Capitolo 20

Apro gli occhi riposata ma accanto a me non c'è nessuno. Sono avvolta da un plaid morbido. Mi guardo attorno stordita, la casa è silenziosa. Sul tavolo c'è un bicchiere di succo e un cornetto. Quando sollevo il piatto, trovo un post-it scritto con una calligrafia ordinata che conosco perfettamente.

"Non volevo svegliarti così ti ho lasciata tranquilla. Sono dovuto andare al lavoro ma sarei rimasto ancora ore e ore a guardarti mentre dormivi tra le mie braccia. Ti auguro un buon risveglio principessa. -Parker"

Addento il cornetto al cioccolato mentre accendo la tivù e finisco la colazione. In realtà sarebbe il pranzo visto che mi sono svegliata a mezzogiorno inoltrato. Quando mi sento rilassata e rifocillata, stendo le braccia e indolenzita do una ripulita a tutto l'appartamento poi faccio una doccia, mi vesto e decido di uscire. Vado a trovare Lexa in ufficio.
Il tempo fuori è grigio, preannuncia pioggia. Per fortuna in borsa porto sempre dietro un ombrello perché non si sa mai. Potrei anche usare l'auto ma da sola non credo sia ancora possibile. Non sono poi così pratica nella guida e non voglio avere un attacco di panico quando un'altra auto si fa vicina o tenta di superarmi. È facile ricadere nelle vecchie abitudini e preferisco camminare.
Quando entro in agenzia trovo Lexa sdraiata sul divano. Ha una brutta cera e temo sia per la gravidanza. I medici a quanto pare le hanno detto di rimanere a riposo e di fare attenzione. Mi avvicino e lei prova a rialzarsi per abbracciarmi ma le faccio cenno di rimanere sdraiata perché non voglio che stia male. Qualcuno mi porge un malloppo di fogli da sistemare e senza dire una parola mi metto al lavoro. È strano ricominciare dopo giorni di svago. Lexa rimane in posizione per gran parte del tempo. Ogni tanto si lamenta o grida a qualcuno di portarle un cestino dove potere vomitare.
«Perché sei venuta se stai male?», domando quando mi libero dalle scartoffie e il telefono non suona più.
«Perché dovevo finire quel maledetto servizio e non sono neanche riuscita a portare a termine un compito così elementare. Giuro che me ne ritorno a casa e rimango a letto per nove mesi.»
Ridacchio. «Oppure vieni a dormire da me. Mi prendo io cura di te oggi. Preparo la cena e poi ci mettiamo davanti alla tivù con un cestino a portata di mano.»
Lexa mi guarda con un sorriso. «Avviso subito David. Ho davvero bisogno di una serata con la mia amica. Mi sei mancata. Se rimango ancora a casa sua rischio di impazzire. Pensa che ha nascosto tutti gli alcolici. Come se potessi davvero bere nella mia condizione.»
Trattengo una risata nel notare la sua espressione corrucciata. Una ragazza ci interrompe trascinandomi verso il loro capo. Mister Marshall come sempre non avvisa dei suoi progetti mentali e spesso pago io le conseguenze.
«Ho saputo che al momento non hai nessun lavoro a parte quello che Lexa ti ha offerto come sua manager temporanea.» Esordisce con un sorrisetto furbo sul viso.
Deglutisco e confermo. «Attendo delle risposte ma si, per il momento non ho nessun altro impiego.» Fisso le punte delle scarpe.
«Allora potrebbe interessarti un extra», si alza dalla sua sedia colorata e mi raggiunge mettendo le mani sulle mie spalle. «Abbiamo bisogno di una modella come te per un servizio fotografico particolare. Sponsorizzare un marchio di cosmetici conosciuto. Abbiamo molte idee in merito e se sei disponibile possiamo iniziare.»
Lexa mi guarda entusiasta e mi incita a provare. Non so cosa abbiano in mente ma ora come ora, mi servono gli extra per tirare avanti e anche delle distrazioni. Accetto anche se titubante.

