Capitolo 55
«Il sole è alto nel cielo. Alzati dormiglione!», strillo allegra mentre sollecito Parker ad alzarsi dal letto. Socchiude gli occhi, sbuffa e nasconde la testa sotto il cuscino. Mi viene da ridere. Non mi sono mai sentita così allegra. Sarà il tempo, sarà che abbiamo passato delle giornate serene, senza drammi, sarà che sto davvero tentando di andare avanti e di essere felice.
Metto il finto broncio e tiro il cuscino per scoprire il suo viso. Batte le palpebre e nasconde gli occhi con le mano. «Perché fai tutto questo fracasso?», chiede con voce roca tirandomi al suo petto e stampando subito un bacio sulla mia tempia. Intreccia le gambe alle mie per non lasciarmi scappare.
«Perché devi alzarti», sorrido e aggiungo: «e perché mi stavo annoiando da sola in cucina. Hai troppi ripiani e li ho esplorati tutti. Hai diverse tazze da caffè. Chi è che compra una tazza diversa...», tappa la mia bocca con un bacio. «Non strillare, sono sveglio», brontola.
Ridacchio e tocco il suo viso con delicatezza. «Oggi togliamo le coperte, facciamo le pulizie e andiamo a pranzo con il piccolo Jason.» Riesco a divincolarmi e dopo avergli dato una pacca sul sedere scappo in cucina. Parker mi ricorre e strillo più forte tra le risate quando mi afferra per la vita e sollevandomi come se fossi una piuma mi fa sedere sul ripiano della sua cucina. I suoi occhi sono attenti, vigili. Sorride e questo mi riscalda il cuore. Riesce sempre ad emozionarmi con poco.
«Hai visto la mia collezione di tazze da caffè»
La sua è un'affermazione. Annuisco con un sorriso tutto denti. «Sono più di dieci più quelle piccole». Gesticolo e blocca subito le mie mani.
«Quindi ora io dovrò ucciderti», tenta di fare il serio ma fallisce miseramente. Scoppiamo a ridere e ci abbracciamo. Bacio il suo collo a stampo e inspiro il suo profumo. «Buongiorno», sussurro.
«'Giorno», ricambia il bacio.
Dopo avere fatto colazione, inizio a pulire l'appartamento. Da quando ci giostriamo tra il mio e il suo per il weekend abbiamo trovato una sorta di accordo sulle pulizie da fare. Oltre a quelle giornaliere, bisogna occuparsi della spesa, delle piante, delle lenzuola e di riordinare gli armadi. Parker aiuta come può ma preferisce osservarmi o richiudersi in palestra per non intralciare la mia inarrestabile furia, così la chiama.
Sto facendo il bucato quando esce dalla palestra tutto sudato, sguardo attento da uomo sexy, passo spedito. Sfila la maglietta e la mette con un sorriso sulla pila di vestiti da lavare. Prima che io possa entrare nella lavanderia, attira i miei fianchi indietro. La cesta cade sparpagliando tutto sul pavimento. Alzo le mani in segno di resa dopo avere emesso uno strilletto sorpreso e sorride schiacciando il mio corpo contro la parete. Solleva i miei glutei e mi bacia con trasporto. Poso le mani sulle sue spalle per tenermi in equilibrio e circondo la sua vita con le gambe. Cammina verso la doccia e apre il getto dell'acqua. Ride e continua a baciarmi mentre sfila la mia maglietta ormai fradicia. «Mentre facevo ginnastica immaginavo come togliertela. Il risveglio ha avuto un certo impatto e vedere le tue gambe nude mi ha fatto eccitare», sussurra sulle mie labbra mentre sbottona il reggiseno.
Sono percossa dai continui brividi. «Quindi hai intenzione di...», tappa la mia bocca con la sua e annuisce. Ci sta proprio prendendo gusto nello azzittirmi. In realtà è sempre riuscito nell'intento anche se nell'ultimo periodo sono stata io quella un po' più acida del solito.
Dopo la doccia stratosferica, torno alle mie pulizie mentre Parker si sistema sul divano con il portatile per finire un lavoro. Mi piace poterlo ammirare da lontano. È così serio mentre lavora, così attento. I suoi occhi sembrano accendersi di una luce intensa. Sembra soddisfatto e le sue dita si muovono sulla tastiera velocemente. Quelle dita che hanno toccato la mia pelle sensibile poco prima facendola scottare. Distolgo lo sguardo per non perdermi e passo l'aspirapolvere sui tappeti poi inizio a togliere la polvere sulle mensole ed essendo bassa ho bisogno dell'aiuto di una scala o di una sedia per potere arrivare in alto.
«Vuoi aiuto?», Parker incrocia le braccia appoggiato alla parete. Ha un sorriso divertito stampato sulle labbra. Starà pensando a qualcosa in particolare. Sto per chiederglielo ma perdo l'equilibrio e cado. Chiudo gli occhi preparandomi all'impatto ma non tocco terra. Quando sbircio, Parker sorride rimettendomi a terra. Wow che riflessi era a qualche passo di distanza. «Per oggi basta con i piani alti puffetta». Toglie la scala dalla mia vista e ridacchia.
«Mi prendi pure in giro?», metto il finto broncio sedendomi sul divano un po' stanca. Inizia a massaggiare le mie spalle perché sa che mi piace e quando sono rilassata, prende posto accanto a me. Solleva la mia mano intrecciando le nostre dita e inizia a baciare le nocche lentamente. Dalle mie labbra esce un mugolio sommesso. Riesco a non perdere completamente la testa. Mi rialzo di scatto. «Dobbiamo andare, Jason sarà al ristorante tra mezz'ora».
