Capitolo 2

ATTENZIONE
In questo capitolo sono presenti scene esplicite e linguaggio forte. (Se non volete non leggete!)

Seduta ad un tavolo in disparte, osservo tutto ciò che mi circonda. La cameriera lascia una bottiglia d'acqua e un piatto di pasta dall'aspetto invitante sul tavolo e se ne va. Ringrazio e assaggio subito. Le mie papille ringraziano estasiate.
Un bambino al tavolo accanto, frigna perché il padre troppo impegnato a parlare al telefono non lo degna di uno sguardo e la madre invece è troppo impegnata a parlare con la sua amica per accorgersi che il figlio ha solo bisogno di un sorriso e di un buffetto per sentirsi amato. Mi si stringe il cuore per lui. Vorrei fare qualcosa per non farlo sentire in quel modo. Lo leggo nei suoi occhi che si sente messo da parte.
La coppia di anziani accanto li osserva scuotendo la testa. Sono chiaramente indignati dal loro comportamento.
Il bambino decide di scendere dalla sedia e inizia a camminare tra i tavoli curiosando. Si avvicina al mio e si siede con in mano il suo foglio e i colori. Gli rivolgo un sorriso rassicurante e lui si rasserena. Chiedo alla cameriera un bicchiere di succo di frutta per lui. Il bambino guarda il bicchiere diffidente poi vede che sto bevendo e mangiando e mi imita scostando il disegno.
«Come ti chiami?», domanda.
«Emma e tu?»
«Jason. Sei una dottoressa?», indica la ventiquattrore.
«No, lavoro in uno studio. Sei molto bravo a disegnare», sorrido come una ragazzina indicando l'album e i suoi disegni. Ho sempre adorato i bambini. Andavo d'accordo con la mia sorellina Elly e non passa giorno in cui lei non mi manchi.
«A loro non piace. Dicono che disegno solo mostri!»
«Sono belli. Me ne regali uno?»
Quando sorride gli spuntano due graziose fossette sulle guance. Corre al suo tavolo prende uno dei disegni e torna a sedersi di fronte a me passandomi il foglio dove c'è disegnato un dinosauro molto realistico. Stringo il disegno al petto e ringrazio il bambino.
Ordino per lui hamburger e patatine e termino il mio pranzo. Continuo a guardarmi attorno mentre il bambino mangia tranquillo e i genitori non sembrano affatto preoccupati.
Fuori è una bellissima giornata di sole, parecchi pedoni attendono sul marciapiede per passare dalle strisce e raggiungere il lato opposto della strada. La porta del ristorante emette il tipico tintinnio quando si apre e delle voci maschili riecheggiano alte nell'ambiente.
Oggi l'ufficio era quasi deserto al mio arrivo e non ho avuto poi così tanto lavoro da fare infatti ne ho approfittato della pausa pranzo per venire in questo posto tranquillo, lontano da occhi indiscreti. Inoltre qui si mangia bene. Parker è impegnato in tribunale e quando lui non c'è molti si prendono una giornata libera. Le cose tra me e lui non vanno poi così bene anzi a dire il vero da quando siamo tornati da New York, non vanno affatto. Non vuole parlarmi e non riesce a guardarmi negli occhi. Sono stata male per tutta la settimana e ho dovuto trovare delle nuove distrazioni.
«Emma?»
Guardo il bambino bevendo dell'acqua. «Si?», chiamo la cameriera per il dolce. Mi fa piacere mangiare con qualcuno anche se quel qualcuno è un bambino estraneo. Sempre meglio del sedersi ad un tavolo da sola in un ristorante pieno ed essere continuamente osservata dagli uomini d'affari che sembrano degli avvoltoi.
«C'è un signore che continua a fissarti. È tuo marito?»
Trattengo una risata guardandomi attorno per capire a chi si riferisce. I miei occhi saettano in sala e si posano sulla figura alta e slanciata a pochi metri di distanza dal tavolo. Occhi chiari, fisico asciutto, elegante, capelli biondo scuro, un filo di barba. Bellezza sfacciata. Cosa ci fa in questo posto?
«Non sono sposata».
La cameriera porta della torta al cioccolato golosissima e Jason strilla eccitato facendo voltare alcuni ragazzi. Sorrido loro imbarazzata e coinvolta dalla gioia del piccolo, assaggio la torta ed esprimo la mia approvazione.
Parker siede in compagnia di alcuni ragazzi. Non l'ho mai visto con i suoi colleghi. Ridono e chiacchierano animatamente riempendo il locale dei loro discorsi.
«Ti ho già vista da qualche parte», biascica il bambino imbrattandosi il viso di cioccolata.
«Ah sì?», inarco un sopracciglio e pulisco con un tovagliolo la sua bocca. Il telefono vibra e per non turbare Jason come hanno fatto i suoi, non lo guardo nemmeno. Chiunque sia, può aspettare.
«Non rispondi?»
«No, non è importante. Parlami dei tuoi eroi preferiti?», allontano il piatto vuoto e poggio i gomiti sul tavolo guardandolo attentamente.
Il bambino si illumina e inizia a raccontarmi storie assurde sui cartoni che vede. Ridacchio quando imita i suoi preferiti mostrandomi i disegni. È davvero bravo.
Scopro che ha nove anni, intelligente appartenente ad un ceto abbastanza elevato, non ha tanti amici, ama disegnare.