Mai fidarsi delle idee di mister Marshall continuo a ripetermi. Mi ritrovo in una vasca seminuda e per fortuna coperta dalla schiuma. Devo tenere un mascara in mano e truccarmi mentre sorrido alla telecamera. I primi scatti sono terribili perchè sono imbarazzata e impacciata. Lexa prova a risollevarmi il morale parlando delle sue disavventure e mi fa ridere ma non sono come lei: bella, diretta e sfacciata. Sono molto timida e questo non giova a mio vantaggio. Per fortuna inizio a sciogliermi quando dalla sala se ne vanno molte persone e rimaniamo solo in pochi. Inizio anche a sorridere per davvero davanti all'obbiettivo.
«Perfetta. Per oggi va bene così. Ci vediamo domani. Passate una buona serata dolcezze.» Mister Marshall sembra entusiasta e se ne va fischiettando. Cerco di ricompormi. Mi asciugo e dopo avere aiutato Lexa, usciamo dal lavoro.
«Dovresti guidare la mia auto. Non posso lasciarla qui.»
Lexa mi porge le chiavi e speranzosa si sistema subito sul lato del passeggero massaggiando la sua pancia. Tento di non guardarla mentre parto lentamente alla guida della sua cabriolet. Sono agitata perché non ho mai guidato in città. Per fortuna mi rilasso in fretta grazie alla mia amica che ripone molta fiducia su di me e mi distrae parlando. Ci fermiamo per prendere le pizze e schifezze di vario genere visto che ne abbiamo voglia entrambe e andiamo a casa mia dove ci sistemiamo sul divano e guardiamo parecchie puntate di Stitchers, una serie tv che ci piace.
«Inizialmente eri come lei, Kirsten.» Pulisce le mani e sorseggia la sua acqua.
«Quando sono arrivata ero intenzionata a dedicarmi solo a me stessa e invece... Ecco dove sono arrivata e come mi ritrovo.» Sorrido con amarezza e mando giù un altro boccone di pizza.
«Sei una ragazza che quando si apre al mondo ama tanto e senza limiti. Purtroppo nella vita hai vissuto situazioni brutte e sei cresciuta da sola. Ma sai che cosa penso no? Che sei meravigliosa così come sei. Con le tue stranezze e la tua dolcezza infinita. Sono fortunata ad averti incontrata, ti voglio bene.»
Non so se siano i suoi ormoni a mille o altro ma la abbraccio e asciugo più volte le sue lacrime. Si commuove per tutto anche senza motivo. Dopo cena noto che si è appisolata. La sistemo comoda sul divano, metto una coperta per non farle sentire freddo, ripulisco la cucina, spengo la tivù e mi richiudo in camera.
Non ho sonno così cambio le lenzuola e rimetto in ordine i vestiti dentro l'armadio. Trovo un vecchio quadro pieno di post-it e sedendomi per terra a gambe incrociate continuo a fissarlo. Un anno fa ero organizzata al massimo. Non avevo tempo da perdere perchè tutto ai miei occhi aveva importanza. Cercavo di fare nuove esperienze, di non chiudermi, di divertirmi, di diventare qualcuno. Sembra un passato un bel po' di tempo da quando ho iniziato la lista estiva e le cose da allora sono cambiate parecchio.
Lo schermo del telefono si illumina. Sorrido e rispondo rimettendo in ordine il quadro.
«Ti pensavo. Passata una buona giornata?»
«Uhm, fammi pensare. Mi sono svegliata tardi, ho rimesso in ordine l'appartamento, sono andata al lavoro e poi a casa con la mia amica che ha vomitato per gran parte del tempo. Credimi, non voglio avere bambini. È terribile!»
Ethan ride. «A quanto pare mi è andata meglio. Oggi solo due arresti e un caso risolto. Niente vomito.»
«Decisamente meglio della mia.» Sorrido. «Come stai?»
Sospira. «Posso mentire?»
