Capitolo 12

Qualcosa in quell'oscurità in cui mi sono rannicchiata prima di perdere il controllo del mio corpo e dei sensi mi da la spinta per riemergere in superficie facendomi risvegliare in quell'abisso pieno di emozioni e sensazioni ma soprattutto pieno di pensieri e sensi di colpa. Comincio a respirare a fatica, il petto si alza e si abbassa velocemente. Mi manca l'aria, come se qualcuno mi stesse strangolando. Mi sento proprio piena e a breve scoppierò. E' inevitabile quando tieni troppe cose dentro e queste prendono il sopravvento.
Provo ad alzarmi ma sono bloccata dall'abbraccio e dal corpo caldo di Parker che continua a dormire tranquillo mentre dalla vetrata arriva la prima luce mattutina ferendo i miei occhi e facendomi agitare ulteriormente. Riesco a liberarmi e sospiro di sollievo quando corro in bagno e getto dell'acqua fresca sul viso per riprendere il controllo. Mi sento ancora sottosopra, la testa inizia a girarmi e ho anche una crescente nausea. Il cuore martella nel petto sovrastando ogni rumore proveniente dall'esterno. Le guanche iniziano a bruciare e avverto un formicolio fastidioso. La temperatura sembra innalzarsi improvvisamente e le pareti stringersi addosso. Deglutisco a fatica e cerco di non cadere a terra sostenendomi con una mano sulle piastrelle. Chiudo gli occhi, inizio a contare. "Uno, due... dieci..." perdo il conto, mi piego sul water e vomito. Ormai svuotata, poggio la testa contro il muro e chiudo gli occhi respirando pesantemente.
Porto le gambe contro il petto e mi dondolo per un paio di minuti. Recupero lucidità e rialzandomi traballante, lavo i denti, lego i capelli e vado in cucina. Mi siedo sullo sgabello di fronte ad una tazza fumante di tè. Sorseggio lentamente la bevanda calda e spilucco un muffin alla banana controvoglia. Sospiro un paio di volte guardando verso la finestra.
Prendo il viso tra le mani e scoppio in singhiozzi. Percepisco appena la presenza di Parker alle spalle. Mi abbraccia e mi lascio cullare senza protestare. Ha un aspetto peggiore del mio. Si siede accanto e beve un sorso di tè dalla mia tazza facendo una smorfia. Non ama il gusto amaro del tè o di "foglie bruciate" come dice lui. Preferisce nettamente il caffè.
Giro il bancone e verso in una tazza del caffè nero con un pò di latte prendo altri muffin e li sistemo su di un piatto di fronte a lui. Torno a sedermi e fisso il fondo della tazza.
«Sono un coglione e merito questo mal di testa tremendo», mormora con voce roca e triste massaggiando le tempie. Manda giù lentamente la tazza di caffè e un muffin al cioccolato.
Gli lancio uno sguardo e i suoi occhi saettano subito sui miei. «Meritavi anche di dormire fuori dalla porta» brontolo alzandomi ma blocca subito il mio braccio costringendomi a tornare seduta.
«Si, ma tu non mi hai impedito di dormire nel tuo letto», risponde di getto.
Arrossisco. Non so proprio cosa rispondere. Non l'ho buttato fuori perché si è addormento in fretta e perché a dirla tutta, ero proprio stanca. Avevo passato una giornata pesante e non immaginavo di certo che: uno sarei andata a letto con il mio ex e due che il mio "ragazzo" dopo un mese di silenzio si sarebbe ripresentato ubriaco davanti la porta e pronto a riconquistarmi. «Ti butterò ora fuori a calci in culo se non te ne vai!», mi alzo scrollando la sua morsa dal mio braccio. Cammino verso la stanza ma vengo afferrata e sollevata. Strillo forte e picchio i pugni contro la schiena di Parker. «Mettimi giù, immediatamente!»
«Prometti di non colpirmi ancora?»
Lo colpisco forte, «cazzo, lasciami andare!», ringhio.
«Calmati!», mi scaraventa sul divano e blocca immediatamente i miei polsi sulla testa e le mie gambe con il suo corpo statuario. I suoi occhi chiari, intensi, fanno male. Continua a fissarmi mentre gli urlo addosso parole indicibili e non smetto un solo momento di dimenarmi. Poi ripenso che è la cosa peggiore da fare quando si sta affondando, dimenarsi non serve a niente. Mi immobilizzo e non provo a reagire.