«Ti va dell'altra torta?»
«Un gelato?»
«Affare fatto!» metto il palmo davanti e lui mi da il cinque.
Intanto i suoi genitori continuano indisturbati.
La cameriera porta i nostri gelati e Jason sorride radioso guardando la maxi coppetta e ringraziandola prima di ringraziare anche me. «Questi li offre quel ragazzo», lo indica.
Parker sta chiacchierando e i nostri sguardi si scontrano. Arrossisco e alzo la coppetta per ringraziare. Non parla ma agisce, tipico penso subito.
«Se non è tuo marito allora chi è? Credo di averlo visto da qualche parte...», Jason aggrotta la fronte iniziando a pensare.
Questo mi fa ridere. «Se ti rivelo un segreto mi prometti che non lo dirai a nessuno?»
Annuisce e fa il cenno di bocca cucita. «Mi hai visto nei cartelloni pubblicitari perché sono una modella di notte e una segretaria di quel ragazzo li di giorno».
Jason sembra coinvolto dalla conversazione e ha la bocca spalancata. «Non è il tuo ragazzo ma è il tuo capo... Ti guarda però in modo strano.» Ridacchia divertito.
«Jason!», una voce femminile ci fa voltare di scatto.
La madre se ne sta in piedi con le mani sui fianchi spazientita. Il bambino abbassa la testa e la raggiunge timido.
«Mi dispiace se l'ha disturbata signorina. Mi dica quanto le devo per il pranzo.» La donna prende il portafoglio. «Sono davvero mortificata.»
«No, no, non si preoccupi. Ha un bambino meraviglioso!», sorrido guardando Jason che intanto abbozza un sorriso triste.
La donna non sembra ascoltarmi. «Non è mio figlio! È il moccioso del mio compagno. Gli piace disturbare le persone tranquille.»
Si spiega perché non lo degni di uno sguardo mi verrebbe da dire ma tengo a freno la lingua. Non sopporto questo tipo di donne. È un bambino e ha bisogno comunque di attenzioni. Jason sembra intristito. Mi si stringe il cuore per lui. Capisco come ci si sente quando si è soli.
«La ringrazio per non avere chiamato il direttore. Jason sa essere un vero rompiscatole!», sbuffa ancora la donna con un sorriso.
«Oh no, è stato educato. Non si preoccupi.» lancio uno sguardo al bambino. «Venite spesso in questo posto?», domando in fretta.
«Tutti i venerdì e qualche altro giorno in settimana.»
«Potrei tenerlo d'occhio io mentre pranziamo se non è un problema per voi.»
La donna si illumina. Certo che le piacerebbe scaricare quel povero bambino ad una sconosciuta anzichè amarlo e coccolarlo come se fosse suo. «Sarebbe una buona idea! Ne parlerò con il mio compagno. Andiamo Jason ringrazia e saluta la signorina!»
Jason mi si avvicina per abbracciarmi cogliendomi di sorpresa. «Grazie, spero di rivederti», sussurra.
Gli scompiglio i capelli e lo guardo mentre raggiunge suo padre impaziente e se ne vanno dal locale.
Richiedo il conto e mi avvio all'uscita.

Il telefono vibra nuovamente. È Lexa e mi affretto a rispondere prima che chiami la guardia nazionale e sguinzagli i cani per trovarmi.
«Era ora. Dove sei?»
«Ero a pranzo!»
«Di solito rispondi, con chi sei?»
«Pochi minuti fa in compagnia di Jason», le rispondo con un sorrisetto. So che questo susciterà la sua curiosità così decido di prenderla un pò in giro.
«Chi? Cosa? Hai incontrato qualcuno? Com'è?», strilla eccitata.
Alzo gli occhi al cielo. «Direi basso, due fossette adorabili, due occhi nocciola grandi, bravo nel disegno...»
«Oddio un pittore? Ti farà un quadro nuda in stile Titanic! Hai capito lei...»
Scoppio a ridere. «Quando crescerà forse farà strage di cuori. È un bambino adorabile.»
«Un momento. Cosa? Un bambino? Jason è un bambino? Che delusione...»
Sembra effettivamente delusa e rido più forte. «Si, si è seduto al mio tavolo dopo che suo padre lo ha ignorato per gran parte del tempo e la matrigna era troppo impegnata a spettegolare con l'amica. Abbiamo chiacchierato e mangiato. È stato piacevole e istruttivo!»
«Solo tu Emma puoi dire una cosa del genere. Ti invidio! Comunque chiamavo per domani. Vieni vero?»
«Passi da me per pranzo?»
«Affare fatto! A domani!»
Mi volto troppo in fretta e sbatto contro qualcuno. «Mi scusi», alzo lo sguardo e sgrano gli occhi. Parker mi guarda con un sorriso da bastardo ma non è solo. Con lui ci sono anche altri due ragazzi che avevo visto in sua compagnia al ristorante. Ci guardano e sorridono a loro volta.
«Tutto ok?»
«Si», mi faccio da parte per farli passare.
«Chi era quel bambino?», fa una smorfia quando i suoi amici bisbigliano. Hanno capito che ci conosciamo e a breve mi riconosceranno quando toglierò gli occhiali da sole e risponderò per le righe al loro amico che improvvisamente mi parla.
