Capitolo 34

Due luci intense si fondono insieme al rumore assordante del clacson. Le scorgo in tempo ma solo con la coda dell'occhio, prima che possa urlare o parare il colpo, picchio la testa contro il parabrezza e sento i vetri andare in mille pezzi così come le mie ossa. Alcuni frammenti volano fuori, altri mi cadono addosso conficcandosi nella carne, l'auto sbalza ruotando su se stessa prima di schiantarsi nel fosso dall'altra parte della strada. Il tempo si ferma per quelli che sembrano secondi. Sento i battiti del mio cuore da veloci farsi lenti. Qualcosa di caldo gocciola sul mio viso. Alla fine perdo conoscenza ad intermittenza perché il mondo, i lampeggianti, le voci, le luci, si fanno indistinte e tutto diviene nero come la pece.
Balzo in piedi affannata. Credo di avere anche urlato. Qualcuno mi sta scuotendo con cautela. Passo la mano sul viso sudato e con occhi sbarrati guardo Parker per capire cosa sta succedendo. Tiene il telefono appoggiato all'orecchio e ha lo sguardo serio.
«Ti ho detto che ha appena avuto un incubo. Come faccio a passarglielo?»
Il tono della sua voce mi preoccupa. Ancora scossa dall'incubo, appoggio la guancia contro il suo petto facendo cenno di passarmi il telefono mentre cerco di controllare l'affanno. Chiunque sia, dovrà avere un buon motivo per volere parlare con me in questo momento.
Parker sembra indeciso e anche nervoso. Trattiene il telefono ma non mi chiede nemmeno come sto. Dopo un momento sbuffa. «È David anzi ora è Ethan».
Mi sembra di essere appena stata colpita. Che cosa può mai volere da me a quest'ora? Mi ha evitata per giorni e ora vuole parlarmi? È successo qualcosa?
Afferro il telefono di Parker quasi agitata portandolo all'orecchio. «Pronto?» segue un momento di silenzio seguito da un rumore.
«Cazzo... Ti ho svegliata?»
È ubriaco. Lancio uno sguardo a Parker il quale sta fissando un punto lontano. Mordo il labbro. «Dormivo. Che succede?». Sono ancora intontita e si capisce dalla voce.
«Non vuoi parlare con me?», lo sento bisbigliare con David che credo sta tentando di togliergli il telefono dalle mani. Ethan sa essere testardo anche da ubriaco, non si lascerà abbattere tanto facilmente, lo conosco. Sa essere anche stronzo infatti impreca contro il mio amico. Istintivamente vorrei proprio dirgliene quattro ma dal tono della sua voce, so che non sta affatto bene.
«Non è un po' tardi per parlare?». Uso un tono piatto ma sono già in piedi e in cerca di vestiti puliti. Ho una strana sensazione ed è come se dovessi raggiungerlo prima che possa commettere qualche errore di cui potrebbe pentirsi.
«Non fare la stronza con me! È colpa tua... Lasciami testa di cazzo! Devo parlarle», urla contro David che gli ringhia a sua volta contro. «Ti ho visto con lui e non me lo merito. Non merito di stare così male. Così, ho bevuto.»
Ho una mano sulla testa e mi guardo attorno stordita. «Vuoi che ti venga a prendere?»
Vedo Parker scattare in piedi e recuperare i suoi indumenti. Si richiude in bagno sbattendo la porta con un tonfo e il mio cuore sprofonda per un momento nello sconforto. Che cazzo faccio ora?
«Emma sono David. Per favore so che è una situazione strana tra di voi ma non voglio fare spaventare sua sorella o suo padre. Ha fatto a pugni ed è in uno stato pietoso. Puoi venirlo a prendere?»
Il mio cuore batte all'impazzata. La porta del bagno si apre e Parker strappa il telefono dalle mie mani. «Sto venendo a prenderlo e gli conviene non emettere un fiato!», sbotta chiudendo la conversazione. Afferra la mia mano e usciamo di casa.
In macchina la tensione è palpabile. Inizio a sentire l'ansia addosso man mano che ci avviciniamo al locale. Cosa farò quando lo vedro? Come si sentirà? Come reagirà Parker?