In camera indosso qualcosa di comodo e di scollato visto che fa caldo e poi usciamo di casa.
L'aria è asfissiante e per fortuna al ristorante si riesce a respirare. Jason arriva poco dopo e quando vede Parker il suo sorriso si apre maggiormente. So che nutre molta stima per lui e spero in qualche modo che Parker inizi a capire che questo bambino per me significa molto.
Dopo pranzo ci spostiamo al parco acquatico per una gita veloce. Assistiamo allo spettacolo dei delfini e poi andiamo al lunapark. Ci divertiamo tra le varie giostre e Parker sembra preso quanto Jason. I due si studiano, si sorridono, stringono strane alleanze mentre io li seguo e spero che tutto vada bene.
Sono giorni che cerco di non fermarmi troppo, di non riflettere, di andare avanti con il sorriso. In realtà è una vita che sono costretta a farlo. Sono giorni che mi ritrovo con Anya e la piccola e facciamo finta di niente. Il nostro litigio si è come dissolto nell'aria. Lexa mi ha procurato altri lavori per farsi perdonare. Le ho più volte detto di non preoccuparsi, che è tutto ok ma non ha voluto sentire ragioni.
«Emma?»
Jason richiama la mia attenzione. Tiene uno stecco di zucchero filato in una mano tesa verso me. Sembra così soffice. Sorrido e ringrazio. Camminiamo tutti e tre vicini e scattiamo delle foto per ricordarci un giorno di questi momenti vissuti.
Dopo il tramonto, lasciamo Jason con la sua famiglia e mano nella mano torniamo a casa. Ad un certo punto Parker cambia direzione. Lo guardo sorpresa e curiosa ma non risponde alle domande silenziose che stanno circolando dentro la mia testa parecchio caotica e confusa. Ci ritroviamo di fronte al palazzetto dello sport. Esce un badge strisciandolo sulla porta. Saliamo i vari gradino e poi ci sediamo sugli spalti, faccia a faccia.
«Ti ho portato qui perché avevo bisogno di correre ma ora che siamo arrivati, non credo sia la cosa giusta da fare», alza il viso verso il cielo e fissa un punto lontano. Come se volesse concentrarsi o stesse ripetendo mentalmente qualcosa. Quando abbassa il viso, i suoi occhi sono carichi di serenità e promesse. «Scusa, ti sto spaventando», sorride in modo dolce quasi in imbarazzo. Afferro il suo viso tra le mani e lo avvicino al mio. «Ti va di correre? Vediamo cosa sai fare mister Johansson!», bacio le sue labbra a stampo e poi corro ridendo verso il campo.
Prova a prendermi ma riesco per una volta ad essere veloce. Di punto in bianco si azionano gli impianti di irrigazione. Piccole fontane iniziano a spostarsi sul campo da destra verso sinistra. Strillo colta alla sprovvista inzuppandomi da capo a piedi e in un momento di distrazione, Parker mi afferra sollevandomi e facendomi girare. Scivolo lungo il suo corpo e scatta il bacio tra le risate e l'acqua che continua ad arrivarci addosso ad intervalli regolari. «Come la prima volta», sussurro affannata. «Volevi venire qui per questo eh? Ammettilo!», lo prendo in giro.
Parker scuote la testa. «No, volevo venire con te in questo posto per... perché ti amo», sembra agitato.
Ritornati sugli spalti. Strizzo la maglietta e i pantaloncini perché si asciughino in fretta e tolgo le ballerine stendendo le gambe. «Perché siamo qui?», domando ancora curiosa.
Parker strizza la maglietta nera dopo averla sfilata di dosso. Mi guarda e sembra assorto. Dopo un momento sorride passando la mano tra i capelli e scompigliandoli. «Avevo bisogno di sentire quello che ho sempre sentito per te sin dal primo istante e questo posto in parte è stato come un trampolino di lancio per noi, così come il parco acquatico e l'ufficio.» Siede accanto a me prendendo le mie mani. Una la sistema sul suo petto un gesto che non fa spesso e so anche il perché. Sotto pelle percepisco i battiti forti del suo cuore. «Mi sono sentito di nuovo come quella volta e ti amo più di prima puffetta», bacia la mia bocca con impeto trascinandomi su di sé. «Sono fortunato ad averti», mormora.
Mi stacco scuotendo la testa. «Quella fortunata sono io. Ti amo», continuiamo a baciarci per un numero infinito di minuti.
Tornati a casa, ci asciughiamo aiutandoci a vicenda e poi ci stendiamo sul letto e continuiamo a coccolarci come due ragazzini. La mia vita sembra davvero essere cambiata da quando ho conosciuto lui ed è entrato nel mio quotidiano mondo pieno di insidie.
N/A:
~ Non sempre ci rendiamo conto dello scorrere del tempo. A volte siamo proprio distratti, altre ci sentiamo stanchi e persi, altre ancora cerchiamo di non pensare tralasciando le cose davvero importanti nella vita. Gli errori servono per imparare. Ma non sempre fare la cosa giusta è la scelta migliore. Ci sono errori che possono cambiare la vita in positivo. I vostri errori quali sono?
~ Emma sta tentando in tutti i modi di andare avanti. Sta provando a vivere la sua storia in modo sereno ma cosa succederà? Cosa turberà questo strano equilibrio?
Parker, cosa voleva dire ad Emma? Non vi è sembrato strano il suo discorso?
Spero che questo breve capitolo vi sia piaciuto. Scusate per gli errori. Passate una buona giornata! 😘 ~
#EMKER ❤️ (ma quanto è dolce Parker? Awww che bel sorriso!!! 😍)
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