«Un bambino?», rispondo sarcastica.
«Lo conosci? È un tuo parente? Non credevo avessi parenti qui...»
«No, Jason è un bambino che si è seduto al mio tavolo. Non credo sia importante questo interrogatorio quindi me ne ritorno in ufficio. Buona giornata signore!», giro sui tacchi e mi incammino.
«Emma?», mi afferra per il braccio facendomi voltare. «Perché mangiava con te se non lo conoscevi?»
I suoi amici si stanno proprio godendo il dibattito anzi lo spettacolo. Ridicoli. Spettegoleranno peggio di due ragazzine ad una festa, penso subito.
«Non credo di doverti delle spiegazioni in merito! Posso pranzare con chi mi pare anche con un bambino che viene ignorato dalla sua famiglia e si siede al mio tavolo per avere le attenzioni che merita. Non dovresti neanche spiarmi visto che non ne vuoi più sapere niente di me e da un mese mi eviti come la peste! Sai che ti dico? Torna dai tuoi amici che si stanno godendo lo spettacolo, io non ho più niente da dirti!», scrollo la sua mano e me ne vado.
Entro in ufficio nervosa, supero la reception dove Tea prova a rivolgermi la parola e mi richiudo nel mio quadratino sbattendo la porta. Non ho molto lavoro da fare quindi chiamo di nuovo Lexa per raccontarle la reazione di Parker. Scoppia a ridere perché pensa che lui sia solo geloso delle attenzioni che dò a tutti tranne che a lui in questi giorni. Preciso però che è stato lui a distaccarsi da me e lei su questo non ribatte perchè mi sto solo comportando di conseguenza. So che lei è sempre dalla mia parte.
«Potrebbe irrompere nel tuo ufficio e iniziare ad urlare», ipotizza.
Al pensiero mi si gelano le vene. Sto per risponderle quando la porta si spalanca davvero ed entra il diavolo in persona. «Ti richiamo!»
Richiude la porta sbattendola e i vetri tremano.
«Tranquillo strappa pure i cardini già che ci sei!», brontolo mettendomi comoda sulla sedia e incrociando le braccia.
«Posso anche gettare tutto a terra visto che è mio questo posto!», risponde irritato.
«Oh fa pure mister "io posso tutto"!», lo stuzzico.
«Emma... Evita!»
«Di fare cosa? È tuo questo posto no? Fanne ciò che vuoi. Puoi anche dargli fuoco per quel che me ne importa!», alzo il tono di voce.
Poggia i palmi sulla scrivania innalzandosi con sguardo rapace e freddo. Sento subito un brivido lungo la schiena quando si piega e il suo viso si fa vicino al mio.
«Che cosa vuoi?», sbotto alzandomi per evitare distrazioni.
«Voglio sapere che diavolo ti sta succedendo! Voglio sapere da quanto pranzi in quel posto da sola o in compagnia di quel bambino. Voglio sapere perché ti comporti come se davanti avessi un ostacolo da superare!»
Spalanco la bocca e sgrano gli occhi incredula. «Sei un grandissimo stronzo Parker! Una grandissima testa di cazzo!», urlo adirata. «Non sono io quella che evita ogni cosa. Non sono io quella che sparisce e da un mese si comporta in modo freddo e distaccato. Non sono io quella che cerca dei pretesti per litigare e per allontanarsi. Mi comporto di conseguenza da quando siamo tornati e tu sei cambiato!». Sono costretta a spingerlo via quando si avvicina troppo.
«Sono cambiato perché mi hai tradito!», urla talmente forte che sono costretta a stringere le palpebre soprattutto quando sbatte una mano contro la parete a poca distanza dalla mia testa. So perché lo ha fatto ma non ho potuto fare a meno di sussultare.
«Ti ho dato tutta la fiducia di questo mondo ma ne hai approfittato! Hai omesso un dettaglio importante e non riesco proprio a guardarti negli occhi per questo...», sibila a denti stretti. La vena del collo in evidenza, gli occhi infuocati, i pugni stretti.
«Io non ti ho tradito!», alzo il tono della voce più di lui. Capisco che in ufficio parecchie persone potrebbero ascoltare i nostri discorsi ma ormai il danno è fatto. Ha provocato lui tutto questo ed è inevitabile lo scontro.
«Si invece... Ma sei troppo codarda per ammettere che ci sei andata a letto!» Spalanca la porta ed esce infuriato.
Lo sento dare ordini e in breve attorno si crea un silenzio inquietante.
Scrivo a Lexa ed esco dall'ufficio furiosa. Non voglio rimanere un minuto di più in questo posto. Non me ne importa un accidente se mi licenzia. Troverò qualcosa da fare dopo la laurea.
Lexa si fa trovare fuori con la sua cabriolet. Salto su e ci dirigiamo in centro. Di punto in bianco scoppio. «È uno stronzo! Mi ha dato della traditrice. Ha detto che ho tradito lui e la sua fiducia. È convinto che io sia andata a letto con Ethan quella notte. Non capisco proprio se questo sia un pretesto per affibbiarmi la colpa e andarsene... Credi che abbia un'altra?», domando subito agitata. L'istinto mi dice di tornare indietro ma lo tengo a bada.