«Hai smesso?»
Annuisco abbattuta. Parker sorride soddisfatto ma fa subito una smorfia toccandosi la tempia. Il mal di testa deve essere aumentato. Ben gli sta. «Spostati», lo prego con molta più gentilezza di quanto meriti.
Si fa pericolosamente vicino. Cerco di scansarmi perché so cosa sta per fare. Le sue mani forti continuano a tenermi ferma. Le sue labbra toccano le mie ma mi oppongo. «Smettila, ti prego smettila!», urlo con più forza. Parker trasalisce ma non demorde. Tira indietro la testa. «Baciami», ordina.
«Scordalo!», rispondo aggressiva.
«Emma, baciami!», si fa più vicino.
Riesco a liberare la mano e lo blocco sul petto. «Non ti bacerò perché sei un fottuto pezzo di merda Parker! Non ti bacerò!», lo spingo e mi rialzo. Corro verso la stanza rinchiudendomi dentro. Lo sento imprecare ad alta voce poi, bussa pesantemente alla porta. «Apri questa cazzo di porta o la butto giù!»
Non rispondo. Entro in bagno, apro il getto dell'acqua perché capisca e inizio a fare una doccia.
«Emma. Giuro su...»
Spalanco la porta e irritata mi incammino verso il soggiorno in accappatoio. Non posso più tollerare questo suo atteggiamento. Deve andarsene da casa mia prima che io esca di casa come una pazza e faccia qualche cazzata.
«Non ti prepari?»
Inarco un sopracciglio e comoda accavallo le gambe sistemandomi sul divano. «Perché dovrei prepararmi?», domando con finta innocenza.
«Per venire a lavorare?»
«Da giorni non ho più un lavoro. Sono pronta per i colloqui quindi no, non mi preparo.»
Parker sbuffa esasperato e si siede accanto a me. «Lavori per me ricordi? Decido io se accettare o meno le dimissioni. Hai finito il tuo primo anno di lavoro quindi tecnicamente...»
«Tecnicamente non lavoro più e non tornerò di certo nel tuo ufficio per farmi spedire da una parte all'altra come un pacco postale. Ho dei colloqui e un lavoro provvisorio. Sei tu quello che dovrebbe prepararsi per andare a lavoro.» Accendo la tivù con indifferenza e scelgo un canale di cucina.
«Cazzo Emma, smettila di fare la bambina!», urla esasperato togliendomi il telecomando dalle mani e spegnendo la tivù con rabbia. «Sto provando a...»
«A fare cosa? A condizionare ancora la mia vita? Ti ricordo che è a causa di tua madre se tutto questo ha avuto inizio ed è causa tua e della tua mania di tenere tutto sotto controllo persone comprese se ci ritroviamo in questa situazione!» rispondo piccata e con rabbia.
«È colpa della tua indecisione se ho dato di matto!» urla a sua volta incapace di trattenere la rabbia.
Sappiamo entrambi che non ne usciremo senza lividi e ferite che non si rimargineranno. Siamo come due scintille troppo vicine e lui mi ha appena ferita.
«Sei stato tu ad opprimermi per tutto il tempo con la storia della convivenza! Ti avevo spiegato che avevo bisogno di tempo ma per te non vale, non vale la mia parola, non vale la mia opinione. Cazzo, dovevo abituarmi ancora al fatto che tua madre mi remasse contro nonostante io sia sempre stata carina e accondiscendente e tu hai sganciato la cosa così, per paura che io me ne andassi proprio perché avevi bisogno di tenermi legata a te, di controllarmi.»
«Io non voglio controllarti!» strabuzza gli occhi. «Non lo farei mai. Non ti ho oppressa con questa storia. Ti ho solo fatto una domanda. Bastava un si o un no. Se era si avremmo organizzato la cosa se era un no avrei accettato il rifiuto.»
