Capitolo 44

Sento come una sferzata al centro del petto. Fredda, diretta, potente, dolorosa. Sento irradiarsi una strana pressione dentro. Opprimente, asfissiante.
Spalanco gli occhi ritrovandomi con la mano sulla bocca mentre inizio ad indietreggiare come ubriaca.
«Cosa?», balbetto piano mentre gli occhi iniziano a bruciare e uno strano senso di vuoto si fa strada dentro il mio cuore. «Che cosa?»
«Stai mentendo lurido stronzo!», Parker molla un pugno in faccia ad Ethan il quale non si muove dal posto e non tenta di reagire. Scoppia solo a ridere riempiendo lo strano silenzio che aleggia attorno. «E' ironico no? Non puoi chiedere alla tua ragazza di sposarti perchè già lo è e con il tipo che tu non sopporti!», fa un passo indietro continuando a fissare Parker che se ne sta impietrito. Si volta come un automa e domanda in silenzio spiegazioni.
«Lei non ne sa niente!», ribatte calmo Ethan pulendosi il naso pieno di sangue con la manica della giacca. Risponde come se fosse una situazione del tutto normale. Questo inizia a farmi arrabbiare.
«Che cazzo significa?», urla Parker incapace di trattenere la furia. David lo trascina a distanza da Ethan perchè capisce che lo farà a pezzettini se quest'ultimo continuerà a provocarlo con quella strana calma e quel ghigno. Mentre Mark scuote la testa e afferra Ethan per un braccio. «Sei contento ora?», domanda furioso. «Hai ottenuto ciò che volevi no?»
In tutto questo, mi ritrovo stordita. Me ne sto impalata, incredula. Quelle parole mi hanno proprio freddata. Sono state come un colpo di pistola. Gli occhi mi si riempiono di lacrime e questa volta sono pronte ad uscire fuori. Stringo i pugni in vita. «Mi avevi detto di no...», parlo lentamente, tra i denti e con difficoltà. Lo sguardo perso nel vuoto. «Mi avevi detto che...», non riesco a parlare. Sto soffocando nel dolore mentre le immagini di quel giorno mi investono con una certa forza distruttiva.
«Chiunque lo avrebbe fatto vedendo i tuoi occhi quel mattino. Eri così agitata, così spaventata... Non riuscivo proprio a dirti la verità in quelle condizioni», ribatte gelido Ethan.
Sento il cuore strapparsi in tanti piccoli pezzi di carta. A breve, arriverà quel soffio di vento pronto a farli svolazzare ovunque. Indietreggio quando prova a fare un passo avanti e scuoto la testa guardandolo adirata. «Però non eri spaventato o preoccupato un secondo dopo!» singhiozzo. «Mi hai mentito! Tu mi hai mentito per tutto questo tempo!», il tono di voce mi esce stridulo. Inizio a perdere il controllo. Il petto si alza e abbassa velocemente. L'aria inizia a scarseggiare dentro i miei polmoni. Non ho più ossigenazione e continuo a piangere silenziosamente. «Mi hai guardata negli occhi e mi hai mentito prima di...», non riesco più a parlare ripensando a me e lui in quella stanza mentre facevamo l'amore. Mi sento sporca dentro, umiliata, tradita.
Ethan prova ad avvicinarsi ancora ma indietreggio. «Quello che so è che ti amo e che sei mia moglie. Non posso più condividerti con un altro. Ho già resistito abbastanza e credimi, è stato davvero troppo.»
Dalla mia gola esce un singhiozzo sonoro. Non riesco più a guardarlo negli occhi. Fa troppo male. «Hai rovinato la mia vita!» urlo incapace di trattenermi oltre, singhiozzando e guardandolo con risentimento. «Sei uno stronzo egoista!» urlo ancora.
«Tu le hai mentito!», strilla Lexa riscuotendosi dallo stato di shock. «Per tutto questo tempo le hai mentito! L'hai fatta soffrire abbandonandola, l'hai usata per i tuoi sporchi giochetti e le hai ancora mentito facendole credere di amarla!», gli urla contro adirata. «Come hai potuto?» si avvicina a lui come una furia spingendolo.
Ethan incrocia le braccia. «Cosa avrei dovuto fare? Permetterle di sposare un altro uomo? Sappiamo tutti che non è legalmente possibile non se prima non chiede il divorzio.»
