Capitolo 17
È una bellissima giornata di sole. Picchia sulla testa senza lasciare un briciolo di aria fresca attorno.
Fa caldo, troppo caldo. In tivù e in quasi tutte le stazioni radiofoniche dicono che le temperature aumenteranno ulteriormente nel il corso della giornata. In parte spero proprio di no, perché non si può lavorare bene con questa schifosa afa.
Servo un gelato alla fragola ad una bambina, prendo la banconota che la mamma distratta e al telefono mi sta porgendo e dopo averle sorriso mi sposto dalla cassa entrando in cucina sfinita.
Mi siedo sullo sgabello giusto per qualche secondo passando un tovagliolo sulla fronte imperlata di sudore.
«Giornata torrida oggi piccolina», Tony sorride gesticolando con delle pinze mentre sta arrostendo delle costolette dall'aspetto invitante.
Mi brontola lo stomaco e ho subito l'acquolina in bocca alla vista dei piatti così ricchi e dal profumo paradisiaco.
Ho evitato la colazione, credo anche il pranzo. Ultimamente, il mio stomaco fa proprio a pugni. Non sempre riesco ad avere appetito come una persona normale. In passato ho avuto problemi alimentari e adesso sto bene attenta ai segnali per non ritrovarmi di nuovo in pericolo.
Alcuni dei clienti abituali se ne sono accorti e mi hanno perfino rimproverata, perchè per loro sono dimagrita tantissimo. Più volte li ho rassicurati, ma tornando a casa mi sono messa davanti allo specchio rendendomi conto di avere qualche chilo in meno. Ancora una volta mi sto facendo del male. Sto trascurando una parte fondamentale: me stessa.
Spero solo di non ricadere in vecchie abitudini ritrovandomi inevitabilmente in ospedale.
Non mi sento debole ma una ricaduta potrei averla in ogni momento. Tutto dipende da come porto avanti le mie giornate, dallo stress o dagli eventi che mi vedono coinvolta.
So che questa non è una giustificazione, ma non posso controllare tutto. E, ultimamente non riesco proprio a concentrarmi. È come se avessi in qualche modo perso un bullone fondamentale, un piccolo tassello per riuscire a reggermi costantemente in piedi.
Sto perdendo l'equilibrio e non so se riuscirò a rialzarmi.
Il tempo in questi giorni sembra accelerare. È passata una settimana e gli eventi si sono ammassati se non intensificati.
Sto attraversando un brutto periodo e non sono abbastanza forte per superarlo come invece dovrei. Me ne rendo conto. Questo non fa altro che farmi sentire debole.
Scott, continua a scusarsi per avermi seguita all'università e per la clamorosa storia del club. Purtroppo è riuscito a spezzarmi il cuore e quando provo anche solo a guardarlo negli occhi come facevo un po' di tempo fa, non sento quasi più niente per lui. Quello che provo quando si avvicina: è un po' di fastidio. Come se il mio corpo rifiutasse la sua presenza.
Non mi fido più di lui. Non cerco nessuna dimostrazione. E per convincermi non basteranno di certo le solite parole o i soliti gesti clamorosi davanti alla gente.
Ci ha già provato e ha fallito.
Al locale se ne sono accorti tutti, ma nessuno ha ancora fatto una domanda.
Per quanto riguarda i miei sentimenti nei suoi confronti, e magari sarò anche contraddittoria, provo un certo affetto per lui. So che è da stupidi, però non sempre è così semplice lasciare andare qualcuno che è entrato a far parte della tua vita in un momento forse sbagliato.
Credevo di essere pronta, mi sbagliavo. Non sono pronta ad iniziare una relazione. Il mio passato tornerà sempre a galla e di me non resterà altro che un frammento tagliente, intoccabile.
Rendendomi conto di essermi distratta recupero in extremis la conversazione con Tony che attende.
«Non me ne parlare. Oggi non mi danno tregua. C'è caldo, non dovrebbero stare a casa o al fresco?», sbuffo prendendo una bottiglietta d'acqua bevendo lentamente. Sento le guance accaldate e una strana sensazione in grado di farmi girare la testa. Forse dovrei mangiare.
Come se mi avesse letto nel pensiero, Tony mi passa velocemente un piatto. Approfitto della pausa e ringraziandolo con un bacio affettuoso sulla guancia salgo sul terrazzo, dove mangio tranquilla godendomi il sole, il caldo, l'aria, in piena solitudine. E' così che sono sempre stata: lunatica, distante, solitaria. Non ho mai amato i posti troppo affollati o fare cose pericolose, arrivare o superare quel limite per sentirmi viva. Ho sempre e solo preferito essere una parte sottomessa di me stessa. Per alcuni forse un po' debole, per altri insensibile o anonima.
Guardo corrucciata la mia pelle color latte. Non prenderò mai colore in estate come alcune ragazze. Mi ustiono facilmente e non voglio somigliare ad una aragosta. Preferisco il mio pallore. In fondo: non mi dispiace.
Mastico lentamente mandando fuori un sospiro. Mi sento già piena e ho solo ingurgitato due bocconi dell'abbondante pranzo che Tony mi ha gentilmente offerto.
«Che diavolo ti succede Emma?» sussurro a quella parte di me che si sente tanto stanca.
Di recente, per non pensare troppo e agire, alla lista ho aggiunto:
- andare ad una o più partite
- fare qualcosa di pericoloso e divertente
- sorridere almeno una volta al giorno
Ethan ha letto di nuovo la mia lista forse per errore perché in bella mostra tra i miei appunti e mi ha preso in giro dandomi il tormento; ma lui non sa perché faccio questa lista. Non sa perché mi serve.
Per quanto mi sforzi di andare avanti, ne ho bisogno. Ho bisogno di avere degli obbiettivi per questo periodo estivo e di non fermarmi troppo.
Ho già letto il libro, per circa due volte, quindi ho già una cosa in meno da fare ma sono sicura che lo rileggerò presto un'altra volta.
Il telefono vibra. Lo sollevo cercando di aumentare la luminosità dello schermo.
Anya: "Non abbiamo più cibo in casa. Puoi portare qualcosa per cena?"
Digito una risposta.