«No»
«Annoiato, un po' distratto e parecchio solo. Per il resto sto bene. Tu come stai?»
Ci rifletto su un momento mentre mi sistemo sul letto. «Non so di preciso come sto. Non sto poi così male come mi aspettavo ma non sto nemmeno bene per come vorrei.»
Segue un momento di silenzio interrotto dai nostri respiri. «L'hai rivisto?»
«Si è presentato con la cena abbiamo parlato e poi mi sono addormentata. Quando questa mattina mi sono svegliata lui non c'era e non ha cercato di contattarmi. Credo stia prendendo sul serio la questione del "non opprimermi".»
«So solo che se ti fa stare male se la vedrà con me. Adesso dimmi che sei sotto le coperte.»
«Si signore», lo prendo in giro. «E sono pronta ad ascoltare una delle tue bellissime storie.» Sorrido come una scema e abbraccio il cuscino.

Il giorno arriva troppo in fretta. Mi stiracchio e dopo avere rifatto il letto mi reco in cucina. Trovo Lexa ancora sotto il plaid. Dorme profondamente e non ho nessuna intenzione di svegliarla e farmi urlare contro. Conosco la mia amica e so che non si può svegliare quando non c'è un motivo preciso.
Qualcuno bussa alla porta. Non aspetto nessuno a quest'ora. Curiosa vado ad aprire e trovo Parker. Che ci fa qui? Non dovrebbe essere al lavoro. Alza il sacchetto con la colazione e quando lo faccio passare si reca subito in cucina. Nota Lexa ma essendo una persona abbastanza rispettosa e comprensiva, cerca di fare il minor rumore possibile mentre sistema la colazione sul ripiano e mi fa cenno di sedermi.
«Non dovresti essere a lavoro?», bisbiglio prendendo il piatto che mi sta porgendo.
Sistema due waffles nei piatti, si stringe nelle spalle e risponde: «Il capo può avere impegni più urgenti. Tipo fare colazione con una ragazza a cui tiene.»
«Pensavo ci si assentasse per motivi più importanti che sfamare una ragazza a cui si tiene. Tipo: febbre, malori improvvisi...» sorseggio il tè caldo riscaldandomi lentamente.
Parker sorride e i suoi occhi chiari si accendono. «Il capo potrebbe essere venuto per invitarti a cena. Che ne dici?»
Mi blocco e lo guardo per un momento insicura. Arriverà in ritardo al lavoro per invitarmi a cena? Cosa gli passa per la testa?
«Dico che sarebbe bastata una chiamata.» Balbetto arrossendo. Che diavolo mi prende? E' Parker, lo conosco. Non posso reagire in questo modo stupido e immaturo. Quando caccerò via la mia timidezza?
«Vale la pena chiedere di presenza le cose alla persona che si ama non credi? Un messaggio sarebbe stato impersonale e a me come sai, piace molto parlare faccia a faccia.»
Annuisco e sorseggio altro te' nel tentativo di nascondere il mio imbarazzo di fronte ai suoi occhi attenti e ardenti. «Dove andiamo?»
«Lo saprai a cena. Passo a prenderti per le otto.» Si rialza dallo sgabello, stampa un bacio sulla mia tempia e se ne va.
Quando la porta si richiude, Lexa emette un mugolio sommesso. La sua testa sbuca dal divano e i suoi occhi assonnati si aprono lentamente. Un sorriso aleggia sulle sue labbra. «Appuntamento romantico?»
Sospiro. «Vieni a fare colazione spiona!»
Ridacchia raggiungendomi in fretta. «È stato carino a presentarsi qui no?»
Annuisco ancora rossa in viso. «Spero non abbia aspettative. Mi sentirei parecchio in colpa dopo quello che ho fatto...» Faccio una smorfia e ripulisco il bancone mentre la mia amica fa colazione e risponde a qualche messaggio con un sorriso dolce sulle labbra. Mi metto a braccia conserte e la osservo curiosa.
