Capitolo 25
Seguire mister Marshall in tribunale non è mai stato così faticoso. Dopo la notte trascorsa con gli amici e la fatica di tenere sotto controllo i sentimenti, gli incubi e le paure, già di prima mattina mi sento spossata. Cerco di mantenere i nervi saldi e seguo Jessy e le sue direttive. Entriamo in una sala riunioni ampia. Il tavolo lungo in legno scuro, le pareti asettiche, due piante agli angoli trascurate e impersonali. Le sedie girevoli dall'aspetto comodo. Prendo posto accanto a Marshall mentre Jessy si siede dall'altro lato. Ci vengono distribuite delle fotocopie e inizio a leggere per ammazzare il tempo.
Si tratta di un caso conosciuto ma come sappiamo avrà esito positivo per la nostra cliente ecco perché siamo in questa sala, per trovare un nuovo accordo ed evitare i media.
Dalla porta aperta si sentono delle voci in avvicinamento. Continuo a leggere il rapporto sul foglio e sono concentrata su alcuni errori di ortografia presenti. Quando alzo lo sguardo, mi si gelano le vene. Io mi blocco, lui si blocca. I nostri occhi si incrociano per un nano secondo intenso e doloroso e poi sfuggono da altre parti. Il mio cuore ha un sussulto alla vista di Parker. È passato un mese e a me sembra una vita. Rivederlo così, mi fa stare male. Ha un leggero accento di barba sul viso che gli dona, occhi attenti e calcolatori, sguardo come sempre penetrante.
Prende posto proprio davanti a me mentre i suoi colleghi chiacchierano e i due clienti entrano in sala ignari della vera tragedia che si sta consumando dentro il mio cuore. Lui al contrario, non sembra affatto turbato o agitato o se lo è lo nasconde bene.
La nostra cliente, mi saluta con un abbraccio caloroso consapevole di avere vinto mentre il suo ex ha uno sguardo freddo e distaccato e mi porge solo la mano con una stretta patetica e veloce. Sembra uno di quegli uomini annoiati e dediti al tradimento e alla bella vita. Ricordo di averlo visto in tivù ma non importa cosa o chi sia, la legge è uguale per tutti.
Mentre iniziano, comincio a pensare che conoscendo Parker non vorrà perdere. Troverà un modo per annientare le difese e farà crollare ogni certezza, lo fa sempre. Rimango posata e distaccata mentre gli avvocati discutono in attesa del suo colpo fatale. Prendo appunti quando Marshall me lo chiede gentilmente. «Emma, potresti prendermi anche un caffè per favore?»
«Certo signore», mi alzo e vado a prendere il caffè al mio capo. Mi ringrazia con un ampio sorriso e torna al lavoro.
Mentre mi siedo noto con la coda dell'occhio lo sguardo di Parker. Tiene le dita serrate nella penna sbiancando le nocche e ha la mandibola contratta mentre uno dei suoi colleghi gli sussurra qualcosa contro l'orecchio. Sento una fitta al cuore e vorrei scappare o mettermi ad urlare perché tutto questo è assurdo.
«Sappiamo del testamento. Quei gioielli sono della signorina grazie al defunto, ma il valore affettivo è del marito e non può appropriarsene.» Esordisce uno dei ragazzi esasperato. Deve essere un novellino.
«Quei gioielli, sono stati donati alla signorina dal defunto. Non possiamo rinnegare la volontà di una persona che quando ha firmato il documento era capace di intendere e volere. Io direi di accordarsi così: la signorina prende parte dei cimeli mentre al signore va la parte che gli spetta per valore affettivo. In questo modo entrambe le parti avranno ottenuto quello che vogliono. Si accorderanno da soli e secondo i propri gusti di fronte una guardia.»
Iniziano a discutere su questo e Parker mette a tacere tutti con il suo carisma e la sua attenzione verso il lavoro. Lui e Marshall valutano in modo pratico i pro e i contro e alla fine risolvono tranquillamente il caso stringendosi la mano. Vanno molto d'accordo. Finita la strage, tutti si alzano, si stringono ancora una volta la mano ed escono dalla sala.
«Mister Marshall le dispiace se fermo un momento la sua segretaria?»