La lucidità con la quale parla, mi fa stare doppiamente male. Sono sconvolta. Non posso credere che sia vero. Sto sognando? Che scherzo del destino è mai questo? Perchè ha agito alle mie spalle in questo modo?
«Oh, te lo chiederà eccome il divorzio!», ribatte riprendendosi Parker. «Procederò personalmente in sua difesa...»
Ethan scuote la testa. «Sta a lei decidere non credi? Tu le hai già fatto a lungo il lavaggio del cervello. Inoltre io non le darò mai il divorzio per lasciarla tra le braccia di un coglione come te!»
Parker parte incapace di controllarsi. I due si azzuffano ancora dando un pessimo spettacolo. In tutto questo ferita, umiliata e in stato di shock, indietreggio e lentamente sparisco dal parcheggio. I miei piedi si muovono da soli come spinti da uno strano istinto.
Prima che me ne possa rendere conto, sono per strada, tra i pedoni. Mi confondo tra la gente raggiungendo il mio appartamento.
Raccolgo qualche vestito infilandolo dentro il borsone. Non so dove, non so nemmeno cosa sto facendo ma so che ne ho bisogno.
Getto il borsone nel bagagliaio, mi siedo al volante, allaccio la cintura con mani tremanti. Metto in moto e sfreccio per le strade di Vancouver in lacrime. Accendo lo stereo per non sentire il rumore continuo dei pensieri. Dalle casse parte Radioactive degli Imagine Dragons. Mi fermo a fare rinfornimento e poi riparto. Non ho una meta, so solo che devo isolarmi per qualche ora.
L'aria nell'abitacolo sembra addensarsi e serrarmi la gola ad ogni km superato, una morsa stretta, lenta, dolorosa. Deglutisco a fatica e provo a fare respiri lenti mentre proseguo il mio viaggio senza meta. Percepisco la tensione nei miei muscoli. Uno strano formicolio inizia a irradiarsi sulla pelle. Batto le palpebre mentre le luci della città si confondono e si allontanano quando supero il confine. Abbasso il volume della radio e mi rendo conto di avere la necessità di accostare perchè inizia a farmi male il petto. Un dolore che si riverbera su per il corpo partendo dal cuore come un'onda anomala improvvisa. Una contrazione dolorosa che arriva fino alle ossa. La mia pelle inizia a lucidarsi dal sudore misto alle lacrime che continuo a versare come un fiume in piena. Le asciugo con una certa urgenza con la manica del maglione. Fa freddo ma ho bisogno di uscire da questo abitacolo soffocante più in fretta possibile. Accosto ed esco dall'auto come un fulmine. Mi appoggio con i palmi contro lo sportello e tra i singhiozzi provo a riprendere fiato. Poso le dita sul collo e alzo il viso verso il cielo. Non riesco proprio a respirare, per fortuna il rumore circostante mi aiuta a non sentire il panico. Sono stufa, stufa di parole. Tappo le orecchie ed emetto un suono strozzato tra i denti prima di urlare.
Per tutto questo tempo la mia vita è stata una grossa bugia. Come ho potuto cadere così in basso?
Mi sono sfracellata al suolo dopo un salto pazzesco. Tutto per un ragazzo. Che razza di sfigata sono! Ho le ossa rotte, il cuore a pezzi e la mente continua a tormentarsi di domande a cui non so dare una risposta. Mi sono fidata e ancora una volta ho commesso un grosso errore. Mi sono illusa e ho deluso anche me stessa.
Ho bisogno di questo breve viaggio per schiarire le idee e per placare questo senso di stordimento momentaneo che continuo a sentire. Sapere la verità è stato un colpo basso. Sono sposata, SPOSATA!
«Cazzo!», urlo con le mani tra i capelli. «Merda!», continuo nervosa picchiando un pugno contro il tettuccio dell'auto. «Sono sposata!»
Risalgo in auto tornando alla guida. Passo una mano sul viso per concentrarmi. Premo sull'acceleratore spingendomi lontana da Vancouver verso una zona di montagna, isolata, tetra, silenziosa. Proprio quello che ci vuole. Una zona dove i telefoni non funzionano come dovrebbero. Un luogo dove posso meditare e trovare una certa tranquillità.
Trovo un piccolo resort modesto e confortevole nelle vicinanze. Pago in contanti una camera e mentre ammiro la natura incontaminata dalla finestra, inizio a domandarmi cosa staranno facendo tutti. Non voglio essere cercata. Non voglio tornare proprio ora a casa. Ho ancora una casa?