Alza un sopracciglio accorgendosi che la sto fissando. «Che c'è?», domanda.
«Sei proprio cotta!» Adoro punzecchiarla perché so come reagisce. «A proposito, ho un regalino per te», corro a prendere i regali presi per lei a Las Vegas e glieli porgo. Mi guarda sorpresa e quando scarta la scatolina strilla di gioia nel vedere la piccola tutina rosa e il berretto con le orecchie. Nelle altre ci sono anche il biberon a forma d'orso, il ciuccio e un set per il bagnetto.
«Grazie. Sono meravigliosi!»
Dopo la colazione, David passa a prendere Lexa per assicurarsi che non guidi e sia incolume. I due mi avvertono che non ci saranno per il weekend. Auguro loro una buona giornata. Abbraccio la mia amica la quale mi ringrazia ancora per i regali e la guardo andare via con il suo uomo.
Anya mi chiama per pranzare con lei così le chiedo di vederci direttamente al ristorante durante la mia pausa lavorativa, ed è anche il posto dove ho il mio appuntamento settimanale con il piccolo Jason. Non vedo l'ora di abbracciarlo e di parlare con lui di alcune serie tv come Arrow e The Flash. Non vedo l'ora di rivederlo e portarlo al parco, a prendere un gelato, a pattinare.

Il lavoro va avanti che è una meraviglia. Questa volta siamo solo io, il capo e il fotografo. Forse Mister Marshall ha capito che mi sento a disagio quando mi guardano. Finisco il servizio fotografico e pubblicitario dei cosmetici, mi rivesto e dopo avere salutato tutti esco dall'ufficio.
Anya e Jason arrivano nello stesso istante. Si sorridono e poi passo alle presentazioni. Saluto il padre che siede con la matrigna a distanza e poi ordiniamo il pranzo. Chiacchieriamo di fumetti, musica, telefilm. Anya sembra incantata quanto me dal piccolo. È molto intelligente e non si può non amarlo. Le sue fossette mi ricordano tanto Ethan. Inizia anche a mancarmi anche se cerco costantemente di non pensare a lui. Parlo loro della cena organizzata da Parker e i due iniziano a battibeccare perché Anya ovviamente sta dalla parte del fratello e vorrebbe che lui si desse una mossa a trasferirsi mentre Jason che più o meno conosce Parker tifa per lui. Chissà se cambierebbe idea se conoscesse anche Ethan.
Dopo pranzo ci spostiamo in centro per un po' di shopping e di spesa. Riempiamo le buste e ci divertiamo a scattarci delle foto ricordo. Anya è sempre bellissima e divertente soprattutto vivace. Ho sempre amato questo suo lato. Mi mancava ritrovarmi con lei. Ora avrò più tempo a disposizione per vederla e non ci separeranno più i molti km di distanza o l'amarezza per le bugie raccontate in fin di bene. Come è strana la vita.
Riportiamo Jason dai suoi genitori e poi ci incamminiamo verso casa. Anya insiste perché possa aiutarmi per l'appuntamento. Le permetto di rimanere in casa solo perché so che si sente sola perché qui oltre a Mark non ha nessuno dei suoi amici. Ha preso bene la storia del trasferimento e in parte sono contenta per lei.
Siede sul bordo del letto e mi guarda mentre mi vesto e mi preparo per la cena. Indosso un paio di jeans aderenti e una maglietta comoda con una giacca elegante sopra. Tacchi alti, trucco leggero, intreccio i capelli di lato e faccio una giravolta.
«Bellissima! Sai, mi sarebbe piaciuto vederti mentre ti preparavi per mio fratello. Avresti messo la camera sottosopra per l'agitazione. Con Parker sembra così...», cerca la parola.
«Semplice?», replico vedendola indecisa. Anya annuisce con una smorfia. «Non è una cosa brutta anzi, credo sia bello vivere tranquilli con qualcuno ma dove è l'avventura? Dove l'adrenalina? Dov'è l'ansia di vederlo?»