La voce di Parker mi arriva alle spalle e sento di essere appena stata colpita. Fa che non si riferisca a me, fa che non si riferisca a me, sussurro mentalmente.
«Le parlerà a cena giovanotto. Adesso dobbiamo proprio andare.»
Lascio sfuggire un sospiro di sollievo e con molta fretta supero due dei ragazzi e mi incammino verso l'uscita in compagnia di Jessy turbata per la richiesta improvvisa di Parker. «Secondo te cosa voleva quel gran pezzo di ragazzo?»
Mi stringo nelle spalle. «Non lo so più da un mese cosa vuole.»
Jessy mi guarda curiosa. «Era lui il tuo ragazzo vero?»
«Già. Spero solo di non essere obbligata a parlare con lui durante la cena. Non sarebbe un bello spettacolo.»
Marshall ci lascia a casa dandoci appuntamento per la cena e Jessy mi avvisa che passerà a prendermi.
Una volta a casa anche se stanca, faccio una doccia e mi rilasso sotto il getto caldo dell'acqua. Indosso un tubino rosso molto aderente ed elegante comprato in una delle uscite curative a base di shopping con Lexa. Sistemo i capelli lateralmente con delle forcine in modo da averli tutti su di un lato in morbide onde. Mi trucco con una linea perfetta di eyeliner, abbondante mascara e un rossetto rosso non troppo acceso sulle labbra. Infilo i tacchi e quando Jessy mi fa uno squillo per avvertimi che è arrivata, scendo di sotto.
Jessy è una ragazza bassa e mora. Ha due occhi marroni tendenti al nero, capelli scuri mossi e lunghi. Ha la carnagione olivastra e ha indubbiamente una sua bellezza. Sotto il cappotto, indossa un abito corto grigio molto appariscente. «Ci sarà da divertirsi.»
«Sei mai stata a queste cene?», domando inserendo la cintura.
«Si, quasi sempre finiscono con una rissa o con qualcuno che stramazza a terra ubriaco. Quasi sempre io mi ritrovo a letto con uno degli avvocati. Se qualcuno dei vecchi si avvicina e io sono ubriaca, ti prego allontanami da lui.»
Ridiamo e ci godiamo il viaggio verso la cena di lavoro.
La villa è molto grande e baronesca. Ci sono tante tende rosse, scale in legno tenute a lucido, maggiordomi, sale immense dove conversare e tante luci.
Dopo un momento di imbarazzo, notiamo Marshall. Ci aiuta a togliere il cappotto riempiendoci di complimenti. In sala ci sono parecchie segretarie compresa Tea la quale non appena mi vede arrivare corre ad abbracciarmi.
«Anche tu qua? Oddio Emma, sei dimagrita tantissimo.»
«E' solo la palestra», faccio il gesto della mano come per scacciare un pensiero fastidioso. In realtà non è solo colpa della palestra.
«Tea, lei è Jessy la mia nuova collega. Jessy lei è Tea», tolgo dall'imbarazzo entrambe. In breve iniziano a chiacchierare e si crea una certa sintonia tra le due così io posso distaccarmi.
«Sediamo vicine a quanto pare», indica il tavolo alle spalle dove c'è George e un ragazzo. Annuisco e un pò in ansia ci dirigiamo verso il bar. Prendiamo un bicchiere di prosecco e ci voltiamo quando sentiamo delle ragazze bisbigliare eccitate. In sala entrano un uomo e una donna con molta eleganza. Sento dire dal gruppo di ragazze che sono i proprietari della casa, i signori: Palmer. Al loro seguito un ragazzo. Quando fa il suo ingresso rimango impalata perchè è Luke. Non doveva lavorare? Cosa ci fa in questo posto?
Non ho un momento per riflettere perchè dalla porta, entra anche Parker accompagnato da una ragazza. Spalanco gli occhi e la bocca incredula. Sento una strana fitta al cuore. Le mani tremano e mi costringo e distogliere lo sguardo da loro. Tea mi lancia subito un'occhiata mordendo il labbro a disagio mentre Jessy aggrotta la fronte e manda giù l'alcolico prima di dire sottovoce con il suo fare civettuolo: «Non voleva parlarti di questo vero?»