Sorrido amareggiata. «Oh si lo hai accettato a modo tuo il rifiuto che solo tu hai visto. Lasciandomi da sola ed evitandomi come la peste ovunque. Guarda caso due giorni dopo sono stata trasferita in un posto estraneo e controllata a vista a quanto pare, visto che non posso neanche licenziami. Chi è il bambino ora? Ah già sono io solo perché non ho risposto ad una domanda, perché mi sono sentita sopraffatta e spaventata da una prospettiva di vita che non ho mai preso in considerazione perché ho sempre avuto problemi con il futuro, con il fare continui programmi. Ho avuto sempre problemi visto come sono andate sempre le cose nella mia vita. Scusa tanto se non ho accontentato un tuo capriccio!» Borbotto alzandomi. Apro la dispensa e preparo due toast. Arrabbiarmi e litigare, mette fame. Devo affondare i denti su qualcosa prima di azzannarlo alla gola. Parker sta rischiando grosso.
«Come cazzo devo farti capire che non è un mio capriccio? Ti amo Emma, Dio solo sa quanto ti amo! Voglio solo portare ad un livello successivo la nostra storia. So che ami anche un'altra persona e credimi, faccio fatica a reggere il confronto ma se sei ancora qui, significa che ho una possibilità. Sto provando a prendere da questo rapporto tutto quello che ha da offrire, per non avere rimpianti. Se tu non capisci che sono disposto a tutto pur di renderti felice, significa che non hai capito niente di me!»
«E tu? Che cosa hai capito di me? Sei solo un fottuto egoista Parker! Pensi solo a quello che vuoi tu, quello che ti fa stare bene. Vuoi convivere con me solo per tenermi legata a te. Hai mai pensato a come potrei sentirmi qualora non riuscissi a reggere la situazione? Si, ho paura di portare al livello successivo quello che abbiamo. Non credo sia un reato signor Johansson!» Sbatto con forza il piatto sul ripiano e si sgretola ferendomi le dita. Strillo spaventata e continuo a fissare il sangue che cola dalle dita inzuppando il ripiano.
«Cazzo!» Parker gira il bancone velocemente e mette subito sotto il getto dell'acqua la mia mano insanguinata. Controlla con meticolosa cura che non ci siano schegge sulle ferite e ripulisce per bene prima di arrestare la breve emorragia. Mi porta in bagno, siedo sul bordo della vasca senza protestare e lo osservo mentre apre il kit del pronto soccorso. Spalma della polvere sulle ferite per disinfettarle e poi le avvolge con dei cerotti. Tutto senza fiatare e con sguardo attento.
«C'erano solo questi cerotti con gli orsi», abbozza un sorriso sfiorando con le dita il dorso della mia mano. La ritraggo distogliendo lo sguardo. Sa sempre la cosa giusta da fare. Sa sempre come comportarsi. Sa sempre dire la cosa giusta, quella in grado di annientare le mie difese, di sciogliere il nodo teso della rabbia che aleggia dentro il mio cuore. Mi fa sentire una ragazzina capricciosa, forse lo sono e la cosa non mi dispiace se questa può indurlo a ragionare.
«Cosa devo fare?», prova a sfiorare ancora le dita ferite e glielo lascio fare. So che è in apprensione per me ma sto bene. Con la furia che sento dentro, non riesco a percepire nemmeno il dolore per le ferite.
«Cosa devo fare per farmi perdonare? Cosa devo fare», passa una mano sul viso frustrato.
«Non posso dirti cosa fare, sarebbe facile». Mi alzo e torno in cucina. Raccolgo i cocci e provo a pulire ma si fa avanti e in breve ripulisce il bancone e prepara dei sandwich al posto mio e con molta disinvoltura. Si muove tranquillamente in casa mia, tra le mie cose. Ripenso alla cena con Ethan e inizio a sentirmi in colpa e lo stomaco mi si chiude. Chi voglio prendere in giro? Sono una fottuta stronza. Sto giocando con due ragazzi e non so più da che parte stare.
«Con tonno lattuga e pomodoro come piace a te», fa un sorriso dolce. Sta tentando di corrompermi con queste attenzioni. Sa che ci vorrà di più per farmi sciogliere. Do un morso nervosa e allontano il piatto.
«Sei un grandissimo stronzo!», sbotto di nuovo.