Le sue parole mi colpiscono. «Ci sono ma tu non le vedi perché sei solo arrivata ora.» Mordo subito la lingua scusandomi. Ultimamente riesco proprio ad essere una grandissima stronza. Anya ribatte che è stata lei ad iniziare. Le do i regali e finisce lì il discorso quando vede i pacchetti colorati e li scarta con un sorriso meraviglioso sulle labbra. Mi abbraccia con forza e strilla come una ragazzina di fronte a quei piccoli pensieri per il nascituro. Chiama subito Mark e invia le foto tutta sorrisi a sua madre e a suo padre. Ammetto che mi ha aiutato Ethan e lei si immobilizza prima di sorridere raggiante. Non fa trapelare i suoi pensieri a riguardo ma so esattamente dove deragliano.
Prendo le ultime cose, saluto la mia amica e scendo al pian terreno dove Parker mi sta aspettando appoggiato alla sua auto sotto il cappotto nero, rigido per il freddo e un sorriso dolce sulle labbra. Mi avvicino a lui che apre la portiera per lasciarmi sedere. Mette in moto e avvia un po' di musica. Parte Talking to the Moon di Bruno Mars una canzone che adoro.
«Dove andiamo?»
«Le sorprese con te non valgono eh?», scuote la testa ma continua a sorridere. Sa che odio le sorprese. È rilassato e non è affatto agitato mentre io al contrario inizio a sentirmi in ansia.
Quando ci fermiamo nel garage del suo palazzo, lo guardo una sola volta per capire cosa abbia in mente ma non faccio domande, non servirebbe a niente, ormai questo lo so perfettamente. Saliamo all'ultimo piano. L'appartamento è come lo ricordo: grande, arioso, stile moderno e raffinato, essenziale. Siedo rigida sul divano dopo avergli dato il cappotto e mi guardo smarrita attorno. La cosa brutta dell'essere in via di rappacificazione è proprio questa: il momento in cui si tenta di tutto pur di far funzionare le cose e non sai mai se sarà abbastanza o se farai la cosa giusta. Io mi sento parecchio insicura quando si tratta di Parker. Le sue reazioni sono imprevedibili tanto quanto le mie.
Tornato in soggiorno mi fa cenno di seguirlo in cucina. Ritrovo sul bancone degli ingredienti. Nel notare la mia espressione ride. «Pensavo ti piacesse l'idea di cucinare con me. Come vedi ho già sistemato tutto per agevolare i tempi.» Prende una padella e inizia a tagliare i pomodorini. Dopo un attimo di esitazione, giro il bancone e lo aiuto con le verdure grigliate. Ci passiamo gli ingredienti, sorridiamo come dei bambini invaghiti, ci sfioriamo schiarendo la voce più volte.
«Ed ecco la nostra cena!»
Batto le mani mentre mi serve la cena che abbiamo cucinato insieme. Attendo che si sia seduto e assaggio il piatto pieno di verdure grigliate dall'aspetto invitante. L'odore basta per far salire l'acquolina in bocca. È davvero buona.
«Ti piace?»
«Molto», biascico in estasi. Se c'è una cosa che adoro mangiare sono proprio le verdure soprattutto se accompagnate dall'aceto balsamico.
«Cosa hai fatto oggi?»
Inizio a raccontare della giornata dopo che lui è andato via. Parlo di Jason e di quanto io mi sia affezionata a lui. Della reazione di Anya e Lexa di fronte ai regali.
«Vuoi davvero bene a quel piccoletto. Mi piacerebbe pranzare con voi uno di questi giorni.» Mangiucchia un po' di pane.
«Vuoi...», batto le palpebre incredula e deglutisco a fatica. Perchè sembra folle? «Vuoi pranzare con noi?» domando ancora balbettando.
«Si, sempre che non sia un problema per voi. Vorrei conoscere meglio il ragazzino che ti rende così felice quando lo vedi. Ho giocato con lui solo una volta ma si, mi farebbe davvero piacere.»
