Capitolo 2
L'aria di New York dopo la primavera, inizia ad essere soffocante. Per non parlare degli odori, del traffico, dei turisti fermi per strada che chiedono di continuo indicazioni stradali o di qualche stupido che sfreccia con la bici rischiando di investirti per la fretta senza neanche accorgersene.
In una città come questa i pericoli sono ovunque. Sono qui solo da un anno però sono riuscita ad ambientarmi in fretta alla frenetica routine del posto. Adesso mi piace alzarmi alle prime luci dell'alba, andare a correre nel parco vicino casa con le cuffie nelle orecchie sulle note di Sia: una delle mie cantanti preferite; percorrere parecchi sentieri, riuscire ad intravedere i fiumi simili a specchi, perdendomi nell'immensità del posto prima di ritornare a casa.
L'appartamento è vuoto e silenzioso. Non mi dispiace. Amo stare in un posto tranquillo, magari in compagnia di un libro o di un telefilm. Sono una serie tv dipendente.
Spengo la musica, tolgo le cuffie, mi spoglio e ancora affannata mi infilo dentro la doccia. Questa volta mi sono spinta lontano. Inoltre, mi capita di avere momenti di perdizione in cui vengo riportata con la mente al passato ed è difficile non soffrire ancora un pò di quel dolore.
So cosa significa vedere arrivare il dolore nella tua vita. So cosa significa quando prende posto in un angolo continuando a bruciare come una ferita infetta. So cosa significa soffrire, perdere, perdersi. So cosa significa annullarsi dapprima lentamente poi del tutto senza fare rumore.
Ne ho passate tante in soli diciannove anni. Ora che non ho più niente da perdere invece, mi ritrovo a riflettere sul senso della mia esistenza. Perchè mettere al mondo una persona se poi è costretta a soffrire?
Non ho accettato nessun aiuto esterno. Non voglio andare a finire da uno strizzacervelli che crede di sapere come mi sento o per farmi dire che non sono una persona adatta alla società o ancora peggio: imbottirmi di pillole.
Voglio solo sentirmi un pò più normale. Per questo non mi fermo troppo. Sono un pò iperattiva e se mi stanco facilmente di qualcosa, ne trovo subito un'altra per andare avanti e non perdermi troppo in riflessioni pericolose.
Le paure, le ansie, sono dovute al fatto che sono incastrata a metà tra i sentimenti e la paura. Sono bloccata e spesso non riesco ad uscirne del tutto illesa.
E' una bellissima domenica mattina. Non ho appunti da studiare visto che sono avanti con il programma e ho accettato il turno intero al locale perché, a quanto pare manca una delle cameriere. Il proprietario: il vecchio Max, che di vecchio non ha niente se non un numero stampato sulla carta d'identità, mi ha chiamato mentre correvo per convincermi ad andare. Prenderò degli extra e questo è un bene per le mie entrate. In più mi piace passare del tempo lì dentro.
Consapevole di essere in largo anticipo, mi rivesto con calma ed esco nella calca mattutina di New York.
Le strade già dalle prime luci del mattino sono affollate di turisti e cittadini in procinto di andare al lavoro. Supero la serie di palazzi alti e antichi camminando lentamente sul marciapiede costellato di alberi e cancelli che separano le varie abitazioni tra loro.
A poca distanza una limousine è parcheggiata su una zona riservata. In questo periodo è facile vederne qualcuna. I turisti spesso adorano affittarle per poterci fare un giro in centro.
Passo accanto al negozio di dolciumi. L'odore della glassa investe le mie narici ancora intorpidite. Un corridore mi supera portando dietro il suo cane che tenta di mantenere il ritmo del padrone.
Mi fermo in mezzo ad un gruppo di persone in attesa che il semaforo cambi da rosso a verde. Quando scatta, come api sul miele ci spostiamo tutti dall'altro lato sparpagliandoci. All'angolo c'è un piccolo negozio di fiori. L'odore che emanano si sente da una certa distanza.
New York è un posto magnifico solo se ti abitui al ritmo della città.
Arrivata al locale noto Max intento a discutere con Sasha una delle cameriere e colleghe. Al mio arrivo lei già c'era ma solo due volte a settimana mentre adesso ci vediamo spesso.
Noto subito l'umore di Max e decido di rimanere a debita distanza. Quando è di cattivo umore, non conviene stargli attorno. Lo capisco dal suo sguardo così, decido di iniziare il mio turno senza disturbare o fiatare. Prendendo postazione dietro il bancone do inizio alla mia frenetica giornata lavorativa.