Faccio spallucce e con disinvoltura e tutto l'autocontrollo di cui dispongo, bevo e rivolgo le mie attenzioni ad un uomo che mi sta salutando. Con molta cortesia porge la mano afferrando la mia e baciandola. «Devi essere Emma, Marshall mi ha parlato tanto della sua nuova dipendente.»
«Spero non abbia detto qualcosa di brutto sul mio operato», rispondo con un sorriso timido.
L'uomo affascinante ride e scuote la testa. «Solo che sei brava e sai il fatto tuo. Sono molto curioso nella vita e per questo non ho saputo resistere alla tentazione di conoscerla mia cara.»
Arrossisco visibilmente e sono pronta a rispondere. «Zio, non dovresti importunare una così bella ragazza.» Mi volto e vedo Luke con un sorriso dolce sulle labbra. «Emma» saluta.
«Luke»
Lo zio del ragazzo ci guarda curioso. «Vedo che vi conoscete»
«Si, Emma è una piacevole compagnia. Sei bellissima.» Risponde con sguardo fisso Luke.
«Bene, sei al sicuro con mio nipote. Vi lascio soli. Divetitevi», fa due passi prima di voltarsi. «Un ballo è mio», sorride e torna dai colleghi.
Prendo un bicchiere e sorseggio per placare la sete che sento. Ho la gola secca e le mani sudate. Non pensavo di poterlo trovare in questo posto e non pensavo di vedere Parker in compagnia di una così bella ragazza. Sto provando così tante sensazioni dentro che sento di svenire.
«Non mi avevi detto che ti saresti divertito ad un compleanno?»
Luke sorride. «I miei mi hanno costretto ad indossare la cravatta per sta sera al posto del grembiule. Era più appropriato.» Ridiamo brindando.
«Penso che questa sarà una bella serata», Tea ci raggiunge salutando timidamente Luke. Glielo presento ma lei già sa chi è e da dove proviene. Tea sa sempre tutto. Anche Jessy si avvicina e si mette in mostra per richiamare l'attenzione di Luke che al momento segue ogni mio gesto. Mi sento controllata e studiata. Sento anche una certa gelosia e non so fino a quanto riuscirò a resistere.
«Se continui a fissarli ti ritroverai con gli occhi asciutti», sussurra Tea.
Distolgo subito lo sguardo dalla coppia della serata. «Hai ragione, scusa. Ho solo bisogno di una boccata d'aria fresca. Scusate.» Poso il bicchiere sul tavolo ed esco sull'enorme balcone. L'aria è gelida e mi abbraccio ballando leggermente sul posto per riscaldarmi. Respiro lentamente e conto un paio di volte per riprendermi. "Posso farcela" continuo a ripetermi come un mantra. Torno dentro e mi fermo proprio sulla soglia della finestra.
Due occhi azzurri mi stanno fissando intensamente ma non sono gli unici. Ci sono anche quelli attenti di Luke il quale si avvicina in fretta superando vari pretendenti e porgendomi la mano domanda: «le va di ballare signorina?».
Fisso la mano tesa del ragazzo che ho davanti e accetto senza esitare. Sono ad una cena di lavoro e questa casa è proprio la sua, non posso rifiutare ed essere scortese. Inoltre non voglio rifiutare, voglio divertirmi e passare una serata serena e lontana dallo sguardo rovente del "mio" ragazzo.
«Ti stavano azzannando non appena sei entrata da quella finestra. Sicura di non essere una celebrità?»
Penso alle copertine dei giornali. Sono sicura che abbia letto qualcosa sul mio conto e mi affretto a precisare: «erano solo delle pubblicità. Inoltre non sono brava a ballare quindi se ti pesto i piedi, non farmi causa o io sarò costretta a farla a te in qualità di mio psicologo.»
Luke ride e alcune ragazze si voltano per ammirarlo. Ha un sorriso da ragazzino, denti perfetti e barba curata. Ciò che sicuramente attrae del suo aspetto, sono i modi abili e delicati. «Non farò nessuna causa alla donna che paga il mio stipendio al bar».