Quando posteggia, stringe le dita sul volante e le sue nocche diventano bianche. Poggio le mani proprio su queste. «Chiamo suo padre...»
Scuote subito la testa. «Andiamo a recuperare quel fottuto bastardo e togliamoci il pensiero.» Risponde in tono freddo ed esce dall'auto senza aspettarmi. A grandi falcate apre la porta del locale. Sicuro di sé si fa strada tra la gente che lo affolla ed io lo seguo sempre più ansiosa e preoccupata. Non voglio che i due facciano a botte. Non voglio nemmeno che Ethan si ubriachi a causa mia. Mordo le guance così forte da sentire il sangue in bocca. Mi sento tremendamente in colpa. Busso alla porta dell'ufficio e David esce esasperato bloccando subito Parker. «Vuole solo lei...»
«Col cazzo!», risponde di getto Parker infuriato. Stringe i pugni sulla vita e contrae la mascella.
Faccio un grosso respiro. «Lo tiro fuori in pochi minuti.» Tesa entro in ufficio. Ethan se ne sta seduto in modo scomposto sulla poltrona. Non appena mi vede prova ad alzarsi in piedi ma barcolla pesantemente. Chiudo gli occhi e tappo le orecchie per non sentire il tonfo che fa quando cade a terra. Lo aiuto a rialzarsi ma è pesante e affaticata rinuncio rimanendo a terra con lui. Ha dei lividi sul viso e del sangue sulla felpa. Come diavolo si è ridotto?
«Torniamo a casa?»
«Non usare quel tono con me cazzo!»
Strabuzzo gli occhi e mi infurio. Me ne fotto che è ubriaco. Chi si crede di essere?
«Si che lo uso! Sei un bambino Ethan. Ti sei ubriacato e mi stai dando la colpa. Sul serio? Sono stata io a dirti di bere? Scommetto che usi sempre questa scusa per giustificare invece il fatto che ti sei rammollito!», strillo.
Spalanca gli occhi incredulo. «Non mi sono rammollito. Ti sto solo dando quello che vuoi!», sbraita e prova ad alzarsi. Per fortuna rimane in piedi. Passa la mano sul viso e mi fissa con i suoi occhi azzurri leggermente lucidi e arrossati.
«Non sai un cazzo di quello che voglio! Sei solo uno stronzo insensibile che si ubriaca e fa a pugni. Adesso se hai finito di sbattermi in faccia la verità possiamo andare?», la voce trema e trattengo le lacrime distogliendo lo sguardo. Mi rialzo avviandomi alla porta.
«Perché piangi?»
«Non sto piangendo», un singhiozzo mi tradisce.
Sento dei passi pesanti sul pavimento e poi il suo calore dietro. Mi fa girare e mi abbraccia. Mi stringe così forte da farmi male ma non mi lamento perché è da quando sono entrata qui dentro che mi manca il fiato. E' da quando sono entrata qui dentro che voglio abbracciarlo e rassicurarlo. Ethan sa di alcol, del suo profumo deciso, di sangue. «Mi dispiace. Sono un coglione. Non piangere, ti prego. Ti prego non piangere!», asciuga le mie lacrime. «Smetti di piangere.» I suoi occhi rossi mi fanno capire che sta tentando di aggrapparsi a qualcosa pur di rimanere in equilibrio.
Mi allontano di poco da lui ricomponendomi. «Adesso andiamo.»
Con il braccio di Ethan attorno alle spalle e il passo malfermo, usciamo dall'ufficio. In corridoio Parker e David stanno parlando ad alta voce e gesticolano nervosi. Quando ci vedono smettono di parlare. Parker si avvicina a grandi falcate ma Ethan drizza le spalle come se avesse appena visto un leone. Non faccio in tempo a trattenerli. Parker lo sbatte contro il muro tenendolo per la felpa. «Ti avevo avvertito. Ritieniti fortunato che ci sia lei con noi...», molla la presa e trascina Ethan fuori dall'uscita secondaria.
David mi blocca con la mano sulla spalla. «Tieniti a distanza da loro. Chiama se hai bisogno». Sento un brivido lungo la schiena. Annuisco, ringrazio David scusandomi per il comportamento di Ethan e poi esco nell'aria fredda della notte. Cammino a testa bassa verso l'auto e poi entro agganciando la cintura. Non guardo nessuno di loro e punto lo sguardo dritto. Ho i nervi a pezzi e le mie mani tremano. Non sopporto queste situazioni. Non sopporto il dovermi sempre ritrovare tra due fuochi.