Per gran parte del tempo, Max inveisce con Sasha che sembra sul punto di mettersi ad urlare, a discutere con lui. Spesso sa essere polemica. Mi affretto ad aiutarla per risparmiarle altri rimproveri e per evitare lo scoppio di un inutile litigio.
Pulisco al posto suo i tavoli togliendo posate e bicchieri, passo lo strofinaccio poi pulisco per terra usando il panno umido dove poco prima un'allegra famigliola ha fatto un casino con cioccolata e frappè.
Sasha mi ringrazia con lo sguardo. In fondo sento che è gelosa del mio rapporto con Max; anche se non abbiamo mai parlato apertamente di questo. In più ha qualcosa che proprio non riesco a carpire. Sa essere mimetica.
Facendole un cenno del capo continuo le mie mansioni in silenzio fino ad ora di pranzo.
«Ok, siete in pausa», alza il tono Max fissando Sasha con sguardo truce mentre si avvia verso l'uscita di emergenza.
Ci dileguiamo in fretta salendo le scale esterne per raggiungere la zona riservata al personale durante la pausa: un terrazzo spazioso anche se pieno di piccioni e qualche piccola chiazza di muschio a causa dell'umidità.
Sasha, apparentemente nervosa, accende una sigaretta iniziando a fumare con sguardo volto verso il vicolo in basso. In questa strada si trovano altri locali, una discoteca e un negozio di fumetti frequentato da grandi e piccini.
Le offro un panino. Accetta con un sorriso. Dopo la sigaretta, sembra più rilassata.
«Grazie per prima», inizia colpevole. Non ha però l'aria di essere preoccupata o spaventata dal pessimo temperamento di Max.
«Non preoccuparti, ti aiuto volentieri. Quando Max è di cattivo umore è meglio non dargli altri motivi per esplodere.»
Ci fissiamo per due secondi poi scoppiamo a ridere ricordando come ha trattato il povero Rick al terzo giorno di lavoro. Quel poveretto è capitato proprio in un brutto momento ed è scappato a gambe levate dopo ben tre giorni e senza pretendere un pagamento.
Max deve essere trattato con le pinze. E' un uomo pretenzioso e attento al lavoro. Non ammette errori banali. Stranamente nei miei confronti si è sempre dimostrato socievole e premuroso. Forse sono io quella a non portarlo all'esasperazione. Mi ritengo fortunata ma non immune ai suoi attacchi. Temo sia per questo che Sasha non riesce a mandare giù il mio rapporto con lui. Lui che per me è come uno zio.
Perché certi legami nascono anche quando pensi di non volerlo, di non meritarlo. Siamo legati da fili rossi invisibili alle persone.
Ritornate al lavoro è tutto più tranquillo. Max ad impatto ha tanto l'aria di uno con gravi problemi in casa, magari con la moglie ma nessuno riesce a parlargli in modo civile perché partono prevenuti nei suoi confronti. L'unica persona a sostenerlo è Tony, il cuoco del locale. Tratta Max come un suo pari e non ha di certo paura di affrontarlo come sta proprio facendo in questo momento in cucina.
Tra i due c'è molto rispetto; più volte Max è riuscito a tacere per non perderlo perchè Tony è uno dei pilastri più importanti di questo locale. È essenziale per far sì che i clienti affezionati non rinuncino ad un gustoso primo piatto per un caffè da Starbucks a qualche isolato di distanza.
«Emma torna al bar», ordina.
Mi affretto lasciando i tavoli da pulire a Sasha, pronta a ricevere qualche altro rimprovero. Fortunatamente non succede ed è una gran fortuna perchè se Sasha va via, mi ritroverò con una nuova cameriera inesperta e pronta a darsela a gambe levate alla prima occasione.
Da quello che so di lei, ha bisogno di questo lavoro. Ha un bambino ed è una mamma single. Così giovane e così forte. La ammiro perchè non si lascia intimidire e tiene duro per portare a casa il pane, cosa che il vero padre del bambino non fa.
So tutto questo perché un giorno mentre eravamo in pausa mi ha raccontato parte della sua vita. E' una ragazza apparentemente semplice, mora e dagli occhi grandi color nocciola, robusta. Ha tanto il portamento da poliziotto. Quando glielo faccio notare ridacchia dicendo che ho una bella fantasia.
Non posso definirla una mia amica ma, tra di noi si è creato un certo legame.
Servo due caffè ai clienti abituali aggiungendo per loro una fetta di torta che si trova sul menù del giorno.
«Grazie dolcezza», dice il signor Preston. Un anziano di sessant'anni abituè del locale, sempre pronto a godersi il suo caffè pomeridiano con il suo amico, il signor Patrick. «Tieni pure il resto è sempre un piacere vederti raggio di sole», quest'ultimo mi rivolge un sorriso dandomi una mancia un pò eccessiva.
