Capitolo 46
I giorni passano fin troppo veloci grazie ai preparativi per il viaggio. Ho spesso dei ripensamenti e continuo a darmi della stupida per aver accettato senza riflettere abbastanza, senza prima avere valutato i pro e i contro. Forse ho solo agito d'impulso per dare una lezione a quel bugiardo. Lo so, è un pessimo comportamento il mio ma cosa dovrei fare? Lexa sta tentando di farmi ragionare ricordandomi che sono grande e vaccinata e non più una ragazzina.
«E se...»
Tappa la mia bocca gettandomi un cuscino in faccia. «Ti ama Emma. Non farai nulla di sbagliato, non cadrai da un dirupo, non ti metterai in ridicolo e non girerai nuda. Se non vuoi fare qualcosa con lui, non la fare. Guarda il lato positivo...»
Inarco un sopracciglio. «Quale sarebbe?»
Lexa sospira prima di sedersi accanto a me sul divano e prendere la mia mano tra le sue. «Non avrai nessun rimpianto. Ci avrai provato davvero con lui e se tornerai delusa, io ci sarò!», sorride.
Ha ragione in parte, magari andrà bene questo viaggio. Magari ci divertiremo e consolideremo il nostro rapporto. Allora perché ho così paura?
«Quello è il programma?», indica l'opuscolo del resort. Un luogo fuori dal centro abitato dotato di ogni sorta di confort. Piscina coperta e riscaldata, centro benessere, sauna, vasca idromassaggio, ristorante a cinque stelle. Un vero paradiso dove rilassarsi. Un po' costoso ma non sono io a pagare e per questo mi sento parecchio in colpa.
Annuisco mostrandoglielo. Parker è entusiasta di questo viaggio. Lavorerà ma staremo insieme e proveremo a goderci qualche giorno tranquillo prima di affrontare la bufera e trovare una soluzione. Non manca molto alla partenza. Solo poche ore e partiremo.
Mi alzo esasperata e diretta in camera ricontrollo di avere messo tutto in valigia. Lexa mi segue divertita. Le piace proprio vedermi in questo stato.
«Il costume rosso ti sta bene non lo porti?» lo tiene tra le dita facendolo penzolare davanti ai miei occhi. Lo afferro impilandolo in mezzo agli indumenti.
«Intimo?»
«Preso!», mi sdraio sul letto con le mani sul viso.
«Stai facendo la cosa giusta Emma. Stai dando un'occasione al ragazzo che ti è rimasto accanto. Certo, avete avuto alti e bassi ma non ti ha mai mentito e ti ha sempre messo al primo posto. Ha subito pensato a te per questo viaggio meraviglioso...»
«Ok, ok ho capito.» Rispondo esasperata interrompendo il suo monologo.
«Anya? Hai parlato con lei?»
Scuoto la testa. «Non voglio parlarle proprio ora. Finirei con il dirle delle cose brutte e me ne pentirei. Voglio parlarle quando mi sentirò calma e quando non sarò ancora così arrabbiata.»
Lexa fa una smorfia. «Ti vuole bene. Non allontanarla ok?» mi abbraccia.
«Ok, grazie!»
Sentiamo la serratura scattare. Lexa si rialza subito dal letto con un piccolo salto. «Adesso vado. Fate buon viaggio. Chiama se hai bisogno di qualche consiglio, farò lo stesso.»
Abbraccio la mia amica mentre Parker entra in camera. Si ferma in un angolo e in modo discreto attende che siano terminati i saluti prima di salutarmi con un certo imbarazzo con un bacio sulla tempia. Prende le valigie e le porta al piano di sotto.
Partiamo dopo il tramonto e tutto avviene velocemente. Imbarco e aereo dove troviamo molti dei colleghi di Parker. Dopo l'atterraggio strepitoso sul jet privato, veniamo trasferiti con un'auto mandata dalla compagnia al resort. Sono molto efficienti devo ammettere.
Entro nella hall e rimango a bocca aperta per il lusso. Il luogo è davvero come nelle copertine e foto su internet. Si, ho passato del tempo in rete per valutare certe credenziali. Di sicuro, non potrò mai permettermi un posto del genere neanche per una notte. Inizio a sentirmi fuori posto ma tale sensazione passa non appena entro nella camera assegnatami.
Spaziosa, luminosa grazie ai faretti e alle lampade poste in punti strategici ma anche grazie alle grandi vetrate con vista mozzafiato. Una suite con i fiocchi dotata anche di un salottino dall'aspetto raffinato e comodo, un televisore a schermo piatto da chissà quanti pollici, un letto matrimoniale enorme nell'altra stanza, coperte color porpora e crema e mobili in legno. Per non parlare del bagno. Il bagno più grande che io abbia mai visto.