Durante il viaggio Ethan si lamenta sdraiato sul sedile posteriore. Parker continua a guidare come un pazzo e trattiene a stendo la furia mentre io continuo ad implodere con la speranza che tutto questo sia ancora un brutto incubo.
Ricordo ancora quella volta in cui mi chiamò ridotto in quello stato. In quell'occasione picchiò Scott. Quando fummo a casa, lo aiutai a fare la doccia poi mi trattenne sul letto. Cosa è cambiato da allora?

Aperta la porta di casa, conduco Ethan nella mia stanza e lo faccio sdraiare sul mio letto. Raggiungo Parker in soggiorno ma lui mi fa intendere che non vuole parlare perché non è il momento. Mortificata torno in camera. Prendo il kit del pronto soccorso dal bagno, una bacinella con dell'acqua e un asciugamano pulito. Siedo sul letto, tolgo la mano dal viso di Ethan e inizio a ripulirlo. Rimango concentrata e in silenzio. Quando alza la mano verso il mio viso non mi ritraggo. Asciuga una lacrima e scuote la testa. «Ho fatto un casino vero?», biascica.
«Perché lo chiedi se lo sai già?», tolgo i guanti gettandoli con forza nel cestino dei rifiuti. Gli dò pure un calcio frustrata ma non cade a terra. Ripulisco tutto e torno a sedermi sul letto accanto a lui.
«Sono geloso. Ti tocca e tu sei mia, solo mia. Non voglio che ti tocchi e non voglio vederlo con te da solo nella tua casa. Mi fa imbestialire.» Alza il tono della voce e si alza a metà busto mettendo il viso tra le mani frustrato. «Non sono riuscito a trattenermi. Sono uscito di casa per non impazzire e poi sai che cosa ho fatto...», chiude gli occhi e passa la lingua sulle labbra.
Gli porgo un bicchiere d'acqua e lo aiuto a bere. So che prima o poi si sentirà peggio anche perché non so proprio quanto abbia bevuto. Da un primo sguardo posso solo dire che vomiterà tanto. I suoi indumenti puzzano di fumo e alcol a fiumi. Sembra che sia entrato in una distilleria. Arriccio il naso. Si sventola con la mano e poi prova a sfilarsi la felpa inutilmente. Lo aiuto come si fa con un bambino. Mi ritrovo a fissare i suoi tatuaggi come facevo quando l'ho conosciuto. Si sdraia sfiorando la mia guancia poi si rialza e corre in bagno. Mi affretto ad aiutarlo. Metto il palmo sulla sua fronte mentre vomita tutto l'alcol che ha in corpo. L'acqua deve avere fatto il suo effetto.
Dalla porta entra Parker. Mi passa un panno bagnato e in silenzio aiuta Ethan a rialzarsi e a mettersi a letto. I suoi gesti sono misurati e freddi. Mi porge il suo giubbotto e lo sistemo sul bordo del letto. Quando esce dalla stanza non mi guarda nemmeno. Il mio cuore perde un altro battito e il mio umore tende al nero. Mi incupisco quando noto sul comodino una compressa, un bicchiere di succo e una barretta di cioccolato. Come sempre pensa proprio a tutto e ha anche anteposto la sua furia per aiutare il suo "nemico". So che in fondo i due si rispettano e capisco le loro ragioni ma non posso farci niente se le cose stanno andando così tra di noi. E' un triangolo senza via d'uscita.
«Piccola, mi aiuti con i jeans?»
Annuisco e sfilo i suoi jeans. Scosto le coperte e poi gliele rimbocco. Sfiora la mia guancia con i polpastrelli. Scarto la barretta e gliela poso sulle labbra. Da un solo morso poi una smorfia. Con gli occhi faccio capire che deve mangiarla tutta e non fa nessun capriccio per fortuna. «Poseresti quello che ho nelle tasche sul comodino?», chiude gli occhi. «Mi sono comportato da stronzo, mi dispiace. Non è colpa tua Emma. La colpa è solo mia perché ti ho fatta scappare. È la giusta punizione per i miei errori e le mie bugie. Non voglio perderti.» Mormora con un braccio sul viso.