Quasi dopo il crepuscolo inizio a sentirmi un pò stanca. Gli ultimi raggi del sole filtrano dalle vetrate creando colori e arcobaleni sul pavimento. Il locale è strapieno perché è uno dei momenti in cui la gente preferisce uscire per mangiare o per un aperitivo tra amici.
Giro come una trottola giostrandomi tra i tavoli e il bar. Dopo le nove, finalmente, Max ci congeda. Sasha si offre subito di darmi un passaggio entrando nella sua vecchia utilitaria mentre fuma la sua terza sigaretta della giornata.
Come sempre rifiuto a causa della mia paura incamminandomi verso casa dopo averla salutata.
Metto le cuffie, aumento di poco il volume della musica godendomi la passeggiata serale lenta e rilassante. Cammino sotto i lampioni, per le strade sempre affollate, piene di tabelloni, cartelli pubblicitari che cambiano in pochi secondi. Questa è New York, mi dico chiudendo per pochi secondi le palpebre e inspirando l'aria calda e piena di odori.
In questi ultimi giorni ho avuto parecchio tempo per riflettere. In particolar modo ho riflettuto sulla gara clandestina dell'altra sera. Più volte ho espresso le mie perplessità alla mia coinquilina in merito a ciò. Quando lei ha ripreso l'argomento per stuzzicarmi sul tizio misterioso però ho eluso la domanda sviando l'argomento. Perché non posso dirle che ho pensato e pure tanto a quel ragazzo che mi ha salvata. Non credo che in un posto come questo sia possibile rivederlo per strada. È stato solo un caso. Un bel caso che mi ha spinto verso una strada diversa per qualche ora.
Arrivata a casa trovo le luci del soggiorno accese. Decido di non disturbare Anya probabilmente in compagnia di Mark in uno dei loro weekend romantici.
«Emma?» chiama poco prima che io superi il soggiorno. Guardo la divisa da lavoro macchiata di salsa e cioccolata. Sono un vero disastro. Torno indietro facendo capolino, nascondendomi dietro la porta.
«Ceni con noi?» domanda tenendo in mano una forchetta. Se ne sta ai fornelli mentre Mark accenna un saluto. In cucina aleggia l'odore delle zucchine, del pomodoro e del tonno. Il mio stomaco si contrae.
«No grazie sono stanca e so di patatine fritte. Passate una buona serata», mi dileguo prima che riesca a ribellarsi.
Dopo la volta scorsa, nonostante i continui inviti, non sono più uscita con lei. Non voglio farmi coinvolgere in qualche altra pazzia e rimanere di nuovo da sola. So che pensa che io sia strana ma non posso gettarmi a capofitto in situazioni pericolosamente divertenti. Ho bisogno di programmare tutto nel migliore dei modi. Ho bisogno di tempo per adattarmi ai suoi ritmi.
Quando le ho spiegato gentilmente tutto questo, ha solo annuito ma, so per certo che non accetterà altri no o scuse come: "devo studiare, devo lavorare, sono stanca..."
Dopo essermi data una ripulita, finalmente mi getto sul letto addormentandomi immediatamente.
«Ti mancano?»
Aggrotto la fronte guardandomi attorno. Sono su una autovettura e non riesco a muovermi. Non sento le gambe. I vetri sono frantumati, sono a testa in giù. Le orecchie fischiano, la testa fa tremendamente male.
Attorno, aria asfissiante e carica. C'è puzza di sangue. Cerco di liberarmi ma non riesco a sentire niente. Non voglio voltarmi, non voglio urlare, non posso.
È come quando sentì di soffocare a causa delle lacrime che continuano a salire. Stringono la presa sul tuo collo senza lasciare scampo. È come se questo dolore che sento fosse più enorme di me.
Piango, piango lentamente sentendo dolore ovunque.
«Ti mancano?» continua a chiedere insistentemente una voce.
Scuoto la testa dimenandomi sul posto. Non riesco a respirare. L'odore, il ronzio alle orecchie, il mal di testa. Inizio a sentirmi confusa e ben presto cedo al panico mettendomi a urlare. Urlo, urlo forte.
Mi alzo di scatto e sono nel mio letto, sudata e ansante. Accendo la luce portando la mano sul petto scosso dall'affanno e dal senso di paura.
«Emma?» Anya bussa più volte alla porta chiaramente preoccupata.
Il rumore si riverbera dentro la testa facendomi strizzare le palpebre.
Traballante vado ad aprire la porta. Mi fissa pensierosa mentre ho ancora il fiato corto. «Ti ho svegliata? Scusami non volevo...» dico mortificata, quasi balbettante.