Sorrido come una ragazzina appena entrata a Disneyland e mi siedo subito sul letto per testarne la morbidezza. Non cigola nessuna e le coperte odorano di ammorbidente. Stendo le braccia e ricado indietro.
Parker entra in camera posando le valigie in un angolo e sorride nel vedermi a mio agio. Batto il palmo sul letto e si stende accanto a me.
«Ti piace?»
«È troppo lussuoso», rispondo con finta indifferenza.
Ride. «Ci staremo solo un paio di giorni, non affezionarti troppo». Si volta e porta una ciocca di capelli dietro il mio orecchio. «Per questa sera visto che è tardi che ne dici di cenare qui e riposarci?»
Accetto prendendo il beauty dalla valigia. «Vado a fare una doccia»
«Vuoi qualcosa in particolare da mangiare?»
«Qualcosa di raffinato», sorrido e mi richiudo nel bagno.
Apro la doccia spaziosa e ci metto un paio di minuti per capire come funzionano i comandi. Rischio di bruciarmi o di ricevere una doccia gelata. Disperata e con un asciugamano addosso esco la testa dal bagno, chiamo Parker. Mi raggiunge in fretta e quando spiego che essendo stupida non capisco come miscelare l'acqua ride ma non mi prende in giro e mi spiega subito come fare. «Goditi la doccia e per specificare, non sei stupida», schiocca un bacio sulla guancia e richiude la porta del bagno alle spalle. Rimango come un'ebete per il suo atteggiamento. Continua a prendere le distanze. Perché?
Riesco a fare la doccia e alzo il viso per accogliere la cascata di acqua calda. Esco dal bagno avvolta da un asciugamano morbido comprato in un negozio nella fase da shopping convulsivo di Lexa. Siedo sul bordo del letto e apro il beauty per mettere la crema sul corpo. Dall'altra stanza proviene il suono della tivù accesa. Mi rivesto infilando una felpa comoda e lunga fino alle cosce. Raggiungo il salottino e trovo Parker intento a prendere un carrello fuori dalla porta. Si volta e rimane impalato sulla soglia. Deglutisce e distoglie lo sguardo troppo in fretta. Fisso le mie gambe nude iniziando a domandarmi cosa c'è che non va.
Posa sul tavolo due piatti con le cloche d'argento. Mi siedo sulla comoda sedia e batto le mani contenta di dovere mangiare. Tolgo la cloche e scoppio a ridere. Non riesco proprio a trattenermi.
«È di suo gradimento?»
«Molto grazie», poso la mano sulla sua e continuo a ridere osservando la pizza fumante sul piatto.
Ceniamo con pizza e birra. «Non mi abituerei nemmeno dopo un mese a questo posto», biascico deglutendo. Il soffitto è pieno di fiori. Tutto è curato nei minimi dettagli. E' troppo confortevole, troppo ampolloso. Troppo perfetto.
«È un po' troppo... pomposo», ribatte.
«Vero. Sei venuto altre volte qui?» pulisco le mani e bevo un sorso della sua birra. «Anche la birra non sa di birra», ridacchio con la mano sulle labbra.
«Prendo sempre questa stanza. È la migliore.»
Inizio a domandarmi con chi sia venuto in questo posto e la mia lingua non riesce proprio a frenarsi. «Hai portato qualcuno con te?»
Beve negando con la testa. «Sei la prima persona che porto con me. I miei colleghi iniziavano a prendermi per gay prima che tu arrivassi nel mio ufficio», sorride e si rialza stiracchiandosi. «Vado a fare una doccia».
Lo guardo mentre sparisce dal salottino. Rimetto in ordine il tavolo per abitudine e poi accendo la tivù. Scelgo uno dei film nuovi usciti in sala e mi rilasso sul comodissimo divano. Le palpebre si abbassano lentamente e tento invano di rimanere sveglia. Il viaggio mi ha proprio scombussolata.
Vengo presa in braccio e sistemata su qualcosa di morbidissimo. Mi sento come un gatto e forse mugolo di piacere. Nel dormiveglia sento formicolare le guance. Apro le palpebre e sorrido afferrando la mano di Parker e tenendola sul mio viso. Se ne sta sdraiato su un fianco. Ha uno sguardo serio e gli occhi fissi sui suoi movimenti. Mi rannicchio tra le sue braccia e richiudo gli occhi. «Puoi abbracciarmi, non mordo», mugugno.
«Emma devo andare», mormora contro il mio orecchio Parker.
