9. Alessia
-Si, bravo, vattene!- borbotto alle sue spalle quando si allontana. Che presuntuoso! Ma chi si crede di essere? Venire qui e darmi della pazza! Ma guardalo, che avrà mai fatto di tanto importante? È venuto, mi ha salvato la vita e adesso si crede chissà chi.
Rimango distesa sulla sabbia per un'altra mezz'ora. Qui non c'è nessuno, solo io. Il mare è mosso e il tempo è fresco e invernale. Il sole che tramonta nel mare.
Quando sto per andare via, una voce femminile che conosco perfettamente, mi ferma dicendo: -Alessia, ma che ci fai qui?- Mi giro e vedo quello che mi sembra un incubo fatto realtà.
Alzo la testa verso chi ha parlato e quel che vedo mi sembra un incubo fatto realtà. Che ci fa lei qui? Sono anni che non la vedo.
-Evelyn- dico a denti stretti.
- Si, esatto.- Mi guarda per qualche minuto. -A quanto vedo sei sempre la stessa- commenta facendo una smorfia e toccandosi i capelli biondi con la mano in segno di superiorità. La guardo e non le rispondo.
I suoi capelli, una volta marroni e bellissimi, adesso sono di un finto biondo ossigenato notabile a miglia di distanza. Il trucco è pesante sulla faccia con uno smokey eyes sugli occhi, le guance rosate eccessivamente da un blush color pesca e il rossetto rosso molto appariscente. Mi soffermo sui suoi abiti, una maglietta abbastanza scollata nera con degli strass e una gonna che non arriva a coprire nemmeno il sedere. In mano regge delle scarpe con il tacco dodici nere. Come accessori ha dei pendenti argentati a cerchio nelle orecchie, una collana piena di diamanti al collo, un bracciale che riprende i toni della collana con dei diamanti incastonati, e per finire, un anello d'argento con un diamante abbastanza luccicante al dito. Quant'è diversa.
- Che vuoi, Evelyn? - domando scocciata, cercando di non farle notare il mio disgusto nel vederla conciata così, nemmeno fosse un travestito.
-Non si trattano cosi le amiche- dice, con quella sua voce stridula di sempre e scuotendo il dito davanti alla mia faccia.
-Non siamo amiche dalla terza media- la informo, tenendo le braccia incrociate, gli occhi fissi su di lei.
Eravamo amiche dalle elementari, migliori amiche per dirla tutta. Lei è stata la prima amica che ho avuto quando mi sono trasferita qui a Chicago. Ma in terza media abbiamo avuto un dibattito perché lei voleva essere sempre al centro dell'attenzione, e per questo mi trascurava. Quando però mi sono stancata, le ho detto che ciò che faceva non era giusto e che doveva tornare ad essere come prima, altrimenti la nostra amicizia sarebbe finita. Non mi ha dato retta, anzi, mi ha dato della nullità e mi ha anche detto che senza di lei non sarei stata più nulla e che non avrei avuto più amici. Be', sì è sbagliata. Sono più felice da quando non l'ho avuta più vicino, perché, sinceramente, preferisco essere sola che avere un'amica che se la tira, e anche troppo.
-Così mi ferisci, amica.- Si porta una mano al petto e fa una faccia da finta dispiaciuta.
-Ripeto, che vuoi Evelyn?- Il mio tono di voce questa volta è abbastanza autoritario. Me ne voglio andare da qui, sono stata trattenuta fin troppo. Prima quel ragazzo e adesso lei. Lassù ce l'anno mica con me oggi?
-Niente di particolare. Stavo passando per di qui e ti ho vista. All'inizio non pensavo fossi tu, ma poi, quando mi sono avvicinata, mi sono ricreduta. Volevo sapere solo come stavi. Sai, dopo che ci siamo separate non ti ho vista molto e ho pensato: ‹‹forse starà male perché adesso non è più niente e le verrà difficile trovare qualche amico›› e mi sono dispiaciuta per te- fa lei, con aria innocente.
Io la guardo bene. So che sta fingendo, la conosco troppo bene per non capirlo. Ma che m'importa? tanto non la rivedrò più. -Benissimo, per tua informazione- esclamo, sicura di me.