«Calmati Emma! Una cosa alla volta. Punto primo: non credo abbia un'altra altrimenti non irromperebbe nel tuo ufficio come un pazzo geloso. Ti ricordo che lo ha fatto quasi scoppiare il vederti a pranzo con un bambino. Punto secondo: se è convinto che tu l'abbia tradito, cerca il modo di parlarne con lui, cerca il modo di farti ascoltare. Sono sicura che si sentirà in colpa per averti trattata in questo modo. Punto terzo: fatevi una scopata epica!»
Guardo la mia amica e poi scoppiamo a ridere. Lei risolverebbe tutto con il sesso e forse non ha poi così tanto torto visto che quasi tutti gli scontri finiscono dopo avere fatto sesso. Con lei so di potere essere davvero me stessa per questo mi trovo bene in sua compagnia. Cambio discorso e lascio che mi parli della sua storia con David. Le cose tra di loro vanno bene e mi piace il modo in cui lui la tratta facendola sentire speciale.
Il telefono inizia a squillare e lo stacco. È Parker. Non ho nessuna intenzione di farmi urlare ancora addosso. È stato davvero duro nei miei confronti soprattutto in questi giorni. Ho avuto bisogno di sostegno e lui non c'è stato per la convinzione sbagliata che ha di quella notte. Da un lato può avere ragione mentre dall'altro si sta sbagliando di grosso a causa della sua gelosia e del suo essere competitivo. Io lo amo e non posso negarlo ma sto iniziando a mettere in dubbio la nostra storia. Mentre prima mi sembrava una storia solida ora la situazione sembra essere cambiata.
Trascorriamo il pomeriggio a girare tra i vari negozi. Faccio pure la spesa per distrarmi.
Dopo essere passate da casa per cambiarci, ci rechiamo al locale, salutiamo David e prendiamo posto in uno dei tavoli liberi.

Come ogni venerdì, c'è una festa. Parecchi studenti con il bisogno di divertirsi, ubriaconi e gente che cerca un po' di sballo per scappare da una dura realtà o da una settimana difficile.
Ordiniamo da bere e aspettiamo. Lexa sorride come una scema a David che le fa cenno di un minuto. Devo trovare una distrazione. Non voglio fare loro da candela. Tamburello con le dita sul tavolo prendo il mio bicchiere e quando arriva David li lascio soli dirigendomi in pista. Bevo lentamente e ballo in mezzo alla folla. Non voglio ubriacarmi e stare male, voglio solo divertirmi.
Un ragazzo mi si avvicina. È carino. Biondo, occhi scuri, alto. Sembra uno di quei ragazzi che alle feste se ne stanno in disparte ad osservare prima di agire o gettarsi nella mischia valutando i pro e i contro, un po' come me.
«Ehi», urla per sovrastare la musica.
«Ehi», sorrido posando il bicchiere vuoto sul bancone.
«Posso offrirtene un altro?»
«Solo se poi vieni a ballare», rispondo.
Fa cenno al nuovo barman e brindiamo. Sono un po' imbarazzata. Non mi abituerò mai alle attenzioni da parte dei ragazzi. So che mi ha riconosciuta. Domani farà solo gossip. Balliamo per un paio di minuti poi sparisce perdendosi in mezzo alla calca. Un ragazzo cerca di prendere il suo posto e mi si stringe addosso. Avverto di nuovo la sensazione di fastidio e provo a mantenere le distanze. Chiudo gli occhi e cerco di controllare questa strana paura che è nata dal nulla. Le mani del ragazzo toccano i miei fianchi e mi ritraggo rabbrividendo.
«Non ti piace?», parla contro il mio orecchio. E' ubriaco fradicio e puzza d'erba.
«Non ti ho detto che potevi toccarmi o avvicinarti!», ribatto arricciando il naso.
Il ragazzo si piazza davanti attirandomi a sé. Lo spingo via nervosa. «Non toccarmi!», strillo.
Ghigna e mi afferra per i polsi. «Andiamo bella, è solo un bacio», passa la lingua sulle labbra provando ancora.
Lo spintono liberando i polsi. «Stammi lontano!»
«Hai sentito cosa ti ha detto?»
Mi volto e il mio cuore ha un sussulto prima di avere una strana accelerata. Parker fissa il tizio in modo feroce piazzandosi a poca distanza. Il tipo non si fa intimorire e facendo un passo verso di lui si ritrova faccia a faccia.
«Volevo solo divertirmi!», biascica.
«Vatti a divertire altrove e lascia stare la mia ragazza!», ringhia Parker stringendo i pugni.
Ah, ora sono la tua ragazza? Vorrei tanto chiedere ma mordo la lingua e traggengo ogni istinto che ho di strozzarlo. Al contrario metto una mano sul suo braccio. «Andiamo», provo a farlo allontanare prima che perda la pazienza e si rovini le nocche. So che il suo sguardo non promette niente di buono e spero che il ragazzo non lo provochi ulteriormente perché Parker sta proprio aspettando una prima mossa prima di colpire.
«Hai sentito la tua ragazza... dalle ascolto», ridacchia.
«Tu non hai sentito me!»
«Andiamo amico, volevo solo farmi un giretto non credo ti dispiaccia...», ride e poi lo spintona.
Parker non aspettava altro. Solleva il tipo per la camicia e lo sbatte contro il muro prima di colpirlo ripetutamente. Riceve anche lui un colpo lieve in faccia ma non molla la presa.