Abbasso lo sguardo sul piatto. Non capisco se lo sta dicendo perché lo pensa o è solo perché vuole controllarmi. Inspiro e poi mi ricompongo. «Non vedo perché no. Ti farò sapere quando ci vedremo. Di solito capita il venerdì ma ci sono giorni in cui chiama e usciamo per andare da qualche parte.»
«Perfetto allora», sorride e si rialza per portare i piatti in cucina. Ritorna con due coppe di macedonia e gelato. «Possiamo spostarci con questi in soggiorno se ti va di vedere la tivù.»
Accetto e lo aiuto a sistemarci sul divano con il piccolo tavolo davanti e la tivù enorme a schermo piatto sulla parete. Le immagini sono nitide e spettacolari. Mi sento come al cinema e forse ho lo sguardo da bambina perché Parker continua a guardarmi e a sorridere in modo dolce e rassicurante. Non che mi dia fastidio certo ma, preferisco quando parla e brontola. I suoi strani silenzi hanno sempre dei perchè. Vorrei poter leggere nel pensiero in questo momento.
Tolgo i tacchi e infreddolita sistemo i piedi sotto il sedere. Parker se ne accorge e mi offre subito un plaid che sistemo sulle nostre ginocchia in lungo. Sceglie il canale sportivo e rimane a fissare la partita di football incantato. Mentre osservo i suoi occhi e il suo sguardo rapito dalle azioni dei giocatori, mi rendo conto che in qualche modo è vero che siamo fatti di ombre e luci. Ho conosciuto entrambe in Parker ma le ombre che stringono il suo cuore, lo rendono ai miei occhi il ragazzo migliore che io abbia conosciuto. Conoscendo la tristezza, la sofferenza, il vissuto presente o passato, ci avviciniamo alla persona e al suo cuore sentendo un legame diverso. Le esperienze negative formano una persona, la temprano e la rafforzano nel profondo. Parker ha il suo lato oscuro e viene fuori quando si ferma e ripensa a quanto ha dovuto rinunciare nella vita.
Si volta e con un braccio attorno alle mie spalle mi avvicina a sé. Mangiucchio la frutta e mi rilasso mentre sento pulsare i battiti del suo cuore sotto pelle e aumentare d'intensità. Inizia anche a seguire la partita con più partecipazione ed eccitazione e mi coinvolge perché non capisco molto e mi ritrovo a fare domande su domande e lui risponde senza esitazione con una passione tale da farmi tremare le vene ai polsi. Mi si stringe il cuore per lui.
Durante la pausa del primo tempo si alza per sgranchirsi le gambe. «Prendo della birra e qualche schifezza.» Sparisce dal soggiorno.
Mordo il labbro e guardo il quadro accanto alla tivù. Un piccolo campo di spighe particolare. Mi domando perché stia proprio in quella posizione e in un ambiente così moderno. Parker mi becca a contemplarlo. Distolgo lo sguardo per evitare domande. A volte mi perdo per come facevo un tempo.
Si risiede accanto a me poggiando sul tavolo due birre e dei pacchi di patatine e schifezze di vario genere. Mi domando se aveva previsto questa serata nei dettagli o sia stato un caso che ci sia la partita e anche io in casa sua. Ma conoscendo Parker niente è lasciato al caso.
Mi trascina nuovamente contro il suo petto e continuiamo a guardare la partita.
«Touchdown. Siii un mito!», esulta.
Ridacchio stringendo il plaid fin sopra il mento. Notando la mia espressione contrae la mascella e lascia ricadere le braccia. «Scusa, mi lascio prendere dalla mano. Non volevo farti annoiare. So che non capisci molto di questo sport.»
«No, no. E' divertente ho capito l'azione che ha fatto il giocatore. Se non erro ha ottenuto parecchi punti ricevendo quel passaggio al volo all'interno dell'area di metà o end zone?», sorrido timida quando mi guarda spalancando la bocca. «Sono stata attenta».