Anya scuote la testa poi sorride facendomi una carezza sul viso. «Stai bene?» mi guarda con attenzione. Mi fissa come se potessi rompermi in mille pezzi da un momento all'altro. So che quelle schegge mi feriranno perché sono taglienti, più del vetro.
Tengo duro. Posso farcela continuo a ripetermi ogni giorno come un mantra.
Sono fragile come un fiore ma, posso essere tanto forte come la mano che l'ha spezzato.
Non devo spiegare niente a nessuno. Cado, mi faccio male ma se mi rialzo, mi riparo da sola. È questa la mia vita.
«Si, era solo un incubo. Scusami ancora», dico superandola per dirigermi in cucina dove cerco di farmi perdonare preparandole la colazione. Pancake ai mirtilli e caffè: i suoi preferiti.
Anya continua a seguire ogni mio movimento pur sembrando assorta in qualche strano pensiero. Ho paura che da un momento all'altro mi chieda di fare le valigie e andare via da casa sua per averla spaventata. A quel punto, dove potrei andare?
Le mie ex coinquiline non soffrivano di terrori notturni e non si interessavano quando urlavo nel sonno o uscivo di notte terrorizzata trovando conforto nella corsa o in una passeggiata. A dire il vero, non sono neanche sicura che se ne siano accorte visto che la maggior parte del tempo erano sballate o ubriache.
Anya è diversa. Lei è attenta e presto finirà con il chiedere cosa mi fa stare così male prima di cacciarmi dal suo appartamento.
«Hai spesso questi incubi?» domanda sorseggiando la sua prima dose di caffè giornaliera. Quando lo fa sembra sempre in estasi.
«Mi dispiace. Soffro di terrori notturni. Capisco se vuoi cacciarmi dal tuo appartamento.»
Sciacquo il piatto per non guardarla negli occhi. Sto cercando un appiglio.
«Dovrei cacciarti solo perchè hai degli incubi? Stai scherzando? Toglilo pure dalla testa, Emma. Ti voglio qui nel "nostro" appartamento perchè ricorda: è anche tuo!» sorride prima di stamparmi un bacio sulla guancia.
È una persona molto espansiva e affettuosa. Non ci pensa una sola volta a saltarti addosso e a coccolarti. Ormai in un mese, sto imparando a conoscerla meglio. «Mi dispiace comunque. Non voglio che pensi che io sia pazza.»
«Capita a tutti. Non mi hai ancora sentita cantare nel sonno. Sicura di essere tu quella a non volermi cacciare?» ridacchia.
Dubito sia stonata come una campana. Se canta in un gruppo e gira per i locali, non lo è. Ma capisco il perchè della sua frase e la ringrazio con un abbraccio. Il massimo che io riesca a fare.
«Oggi devo venire anch'io all'università», prende la borsetta seguendomi fuori casa quando siamo pronte per uscire.
Mi godo la passeggiata sotto le prime luci del mattino newyorkese.
«Vieni sempre a piedi?» domanda fermandosi affannata quando arriviamo davanti all'aula prevista per l'esame. E' senza fiato e io trattengo a stento una risata nel vederla piegata sulle ginocchia.
«Non è rigenerante?» Sorrido sarcastica. «Augurami buon fortuna. Ultimo esame prima delle vacanze», mi incammino indietreggiando per godermi ancora la sua espressione affaticata.
Anya alza gli occhi al cielo prima di farmi un saluto con il dito medio alzato. «Buona fortuna Emma!» Gira sui tacchi e va via.
L'esame si rivela facile. Ho studiato abbastanza da avere una buona media e sono più che soddisfatta del risultato. Esco dall'aula più leggera. In parte però sono anche un pò in ansia sui programmi che dovrò avere per il resto dell'estate. Perchè devo avere dei programmi.
Sul taccuino, seduta su una comoda panchina del campus, scrivo:
"Programma Estivo"
Non so che cosa inserire; l'idea di dovere superare un periodo torrido chissà dove non mi elettrizza anzi, mi rende inquieta. Mangio l'insalata di tonno che ho preparato a casa e infilo le cuffie per rilassarmi sotto il sole. Sento le ossa riscaldarsi e i muscoli rilassarsi.