Urlo loro di smetterla e provo a fermarli ma ho paura di essere colpita perché sono furiosi. A loro si uniscono altri ragazzi e in breve il locale sembra una gara a chi riesce a colpire più forte. Per fortuna arriva David con uno dei buttafuori e Junior il fratello di Lexa. Trascina Parker nel suo ufficio mentre gli altri due si occupano del ragazzo e delle varie risse.
Lexa mi prende per un braccio e camminiamo dirette verso l'ufficio di David da dove provengono delle voci. Mi domanda scusa perché è stata lei a dire a Parker che stavo ballando e dove mi trovavo. Non ha agito in malafede e lo so.
«Non preoccuparti. Sarebbe scoppiato prima o poi», sospiro.
«David era intenzionato a dirgliene quattro per il modo in cui ti sta trattando. Ci conviene fermalo prima che si becchi la furia di Parker!»
«Non credo possa fare molto al riguardo. Ci penso io».
Busso alla porta più per abitudine che per educazione ed entrò nel piccolo ufficio di David. Trovo Parker con del ghiaccio sullo zigomo e David si interrompe.
«Credo sia meglio andare mister irascibile», afferro l'orlo della sua camicia e lo trascino fuori usando più forza del normale. Lexa mi manda un saluto veloce poi dice qualcosa a David prima di abbracciarlo.
Cammino furiosa verso l'uscita, una volta fuori lascio la presa e lo spintono incapace di trattenermi. «Sei impazzito? Ora ti metti a picchiare chiunque mi si avvicini? Potevo difendermi da sola. Che ne hai fatto di Parker Johansson?», sbotto continuando a camminare per strada.
«Non c'è più da quando tu lo hai tradito!», risponde freddo.
«Non ti ho tradito ripeto ancora una volta. Sei proprio cocciuto!», sbuffo e mi avvio verso casa.
«Allora che cosa hai fatto? Cosa hai fatto con lui per ore? Perché sei arrivata in lacrime? Te lo dico io perché: ti sentivi in colpa per avere commesso un grosso errore!»
Gli mollo uno schiaffo sonoro e scoppiando in lacrime scappo verso casa.

Entro in ascensore tra i singhiozzi. Arrivata al mio piano esco e appoggio la testa contro una delle pareti del corridoio boccheggiando.
Spalanco la porta e poi sento la sua voce. È affannato per la corsa ma raggiunge l'entrata prima ancora che io possa sbattergli la porta in faccia.
«Vattene!», strillo.
«No!»
«Esci da casa mia brutta testa di cazzo! Non hai capito un bel niente di me in questi mesi! Stai solo credendo ad una tua paranoia!», a passo spedito raggiungo la cucina.
«Non posso credere a te perché vi ho visti! Vi ho visti insieme e non hai la minima idea di come io mi sia sentito! Non hai idea della gelosia che ho sentito quando tu lo hai guardato in quel modo e sei corsa da lui senza pensarci un momento. Non hai idea della sensazione di fastidio che ho provato mentre piangevi per lui tra le mie braccia, tra le mie!», batte il pugno contro il bancone dell'isola. «Non posso accettare quello che hai fatto quella notte. Io non sono un ripiego! Non sono una distrazione!»
«Sta zitto!», urlo. «Tu non sai niente di quello che ho passato e di quello che ho fatto quella notte perché non me lo hai chiesto. Ti ho detto tutto per essere sincera ma a quanto pare: non è bastato. Io non sono andata a letto con lui. Abbiamo parlato di te e abbiamo chiarito quanto c'era da chiarire, per non avere rimpianti, per non rimanere ancorati al passato, per andare avanti con le nostre vite, separati. L'ho baciato, è vero, e questo lo sai che l'ho fatto ma non è successo niente oltre questo! È stato rispettoso e io non avrei mai potuto tradire te! Perché ti amo Parker! Puoi anche non credermi. Continua pure, roviniamo tutto per una stupita paranoia.» Prendo aria e poi continuo: «ho sempre pensato che tu fossi il mio presente, il perno che regge la mia vita saldamente e continuo a pensarlo come una stupida. Avrei potuto usare una scusa e scappare insieme a lui ma non l'ho fatto e sai perchè? Perchè ho pensato subito a te, perchè ti amo e continuerò a ripeterlo fino a quando non entrerà in quella testa cocciuta che ti ritrovi. Sei un ragazzo intelligente ma zuccone!»
Gira per la cucina come un animale in gabbia. Il petto scosso dall'affanno per la rabbia e la corsa. «Perchè aveva la valigia? Dove siete andati?», domanda cercando di non urlare.
«Perchè stava partendo. Siamo andati in due posti lontano dalla città.»
«E tu sai dove è andato? Perchè quei due posti?»
«Si, non vedo cosa ci sia di male. Lo conosco e so esattamente dove si sta dirigendo insieme al suo collega TJ. Gli ho chiesto io di portarmi in quei due posti, il mio era un modo per farlo calmare perchè era veramente a pezzi. Per la cronaca mi ha pure mandato un regalo qualche giorno fa e mi ha chiesto di salutarti». Gli mostro il biglietto e attendo una sua reazione.
Deglutisce posando il biglietto sul bancone. «Lo ami?»
«Si. Ma amo anche te e sono qui non con lui»
«Non allo stesso modo...», scuote la testa facendo una smorfia.