Mi rannicchio sulla piccola poltrona in legno e mi abbraccio per non sentire freddo. Nonostante il riscaldamento sia accesso, continuo a sentire quel gelo sotto pelle. Scoppio in lacrime. Ormai ho perso il conto dei giorni in cui non l'ho fatto. Le lacrime fanno parte della mia esistenza. Lavano lente il dolore ma non lo fanno smettere.
Come ha potuto mentire? Come è riuscito a tenere tutto questo dentro per mesi? Perché non me lo ha detto quel giorno? Avremmo trovato una soluzione. La vocina dentro la mia testa però dice il contrario e forse ha ragione. Cosa avremmo potuto fare? Ethan dal suo punto di vista lo ha fatto per non perdermi ma tenendomi nascosta una cosa del genere, mi ha persa comunque. Sono così arrabbiata con lui, così delusa. Non voglio vederlo. Non voglio guardarlo negli occhi e sentirmi presa in giro. Ecco di cosa voleva parlarmi. Ecco perché continuavano a tirarlo via quando tentava di lavare la sua coscienza. Ecco perché quel giorno sembrava nervoso, accorto. Ecco perché ha chiuso il portatile e il borsone con una certa fretta. Ecco perché ha continuato a proteggermi. Sentiva il dovere di farlo in quanto marito. Cazzo! Ethan è mio marito.
Qualcuno bussa alla porta. Due colpetti che si riverberano dentro la stanza facendomi sobbalzare. Lentamente mi avvicino per guardare dallo spioncino. Apro cauta la porta e un ragazzo mi porge un vassoio pieno di cibo fumante. «La sua cena signorina. Buona serata!»
Ringrazio interdetta e porto sul piccolo tavolo la cena. Apro la cloche argentata. Il vapore si innalza e l'odore del risotto con zucchine, tonno e pomodorini riempie l'aria. Il mio stomaco si contrae. Metto in bocca una forchettata di riso e chiudo gli occhi. Mi costringo a mangiare tutta la cena e dopo avere fatto una doccia calda mi metto a letto. Accendo la tivù e parte un cartone su delle tartarughe proprio nella parte in cui c'è la canzone Talking To the moon di Bruno Mars. Una canzone che adoro. Il cartone è bello anche se un po' triste in alcune parti. Per fortuna ha un lieto fine. Almeno lui.
Provo a non piangere e a non pensare, a non distruggermi ulteriormente. Provo a non pensare a lui, a quei giorni meravigliosi. Provo a non pensare alle sue bugie, alle sue finte promesse. Ormai il danno è fatto e anche da mesi. Avrei dovuto capire che qualcosa non andava.
Spenta la tivù, lascio la luce accesa per non avere nessun incubo e poi provo a dormire.

*******

Sono stati giorni estremamente lunghi ed estenuanti emotivamente. Apro gli occhi e mi stiracchio. Un piccolo raggio di sole illumina la radura rendendo lo spazio immenso e verde un vero spettacolo ai miei occhi. Sono passati alcuni giorni. Capodanno è volato e non ho festeggiato come avrei voluto. Ho trovato sicuramente delle belle distrazioni. Sono rimasta per gran parte del tempo dentro questa camera a leggere delle riviste o a vedere film mentre mangiavo schifezze. Quando ne ho avuto voglia ho seguito il percorso con una guida e mi sono pure divertita in mezzo alle famiglie in vacanza. Mi sono persa in mezzo al verde e al freddo ma ne è valsa la pena.
Prendo la colazione lasciata fuori dalla porta e mi siedo a tavola con la tivù accesa in uno di quei programmi musicali. Da giorni la musica e i film, mi aiutano a tenere a bada il rumore dei pensieri. Mi permettono di respirare e di distrarmi quanto basta per non impazzire. Non ho più pianto. È come se le lacrime si fossero asciugate dentro. Provo ancora uno strano senso di rabbia ma, a poco a poco sto ricostruendo il mio equilibrio.
La colazione consiste in toast imburrati con marmellata, una spremuta, del tè caldo inglese, una fetta di crostata al cioccolato e pasticcini. Posso dire di essere stata coccolata in questo posto magnifico. Mi trovo bene e la gente è così accogliente e gentile. Sto pensando di rimanere ancora qualche altro giorno. È bello qui.