Emma: "Dobbiamo andare a fare la spesa. Non hai visto il post-it? Comunque non preoccuparti ci penso io. Avete delle preferenze?"
Anya: "Fai tu. Mangiamo anche le pietre! :) buon lavoro."
Sorrido per la sua risposta. Ultimamente sembra impegnata quindi non gliene posso fare una colpa se dimentica di sfamarsi. Sarei incoerente perchè neanch'io lo sto facendo con me stessa.
Alzo il viso chiudendo per qualche istante gli occhi.
Durante il pomeriggio, la luce sembra trasformare la città che inizia ad accendersi in tante piccole lucette. Non so come spiegare ma è bello visto da qui il panorama. E a distanza di un anno non riesco ancora a credere di avercela fatta. Sono nella città in cui ho sempre sognato di vivere. Eppure sento forte la mancanza di una famiglia ormai dissolta in una giornata fredda. Forse è per questo che preferisco le stagioni calde.
Osservo la strada piena di pedoni, turisti pronti ad immortalare questo spazio pieno di palazzi alti, lavoro e vita. Gli aerei passare lasciando la scia su un cielo carico.
Percepisco i rumori, il caos generato da qualche voce, dalla musica di strada, dalle auto, dalle ambulanze.
Mi chiedo che cosa ci faccio in questo posto se preferisco i luoghi tranquilli alla vita frenetica. La risposta è solo una: cambiamento.
«Emma?»
Mi volto emettendo un breve urlo che esce dalla mia bocca strozzato. Il piatto mi cade dalle mani. Stanno tremando terribilmente.
Non ho vie d'uscita e Scott sembra deciso a parlarmi, a farmi ragionare. Prendo un grosso respiro decidendo in fretta su due piedi di affrontarlo per una volta e per tutte. Recupero il piatto da terra gettandolo dentro il cestino e rimango in piedi, pronta mentalmente.
Si avvicina cauto, con sguardo afflitto. La mia mente lo paragona ad una vipera e questo non fa altro che provocarmi una sensazione orribile sulla bocca dello stomaco.
«Ascolta, so che non ti fidi di me per tutto quello che ho fatto, ma che ne dici sé questa sera prendiamo qualcosa da mangiare e parliamo? Ti prego Emma, sto impazzendo senza te. Ti amo», si avvicina ancora provando a toccarmi il viso.
Arretro guardandolo per la prima volta dritto negli occhi. «Ho un altro impegno. Ma se mi libero ti faccio sapere».
Sembra rincuorarsi e mi sorride. Non so se sia soddisfatto. Forse il suo gioco era proprio questo sin dall'inizio: darmi il tormento fino a farmi cedere. Però ho appena mentito. Non uscirò con lui. Non mi sento ancora pronta.
«Mi dai la risposta prima della fine del turno?» Prova ad abbracciarmi e in qualche modo riesco a sfuggirgli.
«Si, va bene», torno al lavoro con una strana ansia addosso.
Non so, sento che sta per succedere qualcosa.
In parte mi piacerebbe accettare, perché la parte masochista di me vuole proprio capire dove vuole arrivare con questo suo invito; mentre dall'altra, l'idea di uscire con lui non mi entusiasma. Potrebbe avere delle pretese o strani pensieri.
Sospiro.
Vorrei solo mettere le cose in chiaro, smettere di evitarci o farci del male a vicenda. Un po' ci spero. Spero di potere ritrovare fiducia in lui. Starei meglio dal punto di vista emotivo.
Pulisco parte dei tavoli poi passo in cucina. Ormai è quasi ora di chiusura e Tony ha sempre bisogno di una mano in più per non tornare a casa tardi.
Non sono poi così stanca e nonostante le ore di caldo e di traffico sento di potere continuare ancora un pò. Le ore passano davvero in fretta oggi.
«Che cosa voleva?» chiede Tony strofinando il fornello fino a farlo brillare.
Mi appoggio un istante all'isola in acciaio sfiorando un mestolo per sistemarlo meglio sull'amo da cui pende. «Chiedermi di uscire», non aggiungo altro per paura che fraintenda. Anche se ormai ha capito benissimo ciò che è successo.
Incrocia le braccia con una smorfia. «Uscirai con lui?»
Nego. «Non so più se fidarmi. Sto valutando e osservando tutto come un'estranea.»
Annuisce. «Ascolta uno più grande di te, piccola. Uno come lui, non cambierà mai. Ti farà solo soffrire. Ti ha già mentito una volta, lo farà ancora e ancora. Per quanto tempo pensi di riuscire a sopportare una cosa del genere?»
Mordo il labbro sentendo in bocca il sapore del sangue. «Non penso di riuscire a sopportare un'altra bugia o un'altra cruda verità. Voglio solo poterlo vedere come prima... parlare con lui, ridere...» sospiro notando la sua espressione. «Mi sto solo illudendo, vero?»
Si avvicina per un breve abbraccio. «Troverai quello giusto. Lui non fa per te. Ti deluderà ancora.»
Ascolto ogni singola parola sentendomi in un certo senso ferita nel profondo. Perché non riesco a vedere tutto così lucidamente? Di cosa ho paura?
«Grazie», balbetto.
«Sempre a disposizione senorita», dandomi un buffetto affettuoso sorride spingendomi verso l'uscita secondaria. Quella per il personale.
«Porta questi fuori e vai a divertirti», ordina allegramente iniziando a fischiettare.
«Va bene, grazie ancora», abbozzo un sorriso prendendo i sacchi neri dell'immondizia. Per errore però sollevo proprio quello che pesa un po' ed esco sul retro quasi arrancando.
Alzo gli occhi. Vedo tutto confuso. Il mondo mi cade addosso, così come il sacco e le bottiglie al suo interno che, schiantandosi sull'asfalto provocano un gran rumore di vetri rotti che si proponga nel vicolo interrompendo Scott e Sasha dal loro bacio appassionato.
Il fiato mi manca. Sento proprio il petto stringersi in una morsa dolorosa. Annaspo indietreggiando come un robot, stropicciandomi un occhio che continua a bruciare prima che entrambi si riempiano di lacrime. Sento i cocchi del vetro su cui sto camminando conficcarsi tutti dentro, nel mio cuore. «No...», sussurro scuotendo la testa, aprendo e chiudendo più e più volte gli occhi.