Dove sono? Quanto ho dormito? «Mi trovi ancora qui quando finisci», rispondo intontita dal sonno. «Non metterci troppo».
«Va bene»
Sento le sue labbra sulla mia fronte e poi il suo calore si allontana lasciando uno strano freddo attorno. Vorrei urlargli di tornare indietro, di abbracciarmi ancora come questa notte, di non essere così distaccato ma non posso. Lui deve lavorare mentre io sono qui per rilassarmi e trovare risposte. Nascondo il viso sotto le coperte e mi riaddormento.
Non so quanto tempo sia passato. Nel dormiveglia sento la porta richiudersi e dei passi avvicinarsi. Il letto si muove e due mani gelide toccando il mio viso.
«Sei ancora a letto? Stai bene?»
«Ti avevo detto che mi avresti trovata qui», borbotto girandomi su un fianco e abbraccio il cuscino affondando il viso sulla soffice stoffa.
«Questa sera siamo a cena con i miei colleghi»
Lo abbraccio affondando il viso contro il suo petto. Il suo profumo, il suo calore, vorrei rimanere così a lungo. «Com'è andata?»
«Incontro noioso», le sue dita massaggiano la mia schiena. «Persone che si atteggiano a grandi avvocati e poi non sanno difendere il proprio cliente».
Ad occhi chiusi tocco il suo viso. «Questa sera staremo con loro?»
«Solo con alcuni», bacia le mie dita.
«Come stai?»
La domanda sembra coglierlo alla sprovvista infatti si ferma un momento indugiando. «Perché questa domanda?»
«Voglio sapere come stai», avvicino il mio viso al suo.
Osserva le mie labbra e deglutisce. «Sto bene», quasi balbetta. Il suo viso mostra un lieve fremito quando sfioro il suo naso. Poso la bocca contro la sua e iniziamo a baciarci lentamente. Il primo vero bacio dopo giorni di distacco. Per un momento ho paura che mi allontani rifiutandomi. Lascio che si sistemi su di me e stringo il viso con le dita per trattenere ancora la sua bocca. Mi è mancato.
Si stacca affannato e scuote subito la testa. «Non possiamo...», inizia.
«Si che possiamo», cantileno stampandogli piccoli baci sul viso. Stacca le mie mani e scuote la testa. «Dobbiamo prepararci principessa». Si scosta alzandosi e si dirige verso il secondo bagno. Rimango stupita e colpita dal suo comportamento. Sbuffo nervosa e rialzandomi sbatto la porta del bagno alle mie spalle. Il risveglio è stato pessimo, non c'è che dire in merito. Il comportamento di Parker mi fa riflettere troppo sul fatto che si sta trattenendo solo perché ha saputo che sono sposata, tra l'altro a mia insaputa. Il problema è che mi fa sentire uno schifo pensarci e non voglio. Sono venuta in questo posto per divertirmi e passare del tempo con il mio ragazzo che per inteso è lui. Allora perché evita di toccarti? Scaccio la vocina dentro la mia testa e inizio a prepararmi. Dopo una breve doccia fredda a causa di quei maledetti pulsanti e del mio scarso istinto di sopravvivenza, indosso un vestitino abbastanza sexy da fare cascare la mandibola alla mia immagine rifletta allo specchio. Infilo i tacchi alti e mi trucco impeccabilmente. Ravvivo i capelli raccogliendoli in uno chignon scomposto e dopo avere sistemato il davanti del tubino nero con i lustrini, esco dal bagno.
«Ehi forestiera come stai?»
«Se ti dicessi che ho indossato quel tubino con i lustrini?»
Sento della musica in sottofondo e capisco che si trova al locale con David. «Dico che ti serve per attirare attenzione... Cosa è successo?»
«Si sta comportando da idiota. Prima ci stavamo baciando e poi si è staccato come se nel toccarmi si fosse scottato e ha usato una scusa banalissima. Dovremmo essere qui per passare del tempo insieme e invece continua a trovare scuse come questa stupida cena, con i suoi fottuti colleghi», rispondo frustrata sedendomi sul bordo del letto e gesticolando.
«Che stronzo! Fagli vedere cosa significa cocca! Tu sei Emma e questa sera farai strage di cuori con quel tubino scollato. Ricorda quei servizi fotografici il modo di atteggiarsi e se è necessario comportati da leonessa.»
Sospiro e noto un movimento dall'altro lato della suite. «Tu come stai? Cosa avete fatto?»
«Io e David ci diamo dentro come sempre tesoro. Sono preoccupata per te e per Anya. Ieri è passata dal locale, non aveva una bella cera. Mi ha chiesto come stavi e dove eri...»