Indosso degli indumenti pesanti e scendo al piano di sotto. Trovo la guida pronta per il solito giro in mezzo alla natura. Mi sorride e infila il berretto. Alto, solare, spiritoso, avventuriero, tenace. Un ragazzo come tanti, dall'aspetto ordinario. Infilo i guanti e il berretto comprati nel piccolo negozio a lato del resort. «Arriverà la prima neve», parla a nessuno in particolare.
Due bambini si rincorrono e sorrido loro quando si fermano a guardarmi. Bisbigliano e poi tornano ai loro giochi. Seguiamo la guida attraverso i boschi. Ci sediamo in cerchio al centro di una zona rocciosa e iniziamo uno strano momento di silenzio e raccoglimento. Respiro lentamente trattenendo tutta l'aria pulita dentro i polmoni. Inizio a contare e poi mi rilasso. Attorno odore di pino, di foglie bagnate dalla rugiarda, di terreno. Riprendiamo il percorso e mi stupisco come una visita in un posto incontaminato possa rivelarsi efficace come cura per il malumore. Sono giorni che faccio lo stesso percorso e ogni volta è come la prima. Un po' come se si rimettessero le lancette indietro. Tutto è così calmo, così puro. Tornati al resort mi siedo nel piccolo salotto. Prendo un tè caldo per riscaldarmi e leggo qualche nuova rivista. Pranzo come sempre da sola e poi torno nel piccolo salotto.
Sto sfogliando le pagine di una rivista di gossip quando il cameriere si avvicina. Sembra nervoso. «Mi scusi signorina ma c'è una persona che vorrebbe parlarle», sparisce velocemente.
Alzo lo sguardo per capire chi mai vorrebbe dialogare con me in un giorno così freddo. I miei occhi saettano per la sala poi si posano sulla figura che si avvicina a passo spedito. Implacabile, alto, forte. Sguardo sicuro e fiero. Lineamenti decisi. Accento di barba e occhi chiari in grado di annientare ogni difesa.
È troppo vicino per potere scappare. Decido di accoglierlo tranquillamente. Non mi scompongo nemmeno rimanendo seduta sul divano in legno. Ogni muscolo in tensione. È bello rivedere un volto familiare ma inizio a domandarmi come abbia fatto a trovarmi. Poso la rivista sul tavolo e stringo le mani in grembo. 
«Ciao»
Il suo viso ancora ricoperto dai segni evidenti e vividi della lite di potere. I suoi occhi però sono limpidi e liberi dalla rabbia. Odio quando è così buono. A lavoro non lo è mai perché dovrebbe esserlo fuori? Mordo la guancia e mi riscuoto. «Ehi»
«Se volevi nasconderti, dovevi togliere il dispositivo di localizzazione dall'auto.»
Parker decide subito di risponde alla mia prima domanda inespressa. Mi sento incredibilmente ridicola. Non ho minimamente pensato a questo. In realtà quando sono scappata non pensavo nemmeno di riuscire a fermarmi poi ho trovato questo posto ed è stato amore a prima vista. Ora sono stata scoperta e non so come andrà a finire. «Non mi sto nascondendo. Sto solo ritrovando una certa tranquillità interiore», ribatto.
Parker si guarda attorno come un critico d'arte. Ho il tempo per fissarlo. Nonostante i lividi ha sempre un bell'aspetto. Il suo profumo tenue e familiare riempie i miei polmoni e riscalda la mia pelle infreddolita. «Questo sembra proprio il posto ideale», risponde dopo un momento puntato gli occhi sui miei. Sorride in quel suo modo dolce e perdo il contatto con il terreno. Le mie ginocchia rischiano di liquefarsi. Non pensavo mi sarebbe mancato così tanto. Ora che è qui davanti a me, non riesco a dimostrarglielo. Mi agito sul posto e lancio uno sguardo attorno. «Lo era», mormoro.
Inarca un sopracciglio. Sembra contrariato. «Non sono qui per riportarti a casa», gesticola con le mani. Un gesto che fa sempre per abitudine lavorativa. Mi è sempre piaciuto questo particolare. Sembra rendere meglio ogni concetto quel suo gesticolare mentre parla con quel suo tono di voce pacato, curato, sensuale.
«Perché sei qui allora?», sospiro e ordino un caffè e una cioccolata.
«Perché, oltre ad essere preoccupato per te, avevo bisogno di vederti. Sapere che stai bene mi fa sentire meglio».
Mi alzo e ordino di portare le bevande calde nella mia stanza. «Andiamo, parliamo nella mia camera. Qui c'è troppa gente».