«Parker Johansson sono qui in questa città e voglio godermi questo presente e quello che sto costruendo in questo posto con te e tu dubiti del mio amore? Puoi anche non credermi, libero di farlo ma sai anche tu che è vero quello che ti sto dicendo. Se non vuoi credermi, li c'è la porta!»
Prendo un bicchiere d'acqua e mi appoggio al bancone tranquilla e sfinita. Parker continua a camminare avanti e indietro.
«Sei geloso?», domando vedendo che non se ne va. Sta riflettendo e quando lui lo fa, c'è una buona ragione e a breve inizieremo a contrattare.
«Di voi due? Di te? Molto...», mormora. «Non capisco perchè tu non mi abbia ancora mandato via...»
«Vuoi che continui a ripeterlo? Hai davvero bisogno di sentirtelo dire? Ti ho già detto che li c'è la porta se te ne vuoi andare ma io non ti manderò via», sbuffo stizzita.
«Mi sono comportato da vero stronzo con te in questi giorni. Non ho capito che avevi bisogno di non pensare a quello che è successo e invece ho continuato egoisticamente. Il problema è che ti voglio solo per me, senza riserve...»
Sembra che stia parlando più a se stesso. Faccio una cosa che non avrei mai pensato di fare: agire per prima. Mi avvicino cauta e gli metto le braccia attorno al collo e mi alzo sulle punte. Questo gesto lo sorprende e le sue spalle si rilassano leggermente prima che la sua fronte si posi contro la mia. Sto facendo io il primo passo. «Ho passato l'inferno è vero, hai il diritto di essere arrabbiato per avermi visto con il mio ex ma io giuro che non è successo niente. Lui sta iniziando la sua vita e io sto continuando la mia da dove l'avevo lasciata prima di partire, accanto a te, qui a Vancouver. Smettila di essere così paranoico e impossibile Parker. Io sono qui, davanti a te, sono qui a provare a fare pace, sono qui a tentare di dissuaderti e convincerti a credere ancora in noi».
Sciolgo l'abbraccio quando scuote la testa con sguardo freddo. Il mio cuore rallenta e sento la tensione farsi asfissiante.
«Ho bisogno di tempo per calmarmi», sussurra attirandomi a sè per la vita. Trattengo il respiro quando le sue labbra si posano sulle mie e il suo corpo mi spinge contro il bancone. «Ho bisogno di razionalizzare... tutta questa storia», mormora sulle mie labbra prima di impossessarsene nuovamente.
«Faremo tutto con calma se questo servirà a farti fidare ancora di me...», rispondo affannata.
Annuisce e sollevandomi per i glutei mi fa sedere sul bancone e si sistema tra le mie gambe mentre continua a baciarmi con una strana e piacevole forza. «Mi ami?»
«Si», gemo quando i suoi denti tirano la pelle sotto il collo.
«Vuoi ancora stare con me?»
«Si»
Poggia la fronte sulla mia. «Faremo tutto con calma e inizieremo da un vero appuntamento allora...», sospira staccandosi ma lo trattengo. «Ti amo troppo per perderti così. Mi dispiace per essermi comportato da vero idiota. Ero accecato dalla furia e dalla gelosia.»
Apro il freezer e gli appoggio una confezione di surgelati sullo zigomo gonfio facendolo lamentare. «Mi devi una scatola di piselli e per l'appuntamento... decido io dove andare.» Provo a scendere dal bancone ma mi inchioda, posa i surgelati e afferrandomi per il viso mi bacia di nuovo con forza.
«Mi farai impazzire Emma!», sospira, «non ho mai provato niente del genere e non sono mai entrato in competizione per ottenere qualcosa perchè sono sempre stato sicuro di ciò che volevo. Con te è diverso, perchè sei tu...», chiude gli occhi stampandomi un bacio sulla fronte. «Tu sei diversa da tutto il mondo. Sei controcorrente e spesso faccio fatica a seguire il tuo ritmo. Ma, non ti lascerò andare più, questo lo sai?», stringe le mani sulla mia schiena.
«Mi sta forse chiedendo di venire a vivere con lei signore?», domando affannata e con un sorriso timido. La tensione inizia a sciogliersi per fortuna. Riesco ancora a trovare un modo per placare un litigio.
«Ti sto chiedendo di non lasciarmi e si, ti sto chiedendo di vivere con me...», risponde.
«A me piace questa casa», metto il broncio.
«Staremo qui in settimana visto che è più vicina all'ufficio, ma i weekend verrai nel mio appartamento. Anche a me piace questa casa!» Sorride e il mio cuore sospira di sollievo.
«Sta per caso contrattando con me signore?»
«No, sto programmando la nostra vita insieme signorina».
Arrossisco. La nostra vita insieme? «Intanto programma di sgonfiare questa botta», sistemo i surgelati di nuovo sul suo viso.
«Ho fatto un casino vero?», domanda imbronciato dopo un momento. Sembra riacquistare lucidità, finalmente.
«Ti farai perdonare», sorrido abbracciandolo.
«Sei sempre così piena di fiducia nei miei confronti...», sfiora le mie labbra.
«Solo perchè so che ne vale la pena». Gli stampo un bacio e scendo dal bancone per preparare uno snack veloce. Mi è venuta fame e so che lui non rifiuterà mai i miei famosi Ritz farciti con la mia crema speciale.