Scott sgrana gli occhi, fissa me poi Sasha poi mette le mani sulla testa. «Cazzo!» impreca incapace di trovare una soluzione, di nascondere ciò che è evidente.
«Emma», inizia balbettando, avvicinandosi con i palmi davanti.
Nego. Le labbra tremano e le mordo stringendo i pugni in vita. «No», continuo a ripetere indietreggiando ancora.
Sasha, rimanendo alle sue spalle con un sorrisetto beffardo stampato in faccia, posando una mano sulla sua spalla dice: «credo sia il momento di dirle la verità, Scott».
Ma lui sta negando guardandomi fisso negli occhi, facendomi sentire male dentro. «Per favore», inizia flebile.
Sasha lo fa girare prendendo il suo viso tra le mani. «Diglielo! Smettiamola con questa farsa. Ha diritto di sapere», continua a sorridere sotto i baffi prendendosi gioco di me.
Scott continua a guardare prima me poi lei quasi in preda al panico.
«Cazzo, digli che cosa fai mentre le dici che la ami!», gli urla Sasha chiaramente innervosita dal suo silenzio, dalla sua reazione non prevista, forse anche divertita per la situazione in cui ci troviamo.
Tutto questo è davvero assurdo!
«Diglielo! Digli che non ho nessun figlio, che quel bambino è mio nipote e quel giorno al parco era solo un diversivo per tenervi buoni. Digli perché ti chiamo nel cuore della notte o perché mi ospiti in casa tua.»
Colpita dalle parole della persona che credevo fosse mia amica: indietreggio incapace di sentire altro, poi scappo dentro.
«Emma», urla Scott.
La sua voce arriva distante, distorta alle mie orecchie. Sto per sentirmi male. Supero la cucina e anche Tony che mi parla. Non lo sento, non sento niente.
Prendo la borsa dall'armadietto. Sciolgo i capelli ravvivandoli distrattamente prima di legarli e agitata corro fuori dal bagno. Scott mi spinge contro il muro prendendomi il viso tra le sue mani. Le stesse che stavano toccando Sasha.
Le scaccio via emettendo un urlo acuto in grado di farmi paura e dandogli un sonoro schiaffo, nonostante la mia gamba protesti, mi spingo fuori dal corridoio, in sala; poi finalmente spalanco la porta principale del locale.
Vedo tutto confuso davanti ai miei occhi. Tutto a rallentatore, come in un film la cui pellicola è in bianco e nero e le scene troppo lente.
E quando metto piede fuori annaspando in cerca d'aria, sento la voce di Tony e quella di Scott alle mie spalle.
Emetto un altro verso che esce dalla mia gola incontrollato e quando guardo davanti a me trovo Ethan. Sta uscendo in fretta dall'auto.
Accortosi della mia espressione, si fa avanti dopo essere rimasto per qualche istante immobile, indeciso.
Non so perché si trova proprio qui ma in questo preciso momento: è come vedere un faro acceso dopo una notte passata in mezzo al mare in tempesta.
E mentre lo guardo, sento arrivare improvviso e deciso un bisogno esigente della sua protezione. Sento che ho bisogno di lui.
L'impatto è davvero strano quando lo abbraccio e lui rimane stordito dal mio gesto così improvviso e naturale. «Che cosa succede?» chiede guardando davanti a sé.
I suoi occhi chiari diventano un mare agitato alla vista di Scott. Lo spingo verso l'auto agitandomi maggiormente. Voglio solo allontanarmi, niente di più.
«Puoi darmi un passaggio», credo di parlare in uno stato confusionale e, senza permesso, con sguardo fisso entro in auto.
Ethan dopo qualche secondo gira sui tacchi salendo in auto, mettendo in moto. L'auto romba ad ogni suo comando. Guarda dallo specchietto retrovisore proprio Scott raggiunto da Sasha e da Tony e sgomma premendo poi sull'acceleratore senza fare nessuna domanda. Mentre io per una volta non presto attenzione alla cintura non inserita, alla velocità con cui ci stiamo allontanando dal locale, al fatto che sono entrata in auto di mia volontà e non perché costretta. Per una volta, accantono la paura. Accantono quella parte di me che si rifiuta.
Appoggio la testa al finestrino trattenendo i singhiozzi. Non posso ancora credere di avere avuto da sempre ragione ed essere stata così stupida da non dare fiducia alla voce, a quei sussurri continui dentro la mia testa che continuavano a mettermi in guardia. Non riesco ancora a credere di avere ascoltato solo bugie. Non riesco a credere di avere preso per pazzi tutti quanti: Max, Tony, Anya e quelli che mi avevano messa in guardia.
Mi sono fatta a pezzi da sola. Sono caduta su quei cocci di bottiglia e mi sono rotta insieme a loro. Mi sono distrutta in tanti piccoli pezzi da completa stupida e ingenua quale che sono.
Ethan chiama Anya senza nascondersi. «Sto portando Emma a casa», dice guardandomi con la coda dell'occhio. «Non ha una bella cera», aggiunge a denti stretti premendo il tasto rosso sullo schermo rettangolare posto sul quadrante sopra lo stereo di questa Camaro SS nera.
Mi fa fare un giro lungo prima di portarmi a casa.
Quando l'auto si ferma di fronte al palazzo spalanco la portiera ed esco correndo più in fretta che posso al piano di sopra, nel mio appartamento. Spalanco la porta lasciandola aperta alle mie spalle. Quando raggiungo finalmente la mia stanza chiudo a chiave la porta, getto la borsa a terra e inizio a spaccare tutto ciò che trovo davanti a me. Urlo forte sradicando il tabellone pieno di post-it appena comprato lanciandolo contro il quadro posto sulla parete. Questo cade frantumandosi. Non riuscendo a muovermi inizio a picchiare, a dare calci alla porta del bagno. Sono così arrabbiata: con me stessa, con il mondo, contro la speranza.
«Emma», Anya bussa alla porta più volte. La sua voce velata di preoccupazione. Ancora una volta, sono riuscita a farla entrare nel vortice buio, pieno di problemi che è la mia inutile e infelice vita.