Il suo viso s'illumina. -Ne sono felice, spero che la solitudine non sia una cosa tanto brutta da vivere. Be', devi semplicemente abituartici, poi tutto passa.- Fa un sorrisetto e si arrotola le ciocche di capelli tra le dita.
-La solitudine non è per niente brutta, visto anche il fatto che mi sono trovata subito due migliori amici che hanno preso il tuo posto e che non si sentono chissà chi- la informo, incrocio le braccia al petto.
Mi guarda in silenzio e poi annuisce. -Bene, sono felice anche per questo.- La sua voce piena di astio. Non te lo aspettavi, eh? Be', è così mia cara.
-Ora, se non ti dispiace, me ne vorrei andare- dico alzandomi. Mi pulisco i pantaloni sporchi di sabbia e mi giro, intenzionata ad andarmene.
-Ah, Alessia, tu vai al Northside College, non è così?- Mi giro di 180° e la guardo di traverso.
-Si, perché?- Che cosa significa questa domanda adesso?
-Be', ti informo che anch'io mi sono iscritta lì. Spero tu non sia messa in una classe piccola, con più o meno venti alunni, due finestre e dei professori veramente noiosi, escludendo quella di storia che è veramente qualcosa dell'altro mondo da come si veste. Sarebbe un peccato se fosse così, perché significherebbe convivere insieme per ben tre anni.- La sua voce mentre elenca ogni singolo dettaglio di quella che è, effettivamente, la mia classe mi fa salire l'odio puro. Calma, Alessia, non ne vale la pena.
-Non sei contenta?- continua poi, vedendo la mia espressione tutt'altro che entusiasta.
Ci mancava solo questa adesso. Okay, sono seriamente convinta che oggi ci sia qualcuno lassù che complotta contro di me. Non è divertente, dovete smetterla!
-Tu non sai quanto- borbotto tra me. Alzo gli occhi al cielo e vado via, lasciandola lì, senza neanche salutarla.
* * *
Apro la porta ed entro in casa. Nel tragitto scogliera-casa, mi sono calmata un po'. Ho cercato di dimenticare quel ragazzo tanto presuntuoso quanto bello che ho incontrato e ho mandato giù, anche se amaramente, il fatto che Evelyn sarà in classe con me quest'anno.
-Fratellone, ci sei?- domando.
-Hey, sorellina- saluta mio fratello, uscendo dal salone. -Vieni, abbiamo ospiti.- Indica con un dito il salone ed io scuoto la testa.
-Ehm... io in realtà volevo andare a dormire. Sai, sono un po' stanca. - Faccio un finto sbadiglio e mi stiracchio un po'.
-Dai, è un mio amico, ti vuole conoscere- aggiunge -fallo per me.-
Faccio finta di pensarci su e poi rispondo. -No, mi dispiace, sono stanca. Conoscerò il tuo amico poi, un giorno, ma adesso no.-
-E va bene, allora dammi solo un abbraccio- dice mio fratello, sbuffando e aprendo le braccia verso di me. Scuoto il capo e sorrido. Lo abbraccio forte. Per fortuna che i miei vestiti si sono asciugati, non sarei stata in vena di rispondere al suo interrogatorio.
-Ma dico scherziamo, Jack?- esclamo quando mi ritrovo sulla sua spalla.
È la seconda volta che lo fa. La prima volta quando non volevo svegliarmi dal mio sogno per il primo giorno di scuola, e adesso questo. Ha qualcosa con il trasportare le persone in questo modo, è pazzesco.
-Ti ho detto che abbiamo ospiti- dice mentre si dirige in salone. Sento una risatina maschile alle mie spalle, ma non è quella di mio fratello. Sembra familiare però...
-Sei proprio un idiota, sai? Non c'è bisogno di tutto questo.-Sbuffo, il mio gomito sulla sua schiena e la mano che regge la mia testa. Alzo gli occhi al cielo.
Aspetto che si fermi e che mi metta giù, poi gli do uno schiaffetto sulla testa. -Grazie Jack, molto gentile da parte tua- faccio, sarcastica.
-Ale, ti presento il mio amico Damon River- dice semplicemente. Gli ho detto che non avevo voglia di conoscere nessuno, ed è quello che farò.