Mi guarda mentre unisco philadelphia maionese e tonno. Gli porgo un cucchiaio e lui seduto sullo sgabello assaggia mormorando: «buona come sempre».
Mi è mancato tutto questo. Il potere vivere con lui in modo tranquillo, senza litigi o gelosie inutili. Il fatto che mi evitasse, mi faceva stare parecchio male. Siamo pronti a vivere insieme? Siamo pronti a questo grande passo?
In fondo passiamo molto tempo assieme. Ho bisogno di parlare con Lexa. Lei sa come farmi ragionare.

«A proposito di gelosia... e di quel bambino, che mi dici?»
Si avvicina mentre lavo i piatti. «L'ho conosciuto oggi per caso. I suoi non lo degnavano di uno sguardo e quando si è seduto, non ho resistito e gli ho offerto il pranzo e abbiamo chiacchierato di supereroi e dinosauri. Sapevi che mi piacciono gli pterodattili?», ridacchio quando noto che mi sta guardando stordito e curioso allo stesso tempo. «Gli ho proposto di vederci ogni venerdi per pranzo. Quel bambino ha un non so che di curioso e speciale...», aggiungo.
«Sei troppo buona Emma. Non smetterò mai di ripeterlo.» Sfiora la spalla con le labbra facendomi rabbrividire. «Però mi piace questo tuo lato dolce e altruista. Ho visto come lo guardavi e come ti impegnavi per non farlo sentire... fuoriposto.»
Chiudo gli occhi con le spalle contro il suo petto e lascio che mi baci. Sa esattamente cosa penso e come agisco. «Mi deconcentri così...», ansimo.
«E' quello che voglio... quindi, ti vedrai con questo bambino ogni settimana? Devo ingelosirmi?»
«Può essere», sorrido girandomi e lo abbraccio con le mani piene di detersivo. Mi fa voltare e lava le mie mani. Mi solleva sulla spalla portandomi verso la camera. «Non correremo ma ora, voglio farti deconcentrare un pò...», sorride sdraiandosi sul letto e attirandomi a sé. Appoggio le mani sul suo petto. La sua pelle è molto calda e il suo fiato sul collo manda piacevoli brividi su per il corpo. Le sue mani afferrano sollevano il mento mentre la sua bocca continua a baciare il collo e poi sotto l'orecchio. Mugolo quando tocca il punto sensibile e sorride soddisfatto. Inizio a sentirmi frastornata, il mio corpo si rilassa sotto il suo. Sono quasi ubriaca di lui. Non ho la minima idea di cosa sto facendo perché sono come ipnotizzata dai suoi gesti. Mi sono mancate le sue coccole. Quando le nostre labbra si toccano lo sento inspirare di scatto e poi si allontana. Vorrei trattenerlo ma non capisco cosa lo abbia spinto a staccarsi e non voglio rovinare tutto. Porto le dita sul labbro, formicolano a causa dei morsi e lo guardo affannata.
«Ho detto che faremo tutto con calma non che mi sarei approfittato di te... Ho anche detto che volevo distrarti un po'...»
Lo attiro di nuovo in un bacio lento ed eloquente per farlo smettere di riflettere troppo. Stringo le gambe attorno alla sua vita e quando prova ad allontanarsi mordo. Ridacchia, rischia grosso e non sembra affatto preoccupato. Mi conosce.
«Mi sei mancata», mormora.
«Lo so», sbottono i suoi pantaloni scuri sorridendo maliziosa. «Ho notato che qui sotto qualcuno si sentiva stretto e solo».
Parker sembra accaldato e combattuto. Inspira e poi scatta. Sfila il vestitino dalle mie braccia e mentre sbottono la sua cambia smaniosa di toccare il suo petto e quelle sue piccole cicatrici, inizia a baciarmi facendomi gemere.
«Ti sono mancata eh?», scendo con la mano lungo il suo addome scolpito. Lo sento inspirare e poi mugolare quando lo stuzzico.
«Si, ma nonostante io sia tentato, non farò sesso con te. Non questa sera.» Affannato nasconde il viso tra il mio collo e la clavicola cercando di calmarsi. Sento il suo fiato caldo sulla pelle e inizio ad avere caldo anch'io. Sto prendendo fuoco a dire il vero.
«Va bene. Posso almeno aiutare il tuo amico?», domando con finta innocenza. So che questo lo fa impazzire. Emette subito un gemito gutturale. I suoi battiti aumentano e le sue pupille si dilatano. Mi piace vederlo così eccitato. Mi piace essere la causa del suo sguardo trasognante. Morde il labbro in modo sensuale e trattiene i gemiti chiudendo gli occhi mentre continuo a provocarlo.
Schiude la bocca e geme forte incapace di trattenersi. Le sue dita ricambiano. Colta impreparata getto uno strillo per l'impeto e inarco la schiena. Sorride soddisfatto per la mia reazione e continua seguendo il mio ritmo. Trema e si ferma affannato. Sento la mano appiccicosa ma non me ne curo perché le sue dita tornano all'attacco mandandomi al limite.