Sono troppo infuriata per sentirla o per rispondere. Ho solo un obbiettivo: ridurre in polvere ogni cosa. «Io non ce la faccio più. Non ci riesco», urlo mandando a terra tutti i libri sulla mensola. Apro i cassetti buttando ogni cosa a terra. In pochi istanti metto a soqquadro l'intera stanza.
Voglio vedere tutto al contrario, vivere per un attimo in mezzo al caos e non sentirmi così persa, così ferita.
«La mia vita è solo un fottuto sbaglio ed io non ne posso più!», singhiozzo colpendo ancora la porta con una pedata.
Sembro proprio una squilibrata strafatta di acidi, ma che importa?
Il telefono vibra e lo lancio contro la parete su cui si schianta creando un buco. Tutto per non sentirlo. Quando non trovo più niente da scagliare a terra, scivolo lungo il muro mettendo le mani tra i capelli.
Ho un violento attacco di panico e non vedo il mondo circostante perché i miei occhi sono così appannati da oscurare tutto. Mi sento morire. Non riesco più a percepire niente.
La porta si spalanca con uno schianto.
«Emma, che caz...»
Ethan sgrana gli occhi indurendo lo sguardo, prendendomi in braccio con delicatezza mentre me ne sto rannicchiata in un angolo pulito della stanza. Mi porta in corridoio, lontana dal caos.
Mi rannicchio contro la parete verde continuando a picchiare i pugni sul suo petto. Voglio sfogare tutta la mia rabbia, voglio scaricarmi completamente e magari spegnermi. Sono una fottuta cretina, illusa, ingenua.
«Ehi, piccola guardami», Ethan alza la voce per farsi sentire in mezzo alla nebbia del mio attacco di panico.
«Merda, qui dentro ha ha fatto a pezzi tutto. Controlla se si è fatta male», Anya trova subito risposta guardandomi le mani. Poi, indica le mie nocche ma non me ne importa niente. Non fanno neanche male come il petto. Se potessi, strapperei volentieri il mio cuore a mani nude per gettarlo via.
«Va in cucina, ci penso io», ordina a sua sorella.
Anya indugia per qualche istante poi attirata dal suo telefono che squilla corre in cucina parlando con qualcuno.
«Piccola», Ethan prende il mio viso tra le mani. Vorrei scostarmi ma non ne ho le forze. Non ci riesco. Spingo solo priva di ogni forza le sue mani. Ma questo non lo ferma. Neanche quando qualcuno bussa alla porta con insistenza e Anya corre ad aprire.
La sento urlare come una pazza e capisco che la fonte del mio dolore è riuscita a trovarmi.
«Mandalo via...», sento il petto schiacciarsi ed il dolore farsi nuovamente strada. «Ti prego, mandalo via...»
Ethan ha un attimo di esitazione poi alzandosi non ascolta le proteste di Anya e va dritto verso Scott che tenta di raggiungermi. Per un attimo, perdo la connessione con la realtà.
Nella vita per essere felici ci serve poco, per essere distrutti un niente.
«Se ti rivedo ancora vicino a lei, sei morto!». Lo butta fuori a calci e a spintoni. Forse hanno anche una breve colluttazione nel corridoio del palazzo perché si sentono dei torti rumori.
Quando chiude la porta gliene sono grata. Abbasso persino le spalle. Non sono preoccupata. Non mi importa se lo ha picchiato o se ha solo dovuto avvertirlo per tenerlo lontano da me. Ho solo bisogno che non si avvicini più a me. Che stia lontano. Che viscido!
Ethan torna da me inginocchiandosi davanti e dopo avere chiesto il permesso, sedendosi apre le braccia. Mi lascio avvolgere dal suo calore, dal suo profumo, da lui, da Ethan.
Ho un grosso debito nei suoi confronti. Non saprò mai come ricambiarlo. Perché incontrarlo è stato come vedere un raggio di sole in una giornata grigia.
Anya ci raggiunge. Non mi stacco da lui, non la guardo. Continuo solo a fissare il vuoto, a tremare e a sussultare singhiozzando anche se ormai non ho più lacrime da versare.
«Mi dispiace, devo proprio correre da Mark. Se non arriverò in tempo i suoi daranno di matto. Mi dispiace non potere rimanere Emma.»
Abbassandosi mi schiocca un affettuoso bacio sulla tempia. Poi, fissa il fratello comunicando con lui con lo sguardo.
Porto le gambe al petto dondolandomi ad occhi chiusi. Non voglio rimanere sola proprio ora che sento di essere arrivata quasi alla linea di confine; ma non posso obbligarla a rimanere se ha degli impegni da rispettare.
Me la caverò. In un modo o in un altro ce la farò. Proprio come faccio sempre.
«Alziamoci da qui, piccola.»
Questo nomignolo che esce dalle sue labbra mi fa sentire protetta.
Al momento, ne ho davvero bisogno. Ho bisogno di aggrapparmi a qualcosa per non cadere, per non perdermi.
Mi rialzo traballante. La gamba fa male emetto un breve urlo tenendolo tra i denti e zoppico. Dovrò rimettere il tutore.
Ethan mi solleva prendendomi in braccio senza il minimo sforzo. Una volta in cucina mi sistema sul divano spostandosi dietro il bancone dell'isola.
Stringo un cuscino al petto rannicchiandomi sul divano. Lo sento parlare al telefono. Sta discutendo con qualcuno.
«Ho da fare», alzo subito lo sguardo facendo cenno di no con la testa.
Non deve sentirsi obbligato perché me ne starò buona in questo nuovo angolino comodo.
Ethan allontana il telefono. «Non ti lascio qui da sola. Vieni con me», dice risoluto.
Quando stacca la chiamata rifiuto. Starò bene da sola in casa, rimetterò in ordine la mia stanza distrutta dalla mia stessa furia. Adesso a mente lucida me ne vergogno.
«No, tu vieni con me. Va a fare una doccia, ti aspetto», i suoi occhi non ammettono un rifiuto e dopo quello che ha fatto per me credo di doverglielo.
Dopo avere fatto una doccia nella sua camera mi sento peggio di prima.