«Lo so ti amo anch'io. Sei bellissima e testarda», sfiora la mia guancia. Lo colpisco con un pugno leggero sulla spalla e ridacchia. Un suono che mi è mancato, sussulto. «Continuerai a tenermi il muso?»
«Si, ora se non ti dispiace, vado a vestirmi e poi esco. Come ho detto, ho un lavoro temporaneo».
«Dove?» Domanda seguendomi e lo fermo prima che possa intrufolarsi in camera.
«Ti ho già vista nuda. Non fare la pudica con me signorina», assume uno sguardo indecifrabile.
Mi sale la pelle d'oca. «Non voglio che mi guardi mentre mi rivesto. Posso avere la mia privacy per una volta?» domando più dolce di quanto in realtà vorrei essere. Cosa mi sta facendo? Basta una sua attenzione e cedo. Cado al suolo come una mela matura.
In risposta si gira e sospira incrociando le braccia. «Sarà difficile ma fai in fretta o cederò».
Indosso una minigonna una maglietta bianca e tacchi. Lego i capelli e inizio a truccarmi mentre Parker gioca con il palloncino sulla scrivania e il peluche Snow. Quando si volta mi inchioda con i suoi occhi meravigliosi.
«Dove vai vestita in quel modo?»
Alzo gli occhi al cielo e piego la testa di lato. «Devo ripetere che ho un lavoro?» recupero la borsa e il telefono.
Parker mi ferma contro il muro. Il suo respiro caldo sulla mia pelle. Le mie gambe tremano. «Posso accompagnarti?»
«No, preferisco fare due passi. Sei in ritardo per l'ufficio».
«Devo passare da casa per una doccia. Prendere una sbronza dopo averti vista abbracciata a lui, non è stato sensato...»
«Cosa? Quando?» domando frastornata.
«Ero lì Emma. Ero lì per te! Ho visto come ti ha sorpreso vederlo e come ti sei gettata tra le sue braccia in lacrime. Ho visto anche quando ti hanno portato il regalo, come era emozionato e come lo eri tu...», fissa un punto sul pavimento.
«Eri lì...», sussurro, «eri lì e non sei venuto? Ti ho aspettato per tutto il giorno, continuavo a guardare la porta e tu non sei mai entrato, perché? Sei un grandissimo...» la vista si appanna e ringhio frustrata.
«Ero lì, incapace di avvicinarmi. Ho chiamato io Tea e George per avere un consiglio. Non sapevo proprio cosa fare. Non meritavo di stare con voi, non dopo quello che avevo fatto. Ero anche arrabbiato e geloso perché lui riuscirà sempre a coinvolgerti emotivamente perché condividete qualcosa a cui io, non avrò mai accesso». Fatica a parlare.
Mi si stringe il cuore e barcollo indietro ad occhi sbarrati. Non posso credere che fosse lì, a pochi passi. Ho passato gran parte del tempo a farmi le paranoie mentre lui non aveva il coraggio di affrontarmi. «È meglio andare», balbetto distogliendo lo sguardo. Prova a parlare ma lo interrompo. Non ho le forze di continuare. Per affrontare una giornata lavorativa mi serve parecchia concentrazione e con lui a pochi centimetri, la cosa è difficile.
Usciamo dall'appartamento e per fortuna ci dividiamo senza fare scenate. Ognuno perso nei propri pensieri. Non ho voglia di discutere ancora. Non ho voglia di continuare a sentirmi in colpa per lui. Era dietro le quinte e io ho agito impulsivamente. Non mi pento di quello che ho fatto con Ethan. Non stavo insieme a Parker e dopo un mese ho dato voce ai miei sentimenti accantonando la ragione. Amo Parker ma non riesco a pensare razionalmente quando di mezzo c'è Ethan. Inizio a sentirmi uno schifo.

Faccio un grosso sospiro prima di entrare in agenzia. Le ragazze mi salutano mentre raggiungo la postazione, infilo l'auricolare in un orecchio e con un'agenda tra le mani inizio a programmare le uscite e il lavoro per Lexa. La mia amica arriva sorridente e spumeggiante. Bacia le mie guance e si siede comoda accanto a me dando subito uno sguardo all'agenda. «È successo qualcosa?», domanda scrutando il mio sguardo.
«Parliamo dopo di questo», indico il capo che si avvicina tutto sorrisi.