Parker mi segue in silenzio al piano di sopra. Rimane stupito dalla stanza con ogni confort e si avvicina subito alla finestra per ammirare il panorama. Sulle mie labbra spunta un sorriso nel vedere lo stupore nei suoi occhi. Credo inizi a capire cosa ho provato quando mi sono fermata in questo posto.
Tolgo il giubbotto, il berretto e i guanti sistemandoli sulla sedia. Il cameriere arriva con l'ordinazione. Ringrazio e sistemo tutto a tavola. Bevo subito un sorso di cioccolata sedendomi con i piedi sotto il sedere. Parker prende posto accanto a me e assaggia il suo caffè approvandolo. Mangiucchio un biscotto, distratta dalla visione del ragazzo che ho accanto intento ad osservare ogni dettaglio. È come se stesse fotografando tutto con gli occhi. «È bello qui!»
Annuisco e continuo ad inzuppare biscotti dentro la cioccolata. Le sue dita si avvicinano agli angoli delle labbra e tolgono gli aloni lasciati dal cibo. Con un gesto naturale posa la mano sulla guancia e il pollice inizia ad accarezzare lentamente una porzione di pelle mentre i suoi occhi mi fissano attenti. Potrei accorciare la distanza rimasta tra di noi, sporgermi e accogliere le sue labbra ma c'è qualcosa che mi trattiene e mi distacco di poco sorridendo timidamente. Sento le guance calde e devono essere sicuramente color porpora. Segue un momento di silenzio interrotto solo dalla pioggia che inizia a picchiare sui vetri.
Il tocco lieve delle sue dita sul collo, provoca un forte brivido. Se ne accorge e sorride. Si riscuote in fretta e staccandosi inumidisce le labbra e passa una mano tra i capelli come se stesse attendendo il momento giusto per parlare o affrontare un discorso.
Prima che possa parlare domando: «Perché sei qui?»
«Avevo bisogno di vederti e chiederti una cosa», alza lo sguardo. «Partirò tra qualche giorno per un convegno. Sarà in una zona tranquilla di montagna. Vieni con me, Emma»
Per poco non mi va di traverso la cioccolata. Tossicchio convulsamente. E mi domanda se va tutto bene. Do un altro colpo di tosse e annuisco. Ho sentito bene? Dopo quello che è successo, vuole portarmi con lui?
«Alloggeremo in un resort come questo, ci saranno le montagne piene di neve, dei posti tranquilli da visitare. Lavorerò solo due giorni e poi sarò libero. Vieni con me!».
«Parker mi confondi. Io, io non capisco...»
Stringe subito la mia mano. «Ti amo e lo sai. Vorrei solo che tu mi accompagnassi e passassi qualche giorno con me. Potrebbe servirci. Mi renderesti davvero felice. Prometto di non parlare di quel discorso.»
Faccio una smorfia e ci rifletto su un momento. «Era questo che stavi per chiedermi al locale?»
Annuisce mortificato. «Vieni con me Emma», intreccia le nostre dita.
«Perché dovrei venire con te?», domando sincera concedendo la parola ai miei dubbi.
Solleva un sopracciglio contrariato. «Se pensi che io ti voglia con me solo per dimostrare qualcosa a quel coglione ti sbagli. Non è un tentativo per portarti a letto e farti mia. Ti voglio accanto a me per divertirci, per passare qualche giorno insieme e perché ti amo.»
Continuo ad avere i miei dubbi in merito e mordo più volte la lingua per tenerla a freno. Se parlo rischio di fare un mucchio di danni. Sono giorni che incanalo le energie e ora mi sento proprio piena.
«Ho preso un biglietto anche per te».
Spalanco gli occhi e la bocca incredula. Tipico penso subito ma dopo un momento mi rendo conto che questo deve essere successo prima quando non sapeva ancora la mia risposta e quando non era ancora successo quel casino colossale. Non mi permette di replicare. «Credevi ti lasciassi sola?»
«Non capisco come tu abbia fatto ad esserne sicuro», ribatto turbata.
«Questi viaggi sono pagati e solitamente possiamo portare con noi qualcuno. Quando mi è stato chiesto ho subito accettato il secondo biglietto. Non sapevo cosa avresti risposto ma speravo davvero che tu venissi». Sembra improvvisamente a disagio.
In tutto questo: dove è la fregatura? Ci deve essere di sicuro un secondo fine perché non trovo una plausibile risposta a questa strana richiesta. Guardo il ragazzo improvvisamente pensieroso seduto accanto. Il suo viso si gira e i nostri occhi si incontrano.