Senza nemmeno girarmi dico: -Ciao Damon, sono Alessia, la sorella di questo tipo qui. Ora, se non vi dispiace, vado a dormire, è stata una giornata lunga per me.- Detto questo, sorrido a mio fratello e lo sorpasso, saledo le scale fino ad arrivare in camera mia.
Sono troppo stanca per pensare a conoscere gli amici di mio fratello, e poi non ne ho nemmeno voglia. Sono rare le volte che mi presenta i suoi amici, e quando lo fa è perché si fida veramente di loro e sa che non penseranno mai, nemmeno per un istante, all'idea di mettersi con me.
Con le poche forze che ho, prendo il pigiama e l'intimo dalla cassettiera e vado in bagno per farmi una doccia veloce. Torno in camera mia profumata e come nuova. Mi butto sul letto, stanca. Quando però sto per chiudere gli occhi e quindi prendere sonno, sento dei passi provenire da fuori la mia stanza, più precisamente che salgono le scale. Silenzio.
Chiudo di nuovo gli occhi e cerco di dormire. Il rumore questa volta proviene dalla mia porta; infatti qualcuno sta bussando. Spalanco gli occhi e li alzo al soffitto. Se è mio fratello, lo prendo a schiaffi. Non può costringermi a conoscere qualcuno se non voglio. E, nemmeno se me lo chiedesse gentilmente, scenderei una seconda volta a scusarmi col suo amico, quel certo Damon.
-Entra- urlo, muovendomi nel letto. Sbadiglio.
Quando sento la porta aprirsi, mi giro leggermente e rimango di sasso. Non è possibile. Non di nuovo. Il ragazzo che mi ha salvato la vita è di fronte a me. È lui Damon? È lui l'amico di mio fratello? Per favore, ditemi che non è vero. Mi alzo a sedere di scatto e rimango ferma a fissarlo.
-Ancora tu? Ma dico, sei ovunque?- Sbuffo e incrocio le braccia al petto.
-Tu sei la sorella di Jack?- È sorpreso, be' lo sarei anch'io. -Ecco perché i tuoi capelli e quei vestiti mi sembravano familiari...- riflette ad alta voce.
-Bingo!- esclamo. -Jack ci ha già presentati se ricordi. Ora, se non ti dispiace, sparisci.- Mi alzo dal letto e mi avvicino a lui, spingendolo fuori dalla mia camera. Prima che io possa chiudergli la porta in faccia, lui blocca la porta con il piede.
-Che vuoi ancora?- domando esasperata.
-Tuo fratello sa che cosa è successo oggi?- chiede, facendo un sorrisetto e inarcando le sopracciglia.
-No, e non lo deve sapere!- Apro la porta di scatto e lui cade quasi in avanti. -Tu non glielo dirai, altrimenti...-
-Altrimenti cosa?- m'interrompe, avvicinandosi a me e bloccandomi a muro. Deglutisco. Per alcuni secondi questa vicinanza mi lascia senza parole. Ha veramente degli occhi fantastici, simili al colore del cielo.
-Levati!- Ritorno in me e gli do uno spintone. -Non lo deve sapere e basta!-
-Va bene, ragazzina.- Abbassa lo sguardo e subito dopo lo rialza. -Tu fai la brava, ed io non dirò nulla al tuo amato fratellino, si?- Mi porge la sua mano come segno di promessa. Lo guardo assottigliando gli occhi e, completamente riluttante a questo gesto, gli stringo la mano. Sorride compiaciuto, sentendosi come se mi tenesse in pungo.
-Vattene!- Lo spingo di nuovo fuori e gli chiudo la porta in faccia, e questa volta per davvero.
Non è possibile: prima alla scogliera, ora qui. È una spina nel fianco questo ragazzo. E che fastidio che mi dà vedere il suo viso. Un po' meno per i suoi occhi forse, quell'azzurro così chiaro e freddo è un misto di... No, basta, smettila! Alessia Stewart, nemmeno per un secondo ti permetto di pensare ancora a quel ragazzo. Damon River per te è storia passata.
Mi butto sul letto, questa volta sicura che nessuno verrà più a disturbarmi, e finalmente riesco a prendere sonno.