La giornata va avanti frenetica. Sembrerà strano ma non ho un momento per respirare. Mi piace il ruolo che svolgo come "manager" di Lexa ma sento la mancanza del mio piccolo quadratino e del profumo di caffè e ciambelle al cioccolato che aleggiava spesso quando arrivavo in ufficio. Qui l'unica cosa che mangiano sono carote o sedano. Orrore puro.
Con Lexa ci dirigiamo al ristorante. Troviamo Jason il quale si siede accanto a noi sorridente. Adora Lexa e si divertono parecchio a punzecchiarmi. «Allora? Mi dici cosa sta succedendo?»
Mentre pranziamo, le racconto tutto quello che è successo. Lexa spalanca la bocca e mi interrompe ogni due minuti per i dettagli. Capisce che non voglio specificare in presenza di Jason per non turbarlo è pur sempre un bambino e suo padre inizia ad avere fiducia in me. Dopo averlo salutato continuiamo la nostra chiacchierata mentre ci dirigiamo di nuovo in ufficio. Mi sfogo con la mia amica la quale non mi giudica mai.
«Avrei fatto la stessa cosa al posto tuo. Adesso dimmi: è stato bello? Come lo ricordavi o meglio?»
Arrossisco ripensando all'amore fatto con Ethan in auto. «Si, meglio di quanto io mi aspettassi. È stato travolgente e distruttivo. Mi sono ritrovata in un vortice dalla quale non riuscivamo ad uscire. Non me ne pento e so che posso apparire una poco di buono ma amo due ragazzi contemporaneamente e non posso farci niente».
«Si sistemerà tutto. Intanto risolvi con Parker. È davvero venuto alla cerimonia e non si è fatto avanti?» Annuisco. «Emma, è pazzo di te! Gliela farei sudare un po' al posto tuo e poi me lo riprenderei!»
Abbraccio la mia amica ringraziandola per avermi capita. So che dovrò ancora affrontare Anya e Mark. Se ne andranno tra pochi giorni e so che anche loro faranno delle domande.
Ricevo un messaggio:

Parker: "Hai da fare?"

Emma: "si"

Parker: "Possiamo vederci dopo il lavoro?"

Emma: "Oggi non posso"

Continuo il mio turno e a fine giornata, torno a casa. Trovo Anya e Mark a tavola. Mi aspettavano per cena. Anya sembra così diversa da sposata. Forse è proprio vero che le cose cambiano quando hai qualcuno accanto per tutta la vita. Ma c'è anche dell'altro, sembra più allegra del solito, più matura e attenta. I due si guardano e lui le fa cenno di parlare. Lei si schiarisce la voce e sorride timida. «Abbiamo aspettato per dirlo. Non posso più trattenermi con te. Emma...», posa la mano sulla mia e Mark le cinge le spalle con un sorriso. «Aspettiamo un bambino!»
Strillo di gioia incapace di contenere la contentezza e abbraccio la mia amica e poi anche Mark il quale è emozionato e premuroso verso Anya. «Congratulazioni!»
«Vogliamo dirti anche un'altra cosa...», si guardano ancora ma questa volta sembrano preoccupati. Il mio stomaco si contrae. «Ci trasferiamo qui! Verremo tutti a vivere in questo posto!»
Strabuzzo gli occhi e li guardo stordita per un nano secondo. «Tutti chi?» balbetto.
«Noi e anche mio padre. Gli hanno offerto un lavoro vantaggioso da queste parti e Mark lavorerà con lui e visto che anche a noi piace questo posto e potremo essere vicine... abbiamo subito accettato. Non è fantastico?» sorride raggiante.
Sorrido incapace di parlare. Tutto questo è surreale. Vivranno qui a Vancouver. «Tua madre?»
«Verranno qui per le vacanze. Troveremo una casa più grande anche per loro. Nel frattempo, noi staremo qui, questo appartamento mi piace parecchio». Mark annuisce sorridente e poi va a rispondere al telefono.
«So che è un brutto colpo ma mi manchi davvero e vorrei vederti più spesso. Non era previsto che mio padre vendesse tutto e ottenesse una posizione vantaggiosa in questo posto. Scusa se non te ne ho parlato ma ho scoperto di essere incinta e di dovermi trasferire e ho avuto tanto di cui occuparmi...»
