Capitolo 1: La signorina Holmes

DAL DIARIO DELLA DOTTORESSA JOANA H. WATSON
EX INFERMIERA-MEDICO
DELL'ESERCITO BRITANNICO

La signorina Shannon Holmes


Nell'anno 1878, mi laureai in medicina all'Università di Sorbona a Parigi e ritornai nella mia amata madre patria, dove venni assunta come medico di supporto per i bambini nell'East London Hospital in Marleybone Street. Un giorno ricevetti una lettera da parte di mio zio, Sir George Hammilton, il quale mi chiedeva con sollecito di recarmi a trovarlo a Bombay, dove la sua salute precaria si stava facendo sempre più debole. Senza pensare a niente, feci i miei bagagli e mi recai a trovarlo, con il cuore appesantito e la testa piena di pensieri preoccupati per quel povero gentiluomo, che mi aveva cresciuta per un breve periodo della mia infanzia.
Prima che io raggiungessi mio zio però, scoppiò la seconda guerra afgana. Sbarcata a Bombay, mi recai velocemente da Sir George, il quale ebbe solo il tempo di salutarmi sul letto di morte prima di esalare il suo ultimo respiro. Piena di dolore, cercai di sfogarmi lavorando nell'ospedale di Peshawar, dove arrivavano treni pieni di feriti delle truppe inglesi. Passai molti mesi china sui soldati, che lottavano tra la vita e la morte, relegata al ruolo di infermiera. Nessuno, di quei gentiluomini che si facevano chiamare Dottori, si fidava di lasciare nelle mie mani un'operazione umana.
La mia laurea francese e il mio curriculum inglese facevano scuotere la testa a molti, che asserivano la mia completa inesperienza e incapacità di poter essere un vero chirurgo.
A denti stretti dovetti accettare il mio ruolo di infermiera, seppure questo fatto bruciava assai per la mia persona orgogliosa. La mia idole da medico però si faceva in avanti, perciò non abbandonai la mia posizione, ma lavorai sodo a salvare i soldati della Regina.
Il mio lavoro fu comunque interrotto dalla malattia, infatti inspiegabilmente fui infettata da una malattia  locale, che mi portò febbre, irritazione cutanea e attacchi di gastro-enterite. Fui costretta a stare a letto per circa un mese e appena fui sulla via di guarigione, partii con la nave Orontes, e sbarcai un mese dopo a Portsmouth, ancora cagionevole di salute.
Non avevo parenti stretti in Inghilterra, ero libera come l'aria... o meglio, libera come può essere una giovane fanciulla inglese. La mia meta fu Londra, come era naturale che fosse, e tornai a respirare l'aria pesante londinese, richiamata dalla vita mondana e dalla mia volontà di tornare ad esercitare la mia professione di medico.
Le mie finanze non mi preoccupavano molto – avevo una rendita annua – inoltre avevo un paio di patrimoni che mi sfruttavano qualche soldo e dalla morte di mio zio, avevo ereditato un gruzzolo che aumentava non di poco la mia ricchezza. L'alloggiare in albergo però mi infastidiva un poco: non amavo molto l'idea di dover vivere in una stanza, seppure questa fosse elegante e sfarzosa come ci si aspetta da un buon albergo.
Un pomeriggio, incoraggiata dal sole tiepido che illuminava la giornata, mi accinsi a passeggiare per le vie del centro, curiosando tra le vetrine polverose dei negozi e dando libero sfogo alla mia irrequietezza femminile. Stavo appunto studiando un capellino ricamato, con motivi floreali, quando sentii una pacca leggera sul mio braccio sinistro e sollevando lo sguardo, mi accolse un viso sorridente molto familiare. Riconobbi subito Stancy, una giovinetta che era stata infermiera alle mie dipendenze, quando lavoravo nell'ospedale femminile. La vista di una faccia conosciuta, nell'immensa selva londinese, è davvero piacevole per una fanciulla sola, appena tornata dalle terre calde indiane. Nei tempi andati, non c'era mai stata una grande intimità fra me e Stancy, ma la salutai con gran entusiasmo, ed essa a sua volta, parve felice di vedermi.