«E tu cosa gli hai detto?», domando balbettando e rialzandomi dal letto.
«La verità.»
Rimango un momento intontita. «Che sono con Parker e...»
«Si cavolo, se lo merita anche lei. Credo sia stata stronza con te ma ci tiene e ti vuole bene. Quando smetti di essere arrabbiata con il mondo, parlale ok?»
Sorrido. Lexa mi conosce più di ogni altra persona. «Ok, ti voglio bene»
In camera entra Parker avvolto da un asciugamano. Si blocca con lo spazzolino tra i denti e i suoi occhi spalancati saettano sul mio corpo. Fingo indifferenza infilando il telefono dentro la borsetta poi apro il rossetto e lo metto sulle labbra ignorando il ragazzo che poco prima mi ha rifiutata. Se pensa di potere vincere in questo modo, si sbaglia di grosso.
Vederlo bagnato, a torso nudo con capelli spettinati e umidi, mi fa ribollire il sangue dentro. Vorrei baciarlo e perdermi tra i suoi abbracci. Provo a distrarmi e mi incammino nel salottino, accendo la tivù e mi rilasso tra i comodi cuscini. Tento di non pensare a quei muscoli, a quelle braccia forti che mi hanno abbracciata nelle notti insonni e in quelle piene di amore. Tendo di non pensare a quelle labbra che hanno toccato la mia pelle, a quegli occhi attenti, lo sguardo sensuale che ha fatto vibrare la mia anima in questi mesi.
«Pronta?»
Mi rialzo abbassando di poco l'orlo del tubino. Difficile visto che è molto attillato e aperto ovunque. Lo scollo sul davanti lascia intravedere il seno senza scoprirlo troppo mentre lo scollo sulla schiena lascia intravedere il piercing e la spina dorsale. Mi sento sexy per quanto io possa esserlo. Non mi sono mai sentita così sicura di me. Temo che quei servizi fotografici a tradimento siano davvero serviti a qualcosa. Hanno fatto sì che io rafforzassi il mio ego. Non sono mai stata vanitosa ma coccolarsi e sentirsi bene con se stessi non è male.
Seguo Parker in ascensore e poi al piano terra. Poggia la mano sulla mia schiena indicandomi la sala in cui ceneremo in compagnia dei suoi colleghi. Non appena facciamo il nostro ingresso in sala, Parker inizia a fare cenno con il capo ad un paio di persone e sorride ad altre che non conosco. Tento di mantenere un'aria disinvolta e spero in cuor mio di riuscirci perché non so proprio come andrà a finire questa serata. Indica un tavolo e prendiamo posto su delle comode sedie poi inizia a chiacchierare con uno dei suoi colleghi in modo tranquillo mentre io al contrario sento la pressione addensarsi al centro dello stomaco e rimango in disparte. Ben presto il tavolo si riempie e gli uomini iniziano ad ordinare da bere e da mangiare in abbondanza, mentre le due donne sedute a distanza bisbigliano lanciandomi qualche sguardo. Non voglio essere paranoica ma immagino già i loro discorsi e mentre mando giù un sorso di vino che per inteso odio ma serve al mio istinto di sopravvivenza, mi intrattengo mentalmente. Si staranno chiedendo chi sono, se Parker è bravo a letto, se io lo sono, perché una come me e non una come loro. Si staranno anche chiedendo se sono all'altezza e quanto durerà questa storia.
Inizio a sentirmi la pecora nera. Alzo lo sguardo e vago per la sala illuminata da faretti a vista e tavoli ovunque. In fondo un piccolo palco dove un dj sta animando una serata è una folla di persone si sta divertendo a ballare mentre altra gente se ne sta seduta ai tavoli a bere e mangiare. Qualcuno fuma anche dei sigari. C'è anche un bar rifornito.
Questo resort è pazzesco. Mi domando come sia possibile ballare in una sala simile visto l'ambiente raffinato e pieno di gente ingessata con in mano cocktail costosi. Parker mi presenta ai suoi colleghi e prova a coinvolgermi in discorsi di cui per fortuna so qualcosa. Non faccio la figura della stupida per come prevedono quelle due in fondo. Prova a farmi sentire a mio agio ma rimane posato e a distanza. Mi tratta proprio come un'amica. Il pensiero mi trafigge.