Batto le palpebre ritrovandomi i suoi occhi e il suo sorriso davanti. La sua mano scatta bloccando la mia e prima che me ne renda conto sta pulendo il palmo con la sua camicia mentre scuote la testa con un sorriso malizioso. Quando finisce mi bacia con impeto. Mugolo stringendo le dita tra i suoi capelli mentre mi sistema su di sè e poi mi guarda in modo tranquillo accarezzando la mia schiena.
«Va meglio?»
«Decisamente!», sorride mostrando i denti e quei due canini superiori super sexy. Bacio subito il suo meraviglioso sorriso. Mi ha stregata.
Poggio il mento sulle braccia e ci guardiamo in silenzio per un paio di minuti mentre la sua mano continua a sfiorare la mia schiena.
«Come stai?»
«Con te, meglio», rispondo subito.
«Davvero Emma, come stai?»
«Mi sento più tranquilla se ho te accanto.»
Si alza appoggiando la schiena contro la testiera del letto. Mi accoccolo subito tra le sue braccia. «Tutto diventa più semplice.» Tocco una delle cicatrici e seguo il contorno più volte fino a quando la sua mano non blocca il mio polso e i suoi occhi incontrano i miei chiedendomi silenziosamente di smettere. Chiudo gli occhi.
Il suo telefono inizia a squillare. Aggrotta le sopracciglia quando guarda lo schermo. «Papà?». Spalanca gli occhi allarmato. «Cosa? Quando? Dove siete?», si alza dal letto passando una mano tra i capelli. «Ok arrivo!». Infila i pantaloni poi cerca una maglietta nel mio armadio.
«Dove stai andando?»
«Mia madre, non so cosa è successo. È in ospedale. Devo correre da lei.»
Mi alzo subito dal letto e infilo un paio di pantaloncini e una maglietta. «Vengo con te», recupero la borsa e vedendolo confuso, prendo la sua mano e stringendola ci dirigiamo verso l'auto. L'autista ci apre la portiera. Non so da quanto sia qui sotto, penso solo che Parker debba premiarlo. Durante il viaggio, sembra nervoso e preoccupato. Stringo la sua mano e mi siedo sulle sue gambe per cercare di calmarlo. Stampo piccoli baci sulla sua guancia. «Andrà tutto bene», sussurro.
La sua bocca si impossessa della mia. Mi strinse a sé con forza. «Non andare via», sussurra chiaramente sconvolto.

Arrivati in ospedale, l'infermiera ci indica la sala d'attesa dove troviamo il padre seduto con le mani sul viso, chiaramente preoccupato per la moglie.
«Come sta? Cosa è successo?», domanda agitato Parker raggiungendolo a grandi falcate.
Non pensavo potesse reagire così per sua madre visto che ha sempre detto che la sua famiglia lo ha sempre controllato.
«Si è accasciata a terra così, di punto in bianco. Aveva il volto diverso e per fortuna siamo arrivati in tempo...», mister Johansson passa la mano sul viso e torna a sedersi stanco e spossato.
«Dov'è mia sorella?»
«Non può arrivare prima di domani. Tuo nipote ha la febbre e tuo cognato non è ancora tornato a casa da lavoro.» I due si scambiano un'occhiata d'intesa poi Parker si siede ed io prendo posto accanto a lui in silenzio.
«Torna a casa, va a riposare. Rimango io qui, ti chiamo se ci sono novità.»
Mister Johansson annuisce stanco in viso e sparisce dopo avere salutato.
Rimasti soli, Parker mi attira su di sé e mi accoccolo tra le sue braccia. Passo una mano sul suo viso delicatamente. «Come stai?»
«Ho sempre voluto che i miei non mi seguissero. Invece sono partiti solo un mese dopo per raggiungermi. Mia sorella non era d'accordo ovviamente ma alla fine si sono tutti trasferiti perché avevano paura che la mia depressione potesse spingermi a commettere qualcosa di terribile. Si sbagliavano ovviamente, soprattutto mia madre. Mi sono rimboccato le maniche, ho studiato tanto e alla fine ho creato la mia fortuna.» Respira lentamente. «Mia madre mi ha sempre sostenuto nonostante i litigi. È allegra, un po' pazza e sopra le righe a volte insopportabile certo ma quando le ho rivelato le mie intenzioni, non ha voluto accettare. Per quanto io odi la mia famiglia, non posso fare a meno di amarla perché se sono quello che sono oggi è anche grazie a loro.»
Alzo lo sguardo accorgendomi che i suoi occhi sono rossi e continua a mordere il labbro come se volesse strapparlo. Poggio l'indice per fermarlo poi lo stringo più forte tra le mie braccia. «Non so cosa significhi avere una famiglia ma so che un genitore agisce sempre per amore. Tua madre starà benissimo, vedrai. E' una donna forte.»
«Mio padre, la tradisce. Mia madre, lo tradisce. Sono sempre andati avanti così e si prendono cura l'uno dell'altra nonostante tutto. Anche mio cognato tradisce mia sorella. Le sue cene di affari sono un chiaro avvertimento. Purtroppo mia sorella lo ama e ama anche i suoi due bambini. Emma, io ho una famiglia troppo impegnativa. Lo capirei se tu non volessi più avere un rapporto stretto con me, con loro...»
«Shhh...» Chiudo gli occhi e mi sistemo con la testa sotto il suo mento. «Ti amo, è quello che conta.» Seguo i suoi respiri e in breve mi addormento.

Continua...

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