Entusiasta dell'incontro fortuito, invitai Stancy a bere una tazza di tè in una caffetteria lì vicino.
Ci mettemmo comode su delle soffici poltroncine rosse e ci godemmo la reciproca compagnia, davanti a due tazze fumanti di tè, deliziati da un piattino di biscotti al burro.
«Mia cara! Cosa vi è successo? » mi domandò Stancy, accarezzandomi una mano con delicatezza.  « Sembrate un indigena, con la pelle così scura e trascurata... senza parlare dei vostri zigomi sporgenti e della vostra magra figura. Senza offesa, mia cara, ma sembrate uno spaventapasseri.»
Risi delle parole innocenti della ragazza e con la tazza in mano, le feci un breve resoconto delle mie avventure in Oriente, includendo i dolori della malattia che mi aveva riportato a Londra.
«Padre dei Cieli! Che incredibile sfortuna! È un vero peccato, che una gentildonna come voi, abbia dovuto patire tutte queste disavventure avverse.»
Alle sue parole, scossi la mano in aria. Era tutto passato e in realtà, non era stato poi così terribile come lei immaginava, ma potevo capire il suo turbamento e la sua preoccupazione.
«E ora dove alloggiate? Se non erro, non avevate una casa di famiglia qui a Londra...» continuò curiosa.
«Ho una camera al Gran Hotel, ma sono in cerca di un alloggio. Ho iniziato a guardarmi attorno, cercando un buon quartiere, con un'abitazione piccola e sicura. Ma è molto difficile, per una ragazza sola come me, trovarne uno.» le risposi sospirando leggermente, affranta.
«Che coincidenza!» ribatté lei, con gli occhi che brillavano. «Siete la seconda, che oggi mi fa un discorso del genere.»
«Chi era la prima?» le chiesi curiosa, togliendo alcune briciole dalla gonna del mio vestito.
«È una giovane fanciulla, che viene saltuariamente al laboratorio chimico dell'ospedale. Non credo vi lavori realmente, ma i responsabili le lasciano il libero acceso...  Si è lamentata con me, stamattina, perché non riesce a trovare qualcuno con cui dividere le spese di un bell'appartamento che le hanno offerto e il cui prezzo è superiore alle sue possibilità.»
«Per tutti i folletti d'Inghilterra! Se essa è in cerca di una co-abitante, che divida con lei l'affitto, allora faccio proprio al caso suo. Non mi dispiace affatto, dividere l'alloggio con qualcuno... un po' di compagnia non fa altro che allietare i giorni, altrimenti lunghi e solitari.»
Stancy si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo dalla mia figura, posando con lentezza la sua tazzina sul piattino posato sul tavolino.
«Oh, voi parlate così perché non conoscete la signorina Holmes... vi posso assicurare, che non vi piacerebbe dover condividere per molto tempo l'abitazione con lei.»
«E perché mai? Ha dei difetti... pericolosi?» chiesi sospettosa, ricordandomi di una mia compagna di studi francese, che amava frequentare delle compagnie poco raccomandabili.
«Difetti, dite? Che Dio mi perdoni... voi sapete che non amo spettegolare delle persone. Ma la signorina Holmes è la signorina Holmes. Non ho mai conosciuto una persona come lei. Non siamo molto vicine, ma lavorando nel laboratorio da due anni, ho avuto modo di conoscere molti aspetti “particolari”. Ha delle idee strane... sembra una fanatica per certi rami della scienza. Fa certi discorsi... Voi sapete che sono molto religiosa e molte volte, la signorina urta la mia sensibilità facendo certi discorsi, che vedono la ragione e la scienza come la chiave della vita. Iddio le ha donato una grande intelligenza, questo è vero, ma lei...»