Mi alzo scusandomi e Parker mi segue con lo sguardo mentre vado a rinchiudermi nel bagno. Sospiro e lancio un'occhiata allo specchio. Sono ancora in ordine. Strano a dirsi visto che di solito ho un aspetto ordinario. Sciacquo le mani e vedo entrare le due donne. Decido di ignorarle per come hanno fatto loro nei miei confronti nel corso della serata. Non riuscirò mai a sopportare gente del genere nella mia vita. Con disinvoltura volto loro le spalle ed esco dal bagno. Non voglio neanche origliare ciò che hanno da dire.
Durante la cena non posso di certo dire di potere morire di fame vista la varietà di cibo che ci viene servita a tavola ma posso dire di morire dalla noia. Alcuni dei ragazzi presenti sono noiosi, troppo impostati e dediti al lavoro. Inizio a sentirmi soffocare e provo a distrarmi disegnando sul piatto con la salsa.
«Tu devi essere Emma»
Una voce maschile arriva da dietro e ci voltiamo. Un ragazzo ingessato, barba curata, biondo, occhi di un nocciola vispo, sorriso perfetto e mano tesa mi sta fissando. Inarco un sopracciglio e poso la mano sulla sua sentendo gli occhi dei presenti puntati addosso.
«Mister Marshall ha parlato molto di te. Sono Tristan. I suoi racconti non ti rendono giustizia. Sei bellissima», bacia il dorso della mia mano e ritira la sua.
Arrossisco e sorrido cortese. «La mia fama mi precede», rido nervosa.
«Posso sapere cosa ci fa una così bella ragazza seduta ad annoiarsi anziché ballare?»
Parker si alza e aggiusta nervoso la cravatta. Stringe subito la mano al ragazzo con un sorriso perfido. «Sta con me. Non hai fatto bene i compiti per casa a quanto pare, Tristan», gli lancia uno sguardo così gelido che mi sale la pelle d'oca.
«Sei il solito guastafeste Parker», sorride e gli dà una pacca sulla spalla. «Voglio solo invitare la tua bellissima compagna per un solo ballo. Prometto di riportartela intera», afferra la mia mano e mi trascina in pista. Stringe la presa sulla mia vita e inizia a muoversi. Sono imbarazzata e impacciata. Mi ha colta alla sprovvista e non ho avuto tempo di ribattere. Sono fortunata però perché non dovrò sorbirmi per un paio di minuti quei cretini.
«Da quanto state insieme tu e Parker?»
«Hai fatto delle ricerche, dovresti saperlo», rispondo stizzita.
«Quello che so è che ho avuto modo di osservarti e sembravi a disagio. Inoltre Parker non ha minimamente cercato di darti la priorità. Sembra ritornato al college. Esiste solo il lavoro», sorride. Capisco che Tristan è un suo ex compagno di avventura. Mi domando come fosse Parker qualche anno prima. Dopo il suo incidente so che è cambiato ma quanto?
«Oltre che stalker sei un guardone eh?»
Sorride raggiante e annuisce facendomi fare una giravolta. La sua mano sulla schiena nuda preme in un modo alquanto sensuale ma non ha possibilità di riuscita. Ai miei occhi è solo un ragazzo carino che si è offerto per un ballo e ora tenta di sedurmi mettendo in cattiva luce il mio ragazzo. È ancora il mio ragazzo? Una strana sensazione si fa strada dentro me. E' più un fastidioso senso di incertezza che a breve creerà il suo danno facendomi dare di matto.
«Lavori per mio zio, non sono uno stalker. A cena una sera non smetteva un momento di parlare della sua nuova dipendente così ho approfondito e ho saputo di te. Quando Parker ha detto di portare una persona immaginavo fossi tu. Anche lui parlava spesso di te nei suoi momenti...», mi guarda e si scusa perché parla troppo.
Sorrido. «No, non preoccuparti. È la prima conversazione che ho avuto questa sera. Ritieniti lusingato perché ti sto ringraziando.»
Mi fa fare un'altra giravolta e ride gongolandosi. «Ora capisco cosa gli piace di te. Sono felice per lui. È sempre stato troppo rigido con se stesso.»
Abbasso lo sguardo sentendomi a disagio e resisto all'impulso di staccarmi dalla sua presa e tornarmene al sicuro nella mia suite di lusso. Ho bisogno di bere. Mi scuso e mi allontano. Ordino qualcosa di forte e mando giù facendo un sospiro quando sento il liquido ambrato e forte bruciare la gola.
«Ti ha detto qualcosa di strano sul mio conto?»
Guardo Parker. I miei occhi si accendono così come il mio cervello che inizia a fumare. Sento uno strano formicolio. «Già, tipo che sei uno stronzo. Ah già, questa non mi è nuova», lo supero urtando la sua spalla e torno al tavolo con un sorriso stampato in faccia. Accavallo le gambe e due degli uomini iniziano a squadrarmi da capo a piedi alzando i bicchieri. Sono quasi tutti ubriachi.