Il campus è pieno di gente. Ragazzi sullo skateboard e in bici, ragazze con un gelato in mano ed occhiali da sole intente a ridere. Nerd in piedi accanto agli amici con i portatili e gli smartphone sempre aggiornati. Ragazze popolari che si atteggiano accanto ad un gruppo di ragazzi. Un Suv nero dall'aria familiare parcheggiato a poca distanza davanti la facoltà di economia attira la mia attenzione. Tolgo le cuffie alzandomi, allungando il collo cerco di mettere a fuoco la targa. Ho una memoria fotografica ma non riesco a vedere bene da dove mi trovo. Anya interrompe la mia ricerca urlando il mio nome, facendo girare un gruppo di ragazzi in direzione. È davvero difficile non notarla. Canotta larga degli AC/DC scollata con top sotto, jeans strappati e stretti, anelli e collane, un trucco vistoso. Quando mi raggiunge circonda con un braccio le mie spalle. Tiene raggiante una cartellina tra le mani. «Com'è andata?» chiede allegramente.
«Egregiamente», continuo a fissare il suv nero mentre camminiamo e ci avviciniamo. Mi sento un pò ridicola ma ho una speranza nel cuore. Forse la mia possibilità su un milione è questa. Quante probabilità ci sono?
«Quindi... sei in vacanza?» sorride in modo inquietante.
Cosa avrà in mente questa volta?
Devo dissuaderla e in fretta. «Ho ancora delle lezioni da seguire.»
«Mark ci aspetta.» Quando lo indica mi blocco impallidendo. È appoggiato al suv, con lui: Ethan.
Oh mio Dio! È proprio lui. Riconosco quel dilatatore all'orecchio, quei tatuaggi. Non è possibile! Che ci fanno quei due insieme? Ah già, la gara. Sono amici?
Devo andarmene, subito! Il mio cuore inizia a palpitare. Le mie orecchie si infiammano quando lo vedo perché si volta ed è più bello che mai.
«Ti senti bene?» Anya tocca la mia spalla.
Ho lo sguardo fisso verso Ethan che adesso si volta verso una ragazza bellissima: mora, alta, slanciata, atletica, una modella in tutti i sensi; scende di corsa le scale con un ampio sorriso, lo abbraccia prima di baciarlo sulle labbra. Sento come un colpo al cuore. Una fitta dritta e potente in grado di intaccare le spesse mura costruite nel corso degli anni. Merda! Sono una stupida! Che cosa mi aspettavo?
«Emma?» Anya mi si para davanti.
Mi riscuoto immediatamente voltandomi per dare le spalle alla scena.
«Ho dimenticato una cosa in aula. Ci vediamo. Saluta Mark da parte mia», balbetto. Senza aspettare, inizio a correre verso la libreria vicina; l'unico rifugio per una situazione del genere.
Quando sono al sicuro, scivolo a terra tra due scaffali prendendo il viso tra le mani.
Non riesco a capire. Non riesco proprio a capirmi. Perché sto avendo questa reazione? Perché mi ha spiazzata così tanto vederlo innamorato?
Un tipo del genere, non poteva di certo essere single. Sto esagerando. Devo proprio riprendermi e in fretta. Non lo conosco. Siamo perfetti estranei.
Rimango in libreria per gran parte del pomeriggio. Anya chiama un paio di volte ma le rispondo con dei messaggi sintetici pieni di scuse. Non ho voglia di trascorrere con loro la giornata sentendomi di troppo. Non ho voglia di sentire di nuovo quella brutta sensazione addosso.
Dopo avere letto un libro piccolo e di poche pagine preso a caso dallo scaffale, decido di alzarmi.
Esco fuori e vengo investita dal caldo, dallo smog insistente della città. Mi sento un pò male. Forse avrei dovuto scegliere meglio il posto in cui stare. Passo a prendere una bevanda fresca camminando verso il parco. Il cellulare vibra ancora. Non sono abituata a tutte queste attenzioni o per lo meno, lo ero, un tempo.
«Ti va di uscire con noi questa sera? Siamo tra ragazze. Niente gare te lo assicuro. Andiamo a festeggiare.»
«Ehm, no, non sto molto bene. Divertitevi.» Rispondo di cattivo umore declinando l'invito. Non ho nessunissima intenzione di sedermi ad un tavolo con quella tipa così bella e con lui. La mia autostima cadrebbe a picco, proprio sotto i ferri delle scarpe.
«Vuoi compagnia?»
«No, no. Starò meglio dopo una dormita. Divertiti!» Uso un tono diverso per rassicurarla e convincerla ad arrendersi.
Dopo un paio di secondi la sento sospirare. «Sappi che la prossima volta non riuscirai a sottrarti. Niente più scuse Emma.»
Alzo gli occhi al cielo scuotendo la testa. Non so cosa inventerò in futuro ma troverò qualche altra scusa. Sono brava in questo.
Dopo la chiamata mi sento più al sicuro. Anya non sarà in casa ed io me ne starò tranquilla nel mio piccolo rifugio, nella mia bolla, lontana dalla ragazza che ha causato il mio malumore.