«Devi credermi, non c'è un secondo fine Emma. Ti voglio accanto a me e se non te la senti, ok. Lo capisco. Volevo solo che tu sapessi dove sto andando».
«Posso pensarci?»
«Si ma risponderei in fretta perché non manca molto alla partenza», si rialza.
«Dove vai?», lancio uno sguardo fuori. Continua a piovere e le strade non sono sicure con questo tempo. Inizio a cercare mentalmente una scusa per trattenerlo. Il fatto è che non ci sono scuse, voglio che rimanga ma sono troppo fifona per ammetterlo.
«Torno nel mio appartamento. Se decidi sai dove trovarmi», recupera il cappotto.
Decido di agire e scatto in piedi. Blocco il suo polso facendolo voltare. Mi guarda in attesa. «Il letto è abbastanza grande. Rimani!»
Mi guarda con un misto di sorpresa e turbamento. «Sicura?»
Annuisco e togliendo il cappotto dalle sue mani vado a sistemarlo sulla sedia accanto al mio. Si guarda attorno indeciso poi ordina la cena.
Passiamo le due ore successive a parlare del più e del meno. Domanda curioso delle mie giornate in questo angolo nascosto dagli alberi e quando gli racconto delle mie avventure nei boschi sorride e mi prende in giro perché sa quanto io odi gli insetti. «Abbiamo anche visto un ragno peloso enorme. Stavo svenendo», rabbrividisco al pensiero e faccio una faccia disgustata.
«Immagino la scena in cui urli saltellando abbracciata». Ride in modo cristallino e la sua risata riscalda il mio cuore. Scosto la coperta e mi getto tra le sue braccia. Lo stringo forte a me e inspiro il suo profumo. Le sue mani indugiano un momento prima di sistemarsi sulla schiena e premere il mio corpo contro il suo. Chiudo gli occhi e sospiro. La sua bocca si sposta sulla mia fronte per un bacio veloce ma ricco di sentimento. «Mettiamoci a letto!»
Non replico. Scostiamo le coperte lanciandoci i cuscini come facciamo sempre in casa, ci sdraiamo. Attendo un momento, prendo in considerazione se avvicinarmi a lui o dormire in un angolo. Per fortuna ci pensa lui. come sempre sa cosa è giusto fare. Mi trascina con se, si sporge, spegne la luce e si rilassa stringendo la mia vita. Sento il suo calore, il suo fiato sulla nuca. Ho la pelle d'oca. È assurdo cosa riesce a scatenare questo ragazzo con la sua dolcezza. La sua presenza mi fa prendere subito sonno.

Al risveglio di Parker non c'è nessuna traccia. Solo una parte del letto vuota e un biglietto sul cuscino. Il mio stomaco si contrae.

"Non smetterò mai di amarti e guardarti dormire. Sono tornato a casa anche se a fatica. Se dovessi ripensare alla mia proposta sai dove trovarmi. Ti amo -Parker."

Stringo al petto quel misero pezzo di carta ingiallito. Mordo il labbro e mi guardo attorno.
«Che cosa sto facendo?», sbuffo ricadendo sul letto con le mani sul viso.
A casa mia aspetta un ragazzo che mi ama, mi rispetta e dimostra di tenerci. A casa mi aspetta una storia stabile anche se con un futuro incerto. A casa mi aspetta un ragazzo meraviglioso che ha fatto a pugni con il mondo per me.
So cosa fare ma rimango impalata. Non sono pronta ad abbandonare questo posto. Si sta così bene qui. È un piccolo angolo di paradiso. Certo, il cibo non è il massimo a volte ma la tranquillità, i piccoli rumori della natura pronti a dare il loro buongiorno, il profumo costante e l'aria pulita, mi invogliano a non abbandonare questo piccolo spiraglio di pace.
Passo le ore successive nel bosco. Pranzo in compagnia delle famiglie, dei turisti curiosi, di me stessa. Qualcuno mi riconosce e scatta qualche foto. Non mi da fastidio ma penso di avere un aspetto trascurato e questo mi mette a disagio.
Devo pur dire arrivederci a questo posto come si deve. Sono stata bene ma tutti prima o poi dobbiamo affrontare la dura realtà e tornare a casa.
In camera prima di mettermi a letto, sistemo le poche cose dentro il borsone. Poso la testa sul cuscino e sorrido, per la prima volta dopo giorni, sorrido.