«Suvvia Stancy! Mi sembri proprio Miss Louisa, la quale asseriva con ferma convinzione che una fanciulla di buona famiglia dovrebbe dedicarsi alla casa, al cucito e alla buona musica... Iddio solo sa quante volte ho avuto la malsana tentazione di strangolarla come una gallina. La scienza si sta affermando ovunque, solo gli stolti hanno ancora il coraggio di aprire le bocche all'aria. Tu stessa sai quanta fatica dobbiamo sorbirci noi donne, per poter avere un educazione adeguata e una formazione nei campi della scienza. Non capisco proprio il perché tu debba criticare in questo modo una semplice giovinetta innamorata della scienza... a questo proposito, che studi sta seguendo?» dissi leggermente scioccata dalla poca intelligenza mostrata dalle parole della giovane infermiera.
«Non volevo farvi adirare, signorina... vi prego di perdonarmi, se le mie parole sono suonate leggere e frivole, senza alcun segno di fondamento ragionevole. Credo che capirete il mio punto di vita solo una volta che avrete incontrato la signorina Holmes.» affermò dispiaciuta e abbassò la testa leggermente.«Mi avete domandato che studi sta seguendo... Non so dirvelo con certezza. Non credo abbia in testa un percorso formativo specifico; so per certo che vanta di avanzate nozioni di chimica e anatomia... seppure non abbia seguito nessun corso di medicina, apparentemente.»
«Chimica, dite? È una scienza appassionante, anche se devo ammettere, un po' fuorviante... durante i miei studi, ho trovato molte difficoltà ad apprendere il vero spirito di certi argomenti. Comunque sia, preferisco di gran lunga vivere con una ragazza con del sale un zucca... una studiosa non può che aiutarmi a tenere il cervello in allenamento. Credo proprio di volerla conoscere a questo punto, visto che abbiamo passato tutto questo tempo a parlarne... mi avete resa curiosa, Stancy.»
«Se volete conoscerla, a quest'ora sarà di certo in laboratorio... ci sono settimane in cui vi mette piede e settimane in cui vi resta dalla mattina alla sera. Due giorni fa, è tornata dopo essere scomparsa per circa tre settimane... Se volete, potete accompagnarmi adesso. Tra un'oretta scarsa devo iniziare il mio turno.»
Accettai la proposta di Stancy e dopo aver finito il mio te, ormai freddo, ci incamminammo nelle vie affollate della città. Cercai di avere altre informazioni, sulla misteriosa signorina Holmes, ma la ex infermiera si era letteralmente cucita le labbra sull'argomento. La giovane ragazza con le efelidi, scuoteva la testolina piena di ricci rossicci, asserendo che dovevo conoscere la Holmes con i miei stessi occhi, per poter capire meglio le sue asserzioni fatte durante il tè.
Quando giungemmo davanti al monumentale edificio rinascimentale, che ospitava i laboratori nei sotterranei, Stancy mi fermò prima che potessi varcare la soglia.
«Quando conoscerete miss Holmes... non biasimatemi per avervela presentata. Io non ho colpe su questo.» mi avvertì e senza lasciarmi il tempo di ribattere, mi fece strada.
Il suono delle nostre scarpette risuonava lungo i corridoi apparentemente vuoti, mentre  camminavamo in un religioso silenzio.
Scendemmo le scale, fatte da tanti piccoli gradini lavorati in pietra e arrivammo davanti a una grande porta in noce, che Stancy spinse facendo forza sulle spalle. Attraversammo il corridoio, con mura candide, fino a giungere davanti all'ultima porta, che conduceva al gabinetto di chimica.
Una volta che ci mettemmo piede, storsi leggermente il naso a causa dei forti odori di reagenti chimici, che impregnavano l'aria del laboratorio. Questo era una sala vasta, con il soffitto alto illuminato con grandi lampadari, mentre le pareti erano rivestite di scaffali ingombri d'ogni sorta di recipienti. C'erano varie tavole basse, irte di storte e provette, e di becchi Bunsen con le loro tremolanti fiammelle blu.