Sulle sue labbra spunta un sorriso tutto denti e si complimenta. «Non pensavo ascoltassi per davvero. Solitamente le ragazze lo fanno più per cortesia e per non dare nell'occhio.»
«A me interessa sapere perchè ti piace questo sport. Per farlo devo sapere le regole e tutto il resto.» Prendo un sorso della birra che tiene tra le mani.
Inarca un sopracciglio e scuote la testa. «Sei sempre una sorpresa», sussurra con lo sguardo verso la tivù prima di stringermi a sè.
Rannicchiata tra le sue forti braccia, chiudo gli occhi mentre seguo i battiti del suo cuore e il lieve rumore del suo respiro caldo. Cado in un mondo silenzioso e buio, un mondo lontano e tranquillo. La quiete però cambia improvvisamente e mi ritrovo intrappolata. Mi agito e non riesco ad urlare.
«Emma?»
«No, no, no. Ti prego no.» Stringo le palpebre e continuo ad agitarmi.
«Emma, svegliati. Ti prego, svegliati!»
Non riesco a muovermi. Attorno aria di gomme bruciate e sangue. Fa freddo, troppo. Sento un rumore assordante e un urlo agghiacciante.
Spalanco gli occhi e mi alzo a metà busto. Tremo e sono sudata. Non riesco a respirare bene e il petto fa malissimo. Ho il plaid attorcigliato tra le gambe e sono sul divano, sola.
Parker accende la luce. È a torso nudo e mi sta fissando, lo sguardo allarmato, corre subito davanti a me indeciso su cosa fare. Mi getto tra le sue braccia e scoppio in lacrime. Non di nuovo. Non di nuovo. Non è possibile! Sono tornati.
«Shhh, va tutto bene. Era solo un brutto incubo. Tieni, bevi un pò d'acqua.»
Affannata mando giù tutto il bicchiere d'acqua accorgendomi di avere la gola secca. Tremo ancora e non riesco a fermare l'angoscia dentro.
Si sistema sul divano e mi abbraccia da dietro stampandomi un bacio sulla testa. «Ci sono io. Non è successo niente piccola. Va tutto bene.»
Scuoto la testa. «Sono tornati», sussurro agitata e con voce arrochita dal pianto.
«Ehi, guardami». Mi costringe a girarmi. Mi ritrovo davanti a lui. i suoi occhi lucidi e accesi. «Non sono tornati.» Prende il mio viso tra le mani e lo avvicina al suo viso. Stampa un piccolo bacio sulla mia tempia e poi mi abbraccia. «Chiudi gli occhi e fai piccoli respiri. Andrà tutto bene.»
Seguo il suo consiglio e provo a recuperare il respiro. E' stato un trauma rivivere lo stesso sogno a distanza di mesi. La cosa non mi piace affatto. Mi rende nervosa, mi preoccupa. Non voglio assolutamente ricadere nel vortice delle mie paure profonde. Pensavo di averle superate ma ho soltato arginato il problema. Non capisco cosa abbia innescato di nuovo tutto questo. Non riesco a comprendere cosa sta per succedere. Per fortuna e grazie alle attenzioni di Parker riprendo sonno e quando sogno, non c'è più traccia di paura, di ansia, di angoscia.

N/A:
~ Ciao principesse!!!
Come state? Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Non so cosa sia successo ieri, spero siano arrivate le notifiche dei due capitoli che ho pubblicato. Ho problemi con wattpad. Come sempre perdonatemi per gli errori.
Emma ha riavuto un brutto incubo dopo tanto tempo, come reagirà nei giorni a venire? Parker si abbatterà o lotterà per riconquistarla? (Non sono pucciosi insieme 😍) Cosa farà Ethan? (Escogiterà qualcosa, me lo sento! 😂)
Ps: Oggi spero di riuscire a pubblicare la nuova storia. Se vi va passate a dare un'occhiata (è un thriller/storia d'amore).
Non mi dilungo troppo. Al prossimo aggiornamento!!! :* ~

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