Lascio i capelli umidi e sciolti indossando qualcosa di comodo. Non nascondo nessun segno presente sulla faccia, non fascio neanche i pugni pieni di lividi e piccoli tagli.
Mi fermo a disagio sulla soglia del soggiorno. Ethan vedendomi arrivare si avvicina, mi prende per mano e mi porta fuori dall'appartamento.
Questo gesto, mi sembra così banale e così nuovo. Mi vengono in mente le sue parole da ubriaco e ho quasi l'istinto di sorridere, di prenderlo in giro; però sono troppo giù di morale per farlo.
Salgo in auto senza protestare. Ethan gira subito lo schermo per scegliere qualche canzone. Inizio a spaziare con cantanti e gruppi aggiungendoli ad una playlist, anche se non ho voglia di ascoltare musica perchè vorrei solo rimanere in silenzio.
Quando preme sull'acceleratore, non ribatto. Non me ne importa. Per quanto mi riguarda possiamo anche viaggiare oltre il limite consentito, niente mi riporterà indietro, niente cambierà le cose.
Prendo una gomma frugando dentro la borsa e sollevando il pacchetto gliene offro una. Ethan la scarta come la prima volta senza staccare gli occhi dalla strada poi getta la carta nel posacenere.
Non so dove stiamo andando, dove mi sta portando, ma è un bene allontanarsi da casa. Scott potrebbe tornare in ogni momento finendo ciò che ha iniziato. Decido di mandare un messaggio a Max ma ho rotto il telefono.
«Puoi prestarmi un secondo il tuo telefono?» chiedo con voce arrochita.
Scoppia un palloncino. Dentro l'abitacolo si sta diffondendo in fretta la fragranza delle Brooklyn alla cannella. Pizzicano la lingua ma sono davvero buone.
Mi passa subito il telefono senza neanche sbirciare o controllare. In un certo senso mi fa piacere che in minima parte si fida di me.
Digito brevemente un messaggio per Max prendendo il numero da un biglietto da visita.
"Ho il telefono fuori uso. Non sarò presente per un paio di giorni. Non preoccuparti, sto bene.
-Emma"
Gli restituisco il telefono sentendomi a disagio. «Grazie», dico guardando la fila di palazzi alti e bianchi pieni di vetrate a specchio che riflettono tutto.
So che Max verrà a sapere ogni cosa e prima o poi la verità uscirà a galla; ma, ho bisogno di perdere il controllo prima di ritrovare me stessa.
Dopo un paio di km, dopo avere superato il ponte e due strade non asfaltate mi ritrovo di nuovo nella pista isolata e abbandonata dove due mesi prima sono arrivata grazie ad Anya.
È passato un bel po' di tempo da quella notte ma niente è cambiato. Non c'è nessuno ed il silenzio è inquietante.
Ethan si ferma al centro esatto, nel punto in cui vi sono le strisce create da una bomboletta di vernice che danno il via ad un percorso pericoloso, diretto verso un muro, una curva pericolosa, una stradina. Mettendosi comodo mi guarda. «Una volta, mi hai chiesto cosa provo quando corro», fissa davanti a sé sfiorando il volante.
Mi agito sul sedile. Non so dove vuole andare a parare. «Ricordo che non hai risposto», replico masticando velocemente. Per istinto sto stringendo il bracciolo.
«Voglio provare a farti vedere e sentire cosa provo.» Riaccende il quadro facendo rombare l'auto. E' così concentrato, deciso, pieno di passione.
Sta cercando di farmi riprendere mostrandomi un pezzo della sua vita, condividendo con me parte della sua follia e delle sue sensazioni. Forse rendendomi partecipe anche delle sue emozioni.
Il mio stomaco si contrae, deglutisco facendo un paio di respiri profondi per calmarmi. Non sarà male continuo a ripetere.
«Vuoi mostrarmelo adesso?»
Annuisce. «Ti va?»
Apro lievemente il finestrino cercando un filo d'aria fresca. Accende subito il condizionatore. «Quando sei pronta dillo», sceglie una canzone che non ho mai sentito mi sembra si intitoli: Still Breathing. Sono distratta dai suoi occhi per lanciare uno sguardo allo schermo.
Mordo le labbra continuando a respirare come se stessi facendo yoga. «Ok...», sussurro. «Facciamolo», cerco di convincermi.
Guarda davanti a sé. Sorride persino. Poi, preme sull'acceleratore, l'auto sbalza in avanti. Per un attimo mi sento male. Il mio stomaco si contrae, la mia mente si immobilizza. Mi sento morire poi un brivido attraversarmi con forza dalla testa ai piedi. La paura si ripresenta e vorrei urlare ma non ci riesco perché non è proprio paura quella che sento.
Cambia marcia poi sterza pericolosamente ritornando indietro. Si ferma nello stesso punto, sgancia la cintura e sospira come se si fosse appena liberato da un peso. Intravedo un sorriso sulle sue labbra e questo mi mozza il fiato. So esattamente come si sta sentendo: libero.
Esce dall'auto, alza le braccia come in segno di vittoria poi urla divertito. Lo osservo ancora un po' stordita per la sensazione provata solo pochi attimi prima.
L'importante non è correre o il doversi concentrare per vincere. Per lui, l'importante è trovare quell'attimo di libertà. Il momento in cui riesce a respirare a pieni polmoni. Correre è la sua droga dopo giorni di astinenza.
Tocco il mio braccialetto simbolo di un nuovo inizio appeso allo specchietto retrovisore e mi ritrovo a sorridere. Lo porta sempre dietro?
Ethan torna in auto. Rimette la cintura e senza dire niente ci allontaniamo dalla pista.
Percorriamo l'autostrada, dopo la superstrada a velocità costante. Riconosco immediatamente il percorso, stiamo andando da Seth. Quel ragazzo mi sta simpatico.
Un tempo, non li avrei considerati più di tanto perchè siamo così diversi, mentre adesso sembrano fare parte del mio quotidiano.
Questa volta è diversa la situazione. Nessuno ci sta rincorrendo e lui è così tranquillo da trasmetterlo nell'aria.
In garage non troviamo solo Seth, ma ci sono anche altre persone.