*******

Le mani sudate, il cuore a mille, le labbra screpolate, il tic nervoso al piede che continua a battere sul pavimento. Faccio un grosso respiro abbassando di poco le spalle e poi mi decido bussando piano. Tre colpetti poco energici.
Sono partita all'alba. Volevo togliermi il pensiero che continuava a tormentarmi durante la notte. Ora che sono arrivata a destinazione la decisione che ho preso, mi sembra quasi assurda. Sto facendo la cosa giusta? Me ne pentirò?
La porta si apre lentamente. Parker spalanca gli occhi e si fa subito da parte per lasciarmi passare. Stropiccia gli occhi assonnato e passa una mano sul viso poi tra i capelli. È a torso nudo, i pantaloni della tuta gli ricadono sui fianchi mostrando le curve perfette. Sembra contento di vedermi. «Hai la chiave», si sposta in cucina.
Lo seguo ma non so cosa ribattere. Tengo stretto il manico della borsa e rimango ferma mentre Parker prepara due tazze fumanti. «Potevi entrare usando la chiave», riprende il discorso di prima.
«Ho preferito bussare», rispondo a disagio.
Parker gira svelto dal bancone e toglie la borsa dalle mie mani. Fa lo stesso sfilandomi il giubbotto. Capisco che non vuole che me ne vada così prendo posto sullo sgabello. Sono un fascio di nervi. Non so come iniziare il discorso che durante il viaggio ho steso dentro la mia testa. Guardando Parker è come se avessi dimenticato ogni cosa. Non so più parlare la lingua comune dei mortali. La mia lingua sembra inceppata. Bevo un sorso di te caldo e stringo le dita attorno alla tazza per riscaldare le mani e per concentrarmi su qualcosa che possa infondermi un pò di forza.
«Sono qui perché», fatico a parlare. Sospiro. «Mi fai dimenticare quello che devo dire», alzo gli occhi al cielo.
Parker si trattiene dal commentare. Morde il labbro per nascondere un sorriso. Sa già di avere vinto. Ottiene sempre tutto. Potrei fargliela sudare un pochino ma devo smetterla con questi giochetti. Ho la possibilità di passare del tempo con lui, di vivermelo a 360°. Ho la possibilità di capire se siamo realmente fatti per stare insieme o il mio cuore è solo abbagliato da una storia duratura e semplice. Siede accanto a me e le sue mani sui miei fianchi girano il mio corpo facendomi ritrovare faccia a faccia con lui. Il tocco delicato delle sue dita manda in subbuglio il mio stomaco.
«Verrò con te!», dico in fretta, senza giri di parole.
Le sue labbra si aprono in un sorriso mozzafiato. «Sono contento che tu abbia accettato», tentenna un momento poi afferra la mia mano e schiocca un bacio. Il gesto mi coglie impreparata e capisco che anche lui come me trova questa situazione assurda e più complicata dal normale.
«Rimani?»
Mi rialzo e scuoto la testa. «Torno a casa. Devo farmi un bagno e preparare la valigia o quanto meno iniziare a stilare una lista».
Annuisce. «Posso passare da te più tardi?»
Sembra così insicuro. Perché? Non voglio che pensi che io sia sposata. Non si sentirà in colpa per quello che abbiamo fatto vero?
Mi sporgo leggermente verso di lui per capire cosa circola dentro quella testa complicata. Poso le mani sulle sue spalle e facendo leva mi alzo sulle punte e stampo un bacio sulla sua guancia. «Hai le chiavi», sorrido e dopo avere recuperato le mie cose esco dall'appartamento.
Mando fuori un grosso sospiro e con uno strano sorriso stampato sulle labbra, torno a casa.

L'appartamento è freddo e silenzioso. Inizio a togliere qualche addobbo e mi riprometto di spostare l'albero dentro lo sgabuzzino prima di partire. Ormai le vacanze sono quasi giunte al termine e presto tornerò alla mia solita routine. La cosa non mi dispiace.
Ho del lavoro da svolgere, approfitto per portare avanti delle pratiche mentre pranzo con dell'insalata di riso e della frutta. Riordino l'appartamento con meticolosa cura e quando sono certa di non avere trascurato nessun angolino impolverato, riempio la vasca di acqua e bagnoschiuma e faccio un lungo bagno rilassante con un bicchiere in mano. Tolgo via lo sporco e le sensazioni che mi hanno accompagnata in questi giorni tristi.