Tolgo gli oggetti dalle tasche. Il portafogli, il telefono, le chiavi dell'auto.
Sbricia e aggrotta la fronte. «Nell'altra tasca c'è un'altra cosa».
Frugo e tocco qualcosa di duro. Estraggo una scatolina e le mie mani tremano. È quello che penso io?
«Lo porto sempre dietro da quando mi hai lasciato.»
I miei occhi si riempiono di lacrime. Per fortuna non mi vede. Schiarisco la voce. «Perché? Perché non lo hai buttato?». Non riesco a trattenermi e so che sto per farmi del male. Apro la scatolina e lo rivedo. Rivedo l'anello improvvisato e il biglietto con la scritta "è finita". Metto la mano sulla bocca trattenendo un singhiozzo. Fa fottutamente male. Come ha potuto portarlo dietro e farmelo rivedere?
«Perché prima o poi te lo metterò di nuovo al dito quel fottuto anello. Perché è il tuo. È solo tuo!». La sua voce diventa flebile. «Ti amo Emma... Non mi arrendo... non mi lasciare più...»
Rimango immobile. La scatolina aperta tra le mani, in grembo. Gli occhi pieni di lacrime, il cuore colmo di tristezza. Quando sento il suo lieve russare, asciugo le lacrime e tiro su con il naso. Poso la scatolina sul comodino ed esco dalla stanza chiudendo la porta piano. Cammino con il cuore pesante verso il soggiorno. Parker è sdraiato su di un fianco sul letto improvvisato, di fronte il camino acceso. Non riesco a vedere se è sveglio. Mi sdraio accanto a lui poi lo abbraccio da dietro. Si volta e mi avvolge con il suo calore. Scoppio subito in lacrime. «Mi dispiace.»
Non ricordo più quante volte l'ho ripetuto dentro mentre lo guardavo. Mi dispiace davvero perché ha dovuto assistere a tutto senza dire una parola. Mi dispiace perché è lui il mio ragazzo e io per l'ennesima volta sono corsa verso un altro.
Bacia la mia testa e sussurra: «lo so», strofina i palmi sulle mie braccia per riscaldarmi.
«No, non è stato giusto. Non avrei dovuto. Sbaglio sempre e mi dispiace...», piagnucolo. «Devo chiamare suo padre per avvertirlo...»
«Sono stato io a portarti da lui. Sapevo cosa aspettarmi e cosa avresti fatto. Certo, non mi aspettavo che tu tornassi da me dopo averlo messo a letto.» Sorride ma senza cuore. Sento freddo e lo abbraccio con più forza. «Io ti amo. Sto con te. Quello che abbiamo fatto...», arrossisco.
Scosta una ciocca dal viso portandola dietro il mio orecchio. «Dovevi aiutarlo. Ha chiamato per parlarti. È giusto così! Ti amo principessa.»
Sotto pelle sento il suo cuore battere forte. Posa la mano sulla mia mentre mi spingo verso le sue labbra per baciarlo. «Cosa ti ha detto?» domando.
«Che ti ama che non può andare avanti senza di te... Continuava a urlare contro qualcuno e biascicava. Mi ha pure minacciato.»
Sospiro. «E tu cosa hai risposto?»
«Vuoi che sia sincero? Ho detto che avresti dovuto lasciarlo sin dall'inizio. Che avresti dovuto mandarlo a fanculo da tempo. Che io avrei dovuto obbligarti a stargli alla larga. Non l'ho fatto perché ti amo e perché rispetto le tue decisioni. Gli ho anche risposto di moderare i termini, di smetterla di fare lo stronzo e di non minacciarmi. L'ho anche minacciato io...»
«Grazie», rispondo un po' intontita. Non so perché lo sto ringraziando. Non riesco ancora a capacitarmi. Ho ancora davanti agli occhi immagini di quell'anello e il ricordo che ho di quei giorni a Las Vegas.