Ethan scende dall'auto, gira per aprirmi la portiera. Come sempre è davvero gentile. Lo seguo un pò frastornata e ad un passo da lui perché non voglio invadere i suoi spazi o fargli capire che ho ancora bisogno di una guardia del corpo.
Seth abbraccia subito Ethan. I due si salutano con il pugno ed una pacca sulla spalla. Con lui ci sono altre tre persone: due ragazze e un ragazzo.
«Emma!», Seth sorride abbracciandomi. «Che bello vederti!». Ricambio impacciata l'abbraccio. «Anche per me.»
Seth guarda il resto del gruppo.
«Ragazzi: lei è Emma, un nuovo acquisto!», annuncia ridacchiando quando Ethan lo trucida con lo sguardo. «Fatela sentire come a casa», continua in tono serio, come per ammonirli.
Le due ragazze che si fanno subito avanti con ampi sorrisi e un breve abbraccio sono: Irina e Patricia.
Sembrano toste non solo per l'aspetto esteriore. Hanno un linguaggio abbastanza sciolto, naturale.
Il ragazzo invece si chiama Jason e sembra un tipo divertente ed intelligente anche se un pò distaccato. È proprio un osservatore.
Mi sento un pesce fuor d'acqua in mezzo a loro. Hanno un argomento che li accomuna, una passione: le auto, le scommesse, il divertimento. Io al contrario le odio ancora, nonostante oggi abbia per la seconda volta cercato di superare la mia paura per questo mezzo ai miei occhi pericoloso.
Seth a suo agio, quasi divertito, ci porta in uno degli uffici presenti in questo palazzo apparentemente abbandonato. I computer sono tutti accesi e ognuno di loro, si siede in postazione.
È impossibile non notare le differenze di carattere dal modo in cui sono disposte le loro cose.
Ethan si appoggia accanto alla scrivania bianca piena di riviste e Lego di Seth continuando a parlare con lui.
Irina dopo avere sorriso in modo malizioso forse per il mio sguardo, facendomi un cenno mi porta verso la sua scrivania.
Gira subito lo schermo mostrandomi il suo progetto. Sullo schermo vi è la foto di una bellissima auto. Certo un po' priva di personalità per una tosta come lei.
«Mi piacerebbe avere un parere esterno sul colore dell'auto e sugli interni che ho scelto», inizia a digitare qualcosa sulla tastiera e sullo schermo dapprima si apre un foglio delle note tutto nero poi, le immagini della sua futura auto da corsa.
E' un'auto grigia metallizzata con delle strisce nere e bianche in entrambi i lati; nei fanali anteriori luci bianche. Sfoglia pagina e mi ritrovo davanti le foto degli interni: i sedili bianchi tutti a strisce.
Non so ben dire che tipo di auto sia, ma somiglia più o meno a quella di Ethan. Dovrò fare delle ricerche in merito. Mordo il labbro fissando attentamente le foto una dopo l'altra. Ritorno più volte indietro cercando di trovare le parole adatte per farle capire il mio pensiero, cosa cambierei.
«Allora?» chiede con impazienza. Quasi avesse paura del mio giudizio.
Tutti fanno silenzio. Deglutisco abbassando gli occhi sullo schermo per non arrossire. «Beh, tanto per iniziare eliminerei la striscia bianca ai lati lasciandone solo una. Anche quella grigia dai sedili e...»
Mi fermo arrossendo ulteriormente quando vedo che sta appuntando qualcosa su un blocchetto di post-it gialli. Forse una serie di insulti da rivolgermi per averle detto la mia opinione.
I minuti passano e io mi sento terribilmente a disagio; specie quando girando lo schermo inizia a muovere energicamente le dita sulla tastiera. Quando finisce solleva le mani, e mi mostra di nuovo le foto con le modifiche. «Adesso?» non è arrabbiata, mi sta sorridendo.
Batto le palpebre incredula. «Così mi piace», le dico in fretta con un sorriso timido.
Si alza dalla sedia facendola scivolare lontano. Alza le braccia in segno di vittoria emettendo uno strillo abbastanza acuto da farmi sobbalzare. «Finalmente qualcuno che non ha paura di dire che il bianco ai lati era una merda. Una vera cazzata!», afferma facendo girare tutti nella nostra direzione poi mi sorride e indicandomi dice: «mi piace questa ragazza. Dove se ne stava nascosta?» si avvicina abbracciandomi. «Benvenuta in famiglia dolcezza!»
Rimango impalata e sorpresa dal suo tono e dal suo affetto. Non sono abituata a tutte queste strane attenzioni.
«Mi piacerebbe vedere la tua auto», dice subito Patricia rimasta per gran parte del tempo in disparte, curiosa mentre fissa lo schermo con la nuova auto di Irina.
«Oh, io non...», mi guardo attorno a disagio poi fisso le punte dei piedi. «Io non ho un'auto e non so guidare», mordo il labbro preparandomi alle loro critiche o alla loro imminente presa in giro.
«Davvero?», Irina mi sta fissando incredula, come se avessi appena detto una bestemmia. Annuisco abbassando ancora lo sguardo.
«Dobbiamo provvedere subito!», strilla entusiasta Patricia guardando Seth.
«Ehm... no no», metto le mani avanti «Io non posso perchè...», balbetto.
I loro occhi saettano su di me facendomi una scansione completa. Si accorgono del tutore ma non sembrano poi così turbate dalla cosa. Anzi, iniziano persino a disegnare, modellando al computer qualcosa, a scherzare. Sembrano proprio fuori controllo.
I miei occhi cercano Ethan il quale fa spallucce trattenendo un ghigno accattivante. Noto che è divertito, mentre Seth mi fissa con una strana luce negli occhi.
Quando hanno finito, ci spostiamo al piano di sopra, nel suo appartamento. Mi siedo sul comodissimo divano mentre le ragazze continuano a chiacchierare tra loro di velocità, auto e interni. I ragazzi invece accendono l'enorme schermo piatto iniziando a giocare online.
«Continua tu, non farmi perdere», Seth mi lancia il controller spostandosi in cucina, dove inizia a preparare qualcosa da mangiare dentro delle ciotole colorate.