Continuo a pensarci. Non posso crederci. Non riesco ad accettare la mia brusca reazione. Che diavolo mi è successo?
In casa non essendoci nessuno mi sistemo comoda in soggiorno. Preparo la cena guardando tranquilla un film. Riprendo il taccuino ed appunto la prima cosa da fare per l'estate:
- visitare il parco acquatico e botanico.
L'idea è nata sul momento vedendo dei documentari. Questo mi permetterà di incrementare la mia conoscenza e cultura su animali marini e piante. Non credo di avere il pollice verde però un giorno potrebbe essermi utile sapere qualcosa su come accudire una pianta o un intero giardino. Mi piacerebbe vivere in una villetta in mattoni ed avere lo spazio per un giardino. Piantare un alberello di limoni o avere un piccolo campo di girasoli. Mi perdo tra le mie fantasticherie sognando una casa, un camino acceso.
«Emma»
«Mamma?»
Vedo un'ombra, passa davanti dissolvendosi in fretta. Mi ritrovo dentro la solita auto, in trappola. Urlo forte e mi risveglio sul divano sudata. Lancio uno sguardo all'orologio accorgendomi che sono passate circa due ore.
Il telefono vibra con insistenza sul mobile. Do un'occhiata allo schermo: è Anya.
«Ehi», assonnata passo le mani sul viso cercando di non apparire spaesata o peggio: spaventata.
«Dobe scei?» biascica chiaramente ubriaca.
«A casa, stavo dormendo. Tu dove sei?» Sono già a metà busto, allarmata dal suo tono di voce. Non mi piace affatto.
«Hai avuto un altro incubo?» singhiozza sonoramente poi discute con qualcuno urlandogli contro in modo aggressivo.
«Dimmi dove sei», alzo la voce. Questa mi esce stridula.
«Ho litigato con quel cretino di Mark e sono uscita sciola pecchè Tara aveva altri impegni e tu stavvi mae. Che stronze!»
Merda, merda, merda. Ora che faccio?
Pensa Emma, pensa. «Ok. Se mi dici dove ti trovi ti raggiungo. Cerca un'insegna o qualcosa. Concentrati!»
Prendo la borsa, infilo le scarpe, recupero le chiavi. Tutto meccanicamente.
«Devil's Club» biascica prima di scoppiare a ridere.
Le dico di non muoversi correndo immediatamente fuori. Fiondandomi per strada chiamo un taxi strillando al conducente la destinazione quando entro a disagio sedendomi sul sedile. Ho il cuore in gola e mi sento davvero in ansia per Anya. Non voglio che le succeda qualcosa soprattutto mentre è sola e ubriaca. La gente ne approfitta di una giovane ragazza alticcia in certe circostante. Posso anche dire che è pericoloso bere troppo. Il pensiero di quella notte, mi fa contorcere lo stomaco. Muovo agitata la gamba non vedendo l'ora di arrivare e di scendere da questo dannato mezzo. Quando arriviamo, lancio i soldi al tassista correndo fuori, cercando di riprendere fiato.
Inizio subito a cercare Anya per strada. Quando mi chiama mi volto ed il cuore mi balza in gola. Anya non è sola e qualcuno sta provando a farla rialzare da terra. Quando quel qualcuno si volta rimane immobile fissandomi con i suoi occhi profondi.
Io lo guardo. Lui mi guarda. Il mio cuore riprende a battere con più forza. Riprende vita.
«Non hai un bella cera». Anya non si regge in piedi. Parla proprio lei? Fa del sarcasmo?
Il trucco sbavato a causa delle lacrime, i vestiti pieni di macchie d'alcol. Puzza come una ciminiera. Arriccio il naso.
«Mi dispiace se ho disturbato. Non sapevo con chi parlare e ne avevo tanto bisogno.»
Ethan prova a prenderla in braccio ma Anya lo spintona mettendo un braccio attorno alle mie spalle. Faccio quasi fatica a reggerla. «Non posso credere che tu sia venuta», ripete un'altra volta biascicando e barcollando pericolosamente. Che cosa ha bevuto per ridursi così?
Sto per sentirmi male. Vengo attraversata da flash improvvisi del passato. Barcollo. Scuoto la testa concentrandomi sul presente. «Se mi chiami in questo stato è ovvio che io sia obbligata a venire a recuperarti. Vedo però che non sei sola come hai detto...»
La accompagno fino al Suv, dove Ethan le tiene la portiera aperta. Continua a guardarci. È un po' inquietante. Aiuto Anya a sistemarsi sul sedile inserendole la cintura. «Ora non posso scappare. Tu e Ethan siete simili in questo, lo sai? Mi proteggete sempre», prova a stropicciarmi una guancia.