Parker si siede accanto a me sbottonando la giacca e allargando la cravatta. È un chiaro avvertimento. Decido di ignorarlo e inizio a chiacchierare con l'uomo accanto. È così alticcio che biascica e non riesce quasi a parlare. Mi fa ridere e più volte mi accorgo degli sguardi glaciali di Parker.
Ad un tratto si alza e porgendomi la mano saluta tutti e ci incamminiamo in camera. Non capisco il suo umore. Ultimamente è un libro chiuso. Decido di rimanere in silenzio. Non so cosa sto sbagliando ma non voglio commettere altri errori. Chiude la porta con un tonfo e punta i suoi occhi freddi su di me. «È il momento di parlare», ammette con voce stanca.
«Davvero?» inizio a sentirmi come una miccia pronta a far partire l'esplosione.
«Certo, dopo i tuoi segnali credo sia giunto proprio il momento di affrontare l'argomento. Ero sicuro che mentre ballavi con quell'imbecille avresti escogitato qualcosa o ti saresti fatta le paranoie. Vuoi che ti dica che mi dispiace? Ok, scusami!»
«Se credi che assecondarmi possa smorzare la situazione ti sbagli», inizio ad incazzarmi, sul serio. Voglio proprio litigare, urlargli contro e andarmene da questo fottuto posto pieno di illusioni e distrazioni.
«Cosa vuoi che ti dica? Mi sono comportato in modo scorretto e mi sto scusando. Cosa vuoi ancora?», sbraita.
Non è affatto sincero. «"Mi sono comportato in modo scorretto e mi sto scusando"», gli faccio il verso. «Sul serio? Hai capito come mi sto sentendo o devo farti lo spelling? Ti rendi conto di cosa significa vederti così? Io non capisco. Non capisco perché ti stai comportando in questo modo nei miei confronti dopo che ti ho seguito in questo cazzo di posto esagerato per tentare di fare funzionare le cose.»
«Siamo qui solo per lavoro Emma non per scherzare o giocare alla coppia felice»
«Ah dici sul serio?», questa volta alzo proprio il tono della voce che esce stridulo. Sono patetica lo so ma se non comprende cosa sta facendo è meglio che la smetta di ribattere. Sono pronta a tutto pur di annientarlo. «Ma ti ascolti? "Siamo qui solo per lavoro." Quindi quando mi hai chiesto di venire per passare del tempo insieme e da soli era una bugia? Cosa ti preoccupava? Che io potessi scappare da qualche altra parte con qualcuno? Bene, buono a sapersi.»
La sua espressione inizia a farsi sempre più dura. Non temo il suo attacco perché ormai sono partita e non mi fermerò, non finché non avrò vinto. Le guance si colorano di un rosso acceso. Non cerco nemmeno di domare la rabbia perché sarebbe complicato e sfiancante. Giro sui tacchi e mi incammino a grandi falcate verso la camera da letto. Apro l'armadio e getto sul letto il borsone recuperando tutte le mie cose.
«Che cosa stai facendo?»
«Quello che avrei dovuto fare già da ore», urlo. «Non mi faccio prendere in giro da te!»
«Emma, stai esagerando», risponde afferrando il borsone e lanciandolo dall'altro lato della stanza. «Stai dando di matto, di nuovo».
Non mi lascio intimorire corro a recuperarlo e infilo tutto alla rinfusa. Voglio proprio andarmene da questo posto prima di ridurlo in cenere. «Si, è quello che faccio sempre no? Do di matto e commetto errori come quello di essermi ubriacata dopo un momento difficile ed essermi sposata a mia insaputa! Per te non pagherò mai abbastanza vero?»
Parker si blocca un momento irrigidendosi ulteriormente. Ho proprio centrato il punto. Ecco, adesso cosa succede?
«Stai rigirando la frittata», scatta afferrando il borsone allontanandolo dalle mie mani.
«No, sei tu quello che rigira la frittata. Forse non sono più alla tua altezza come la tua ex o come quelle oche con la quale parlavi e ridevi a tuo agio di sotto mettendomi da parte in una vacanza che per inteso hai voluto tu!»
«Sei tu quella che si è messa a ballare con uno sconosciuto che per inteso non ti sei accorta di come fissava la tua fottuta scollatura da capogiro!», ha il viso rosso, gli occhi accesi, lo sguardo furente, le vene in bella mostra.
