stacca senza fiato, le sue lentiggini risaltano sul naso a causa del lieve rossore che inizia a coprirgli le guance.
Purtroppo per quanto io cerchi di costringere il mio cuore a darsi una mossa, non riesco proprio a farlo reagire per come vorrei nei confronti di Scott. Mi sento una persona orribile.
«A cosa devo questo?» domando frastornata.
L'impatto è stato strano. Non so come mi sto sentendo veramente spero solo che la giornata possa riacquistare colore.
«Mi sei mancata», stringendosi nelle spalle torna al lavoro.
Torno anch'io in cucina turbata e distratta. Tony mi ha già sistemato un piatto di pesce davanti. Finisco il pranzo sotto il suo sguardo. Finge di saltare delle vongole in padella ma i suoi occhi continuano ad essere puntati addosso a me. Alla fine cede alla curiosità domandando:
«Tra te e quel tipo c'è qualcosa?»
Non lo chiama mai per nome. Chissà perché...
Non posso più nasconderlo. «Non lo so, c'è qualcosa ma non riesco a capirlo...», borbotto.
«Se posso permettermi di darti un consiglio: sta attenta con lui, intesi?»
Tony mi dice di fare attenzione? Due in un giorno, è un record. Devo tenerlo bene a mente, mi dico mentre mi dirigo in sala iniziando a sistemare i tavoli per la festa del bambino dei Miller.
Prima quella stronza di Tara adesso Max e Tony, non riesco a togliere dalla testa i molteplici dubbi.
Sono sicura che in qualche modo quei due si conoscono e c'è qualcosa sotto, per forza. Mi preoccupa sapere la verità ma, prima o poi questa verrà ugualmente a galla.
Sistemo le tovaglie di un azzurro baby sui lunghi tavoli disposti a L nei due angoli opposti della sala tutta addobbata a festa. I piatti con le figure di Topolino e i bicchieri a piramide, poi riempio le ciotole di patatine e salatini prima di mettermi a gonfiare i palloncini creando dei fiori e un grande arco da posizionare dietro il tavolo per la torta.
Per fortuna Sasha e Scott mi aiutano mentre in cucina Tony ha chiamato i rinforzi e sono arrivati alcuni suoi ex colleghi ad aiutarlo. Sono sicura che la festa sarà un successone.
Sto sistemando l'arco pieno di palloncini quando Sasha rientra dal bar facendo cenno di avvicinarmi a lei. Scott inarca un sopracciglio tendendo l'orecchio.
«Hai visite», bisbiglia scocciata tornando al locale mentre Scott mi segue con lo sguardo verso l'uscita.
Fuori dalla sala mi ritrovo Anya davanti. È bella come sempre. Sorride ma dal suo sguardo capisco che dietro questa sua visita ci sia dell'altro. Le indico un tavolo e ci sediamo due minuti.
Solleva il menù senza leggerlo. «Ethan mi ha detto che sei stata male questa mattina», inizia lasciando il menù per giocare con un tovagliolo.
Mi basta sentire il suo nome per ottenere una forte contrazione al cuore e una strana sensazione sulla bocca dello stomaco. È come uno sfarfallio.
Ha parlato di me con lei? Sul serio?
«Ho solo avuto una pessima nottata. Avresti dovuto avvertirlo».
Cerco di non soffermarmi troppo sul punto della situazione. Non voglio ricadere nello sconforto ricordando ancora una volta cosa mi fa stare male ogni notte e cosa non riuscirò mai ad affrontare veramente.
«Sai, sembrava dispiaciuto e nervoso. E' successo qualcosa tra di voi?»
Spalanco gli occhi tradendo le mie stesse emozioni «No, no... non è successo niente», balbetto mentendo.
«Stai mentendo!» alza la voce.
Incrocio il suo sguardo. Vedo uscire Scott dalla sala di proposito e guardarci.
«Non sto mentendo. Non è successo niente. E poi cosa te lo fa pensare?» bisbiglio stringendo i pugni sulle ginocchia sperando che questa discussione non degeneri.
«Uhm vediamo: il fatto che quando c'è lui tu scappi? Il fatto che lui reagisce in modo strano quando dico qualcosa che ti riguarda? Il fatto che oggi siete entrambi strani?» fa una smorfia, «senza contare il fatto di quando ti ha visto con, ah già con il tuo ragazzo, Scott.»