«Ci vediamo a casa», le sorrido scacciandole la mano.
Mi blocca subito per un polso. «Dove vai? Non sali?» strilla più del dovuto ferendo i miei timpani.
«Devo passare da una parte prima. Arrivo subito, promesso.»
Ethan è già al volante e mi lancia uno strano sguardo. Sto sudando freddo e non so se riuscirò ancora a trattenere il panico e le lacrime davanti a loro.
«Non fare tardi. Ho bisogno di te», mette il broncio.
Il mio cuore palpita velocemente. Si è così tanto affezionata a me? Perché?
Non può, finirò con il deluderla. Io deludo sempre tutti. Soprattutto me stessa.
Annuisco e per non ribattere allungando il discorso, ignorando le sue battute sulle protezioni, richiudo la portiera.
Mi volto lasciando uscire un grosso sospiro, camminando verso il centro, cercando di non crollare e di controllare le mie emozioni. Sono forte continuo a ripetermi. Entro in farmacia, compro delle aspirine e vitamine poi ritorno a casa prendendo nuovamente un taxi. Non ho mai passato una così brutta serata. Odio le auto, odio guidare, ho paura, una paura tremenda.
In soggiorno, trovo Anya stesa sul divano; Ethan intento a toglierle le scarpe. Quando lei mi vede strilla. «Emma, lui è mio fratello, Ethan».
Tuo fratello? Oh porca la miseria!
Vorrei strillare io al posto suo in questo momento. Mi sento umiliata. Come ho fatto a non capirlo?
Anche lui però che stronzo patentato a non dirmi che conosceva la zona, il palazzo e principalmente la mia coinquilina. Che cosa ha da nascondere?
Che stupida, stupida. Continuo ad urlarmi mentalmente avvicinandomi alla cucina limitandomi ad aprire la dispensa. Preparo delle barrette con cioccolata e cereali, le aspirine e del succo.
Anya saetta continuamente da me al fratello. Ha già capito.
«Voi due, vi conoscete vero?»
Mi blocco sussultando ed Ethan fa lo stesso mentre entrambi guardiamo Anya storditi. Ci tradiamo a vicenda. Come ha fatto a capirlo? E' così evidente? Mordo il labbro facendo un grosso respiro prima di avvicinarmi. «Ricordi il tipo che mi ha riportata a casa?» siedo accanto a lei un pò in imbarazzo. Anya si fa attenta sorridendomi come una bambina che sta per ascoltare una favola della buona notte o un succulento pettegolezzo.
«Quello che ti ha salvato il culo quando io ti ho lasciata in mezzo al caos? Quello gentile, un po' tenebroso?»
Annuisco arrossendo lievemente pur non volendo. «A quanto pare, è tuo fratello!» Faccio spallucce cercando di apparire tranquilla. In realtà vorrei prendermi a schiaffi da sola e principalmente prenderlo a schiaffi. Mi sento presa in giro.
Anya scoppia a ridere poi a piangere lamentandosi di Mark poi di nuovo a ridere prendendo in giro il fratello. Sembra matta da legare.
Ad un certo punto il suo cellulare squilla e lei riattacca più volte sbuffando. Glielo strappo dalle mani e all'ennesima chiamata, rispondo al suo posto.
«Amore ti prego scus...»
«Mark, sono Emma. Stammi bene a sentire: smettila di fare lo stronzo con lei o ti strappo le palle dandole in pasto ai pesci. Pensi di venire a trovare la tua ragazza che è ubriaca e ha rischiato di essere investita o violentata o altro e farti perdonare, o vuoi un pugno in faccia così forte da ritrovarti i denti per terra per averla lasciata sola e per svegliarti un po'?A te la scelta, io muoverei il culo!» Stacco e sospiro sentendomi incredibilmente sollevata. Mi sono sfogata contro Mark e ora riesco a sentirmi meglio. Non sono riuscita a nascondere la mia preoccupazione e la mia frustrazione. Principalmente le mie paure.
Anya mi fissa a bocca aperta. «Cazzo, è stato fantastico. Non ti facevo così aggressiva. Di solito... sei un angioletto.» Scoppia in una fragorosa risata poi diventa bianca come un lenzuolo correndo in bagno.
«Anche gli angioletti possono arrabbiarsi a volte», le rispondo mentre l'aiuto infilandola sotto la doccia, aprendo il soffione dell'acqua facendola strillare e ridacchiare.
Ethan ci segue ad ogni passo senza dire una sola parola il che è urtante. Osserva me e la sorella con un certo distacco. Ha lo sguardo da serial killer ed è un tantino inquietante.
Mi sento osservata.