«Ho accettato un ballo per gentilezza! E poi perché mi stavo proprio rompendo le palle di quei fottuti stronzi che si ubriacavano e palpavano quelle ragazze come se dovessero scegliere una mela!»
Parker trattiene una risata. Mi imbestialisco. Vedo come un toro il rosso ovunque. «Ma bravo, ridi pure in faccia ora! Se fossi stata io ad essere palpata da uno di loro non te ne saresti neanche accorto visto che eri concentrato. Ti avrebbe fatto piacere eh?» strappo dalle sue mani il borsone e quando tenta di placcarmi lo spingo con forza verso il letto ed esco dalla stanza.
«Adesso basta!» sbraita raggiungendo il soggiorno nervoso. «Ti stai comportando proprio come una pazza. Smettila di fare la bambina e per una volta affronta il problema Emma».
Mi esce un sorriso e una smorfia. Sto per esplodere come se tutta la rabbia trattenuta fino ad oggi, volesse uscire di botto dal mio corpo. «Sto affrontando il problema che per inteso sei proprio tu brutto stronzo!»
Riesce a sbarrarmi la strada e incrocia le braccia mentre tento di superarlo senza successo. Finirò con il commettere un omicidio, me lo sento. Alzo gli occhi al cielo lasciando uscire un grugnito. «Spostati, voglio andarmene così torni al tuo lavoro, ai tuoi colleghi, ai tuoi interessi.»
«Che cosa vuoi che faccia?», urla. Assume un'espressione che non promette nulla di buono. La sua voce sempre calma, si è fatta agitata e dura. Ho la pelle d'oca nel vedere il suo sguardo che mi sta ammazzando.
«Niente, non puoi fare niente. Mi hai voluta qui solo per potermi controllare e trattare come una bambola da compagnia. Credevo mi volessi qui per stare insieme, per vivere qualcosa di nuovo, per essere solo noi due in questo spazio di mondo, lontano da tutta quella merda. Credevo...», scuoto la testa e trattengo le parole mordendo la lingua. Sto esagerando, lo so. Lo vedo dal suo sguardo.
«Sei proprio esasperante! Che cosa vuoi da me? Sei incontenibile, incontentabile, impaziente, eserciti il controllo su tutto. Ho fatto di tutto per fare funzionare al meglio il nostro rapporto. Ho assecondato ogni tuo stato d'animo e capriccio giustificandoti per ogni cosa. Ho aspettato, ho sopportato i tuoi pianti per un altro, ti ho parlato di me, della mia vita, del mio passato, ho allontanato tutto per te. Ti ho trattato come la mia famiglia. E tu? Mi stai crocifiggendo per una situazione che non riesco proprio a reggere. Non puoi arrabbiarti se non ce la faccio. Non puoi arrabbiarti al posto mio. Non sei me, non sai cosa provo, non sai cosa sento. Lo capisci che tutto questo è pazzesco? Capisci che mi manda in bestia quando penso che sei sposata con quel...
È troppo Emma, troppo. Ci sto provando ma non aiuti. Sei troppo egoista per capire. Nel tuo mondo non c'è posto per un'altra persona e posso anche capirlo ma non posso più giustificare il tuo comportamento perché non sei più la ragazza indifesa e dolce che ho conosciuto.» Scuote la testa. «Sei la ragazza che sta sulla difensiva e attacca per non essere attaccata».
Rimango per un paio di interminabili minuti impalata. Mi ha freddata. Mi ha fatta proprio a pezzi. Cosa posso ribattere? È la verità. Si accorge che non riesco proprio a parlare fa un passo avanti ma il mio corpo decide di muoversi facendone uno indietro. Sembra rimanerci male e recupera quel poco di lucidità che gli serve ma è troppo tardi.
«Il saperti sposata mi ha spiazzato. Non riesco a non pensarci. Ti ho portato in questo posto per capire e...», fa una smorfia, corrucciato, combattuto ma pronto ad attaccare ancora, «lascia perdere. Dormo sul divano. Domani ti riaccompagno io al jet».
Rimango ancora impalata, incapace di parlare. I piedi ben piantati al suolo. Si avvicina ancora e indugia un momento con il viso verso il mio. Lascia ricadere la mano, si volta e se ne va. Le lacrime rischiano di straripare e il groppo alla gola tenta di strozzarmi mentre il cuore batte così veloce da sentirlo vivido attorno alle pareti. Lo vedo sistemare tutto sul divano. Ha deciso, ha deciso per me. Provo a riscuotermi e costringo i miei piedi a raggiungere la camera. Lascio ricadere la valigia per terra. L'orgoglio, il dispiacere, la sconfitta, mi trattengono. Mi rannicchio sul letto e tappo le orecchie mentre piango silenziosamente fino allo sfinimento.