La abbraccio e le bacio le guance. «Sono davvero felice per te, per voi. Saremo vicine?»
Annuisce scoppiando in lacrime. «Scusa, sto iniziando ad essere emotiva».
«Lui lo sa?», domando di punto in bianco. Perchè sto pensando alla reazione di Ethan?
«Mark glielo starà dicendo. Sono sicura che si fionderà qui appena potrà. È tipico di Ethan. Per quanto possa apparire un duro, si scioglie di fronte ai bambini».
Ridiamo e chiacchieriamo prima di salutarci e lasciarli alla loro gioia.

Salgo in casa e mi getto sul letto spegnendo le luci.
È mezzanotte quando il telefono vibra sul comodino. Brontolo e assonnata stropiccio gli occhi e sbadiglio. «Pronto?»
«Saremo zii, ti rendi conto?»
Sorrido. Saremo? «Ho saputo. Congratulazioni zietto!»
«Tutto bene? Sembri assonnata. Ti ho forse svegliato?»
«Non preoccuparti, come stai? Il viaggio com'è andato?», sbadiglio ancora e accendo la luce per svegliarmi. Non mi piace crollare mentre parlo al telefono.
«Sto bene piccola e sono felicissimo. Diventerò zio!», strilla esaltato.
Scoppio a ridere. «È meraviglioso! Anya ha già iniziato ad avere i primi sintomi di disturbo della personalità quindi attento come le parli». Ridiamo entrambi. Chiacchieriamo e affrontiamo l'argomento Parker. Racconto cosa è successo e lui sembra trattenersi dal commentare o dall'inveire. Non so cosa sia cambiato. Forse era inevitabile una situazione del genere. Sono due ragazzi a cui piace la stessa ragazza e sono entrambi abbastanza competitivi. Non so cosa succederà ma so che non voglio perderli. Nonostante la rabbia che provo per Parker, per il suo comportamento da bambino, sono sicura di volerlo ancora nella mia vita.
«Zietta stai bene?»
Sospiro. «Perché mi chiami zietta?», sorrido.
«Perché lo sarai», ride. «Sei a letto? Fammi spazio».
«Sono confusa...»
Passa un momento di silenzio. «Lo so piccola. Non preoccuparti, non farò nessuna pressione e quando verrò a trovare mia sorella non ti disturberò».
«Mi porterai le foto?»
Ride. «Le vuoi
«Si!»
«Cosa ricevo in cambio?»
«Ti ospiterò in casa così non subirai gli sbalzi d'umore di tua sorella o non dovrai uscire di notte quando lei avrà una delle sue potenti voglie al cioccolato e Mark sarà troppo stanco per accontentarla», mordo il labbro.
«Ci sto!»
Ridiamo entrambi. «A cosa pensi?»
«Vorrei tanto essere lì. Purtroppo ho ancora due lavori da portare a termine poi posso definirmi libero.»
«Stai pensando di abbandonare?»
«Si, aiuterò mio padre»
Il cuore inizia a battere veloce. Se vuole aiutare suo padre significa che verrà a vivere in questo posto no? Sarà difficile la mia vita. «Raccontami una storia...», mormoro sporgendomi per spegnere la luce e chiudendo gli occhi.

N/A:
Ciao Principesse come va? La vostra Giorgina si sta riprendendo. Mi scuso se sono stata poco presente in questi giorni e non sono riuscita a scrivere delle note. Purtroppo ho fatto un vaccino abbastanza importante e ho avuto degli effetti collaterali terribili. (La solita sfigata ahaha!) comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Scusate per gli errori e se vi va invitate le vostre amiche a leggere questa storia. Sempre se non avete niente da fare o avete bisogno di nuove storie da leggere, aiutatemi a fare crescere: Ogni traccia che ho di te (ci tengo tantissimo!!!)
~ Anya avrà un bambino non siete felici? Emma avrà preso bene questa notizia? E il loro trasferimento? (Non siete curiose di sapere cosa succederà? Ahah io già lo so!!!)
Come sempre vi ringrazio per tutto ❤️ siete meravigliose!!! Buona serata!!! :* ~

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