Quando Parker si addormenta, non resisto più. Mi alzo e corro in bagno. Chiudo a chiave la porta e rannicchiandomi dentro la vasca scoppio inevitabilmente in lacrime. Sono diventata una piagnucolona ma questo mi fa sentire umana. Prima mi veniva rimproverato che non avevo sentimenti, che ero una bambina apatica e insensibile. Non lo sono più. La bambina è cresciuta troppo in fretta e la vita le ha dato talmente tanti calci da farla stare male. Alla fine le lacrime sono uscite. Tutte quelle trattenute per anni, sono uscite e non riesco più a smettere. Mi sono rammollita.
Sciacquo il viso con la massima cautela infilo una tuta e scappo fuori. Inizio a correre con tutta la forza che ho in corpo. Corro verso i vicoli stretti che conosco ritrovandomi di fronte al locale di Luke. Non lo vedo dalla festa. Affannata entro dentro. A causa del fumo mi bruciano subito gli occhi. Dei ragazzi mi lanciano i loro sguardi. Se non fossi così distrutta gli urlerei contro di voltarsi e farsi i cazzi propri. Luke si accorge di me e girando dal bancone si avvicina con sguardo attento. Stringe le mie braccia e abbassa il viso in modo da guardarmi meglio e dritto negli occhi. «Brutto momento?»
Mordo il labbro che trema e trattenendo le lacrime annuisco. Siedo su uno sgabello e mi faccio versare del whisky. Non sono una intenditrice ma ho bisogno di qualcosa di forte che mi stordisca quanto basta per dormire. Per una volta Luke non fa nessuna domanda solo il suo secondo lavoro. Si accerta che io abbia il bicchiere pieno e che nessuno si avvicini per disturbarmi. Dopo tre bicchieri di coraggio liquido, mi rialzo e barcollo. Rido come una scema sorpresa. «Solo tre fottuti bicchieri e mi sono ridotta così? Che cosa mi hai dato?».
Luke toglie il grembiule e mi sorregge prima che io caschi a terra. «Calma dolcezza. Ti riaccompagno a casa, non ti lascio andare da sola in questo stato.»
Continuo a ridere perché mi sento buffa, tanto buffa. La vista si appanna e le ginocchia sembrano fatte di gelatina ad ogni passo verso l'uscita dal locale. Entro in auto senza battere ciglio. Una parte della mia testa dice di non dovere accettare passaggi da uno sconosciuto mentre l'altra se ne frega delle conseguenze. Mi sto comportando da immatura ma a chi importa? Ho bevuto anch'io un po' per riprendermi. «Non voglio che sappiano...»
Luke guida tranquillo la sua jeep. Lo facevo più il tipo da auto costosa. I soldi non gli mancano. «Non dirò niente. Sei adulta, hai il diritto di reagire come meglio credi.»
I miei pensieri iniziano ad essere sconnessi. Non riesco a ribattere anche se vorrei mettere in chiaro che ho bevuto solo per potere dormire. In fondo non devo giustificarmi con lui e neanche con me stessa. Gli occhi si chiudono e cado nel buio. Sento tutto il mondo circostante ma sono circondata dal buio. Sento di essere sollevata, il vuoto sotto e dentro nel profondo del cuore quel freddo secco e diretto. Sento dei colpetti, una porta che si spalanca, una voce familiare e poi il nulla.

Apro le palpebre e impiego un paio di secondi per mettere bene a fuoco. Ho la bocca secca e i muscoli indolenziti. Ho anche un bruttissimo mal di testa. Sono avvolta da un plaid che tiene molto caldo. Il letto improvvisato si muove e Parker mi sorride in modo dolce. Come se tutto andasse bene. Come se di mezzo non ci fosse nessun problema. Sfiora la mia guancia e la massaggia con il polpastrello. Gli faccio spazio sotto la coperta e si sdraia su di un fianco davanti a me.
«Hai sete?»
Quando mi porge un bicchiere con la cannuccia, lancio uno sguardo alle sue nocche. Le ritrae ma afferro le sue mani e sfioro i lividi evidenti. Apro la bocca e la richiudo incapace di dare libero sfogo ai pensieri. Tenendo stretto il bicchiere, bevo avidamente. La sete si dissipa e in breve non ho più la bocca impastata dal sonno e dall'alcol. Raccolgo un po' di coraggio e domando: «che cosa hai fatto?»