Anya per fortuna riesce a fare una doccia completa da sola poi avvolta nell'asciugamano rosa che per inciso odio, torna sul divano quasi stremata. Le offro subito la barretta di cioccolata, il succo e le compresse. Deve riprendersi e in fretta. Non riesco a nascondere la mia preoccupazione e sento proprio il panico crescere nuovamente dentro.
«Dove era Tara?» Domanda dopo un momento di silenzio. Non riesce proprio a stare zitta. Adesso però so il nome della ragazza di Ethan.
Lo guardiamo entrambe. Sembra assorto ed è tremendamente attraente in jeans e camicia. Immagine lontana dal ragazzo scapestrato della corsa clandestina. Chissà cosa stava facendo prima che Anya lo chiamasse come ha fatto con me.
«A quanto pare... aveva da fare», risponde tranquillo. Non sembra affatto interessato a fare conversazione.
«Lo sai che è una stronza bugiarda?» Mugugna Anya assopendosi.
Mi siedo sul tappeto appoggiando la testa sul bordo laterale del divano. Mi sento di troppo. Cerco di mimetizzarmi con la tappezzeria del divano anche se in questo momento mi piacerebbe mimetizzarmi sotto le coperte.
«Ne abbiamo già parlato!» Risponde brusco dopo una manciata di secondi. Il tono mi regala una strana e piacevole scossa.
Quando arriva Mark sento un po' di trambusto in soggiorno, delle voci, qualche insulto ma sono troppo stanca per alzare le palpebre e per inveire contro quel ragazzo che ha fatto stare male la mia amica. Vorrei proprio dirgliene quattro perché per colpa sua ci ritrovavamo in questa spiacevole situazione ma non ne ho le forze.
Ho tanto su cui riflettere anche se non riesco proprio a far viaggiare i pensieri nella giusta direzione. Mi sento confusa. Sarebbe da ipocrita dire di non avere pensato a Ethan dopo quella notte, perchè non ho mai fatto qualcosa di così assurdo ed eccitante seppur pericoloso in vita mia. Mi ha fatto riscoprire un lato di me che non credevo esistesse. Ho pensato davvero tanto a lui nel corso della settimana e quando ho rivisto quel Suv nero il mio cuore ha avuto un'accelerata pazzesca, come se dovesse scoppiare da un momento all'altro, come se fosse in attesa. Una sensazione che non provavo da tanto, troppo tempo. Rabbrividisco, non è il momento mi dico. Ho già avuto troppi flash nel corso della serata, non ne voglio altri.
«Fratellone, potresti portare Emma in camera? Stava male quando l'ho chiamata e costretta a raggiungerci e non vorrei che dormisse seduta per terra a causa mia.» Sussurra Anya.
La immagino tra le braccia di Mark, al sicuro. Vorrei rifiutare, dirle di non dire stupidaggini ma vengo sollevata da due mani forti e decise senza permesso. Un profumo intenso ed inebriante pervade i miei sensi dandogli uno strattone e quasi il colpo di grazia. Sento la guancia contro qualcosa poi avverto dei battiti veloci e prima che me ne renda davvero conto e possa trattenermi ancora un po' il mio corpo pesante e lontano tocca il materasso.
«Dormi bene Emma» sussurra Ethan sfiorandomi una guancia. Il suo tocco brucia la mia pelle.
«Notte...» dico assopendomi.
Chi voglio prendere in giro? Questo ragazzo mi è piaciuto sin dal primo istante e non perchè apparentemente mi è sembrato un teppista. Non lo conosco eppure questa sensazione di appartenenza mi si è attaccata addosso immediatamente proprio quando i nostri occhi si sono scontrati. Credo sia una cosa banale ma in lui, c'è qualcosa che mi attrae con una strana forza magnetica. Non dovrei fantasticare troppo visto che non è alla mia portata ma non faccio male a nessuno, a parte a me stessa. Quando l'ho visto con la sua ragazza, mi sono sentita una vera stupida. Non è destino mi sono detta e continuo a ripeterlo mentalmente. Ed io al destino, non ci credo affatto!
Devo disintossicarmi e pure in fretta. So di poterci riuscire, devo solo evitare di accettare gli inviti di Anya e di monitorare i suoi spostamenti. Non le permetterò che si ubriachi un'altra volta e da sola.
N/A:
~ Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto. Perdonatemi per gli errori. Non sono una scrittrice e sono umana. (:
Come sempre accetto consigli e opinioni costruttive. Seguitemi per non perdere il resto della storia. Aggiungetela nei vostri elenchi di lettura e sempre se vi va: lasciate un voto e un commento per segnalare il vostro passaggio. :* ~
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