Mi immobilizzo. Ethan ha avuto una reazione quando mi ha visto con Scott?Sono curiosa ma rischio di farla insospettire maggiormente chiedendoglielo.
«Non è successo niente con tuo fratello. E comunque non so cosa pensi di lui, di Scott, ma a me fa stare bene e non credo di dovere dare spiegazioni a qualcuno che ha già una ragazza molto agguerrita.»
Mi alzo. Devo tornare al lavoro o finirò con il rovinarmi ulteriormente la giornata.
«Aspetta!» mi blocca per un polso facendomi sedere di nuovo. «Ho anche un favore da chiederti e so che magari non ti piacerà ma vorrei che uscissi con me questo weekend», il suo sguardo nel frattempo si è addolcito. Sa che mi sciolgo quando mi sorride in quel modo e non posso dirle di no.
Mentre l'istinto mi dice di rifiutare, la forza di volontà accetta umiliandosi.
«Uhm, ok ma niente sorprese.»
Avverto puntandole un dito contro.
Anya batte le mani alzandosi e raggiante mi bacia una guancia uscendo dal locale fischiettando una canzone.
Quella ragazza, ottiene sempre ciò che vuole.
Chissà cosa avrà in mente. Mi insospettisco. Credo voglia farmi stare lontana da Scott in qualche modo.
Torno al mio lavoro in sala con la mente che viaggia a mille miglia di distanza.
La festa di compleanno per i Miller ben presto ha inizio e va alla grande perchè a lavoro finito, i coniugi sono entusiasti del nostro impegno e ci pagano più del dovuto con la promessa che torneranno e consiglieranno il locale ad altri amici facoltosi.
Tolgo il grembiule, mi sento stanchissima e ho il ginocchio in fiamme. Forse dovrei metterci del ghiaccio o una pomata sopra, lo farò una volta essere tornata a casa. Anche se probabilmente dovrei recarmi da un dottore e vedere qual è il problema, ma ho paura di ricevere brutte notizie, già una volta mi è bastata come lezione di vita.
Devo essere forte mi ripeto mentre mi appoggio al bancone dietro la vetrina piena di torte, stringendo i denti. Passo una mano sul collo e giro un po' la testa per stiracchiarmi.
Scott si avvicina facendomi un massaggio sulle spalle. Si accorge che per qualche strana ragione sto soffrendo, tenendomi per le spalle mi gira guardandomi dritto negli occhi. Il mio cuore sprofonda. Perchè non riesco a ricambiare quello che prova?
«Perchè zoppichi?»
Domanda sbagliata. Deglutisco in fretta indicando la cicatrice. «Questa me la sono procurata a causa di un brutto incidente due anni e mezzo fa. Ogni tanto la gamba ne risente, tutto qua. Niente di cui preoccuparsi.»
Abbozzo un sorriso per rassicurarlo o forse per rassicurare me stessa, poi faccio una carezza al suo viso.
Non sembra convinto però decide di tenere a freno la propria curiosità sull'argomento.
Ci incamminiamo verso casa come abbiamo fatto nelle ultime due settimane, mano nella mano. Chiacchieriamo un po' mentre la notte arriva inesorabile e le prime stelle compaiono sopra i grattacieli.
Svoltiamo a sinistra dirigendoci all'incrocio.
Sento un dolore acuto al ginocchio, mi fermo trattenendo un grido di dolore piegandomi leggermente in due. Stringo i denti mentre Scott mi sostiene allarmato. Non ora. Mi dico. Non ora.
«E' tutto ok!» parlo senza fiato e un pò irritata. Non voglio che mi veda così. Devo solo andarmene a letto e passerà tutto.
«A me non sembra proprio!» esclama prendendomi in braccio.
«Scott, che stai facendo?» protesto.
«Ti sto portando a casa a meno che tu non voglia prendere un taxi, ma non credo visto che ti ritrai quando ne vedi uno o quando vedi un'auto», ribatte piccato senza traccia di rabbia nella voce.