Abbassa gli occhi sulle sue mani e distoglie lo sguardo usando un'espressione strafottente e spavalda. «Mi sono divertito un po' mentre non c'eri. A proposito... Non, rifare, più una cosa del genere senza avvisare». Fatica a parlare alzandosi a metà busto. «L'ho svegliato per chiedergli dove potevi essere. Ha risposto che ti ha sentito piangere e poi uscire e che con ogni probabilità eri andata a correre.» Punta i suoi occhi su di me folgorandomi. «Aveva ragione. Ti conosce così tanto che ha aspettato che rientrassi. Quando ha visto Luke è rimasto stordito, ma è riuscito a trattenersi al contrario di me, ti ha preso in braccio con...», scuote la testa e stringe i pugni. «Non farmi continuare ti prego. È stato...». Le vene sul suo collo si rigonfiano e le sue pupille si dilatano. È furioso.
Scosto la coperta e con molta cautela lo abbraccio stringendomi contro il suo petto. Salgo con le mani sul suo viso sfiorando le sue labbra. Tiro i suoi capelli e questo lo fa inspirare di scatto e stringere i denti. So che sto usando un mezzo che mi porta a vincere facile ma non ho la forza per litigare o per parlare tanto. Attiro la sua bocca alla mia. Non oppone resistenza. Mi stringe per i fianchi ed emette un suono impercettibile. Ci stacchiamo rossi in viso e senza fiato. Con la fronte sulle sue labbra, chiudo gli occhi, passo il palmo sul suo petto liscio e muscoloso. «Volevo solo riuscire a dormire...». Mi rendo conto che queste parole se dette ad alta voce appaiono ridicole. «Volevo che quel dolore abbandonasse il mio corpo e la mia mente perché mi stava lacerando.»
Scatta in avanti e mi bacia con irruenza. Ansimo e questo lo fa eccitare e incendiare. È come se avessi appena gettato della benzina sul fuoco. So che è un modo per dirci che ci amiamo. E' anche un modo per non litigare e per fare pace, chiedere scusa. «Prepariamo la colazione e svegliamo il principe?»
«Lascialo dormire. Prima disinfettiamo queste e poi preparo io la colazione. Spero sia un primo passo per farmi perdonare.»
«Ho bucato una parete. Prometto che la farò riparare.»
Trattengo un sorriso anche se sono preoccupata. «Mi hai bucato una parete? Sul serio?»
Arrossisce grattandosi la testa e annuisce. Lascia che disinfetti le escoriazioni e poi si siede sullo sgabello per la colazione. Se con Ethan fosse stato così semplice a quest'ora chissà come o dove saremmo. Parker sa esattamente cosa vuole e sa anche come calmarmi e come calmarsi. Ci conosciamo, ci accordiamo, ci riavviciniamo sempre di più dopo ogni delusione, dopo ogni litigio.
Preparo toast al burro, quelli con avocado e spezie, del caffè e dei pancake. Metto da parte la colazione per Ethan e poi mangio accanto al mio ragazzo. Sembra più tranquillo e mentre affondo i pensieri sul cibo, mi attira tra le sue braccia. Mangio seduta su di lui e di tanto in tanto lo imbocco per farlo smettere di provocarmi. Quando sfiora la mia nuca con le labbra, mi sale la pelle d'oca. Mugolo muovendo i fianchi e lo sento bloccarsi e trattenere il respiro. Con il labbro tra i denti mi volto e rifaccio il movimento.
Morde la mia spalla. «Peccato, abbiamo ospiti.» Mormora contro l'orecchio. La sua mano scende infilandosi dentro i pantaloni della tuta. Lascio uscire un gemito sommesso. «È eccitante no?», preme sull'intimo con le dita. Non posso gemere e mi imbarazza così muovo leggermente i fianchi e stringo la presa sul bancone. Continua a tormentarmi e sorride con soddisfazione. Apro la bocca ma la tappa con la mano libera.
«Mi vendicherò», dico affannata.
«Non vedo l'ora...», ghigna sul mio collo senza fiato.
Sento un forte calore e poi mi libero dal piacere emettendo un mugolio.
Non posso credere che stiamo facendo una cosa del genere in un momento così pessimo. Vorrei potermi perdere tra le sue braccia. Vorrei sentire il suo corpo caldo, il suo petto sudato sul mio. Mi sentirò in colpa, lo so.