Mi sento a disagio, non ho mai giocato e di sicuro gli farò perdere la partita. E' un banale gioco di auto ma a quanto pare: loro giocano scommettendo dei soldi veri.
Cerco di capire quali tasti usare leggendo le istruzioni quando compaiono sullo schermo in un riquadrino in basso. Incrocio le gambe sul divano, passo la lingua sulle labbra e cerco di giocare.
I primi due minuti perdo un paio di giri. Dopo che ho capito come funziona, premo i tasti senza guardare le scritte o i suggerimenti ed inizio persino ad abbassare le spalle, quasi mi rilasso.
Non so quanto abbia puntato Seth ma so che mi sentirò in colpa se gli farò perdere anche solo un dollaro a causa mia ed io: non so perdere.
Riesco a superare un'auto verde pistacchio e dalle casse accese poste ai lati dell'enorme schermo piatto si sentono delle voci che imprecano, perchè quando tenta di superarmi finisce per rigare un muro creando delle scintille poco prima di fare una curva e fermarsi di colpo. Capisco che siamo online ma non riesco a guardare altrove a parte l'auto che sto guidando e che corre perché sono io a muoverla come voglio. Supero un'altra auto e sulle labbra mi spunta un ampio sorriso soddisfatto.
Sento Ethan posizionarsi dietro il divano, le mani poggiate sul bordo sopra le mie spalle. Cerco di non perdere la concentrazione.
L'auto sbanda un pò e faccio prendere a Seth qualche punto driftando o così sento dire. Capisco in fretta che devo farlo nelle curve e riprovo quando giungo in quella successiva. Aumento velocità schiacciando il dito sul pulsante dell'acceleratore e supero le due auto davanti contemporaneamente.
«Cazzo! Vai così ragazza!», strilla Irina saltando sul divano accanto a me iniziando a tifare come una pazza mentre mangia dei popcorn. Perchè si eccitano così tanto per un gioco?
«Non so che cosa fare», strillo quando le due auto che ho appena superato si accostano dietro e dalle casse sento delle voci che dicono di farmi fuori.
«Seth?», mi agito leggermente cercando delle risposte che non arrivano perché Seth non risponde, nessuno mi dice cosa fare. Riesco solo a percepire il loro divertimento. L'eccitazione palpabile nell'aria.
Faccio un grosso respiro, poi concentrandomi faccio slalom da una parte all'altra della strada tenendo premuto il tasto dell'acceleratore per non perdere velocità e per non permettere alle auto dietro di me di superarmi.
Sullo schermo compare un nuovo suggerimento e capisco che è ora di usare un nuovo tasto: quello quadrato. Lo pigio e l'auto inizia a correre velocemente, proprio come una saetta.
Si intravede un traguardo, l'auto si ferma di colpo. Lascio cadere il comando come se mi fossi appena bruciata i palmi e mentalmente mi preparo alla sconfitta.
«Con dispiacere, vi comunico che...», inizia Seth parlando da un microfono, «mi dovete un mucchio di soldi», strilla eccitato. «E per la cronaca: vi siete fatti fottere per bene da una ragazza!» ride.
Il mio cuore quasi esplode quando Irina mi abbraccia dandomi tante pacche sulla spalla. Jason invece si complimenta dandomi il cinque, Patricia ride divertita ascoltando le risposte da parte degli altri giocatori poco prima di rispondere a tono.
Mi alzo frastornata. Barcollo persino. Ho vinto? Domando con gli occhi ad Ethan che mi guarda con un ghigno eccitante stampato sul suo bellissimo viso ed annuisce.
Spinta da una strana euforia, lascio uscire uno strillo saltandogli addosso per un abbraccio stretto. I nostri corpi si toccano scaricandoci dei brividi incontrollati.
Ethan scoppia a ridere stringendomi a sé. Circondandomi la vita con le braccia.
Mi rendo conto di avere agito troppo in fretta e d'impulso e di averlo colto alla sprovvista, mi imbarazzo tremendamente e sciolgo l'abbraccio ormai rossa in viso.
Seth dopo avere osservato la scena e pensato chissà che cosa, mi abbraccia ringraziandomi. «Dovevo metterti alla prova ragazza. Sapevo che avevi la stoffa», mi dà una pacca. «Ti inviterò a cena e... ovviamente ti darò una fetta del premio. La tua prima vittoria online», ridacchia quando Ethan gli lancia uno dei suoi sguardi truci che ignora. Poi, inizia a gongolarsi offrendoci una pizza.
Mi sento affamata e quando il fattorino arriva e ci sediamo tutti a tavola in soggiorno: divoro il primo trancio in pochi minuti.
L'adrenalina che ho in corpo mi fa sentire viva. Dopo la giornata passata, sono riuscita in qualche modo a superarla con un sorriso e mi sono davvero divertita.
Mi sento soddisfatta e anche un po' orgogliosa. Era uno stupido gioco ma ho guadagnato dei soldi. Una cosa importante è che ora riesco a capire cosa prova Ethan quando vince una gara.
«Sei stata brava», sussurra pizzicandomi una guancia. Sembra così orgoglioso. Riesce sempre a farmi arrossire.
In questo momento ho una voglia matta di lanciargli un cuscino in faccia per farlo smettere; perché so che lo fa di proposito. «La prossima volta aggiungi questo alla tua lista», mi prende in giro.
Gli do un colpetto sul braccio mettendo il finto broncio perchè so che gli fa un certo effetto. Trattengo subito una risata quando noto come mi guarda male.
Ad un certo punto però veniamo interrotti da un allarme. La luce rossa posta sopra la porta principale si accende segnalando un problema.
Le ragazze guardano subito attorno mentre Seth accende lo schermo posto sopra il citofono che ancora non avevo notato, fissando le immagini della telecamera di sicurezza posta all'esterno.
Non capisco cosa sta succedendo, però sento che non è niente di buono.
Jason estrae il cellulare dalla tasca e dopo avere letto qualcosa si alza di scatto dal divano. «Fermi, è Freddy. Cattive notizie ragazzi!»
Tutti si incupiscono immediatamente pronunciando un unico nome: Drew.
Sentirlo nominare mi provoca un brutto brivido lungo la schiena. Guardo subito Ethan nella speranza che mi renda partecipe.