Mi fermo a pensare. Scott sa su di me molte cose. Probabilmente mi ha osservata abbastanza da capire che ho paura delle auto e ora non sembra affatto preoccupato di averlo rivelato.
Con la frase: "ti riporto a casa", intende proprio davanti la porta del pianerottolo. Suona il campanello con insistenza nonostante le mie proteste. Anya corre ad aprire dopo avere urlato: «un momento, sto arrivando!»
Quando mi vede tra le braccia di Scott, sbianca. Si fa subito da parte mentre gli indico il soggiorno dove troviamo Mark, Ethan e Tara impegnati a giocare a carte, a fumare e a bere birra.
Mark si alza in fretta. «Che cosa le è successo? Che cosa le hai fatto brutto stronzo?», domanda ansioso, il viso acceso dalla rabbia. Ha la tipica espressione da fratello geloso e minaccioso. Il fatto è che non ho mai avuto un fratello. Inoltre non credo di averlo mai visto così.
Mark ha la faccia da bullo. Alto, atletico, fisico asciutto e pieno di muscoli, capelli sul biondo rasati sui lati ed occhi nocciola. Ha l'aria di uno di quelli che alle medie faceva spaventare i poveri secchioni di turno. Purtroppo le apparenze ingannano perchè è un ragazzo dolce e sensibile e dubito che alle medie abbia costretto un ragazzo a fare qualcosa per lui. Dietro la maschera da duro, ha un cuore tenerissimo ed è tutto nelle mani di Anya.
Scott mi sistema sul divano, alza la gamba mettendo sotto dei cuscini dopo averli sprimacciati. E' premuroso e per nulla intimidito dalle altre presenze in casa che continuano ad accusarlo, anzi, cerca di ignorarli proprio tutti.
Mordo una guancia sentendo addosso i loro occhi. «Ok, ok sono al sicuro!», brontolo irritata alzando la voce spingendolo via.
«Si e spero tu ci rimanga», mi affronta in tono asciutto e duro facendomi arrossire.
«Certo, prova a fermarmi!» Incrocio le braccia.
Intanto Mark attende una risposta e non è disposto a cedere perchè chiede ancora una volta cosa mi è successo.
«Non potevi avere un'altra coinquilina?» sibila tra i denti sbuffando poi guarda Mark. «Si è piegata in due dal dolore mentre l'accompagnavo. Le fa male la gamba. Oggi ha lavorato troppo, ha forzato la mano.»
Si volta guardandomi con insistenza. «Avresti dovuto parlami subito dell'incidente!»
So che ci sono cose di cui non amo parlare ma prima o poi, dovrò renderlo partecipe della mia vita o in parte di quello che sto cercando di costruire con enorme sacrificio. Ma lui cosa nasconde?
«Sei una testona. Riposati», sporgendosi mi bacia sulla fronte continuando a fissarmi con fare possessivo. Non sento fastidio anzi, mi piace.
«Si lo è. Ci prenderemo cura di lei», Anya sorride in modo dolce e falso a Scott. So cosa gli sta dicendo: "vattene".
Lui sembra immune al suo fascino, anzi, non la sta neanche a sentire.
«Ti accompagno», faccio per alzarmi.
Scott alza gli occhi al cielo. «Non provarci nemmeno!» esclama seccato dandomi un bacio sulle labbra. Saluta tutti svogliatamente e se ne va.
Mi sento in imbarazzo e non oso alzare lo sguardo in una particolare direzione. Sento proprio un gelo puro provenire da quelle parti.
«È sempre così premuroso?»
Tara si rivolge a me con un sorriso tirato e perfido.
Osservo i suoi movimenti da qualche minuto. I suoi occhi assimilano tutto quanto. Credo di sentirmi male e di volere vomitare. Non mi è molto simpatica ma annuisco per celare il mio sconcerto. «Mi ha portato in braccio fino a casa. Non credo di meritarlo. Adesso scusatemi...» provo ad alzarmi di nuovo ma Mark urla un "no" così secco da farmi rabbrividire. Alzo le mani impietrita.
«Sta ferma! Chiamo mio padre» alzandosi si allontana in corridoio.
Anya mi spiega che è un dottore.
La mia giornata sta andando sempre peggio. Non ho paura dei dottori ma delle loro diagnosi e gli ospedali mi mettono ancora una certa ansia addosso.