«Era il tuo modo di punirmi?», strofino il naso contro il suo.
Sorride con gli occhi e annuisce soddisfatto. «Peccato che mi si è ritorto contro», abbassa gli occhi sul cavallo dei pantaloni.
Il mio sguardo si illumina con un sorriso tutto denti. «Ops!» Mi rialzo e tolgo i piatti poi dò una ripulita alla cucina.
Parker si siede sul divano e accende la tivù mentre passo l'aspirapolvere e tolgo di mezzo il letto improvvisato. Fuori piove, è una bruttissima giornata gelida. Pulisco i vetri quando la porta della camera si apre ed esce Ethan rivestito e in pessimo stato. Non ricordo di avergli visto lividi sul collo o quell'ematoma sullo zigomo quando ho curato le ferite. Aggrotto la fronte sistemo la sua colazione sul ripiano della cucina e a grandi falcate raggiungo la camera. Rimango letteralmente sconvolta.
«Che cazzo?», alzo la voce. La parete accanto alla porta, quella in cartongesso è sbriciolata. I mobili sono tutti fuori posto e ci sono i cocci della lampada per terra. Mi sento come nel minuto dopo in cui è passato un tornado. Il caos aleggia attorno. Mi rendo conto che Parker e Ethan hanno proprio perso la pazienza. Non erano solo pugni contro il muro ma...
Con compostezza raggiungo la cucina. I due non si sono mossi. Fanno finta di niente. I miei occhi invece dicono tutto quando gli tiro addosso due grossi volumi che tengo su di un piccolo mobiletto del corridoio. Li colpisco entrambi e mi guardano allarmati. «Sul serio? In casa mia?», urlo incapace di trattenermi. «Avete fatto a botte in casa mia?»
Parker si alza seguito da Ethan il quale fa un passo avanti tentando di spiegare. Non c'è niente da spiegare. Non voglio neanche sentire cosa hanno da dire per discolparsi. Muovo la testa da una parte all'altra e alzo le mani mentre indietreggio imbestialita. In questo momento mi sento come un ariete di sfondamento, pronta all'attacco. «Uscite da casa mia!»
«Emma...»
«Ho detto: uscite da casa mia. Ora!»
Non riesco proprio a guardarli in faccia. Mi hanno delusa eppure mi aspettavo una cosa del genere anche se non immaginavo sarebbe successa così in fretta. Il mio petto inizia ad alzarsi e ad abbassarsi pesantemente. Sto per avere una crisi e lo spettacolo non sarà affatto bello. I due rimangono inebetiti e non si muovono. Afferro una pianta spinosa e li minaccio con lo sguardo. «Andatevene! Adesso!», urlo con più forza di quanto io abbia in corpo e sento le corde vocali tendersi e gli occhi annebbiarsi non solo dalla furia ma anche dalle lacrime che cercano insistenti di uscire allo scoperto. Non è per la lampada o per i mobili. Non è nemmeno per il muro. Non so perchè sono così emotiva in questo preciso momento. So solo che devono andarsene immediatamente. Voglio che mi lascino da sola in questa casa e non tornino per un paio di giorni a cercarmi. Ne ho abbastanza. Sembrano due amici che si contendono la ragazza e finiscono con il farsi del male. Non sono un giocattolo e sono davvero, davvero arrabbiata con loro.
Spalanco la porta e li minaccio con la pianta. I due raccolgono in fretta le loro cose e guardandosi in cagnesco escono dal mio appartamento. Sbatto la porta alle spalle e infuriata inizio a rimettere in ordine.
Non urlo, non piango, non mi dispero. Sistemo tutto e getto via i cocci in totale silenzio.
Dopo avere rimesso in ordine e avere fatto un profondo respiro, chiamo la mia amica.

N/A:
~ La pazienza non è sempre illimitata. Ci sono momenti in cui si perde proprio la testa e il controllo. Inevitabilmente si scoppia perché quando si accumulano troppe cose queste tendono a fare del male. Voi siete persone pazienti?
Emma ha avuto una brutta reazione. Per quanto ancora riuscirà a mantenere le distanze dai due? Ha fatto bene a mandarli via?
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Scusate per gli errori. Buona serata :* ~

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