In fondo alla sala, c'era solo una scura chioma femminile, china su un tavolo e totalmente assorta nel suo lavoro. Non sembrò neanche accorgersi del rumore dei nostri passi. All'improvviso però, saltò come una molla ed esclamò piena di gioia, con gli occhi che le brillavano, ci sorrise felice.
«Tommy è vivo!» esclamò gioiosa e con la coda dell'occhio, vidi Stancy scuotere leggermente la testa.
«Buongiorno, miss Holmes. Sono venuta per presentarle una mia vecchia conoscente e amica... la signorina Watson.» mi presentò la mia accompagnatrice.
Feci un piccolo cenno con il capo alla fanciulla con il camice bianco, mentre le porgevo la mano sorridendo cordiale.
«Oh, certo. Le formalità... mi scuserà di certo, se non le do la mia mano. Tommy è un po' su di giri.» disse scrollando le spalle e abbassando lo sguardo, vidi qualcosa di bianco muoversi nella sua mano destra.
«Miss Holmes! La prego di rimetterlo subito in gabbia! Le ricordo che l'ultima volta è scappato nel laboratorio, e gli studenti hanno dovuto sospendere le lezioni per poterlo catturare.» disse Stancy con la voce acuta, mentre indietreggiava con il viso pallido.
«È un topo, signorina Stamford. Non deve nutrire alcuna paura nei suoi confronti. Non dopo che è sopravvissuto al mio esperimento.»
La signorina Homes, comunque, rimise il topolino bianco in gabbia dove correva in circolo, muovendo in un modo strano la codina rosata.
«A cosa state lavorando?» chiesi curiosa.
«Oh, semplici sciochezze... zollette di zucchero avvelenate per causare attacchi cardiaci.» disse mentre posava sul bancone un topo morto. «È un vero peccato che la vecchia Janice, ci abbia lasciato la pelle... era una topolina simpatica. Nutro dei seri dubbi sulla sanità mentale di Tommy, per questo non amavo molto usarlo... ma ora mi rimane solo lui, ahimè.»
«Cosa vuol fare con quella carcassa?» le chiese Stancy.
«Sezionarla, ovviamente. Non vorrà che la sua morte sia inutile!» rispose la bruna strizzita.
La mia cara infermiera si posò una mano sul cuore e con la voce debole si congedò, lasciandoci sole.
«Non vi dispiace se lavoro, mentre discutiamo, vero? Un medico-infermiere di guerra non si farà intimorire dalla carcassa di un topo morto. Siete tornata dall'Afghanistan da poco. State meglio, ora? Sarete ancora debole di salute...» borbottò rimettendosi a lavorare.
«Come fate a sapere tutte queste cose?» esclamai sorpresa.
«Non è importante ora. Il fegato di Janice è in condizioni pessime... non posso fare molte analisi con quello che ne rimane...»
«Che cosa state ricercando?»
«Il modo efficace per eliminare una persona con una zolletta di zucchero.»
«Non è più semplice usare del cianuro?»
«Non dica sciocchezze! Qualsiasi medico base ne riconoscerebbe la presenza... no! A noi serve qualcosa che sia praticamene invisibile, che dia esito negativo per tutte le analisi di avvelenamento, ma che si possa evidenziare nel sangue con il reagente che ho inventato.»
«Be', le analisi di avvelenamento utilizzano il sangue e anche reagenti...» le feci notare a mezza voce.
«Avete studiato medicina in Francia?»
«Sì, certo...» risposi alla sua domanda aggrottando le sopracciglia.
«Oh, ora capisco il vostro poco buonsenso.»
«Scusatemi?» chiesi leggermente infastidita dalla sua affermazione.
«Non c'è bisogno di scusarsi... l'intelletto delle persone non può culminare con la ragione, eccellendo in entrambi, la comprensione del mondo apparirebbe banale.»
Osservai frastornata la giovane fanciulla, che alzò lo sguardo su di me. Sembrò a dir poco infastidita dalla mia espressione persa.