«Per favore, digli di non disturbarlo. Non è la prima volta che mi succede. Devo solo mettermi a letto e riposare», ringhio senza motivo provando ad alzarmi ma le mani di Ethan si posano sulla mia spalla. Trattengo il respiro.
«Sta ferma! Fai mai qualcosa per te stessa?» sibila tra i denti gelidamente.
Il suo tocco basta a mandarmi in tanti piccoli pezzi. Brucia la pelle arrivando alle ossa. Sbuffo appoggiando la schiena sui cuscini per nascondere la pelle d'oca. Ecco a cosa mi riferivo quando Scott mi ha spinto contro il muro baciandomi. Perchè con lui non riesco a provare la stessa sensazione?
Tara ci sta fissando con sguardo calcolatore, all'improvviso si alza, dice qualcosa all'orecchio ad Anya più che scocciata poi se ne va senza nemmeno salutare. Ethan non sembra affatto preoccupato anzi le sue spalle si rilassano mentre i suoi occhi continuano a cercare i miei.
Cerco di non deconcentrarmi. Spero di non avere fatto qualcosa di sbagliato.
Venti minuti più tardi, mi ritrovo in un ambulatorio e sono più che nervosa. Il padre di Mark, un uomo giovane e gentile mi accoglie senza esitazioni.
Somiglia molto al figlio. Osservandolo inizio a chiedermi se hanno lo stesso carattere o le stesse ambizioni nella vita.
Mi visita con meticolosa cura facendomi parecchie domande personali. Per fortuna siamo soli e posso parlare a ruota libera con lui. E' un medico, c'è il segreto professionale o una cosa simile e non ho nulla da temere.
«Come te la sei procurata?» ispeziona di nuovo la vecchia cicatrice. Cerca di distrarmi in qualche modo parlando.
«Ho avuto un incidente stradale e mi hanno applicato delle placche metalliche sotto pelle. Non si notano più di tanto ma ci sono.»
Abbasso lo sguardo. «Sono come la ragazza di latta», sorrido amaramente. Ripensare al mio piccolo handicap, mi fa sentire fragile. Mi rendo conto che non sono serviti due anni e mezzo per dimenticare il dolore. Come si supera poi il dolore ancora non l'ho capito.
«In una sola gamba?»
Il signor Gordon mi lancia uno sguardo da sopra gli occhiali neri. Incorniciano il suo viso asciutto, la barba di qualche giorno. Annuisco.
«E sul braccio?» chiede alzandomi il braccio destro.
Guardo come lui la cicatrice o meglio il segno bianco sulla pelle, è un po' come se la stessi vedendo per la prima volta e accenno un breve si.
I primi tempi è stata dura, molto dura. Non riuscivo a guardare la carne martoriata dai punti di sutura e a sentire la placca che mi consente di muovere la gamba. Ciò che mi fa davvero male: è il ricordo del dolore provato e la sensazione di avere vissuto un brutto incubo.
«Hai fatto terapia? Riabilitazione?» torna a muovere le mani sul ginocchio.
«Non riuscivo più a camminare. Ho perso la sensibilità alle gambe per un paio di mesi e dopo l'operazione, beh, ho dovuto rimettermi in piedi.»
Certe volte ti senti così stanca che vorresti solo gettare la spugna. Ti senti debole, senza speranza.
Nella vita sono caduta così tante volte facendomi male. Ma, ho curato ogni ferita. Mi sono rialzata da sola, perché non ho mai cercato qualcuno che mi aiutasse. Ho sempre voluto qualcuno in grado di sedersi accanto a me pronto a passarmi un cerotto.
Sento improvvisamente gli occhi pizzicare. Le lacrime tentano di salire ma le ricaccio dentro inghiottendo il grosso nodo pieno di dolore.
Gordon se ne accorge. Sembra in combutta con se stesso.
«Deve essere stata dura per te figliola», aggiunge con fare premuroso.
«Molto», cerco di non pensarci ancora ma la mente ripercorre quel lento calvario della convalescenza. Mi sentivo un derelitto, uno scarto umano che mai più nessuno avrebbe voluto al suo fianco. Soprattutto: ero sola. Tiro su con il naso abbracciandomi.