«Bene perchè non mi spillerai altri soldi.» Ridiamo entrambi.
Dopo il ballo mi accompagna al tavolo, scosta la sedia e mi fa sedere. «Grazie», sto trattenendo una battuta e se ne accorge. Si abbassa contro il mio orecchio mentre Marshall ci osserva. «Le battute sono ammesse anche a tavola miss». Arrossisco mentre si allontana e abbasso lo sguardo schiarendo la voce. Jessy si avvicina lasciando in sospeso il discorso con un ragazzo. «Conosci parecchia gente. Anzi parecchi ragazzi fighi. Dobbiamo frequentarci», sorride eccitata all'idea.
«Vedo che conosce mio figlio...»
Ci voltiamo tutti. Il proprietario della casa e ospite della festa mi guarda. Mi alzo subito con disinvoltura. «Signor Palmer è un piacere conoscerla».
«Mi chiami pure Steven. Allora? Come conosce mio figlio?»
Lancio uno sguardo a Luke il quale se la ride sotto i baffi seduto comodo e in attesa. Decido di essere sincera. «Ci siamo conosciuti ad una serata karaoke. Sapeva che ha una bella voce suo figlio?»
Luke arrossisce e ride divertito quasi strozzandosi mentre Steven guarda stordito il figlio e poi scoppia subito a ridere dandomi un'affettuosa pacca sulla spalla. «Glielo dicevo anch'io da piccolo sa? Peccato abbia cambiato idea sulla professione. Riservi un ballo per me, ci tengo a chiacchierare ancora con lei signorina.»
Torno a sedermi sventolandomi con la mano e Tea si fionda subito accanto a me per spettegolare. Sono rossa in viso e odio tutte queste attenzioni. Il momento peggiore arriva quando Parker si siede davanti a me con la sua ragazza. Come se volesse sbattermi in faccia la sua nuova conquista. Ignoro il suo sguardo e chiacchiero per distrarmi con Tea o con Jessy quando non è coinvolta in una strana conversazione con un tizio accanto a lei che continua a punzecchiarla. Temo proprio che quei due si conoscano e si piacciano a vicenda.
La cena è un continuo susseguirsi di sguardi, cibo, chiacchiere e risate. Durante la breve pausa sul piccolo palco allestito in fondo alla sala, una band inizia a suonare musica classica. Parker si alza puntanto lo sguardo su di me ma nello stesso istante si sente un'altra sedia indietreggiare rumorosamente. Una mano tesa mi viene posta da dietro e quando alzo lo sguardo noto Luke che mi fa cenno di seguirlo in pista.
«E' il tuo ragazzo Parker?»
«Se lo conoscessi sapresti che è un tipo geloso e poco raccomandabile.»
Faccio una giravolta e le sue mani si posano una sulla mia vita mentre l'altra tiene il mio palmo stretto. «Non ho paura dei tipi gelosi. Non è da solo quindi deduco non sia il tuo ragazzo ergo posso sfiorarti.»
«Non lo è da un mese circa.» Sospiro e mi costringo a usare un sorriso. Luke mi fa fare una giravolta e mi attira a sè. «Quindi se ci provo anche per finta con una mia cliente abituale, non avrà nulla da ridire?»
Inarco un sopracciglio e sposto le mani sulle sue spalle. «Puoi usare tutti i giochetti che vuoi con lui ma scoppierà e io non voglio rovinarmi la serata.» Abbasso lo sguardo ma le sue dita alzano il mio mento costringendomi a guardarlo negli occhi.
Luke mi mette soggezione e non perchè è uno psicologo ma perchè riesce davvero a leggermi dentro e ho paura del suo pensiero sulla mia persona. «Io mi preoccuperei più della tua reazione invece. Lui sembra un tipo aggressivo ma sa solo ringhiare mentre tu, tu riesci a scatenera una certa furia. Lo dicono i tuoi occhi.»
Porto la mano sugli occhi e sorrido. «Ora cosa dicono?»
«Che sei una donna bellissima e mi piacerebbe ballare ancora con te ma mio padre sta già per attaccare. Mi dispiace, ci vediamo dopo.»