Dalla porta entra proprio Freddy affannato. Seth gli offre subito una birra e mentre si siede, tutti lo fissiamo in attesa.
«E' impazzito amico!», si rivolge direttamente ad Ethan in modo complice senza guardare gli altri.
La sua mano per istinto si posa sulla mia. Questo mi provoca una fitta. Che cosa significa?
Sfioro le sue dita cercandole, incastrandole.
«Per lui non è più questione di rispetto. È diventata una gara vera e propria e non si accontenterà di certo di una corsa fatta nel bel mezzo del traffico», gli occhi di Freddy si spostando lentamente posandosi su di me.
Istintivamente, agitandomi, mi avvicino ad Ethan. E lui, lui stringe la mia mano con più forza.
«Che cosa hai fatto di preciso?» chiede controllato, con sospetto.
«Me ne sono andato dall'officina e sono corso subito qui per avvertirvi quando ho capito le sue vere intenzioni. Amico, adesso dovrai stare attento anche lei. Sai cosa fare», mi indica ancora.
Rabbrividisco prendendo una boccata d'aria, trattenendola dentro.
Cosa deve succedere ancora nella mia vita? Ah, già, ci mancava solo un altro psicopatico che mi ha puntato gli occhi addosso e ora vuole rapirmi per vendetta al fratello della mia coinquilina senza una vera spiegazione.
La mia mente incontrollabile inizia ad elaborare strane immagini e percepisco il panico.
Rimasto a lungo in silenzio, forse intuendo il mio stato, Jason dice: «Non si avvicinerà a te, non preoccuparti. Non è così stupido», con queste parole cerca di rassicurarmi. Parla come se fosse sicuro.
Non so se credere o meno alle sue parole. So solo che mi ritroverò ancora una volta in mezzo ad un brutto casino solo perchè quel giorno mi sono trovata nel posto sbagliato.
Mi sento nel bel mezzo di una brutta tempesta. Non so cosa fare. Il pensiero mi fa stare male perché non riesco proprio a capire quali sono le reali intenzioni di Drew.
Ho paura di quel ragazzo e so che avrò costantemente il fiato sul collo se questa situazione non si normalizzerà e ognuno non tornerà al posto che gli spetta.
Non posso credere di avere affrontato così tanto nella vita. Ho solo diciannove anni e non faccio altro che incontrare persone sbagliate.
Improvvisamente la stanza mi appare troppo piccola. Ho bisogno di aria. Devo proprio andare via da questa stanza. Queste persone iniziano a soffocarmi con i loro discorsi, con i loro sguardi e oggi ne ho superate abbastanza per pensare ad un altro guaio.
Mi alzo e in fretta esco scendendo al piano di sotto. Il palazzo ha tre piani, ed è diviso come un ufficio vero e proprio. Al piano terra: il garage. Al primo piano: l'ufficio. Al terzo piano: l'enorme appartamento di Seth che probabilmente convive con tutta quella gente. Mi ritrovo nell'ufficio.
Ancora una volta, mi sto domando dove abita Ethan. Come sia il suo luogo tranquillo. Se vive... con qualcuno. Conosco così poco della sua vita eppure mi sento così legata a lui da impantanarmi in certe brutte situazioni in sua compagnia.
Ma, in tutto questo dove si trova Tara?
Apro una porta ritrovandomi proprio davanti: una sala riunioni. Avanzo verso la vetrata dove appoggio la fronte al vetro. Chiudo gli occhi cercando di normalizzare il respiro. Ho passato 24 ore terribili e ancora dovrò affrontarne altre con chissà quali sorprese. Ed io odio le sorprese.
Le lacrime rischiano di sgorgare ancora una volta e la rabbia di far danni. Stringo i pugni iniziando a contare. Cerco di regolare il respiro e di evitare certi pensieri.
La porta si richiude ma non ho voglia di girarmi. Preferisco il contatto fresco con il vetro che mi mantiene salda alla realtà. Non ho neanche bisogno di girarmi per capire che Ethan si sta avvicinando. Il suo profumo, riempie l'ambiente.
«Ti stavo cercando», parla in modo tranquillo. Non è arrabbiato o preoccupato: per fortuna.
«Avevo solo bisogno di un momento. Scusa», inspiro.
Le sue braccia, cingono il mio corpo. Il suo mento, si posa sulla mia spalla. Non so perché si comporta in questo modo nei miei confronti ma so che accanto a lui, mi sento al sicuro. Sono conscia del fatto che è, sentimentalmente, impegnato con Tara ma è qui con me per una ragione e questo per me, significa davvero tanto.
Ethan è un buon amico. Mi costa dirlo ma nelle ultime settimane c'è sempre stato. Non ha tentato di sedurmi o altro, ha solo fatto quello che sentiva e in modo naturale.
Mi giro chiudendo gli occhi. Mi piacciono i suoi abbracci silenziosi e privi di malizia.
«Non permetterò che ti succeda qualcosa Emma».
«Ed io non permetterò che tu rischi la galera ancora per me».
Sulle sue labbra, spunta un bellissimo sorriso che riesce a riscaldarmi il cuore. «Starei davvero da schifo in arancione», sghignazza.
Lo abbraccio più forte. «Grazie per oggi», sussurro grata per la dimostrazione di affetto.
«Torniamo di sopra, Seth intende festeggiare la vostra vittoria», sulle sue guance si formano due bellissime fossette. Le guarderei per ore ma distolgo lo sguardo per non arrossire. Stargli così vicino mi fa uno strano effetto e spesso non riesco proprio a trattenermi.
Tornati di sopra, nessuno accenna al pericolo che grava sulle nostre spalle. Passiamo la notte a chiacchierare, a scherzare a ridere e giocare.
Non so come sarà la mia vita ma so come voglio viverla.
Grazie ad Ethan, oggi ho capito una cosa fondamentale: contano gli attimi. Ed io, voglio trovare l'attimo in grado di farmi sentire felice e viva.
N/a:
~ E per voi che cosa conta nella vita?
Vi sta piacendo questa storia? E i personaggi?
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Scusate per gli errori. (Non sono una scrittrice) :*
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