Il telefono inizia a squillare. Controllo ed è Ethan. Lo spengo e tiro su con il naso. Come potrei mai rispondere dopo una cosa del genere causata da lui?
Non dormo. Mentre la notte giunge inesorabile, al buio, sul letto, inizio a riflettere. Dobbiamo risolvere il problema, trovare una soluzione e portare avanti la relazione. Non credo di potere stare così con lui e senza di lui. Ormai fa parte della mia vita. Lo amo. Amo la sensazione delle sue braccia che mi stringono. Amo il suo sorriso. Amo i suoi gesti improvvisi e ricchi di significato. Amo lui mentalmente e fisicamente. Amo anche le sue tute sudate per casa e gli ingredienti piccanti che usa per cucinare. So di essere stata egoista. So di avere pensato solo a me stessa in questi giorni. Ho sbagliato ancora. Sono proprio una stupida. Ora come ora, ho bisogno di credere in una rappacificazione. Devo trovare un modo per dominare le emozioni e sacrificarmi mettendo lui al primo posto una volta tanto. Glielo devo. E se non volesse più avere a che fare con me? Merda. Non posso, non posso pensare a questo genere di cose, fa fottutamente male.
Singhiozzo sonoramente. Lascio uscire le lacrime che si erano asciugate e congelate nel petto. Sento il viso appiccicoso e le labbra screpolate. Mi alzo e provo a gettare acqua fredda sul viso. Non so perché la gente pensi che sia utile. Con me non funziona. Torno sul letto abbracciando il cuscino, trattenendo a stento l'istinto di piagnucolare come una neonata.
Due luci intense si fondono e subisco un colpo violento. Urlo. Sono bloccata e non riesco proprio a muovermi. Alle mie narici arriva la puzza del sangue, della gomma bruciata, del terreno bagnato. La scena cambia velocemente. Due occhi azzurri. Attorno l'aria diventa asfissiante.
Spalanco gli occhi e boccheggio con la mano sul petto. La porta si spalanca e Parker si siede subito sul letto allarmato. Non voglio che mi veda in questo modo. Non voglio apparire più patetica di quanto già non lo sia ai suoi occhi. Abbasso lo sguardo e passo la mano tra i capelli. Sono sudata e il mio petto continua ad alzarsi e ad abbassarsi violentemente.
«Che cosa hai visto?», alza il mio viso costringendomi a guardarlo. Ha uno sguardo preoccupato, teso, attento. Ti prego non farlo, vorrei tanto dirgli ma non trovo le parole per descrivere la sensazione che provo.
«Non volevo svegliarti. Mi dispiace!», boccheggio ancora trattenendo a stento le lacrime.
«Che cosa hai visto?», ripete con molta pazienza ma anche con una nota dura nella voce.
«È la solita scena dell'incidente...», sussurro. Afferro il bicchiere d'acqua che mi porge e bevo avidamente.
Con un gesto naturale, posa la mano sulla mia guancia incapace di trattenersi. Il pollice accarezza la pelle vicina alla bocca. Accorcia la distanza e bacia la mia fronte. «Ci sono io», mormora.
Scuoto la testa ancora scossa dall'incubo ma la sua mano non molla la presa e i suoi occhi trafiggono i miei. «Non avrei dovuto dire quelle cose. Mi dispiace. Sono stato un vero idiota.»
Provo a parlare ma tappa la mia bocca con le dita. «Lasciami finire. Ti ho ferito e non ho più saputo controllare le emozioni. Il fatto è che quando si tratta di te, non riesco proprio a trattenermi. Questa situazione mi fa stare male ma se c'è una cosa che so per certo è che ti amo. Scusami Emma!»
Asciugo una lacrima sfuggita al mio controllo e istintivamente lo abbraccio un po' più sollevata. «Avevi ragione, su tutto. Dispiace a me. Avrei dovuto fare di più per te...»
«Shhh», bacia le mie guance, attente un momento e poi bacia anche le mie labbra. Chiudo gli occhi e lascio che il bacio faccia da collante al piccolo strappo creato dal litigio. «Non sei un idiota. Ti amo»
Chiude gli occhi inspirando come rilassato. Le sue spalle si abbassano di poco. «È bello sentirtelo dire. Mi manchi», sussurra.
Mi getto tra le sue braccia e continuo a baciarlo. Sento i suoi battiti cambiare sotto il palmo della mia mano. Sento il suo respiro rendersi affannato. Ci sdraiamo e rimaniamo abbracciati a lungo.
Continua...
#EMKER ❤️
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