Non ho il tempo di ribattere. Mi ritrovo a ballare con il signor Palmer e subito dopo con lo zio. Oscillo da un lato all'altro per non pestare i piedi agli uomini che rischiano l'amputazione e poi torno al tavolo.
Il cibo è squisito peccato per la mia inappetenza. Spiluccio le portate e mi distraggo più volte quando sento una voce familiare e una risata a poca distanza. Non ho il coraggio di alzare lo sguardo ed essere trafitta ancora una volta dalla gelosia. Dopo vari brindisi e ringraziamenti, la cena termina e inizia la "vera" festa dove tutti gli invitati si scatenano, compresi i padroni di casa.
Jessy passa accanto a me tenendo per mano il ragazzo che l'ha tormentata durante la serata. «Inizia il divertimento!», strilla trascinandolo in pista.
Sorrido e vado a sedermi accanto al bar. Guardo verso la vetrata. La luna illumina l'immenso giardino pieno di statue, edera e cespugli dalle forme singolari. C'è anche una grande fontana illuminata da piccole luci e lanterne, meravigliose lanterne ovunque.
«Ti va di fare un giro?»
Accetto subito e in compagnia di Luke usciamo al chiaro di luna. Passeggiamo in giardino per un paio di minuti. Ci sediamo su una panchina di pietra e chiacchieriamo. Ogni tanto lancio uno sguardo verso la sala. Per fortuna la finestra è aperta e si riesce a vedere il gruppo di persone intento a ballare e divertirsi.
«Dove ti giri noti ubriachi», ride.
«E' il tuo lavoro no?», gli do una spallata e lui ricambia annuendo.
Strofino i palmi sulle braccia infreddolita. Luke toglie subito la giacca posandola sulle mie spalle. «Non vorrei mai che la mia ospite prendesse freddo». Segue un momento di silenzio piacevole in cui alzo il viso verso il cielo. Inspiro ed espiro lentamente.
Di punto in bianco, arrivano delle voci. «Non puoi dire sul serio!», sta strillando una ragazza. «Sono venuta in questo posto apposta e non puoi lasciarmi così per una che nemmeno ti guarda. Ma l'hai vista?»
Io e Luke ci guardiamo e inarchiamo un sopracciglio. Siamo pronti a goderci il primo litigio ma quando mi volto, noto Parker e la ragazza che lo ha accompagnato alla festa. Vengo attraversata da un brutto brivido e mi alzo per tornare dentro. Luke mi segue turbato dalla mia improvvisa reazione.
«Emma?»
Rimango ferma, incapace di voltarmi, le spalle tese e il viso contratto. Chiudo per un momento le palpebre e trattengo il respiro mentre stringo i pugni.
«Emma guardami!»
Deglutisco a fatica voltandomi lentamente. «Si signor Parker?», uso un tono freddo che alle mie orecchie arriva penetrante e distaccato. Rabbrividisco io stessa. Che cosa mi prende?
Parker sembra essere appena stato colpito ma si riprende in fretta. «Possiamo parlare?»
«Non credo sia una buona idea e il momento adatto per parlare di questioni inutili. Come vede sono impegnata e anche lei. Le auguro una buona serata.» Un passo dopo l'altro e sono dentro. Sono salva.
Luke mi prende per ballare e mi lascio coinvolgere dalla musica mentre tento di trattenere le lacrime che rischiano di uscire e far colare tutto il trucco. Non credo di potere reggere oltre. È stato umiliante di fronte a Luke ammettere di avere una debolezza ma lo è di più ora che ha assistito a tutto questo, alla mia fragilità. Mi stacco da lui e cammino a passo spedito verso il bar dove prendo una bottiglia e un bicchiere. Sgattaiolo in giardino, tolgo le scarpe e mi sistemo lontana, in un posto tranquillo, sull'erba. Verso un bicchiere di vino e disgustata mando giù il nettare degli dei. Non vado poi così matta per il vino e questo sembra proprio un vino stappato troppo presto per essere servito. Continuo a bere con la speranza che tutto smetta di soffocarmi da un momento all'altro, lasciando il posto alla vertigine, a quel senso di leggerezza e allegria che tanto manca nella mia esistenza.