Gordon mi ordina di tenere la gamba a riposo per alleviare l'infiammazione e di non forzarla ulteriormente. Mi prescrive degli antidolorifici e con un sorriso gentile mi fa uscire dall'ambulatorio. Cammino zoppicando verso l'uscita dopo averlo ringraziato.
«Vuoi che chiami i tuoi?»
La domanda di Anya arriva veloce come una pugnalata. Sbianco sentendo il mondo girare. Adesso cosa le dico? Merda, merda, merda.
«NO!» replico piano.
Ethan ci osserva con le mani dentro le tasche.
«Sicura?» inarca un sopracciglio.
«Sicura», stringo i pugni in vita. «Dovrebbero sapere che non stai bene. Si preoccuperanno. Se mi dai il numero li chiamo io.»
«Se ho detto di no ci sarà un motivo non credi? Perché insisti sempre così tanto?Non esiste un numero per chiamarli perché nessuno può contattare i morti!», parecchio scossa esco fuori dallo studio.
Sono stanca e ho bisogno di riposarmi. Troppe emozioni, troppe rivelazioni, mi stanno annientando facendo uscire il peggio di me. Mi aggrappo ad un cancello stringendo i denti e la presa.
Ethan esce di corsa dallo studio. Avvicinandosi e senza dire una parola, mi prende in braccio sollevandomi come se fossi una piuma.
Provo ad oppormi perché non voglio essere toccata da lui ma non ho scampo.
«Che cosa fai?» chiedo acida.
«Ti porto a casa»
«No, che cosa stai facendo?»
«Ti sto tenendo tra le braccia», risponde con naturalezza.
«E perché mi tieni così stretta?»
«Perché tutti meritiamo di essere tenuti stretti al petto», sussurra.
Boccheggio in cerca d'aria. Una folata di vento scompiglia i miei capelli e la sua colonia arriva alle mie narici con insistenza. Mi sento stordita.
«E se mi lasci andare?»
«Vuoi che ti lasci andare?»
I nostri sguardi si incrociano. Ci siamo solo io e lui. Io persa nel mare dei suoi occhi. Lui aggrappato alla marea del mio sguardo.
In questo momento fa tutto così male che ho bisogno di appoggiarmi al centro del suo petto, chiudere gli occhi e lasciarmi riscaldare dai battiti del suo cuore per calmarmi.
Cerco tra le sue braccia, contro il petto, un posto in cui nascondermi. Un posto in cui sentirmi a casa.
Lo studio si trova a pochi passi dal palazzo in cui abitiamo, dopo due strade affollate e chiuse a causa di un evento. Fortunatamente non dobbiamo prendere nessuna auto altrimenti la mia giornata andrebbe di male in peggio.
Anya e Mark ci seguono a poca distanza. Lui le sta cingendo le spalle con un braccio. Non parla più perché è mortificata, infatti, cammina con sguardo perso nel vuoto.
Le parlerò, le dirò tutto. Penso mentre entriamo finalmente in casa. Ethan mi porta in camera prima di sistemarmi sul letto.
«Grazie», sussurro.
Fa un breve cenno del capo avviandosi alla porta.
«Ethan»
Si volta rimanendo in attesa.
«Puoi dire ad Anya che mi dispiace? Non volevo... la stanchezza ha preso il sopravvento... è stata una pessima giornata.»
Inspira lentamente poi annuendo si dilegua.
Mi sento un verme per avere avuto una reazione tanto aggressiva nei confronti di una persona che mi ha aiutato tanto nell'ultimo mese. Le chiederò scusa e sono sicura che lei capirà. Valuto anche l'idea, di parlarle dei miei demoni. So che lo farò.
N/A:
~ Salve, come va?
Eccomi con un nuovo capitolo. Spero vi sia piaciuto. Mi scuso per gli errori.
Se ve lo state chiedendo sto modificando e correggendo la storia. Troverete qualche pezzo in più, qualcosa in meno. Vi arriverà la notifica per questo.
Come sempre potete esprimere il vostro parere, mi fa piacere la vostra partecipazione.
Ci sono ancora tante cose da scoprire sul passato di Emma...
Cosa le sarà successo? Vi piace Ethan o Scott?
Grazie :*
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