Sul telefono trovo parecchi messaggi di Lexa e Anya. Dovrei parlare con loro ma Anya mi ha nascosto la verità tanto quanto Ethan. Non me la sento di affrontarla. Sono codarda, lo so. Chiamo Lexa e mi sistemo comoda sul divano. Sono davvero sfinita. Dentro ho un groviglio di emozioni.
«Forestiera come va? Tornata dalla giungla
Di sicuro Parker avrà spifferato dove mi trovavo. Dovrò punirlo per questo. L'idea di provocarlo mi stuzzica e non poco. Torno al presente prima di perdermi nelle mie strane fantasie.
«Si, sono tornata. Come dovrebbe andare? Ho passato dei giorni tranquilli ora sono tornata nel mondo reale ma non sono pronta ad affrontare tutto quanto.»
«Lo so tesoro. Cosa farai?»
Sospiro e passo la mano sul cuscino prima di stringerlo in grembo. «Partirò con Parker per qualche giorno poi tornerò alla mia routine.»
«Aspetta, che cosa mi sono persa? Non darai di matto per quello che hai scoperto?»
Scuoto la testa come se potesse vedermi. «No non avrebbe senso visto che tecnicamente sono sparita per giorni appunto per non dare di matto. Comunque, Parker mi ha chiesto di andare con lui. È un viaggio di lavoro e ho accettato. Credo ci farà bene cambiare aria»
«Non so. Sei sicura? Hai un marito...»
«Un marito? Mi ha mentito, ha nascosto la verità. È un fottuto stronzo! Non merita più niente da me! Sto con Parker e non cambierò idea così facilmente», ribatto di getto e fiera.
«Va bene tesoro. Ti sosterrò!»
Dopo la chiamata inizio a sentirmi un po' meno leggera. Tutti inizieranno a farmi pressioni su questa storia. Crollerò ancora e sarà difficile rialzarsi ma sono sicura di volere seguire Parker per qualche giorno. Staremo soli. Io e lui, insieme.
Sento bussare alla porta. Quando apro lo vedo sulla soglia infreddolito. Lo lascio passare. «Hai la chiave!»
Sorride. «Ho preferito bussare», ribatte togliendo il cappotto e andandosi a sedere comodo sul divano.
Prendo posto accanto a lui. Sistema subito le mie gambe sulle sue ginocchia. Ci guardiamo un momento di troppo mentre il suo viso si avvicina. La sua mano si insinua tra i miei capelli. Poggio la fronte sulla sua e chiudo gli occhi. Le sue mani attirano i miei fianchi sistemandomi a cavalcioni su di lui.
Il sangue inizia ad affluirmi sulle guance. Il cuore batte all'impazzata mentre le mie mani tremano contro il suo petto. «È ancora casa tua», sussurro accaldata.
Stringe i miei glutei e guarda le mie labbra. «Tu sei casa mia», risponde prima di depositare un bacio sulle mie labbra e staccarsi. Con il naso sfiora la mia gola. Mi spingo in su in lieve affanno. «Mi piace essere casa tua», sibilo.
Le nostre labbra si sfiorano ancora in uno strano gioco di seduzione. Avverto sotto i polpastrelli i battiti scostanti del suo cuore. Capisco che sta iniziando a riflettere troppo. Abbiamo passato mesi insieme e ora non voglio privarmi della sua presenza costante nella mia vita. Se io sono la sua casa, lui è il mio piccolo rifugio.
«Non so se riuscirò ancora a trattenermi. Devo staccarmi principessa», a malincuore si stacca davvero e gratta la tempia con un sorriso triste sulle labbra.
Io invece non so se riuscirò a risolvere questo grosso rompicapo che è la mia vita. «Non dovresti sentirti in colpa», ribatto.

N/A:
~ "Chi e causa del suo mal pianga se stesso"
Ethan si è dato la zappa sui piedi da solo ma doveva liberarsi dal peso che lo opprimeva ormai da mesi. Cosa farà?
Emma è decisa a capire se è Parker il suo futuro ma adesso che sa di essere sposata il loro rapporto verrà compromesso?
Cosa succederà in questo viaggio? Parker riuscirà a reggere il confronto?
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Scleri a parte, dobbiamo arrivare alla parte scritta nella trama. (Vedi trama)
Chi avrà detto ad Emma quelle parole? Ethan o Parker?
Scusate per gli errori. Buona serata :* ~
Durante l'attesa se vi va, passate a leggere:
- Ogni traccia che ho di te
- Forbidden

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top