Sento uno scricchiolio, non ho bisogno di voltarmi per capire chi mi abbia seguito. «Sai? Sono sempre stata una persona triste e non una di quelle che si rialzano e sorridono ma una triste e sola. Sono anche insopportabilmente buona.»
Luke si siede accanto e prende la bottiglia dalle mie mani tracannando direttamente dal beccuccio. «Non sono mai stato un ragazzo serio ma lo sono diventato dopo che ho visto molti dei miei amici distruggersi e combattere battaglie inutili.»
«Mi dispiace...», con una smorfia e del vino in bocca faccio dondolare il liquido dentro il bicchiere osservandolo.
«Per cosa? Per non avere ceduto? Goditi la festa Emma. Non siamo qui per analizzarci.» Si rialza lasciandomi sola.
Apprezzo molto il suo tentativo ma penso che me ne ritornerò a casa non appena sarò in grado di recuperare Jessy dalle grinfie di quel ragazzo che continua a sbavarle dietro.
Mi rialzo ripulendo le mani dal terriccio. Seguo in silenzio Luke che apre una finestra diversa per farmi entrare. Lancio le scarpe dentro la stanza e ridacchio quando noto la sua espressione. «Potevi uccidere qualcuno con quei tacchi e quel lancio!», mette la mano sulla bocca con finta preoccupazione, poi scoppia a ridere. Mi aiuta a scavalcare e rimango impalata mentre va ad accendere la luce. Ci troviamo in un grande salone pieno di librerie, libri, divani e un pianoforte di fronte ad un camino. Mi avvicino a quest'ultimo e faccio suonare un tasto che emette un suono flebile. «Scommetto che sai suonarlo»
Luke annuisce e si siede iniziando a suonare e cantare alcuni pezzi di canzoni moderne. Rido perché è buffo e stonato. «Preferisco Nuvole Bianche di Einaudi». Mi avvicino alla grande libreria e passo lo sguardo verso i grossi volumi presenti e sistemati in ordine alfabetico. Luke inizia a suonare e mi perdo per un momento tra le note della musica. Oscillo con un sorriso sulle labbra e chiudo gli occhi quando li riapro noto una collezione di dischi in vinile e un giradischi grande e nuovo rigorosamente nero. «È bellissimo», sussurro senza fiato.
Luke smette di suonare e si avvicina. Prende uno dei dischi inserendolo sul giradischi e facendo partire la musica. Credo sia Jazz poi si sente la voce di una donna. È sensuale, intima ma anche triste. Arriva dritta all'anima.
Luke mi porge la mano. La stringo e mi trascina al centro della stanza dove iniziamo a ballare. Ridiamo guardandoci negli occhi. Mi fa fare una giravolta e un casquet. Il vino ha fatto il suo danno e mi ritrovo a ridere come una ragazzina alla sua prima sbronza.
«Balli bene senza i tacchi», mi prende in giro.
«Da ubriaca non inciampo, non pesto i piedi e sono più agile vero?», faccio un'altra giravolta e finisco contro il suo petto.
Luke fa una smorfia per trattenersi dal ridere e mi guarda intensamente. «Da ubriaca sembri più te stessa, forse anch'io», sussurra.
Si sente uno scoppio. La porta si spalanca ed entra un Parker furioso seguito da George che si scusa in fretta per l'entrata plateale dell'amico. Mi stacco subito dalla presa ferrea di Luke il quale non lo guarda nemmeno al contrario di Parker che lo sta incenerendo con lo sguardo e avanza verso di me inarrestabile. Luke si mette davanti bloccandogli la strada.
«Togliti di mezzo», ringhia Parker con occhi infuocati e carichi di furia.
«Ti chiederei di non urlare ma sembra inutile quindi ti chiedo di non fare un altro passo verso di lei.» Luke è così posato, così calmo. Farà scoppiare Parker e la serata andrà a farsi benedire con tutti i buoni propositi iniziali.
«Perché? Tu chi sei? Toccala un'altra volta e...»
«E cosa fai? Mi dai un pugno? Risolverai qualcosa con questo? Se continui a comportarti così come hai fatto questa sera portandoti dietro un'altra, osservandola da lontano, urlandole contro di dovere parlare, la perderai e non lo dico perché voglio aiutarti ma perché so che questa ragazza ti ama davvero.» Luke lo fissa con distaccato interesse mentre Parker drizza le spalle e subisce il colpo in silenzio.