«Non ha capito che è appena entrata nella storia di una grande scoperta? Come fa a non entusiasmarsi un poco?»
«Non è facile entusiasmarsi per una scoperta sconosciuta.»
«Osservate attentamente. In questa provetta ho del sangue avvelenato, che come avete detto voi, è possibile constatarne l'avvelenamento con le analisi odierne... più o meno. Nutro qualche dubbio a riguardo, ma andiamo avanti... Allora, come opererebbe se avesse solo una piccolissima parte di questo campione, per esempio solo una goccia dispersa in acqua? Capisce anche lei, che nessuna analisi di riconoscimento può essere utilizzata per un campione molto diluito.»
La fanciulla prese un contagocce e lasciò cadere una goccia di sangue in un grande becker da un litro pieno di acqua. La piccola gocciolina rossastra scomparve nel liquido trasparente.
«E ora, apra bene i suoi occhi e accenda il suo cervello. Dopo vari esperimenti, sono arrivata a questo reagente.» disse mostrandomi un matraccio pieno di una soluzione lievemente azzurrina.
«Se io lascio cadere una sola goccia del reagente nell'acqua contenente il sangue avvelenato, questo-»
«Precipita.» dissi stupita, osservando il precipitato ben visibile.
«Oh, finalmente! Ha capito la grande importanza della mia scoperta?» disse la fanciulla battendo le mani entusiasta. «E ciò succede solo se il sangue è avvelenato! Se la goccia di sangue non fosse stata avvelenata, non ci sarebbe stata nessuna precipitazione.»
«È incredibile.» dissi grattandomi leggermente la testa.
«Non è solo incredibile! È una vera svolta nella medicina legale, con questo metodo, si possono avere prove certe anche con campioni di sangue piccolissimi.»
«Sarà molto utile, credo.»
«Oh, sarà la prova decisiva! In molti processi, vengono chiamati dei periti a testimoniare e questi, a causa di campioni quasi inesistenti, non possono confermare l'accusa. Sa quanti avvelenatori la fanno franca? Ma adesso... adesso nessuno riuscirà ad uscirne. Funziona anche con campioni di sangue secco e con qualsiasi tipo di veleno scoperto fino ad ora... da noi inglesi per lo meno.»
«Mi congratulo con voi, per la vostra importantissima scoperta allora.» dissi stupita.
«Grazie. Mi rammarico solo di non essere giunta a questi risultati un po' prima. L'anno scorso, la cugina della zarina, è stata accusata di aver avvelenato il marito e condannata a morte. Io ero certa della sua innocenza, ma non potevo provarlo... se avessi avuto prima questo reagente, lei sarebbe ancora viva. Un vero peccato.»
«Uh, interessante. Non ne avevo sentito parlare.» dissi cercando di ricordarmi se i giornali ne avessero parlato.
«Certo che no! La famiglia dello zar ha tenuto tutto in gran segreto, solo pochi ne conoscevano l'accaduto.»
«Capisco.» conclusi, dandogliela per vinta come si fa per i bimbi quando parlano a sproposito a causa della loro fantasia.
«Dal vostro tono di voce, posso intuire che non mi credete. Non me ne farò un cruccio, è una vostra libertà prendermi per la mia parola. Posso solo dirvi, che lo zar in persona aveva richiesto la mia opinione a riguardo.»
Annuii con la testa, mentre guardavo distaccata il topolino bianco in gabbia: aveva smesso di correre e sembrava avere delle contrazioni sulla gamba sinistra.
«Be', ora che mi ha vista, volete ancora condividere una casa con me?» mi chiese la ragazza senza peli sulla lingua, mentre si lavava le mani. «Non mi guardi in quel modo. Seppure Stancy potrebbe affermarlo con convinzione, non sono né una strega né una veggente. Ho solo intuito che ci avesse presentante a causa dell'alloggio. La mia ipotesi si fonda sul fatto che siete rientrata da poco dall'estero e non sembrate avere una casa propria, visto che dalla tasca sinistra del vostro soprabito si intravede un biglietto di un hotel. Dalla vostra carnagione posso dedurre che siete stata in un luogo caldo... l'Afghanistan è stata la mia prima scelta, visto che avete lavorato come infermiera di campo. Il vostro modo di camminare ricorda vagamente quello dei militari, è un fatto inconsapevole che è causato dalla convivenza. Per quanto riguarda la questione dell'essere medico... lo ammetto, non è propriamente una deduzione. Stancy una volta ha affermato che aveva lavorato con un medico chirurgo donna. Essendo poche, le donne della nostra nazione che sono riuscite a ricoprire questo ruolo, quando vi ho conosciuta oggi ho ipotizzato che foste voi. Inoltre, non avete sbattuto ciglio alla vista del bisturi e della dissezione della carcassa, anzi... in alcuni momenti avevo l'impressione che voleste mostrarmi la via migliore per estrarre i vari organi del animale.»
«Siete un'ottima osservatrice.» le dissi sorridendo.
«Naturalmente, a che servirebbero gli occhi altrimenti? Tralasciando da parte questi argomenti futili, l'appartamento è a Baker Street. È ottimo per delle ragazze che vivono sole, in un buon quartiere. Spero solo che l'odore del tabacco non vi dia fastidio.»
«Voi fumate?»
«Con grande gioia della signorina Stancy... sì. Non ve lo ha detto? Strano... di solito sono il suo esempio preferito sulla degradazione morale.»
«Mentre ero in Francia, ho iniziato a farne uso anche io... ma fumo solo qualche volta, sigarette americane. Non lo amo molto, ma non mi crea alcun fastidio.»
«Oh, perfetto allora. Generalmente, molti dei miei esperimenti chimici gli eseguo in casa... la presenza di apparecchiature e reagenti chimici vi dispiace?»
«Certo che no.»
«Bene... altri difetti? Ah, ecco. Sono piuttosto mutevole di umore. Alcune volte posso stare zitta sulle mie per giorni, se ciò dovesse succedere, non è a causa vostra, quindi non si offenda. Il mio broncio sarà causato probabilmente da qualche problema che non riesco a risolvere. E voi, che mi dice? Se vogliamo convivere, tanto meglio mettere subito in mostra i propri difetti, che lasciarli per il futuro come sorprese poco gradite.»
«Non so proprio che dirvi... avevo intenzione di adottare un cane, se per voi non ci sono problemi.»
«Nessun problema, a patto che non ribalti i miei oggetti. Ah, dimenticavo... vi dà fastidio il suono del violino? Alcune volte lo uso per rilassarmi, posso andare avanti per l'intera giornata.»
«Se il violinista ha un grande talento, sarebbe solo una delizia per allietare le mie giornate... ma se il suo livello è scadente...»
«Non avete di che preoccuparsi, allora! Possiamo dire di essere d'accordo? Naturalmente dovete ancora prendere visione dell'appartamento.»
«Non ho problemi a vivere con voi, signorina Holmes. Per quanto riguardo l'appartamento, quando possiamo accordarci per andarlo a vedere insieme?»
«Se siete libera domani pomeriggio, passi quando vuole. Mi troverà qui.»
Ci salutammo e me ne tornai in albergo, mentre ripensavo alla mia nuova conoscenza.

Non riuscivo ancora a capire se la luce, che le illuminava gli occhi era genio... o pazzia.


Angolo autrice:
Buonsalve, miei signori! Se siete riusciti ad arrivare fino a qui, tanto di cappello!
In realtà, ora che ho pubblicato, l'intera idea mi sembra stupida e banale... ma va bene lo stesso.
Ditemi pure che pensate.

p.s: per eventuali errori, vi prego di segnalarmeli e provvederò subito a correggerli.
Ripeto: cercasi beta reader! Fatevi in avanti, vi prego!

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