Supero i due mortificata. E quando Parker prova a parlarmi alzo la mano. «Non ho voglia di parlare ora. È già stato abbastanza umiliante. Hai avuto un mese per parlare e chiarire un malinteso ma non lo hai fatto e nemmeno io perché non sapevo come avvicinarmi a te. Questa sera non credo sia il momento migliore per lavare i panni sporchi ad una festa. Ho bisogno di rimanere da sola. Grazie Luke per la serata, scusate.» Recupero le mie cose. Esco dalla stanza e a grandi falcate mi incammino verso l'uscita. Trattengo le lacrime, fermo un taxi e mi lascio riaccompagnare a casa.
Arrivo venti minuti dopo di fronte al palazzo. Invece di entrare, salire in casa e andare a fare una bella dormita, estraggo le chiavi dell'auto dalla borsetta e mi metto al posto di guida. In auto trovo le ballerine e le indosso al posto dei tacchi che getto in un angolo. Avvio il motore facendolo rombare e guido per un paio di minuti senza meta.
Mi ritrovo in autostrada, verso il posto isolato dopo il fastfood. Procedo con cautela visto che è una zona affollata. Passa un tir e stringo i denti quando questo suona ad un'auto davanti. Le mie mani iniziano a tremare e scoppio in lacrime incapace di proseguire. Sono ferma, in mezzo alla strada. Non riesco più a muovermi. Tremo tutta e scossa dai singhiozzi riesco a mettere le frecce d'emergenza. Immagini del passato mi investono con una certa furia e fanno male. Ho paura. Una paura matta. Riesco a prendere il telefono dalla borsa e avvio la chiamata.
«Emma?»
Singhiozzo. «Non ce la faccio. Non riesco a muovermi.»
«Cosa? Che significa? Dove sei?»
«In auto, non riesco...», sono senza fiato. Le mani serrate sul volante il petto che si alza e si abbassa velocemente e senza tregua, il dolore che si propaga in tutto il petto.
«Cazzo! Dimmi dove sei. Concentrati Emma, dimmi dove sei!», strilla agitato.
Passa un altro tir e suona per superarmi. Urlo spaventata. Chiudo gli occhi e tappo le orecchie.
«Emma sto arrivando ok? Ci sono io. Dimmi solo dove sei!»
Riesco a bisbigliare il posto e poi la chiamata si interrompe. Passano un paio di interminabili minuti in cui continuo a rimanere rigida sul posto, incapace di muovermi. Parecchie auto superano la mia senza mai fermarsi. Poi, due fari gialli si fermano poco più avanti. È un taxi e da lì esce Ethan. Ringrazia e corre subito da me. Spalanca la portiera tirandomi fuori. Mi abbraccia forte e stampa piccoli baci sulle guance e su tutto il viso. «È tutto ok! È tutto ok piccola! Ci sono io! Sono qui piccola, sono qui.» Agitato mi stringe più forte contro il suo petto. I suoi battiti in netto aumento.
Continuo a non sentire niente. Continuo ad essere rigida e spaventata. Ethan mi fa sedere sul lato del passeggero e poi prende posto alla guida. Fa inversione di marcia premendo sull'acceleratore adirato. Sbatte i palmi sul volante e impreca un paio di volte prima di placarsi e guidare con più moderazione e attenzione.
Arriviamo a casa dopo vari giri. Posteggia l'auto e mi prende in braccio tenendomi stretta fino all'appartamento. Apre la porta sbattendola alle nostre spalle e mi fa sdraiare sul divano coprendomi con un plaid e sistemandosi dietro abbracciandomi e carezzando il mio viso.
«Volevo solo fare un giro», tremo visibilmente. «Volevo sentirmi meglio...»
«Sei a casa piccola. E' quello che conta. È tutto ok!», sussurra baciando la mia testa. Mi sistema contro il suo petto e sospira. Chiudo gli occhi e piango silenziosamente fino a perdere il controllo e i sensi.
Continua...
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