* * *
Come quasi ogni giorno, da quando è iniziata la scuola ormai, mi sveglio anche oggi di soprassalto a causa del suono della mia sveglia. Mi rigiro più volte sul letto coprendo le orecchie col cuscino e cercando di alleviare un po' il rumore, senza però alcun risultato. Esco un braccio dalle coperte e inizio a muoverlo sul comodino, completamente a caso, fino a quando non trovo il telefono. Faccio spuntare un occhio da sotto il cuscino e spengo la sveglia. Sbadiglio e le mie dita vanno volontariamente sui social. Sto li per alcuni minuti, poi, anche se malvolentieri, mi alzo e barcollo come fossi uno zombie fuori dalla mia stanza, fino alla doccia.
Torno in camera mezz'ora dopo, essendomi leggermente addormentata dentro la doccia con l'acqua che scorreva ed io appoggiata al muro, e mi posiziono davanti all'armadio, indecisa su cosa mettere. Alla fine prendo un crop top bianco a maniche lunghe con una scritta marchiata in nero nella parte frontale che dice "Smile"; degli skinny jeans scuri a vita alta con i classici strappi sulle ginocchia e che mettono in risalto il mio lato B; infine, le mie Adidas Superstar bianche e nere.
Vado in bagno ed inizio a truccarmi con i trucchi base e cioè, eyeliner nero, mascara volume, blush pesca, e rossetto color ciliegia matt. Lascio i capelli sciolti.
Torno in camera e mi sistemo lo zaino, prendo il telefono e me lo metto in tasca così sono sicura di non dimenticarlo. Prendo la giacca di pelle che avevo preparato prima sul letto e mi guardo un'ultima volta allo specchio. Scendo le scale, incrocio lo sguardo di mio fratello.
-Sorellina, ritorni a scuola?- domanda.
-Devo pur farlo. Se non è oggi, è domani, quindi perché aspettare? Non posso perdere l'anno. E poi...ho bisogno di staccare un po' la spina. Questa casa...si, insomma, devo sconnettermi un po'. - Abbasso lo sguardo.
Adesso che i miei genitori non sono più qui, questa casa non è più la stessa cosa. Non è più quel posto allegro e felice di una volta, non ci sono più scherzi e risate. Solo silenzio... e tutto questo è deprimente e piuttosto frustrante. Per questo preferisco andare a scuola invece che rimanere ancora qui, mi distrae da tutto il resto.-
-Hai ragione, fai bene. Hai bisogno di svagarti e non pensare più a...- s'interrompe ed io lo ringrazio con lo sguardo per non aver continuato.
-Vado o farò tardi, ci vediamo dopo.- Mi avvicino e gli lascio un bacio sulla guancia.
-Ciao, sorellina- dice, per poi aprire la porta per farmi uscire. Lo saluto un'ultima volta e poi vado via.
Mi avvio verso la scuola con la musica lenta e bassa che entra nelle mie orecchie attraverso gli auricolari. I pensieri negativi svaniscono, quelli positivi anche. Niente mi può disturbare, sono nel mio mondo. Prendermi del tempo per me è qualcosa che mi è sempre piaciuto fare, mi fa sentire bene, riempie il vuoto che ho dentro di me. Come diceva un certo Robert Browning "Colui che ascolta la musica sente che la sua solitudine, improvvisamente, si popola." Ed è così anche per me.
Quando la musica finisce, mi viene quasi un colpo al sentire e al veder passare una moto come fosse un flash vicino al marciapiede dove cammino io. Sussulto per lo spavento e mi giro all'istante verso che guida la moto, ormai lontano.
-Stai attento, cretino!- urlo, guardando quella moto sparire subito dopo dalla mia visuale. Che gente maleducata, non se ne può proprio più.
Continuo a camminare facendo attenzione ad ogni auto, moto, bici che passa per la strada. La musica va e viene lenta e dolcemente, i miei pensieri altrove, fino a quando non arrivo a scuola. Entro in classe e trovo già Giulia e Claudio seduti ai propri posti, chiacchierando. Non li vedo da una settimana, chissà quanto avremo da raccontarci...
-Alessia! O mio Dio, stai bene!- La figura di Giulia si materializza davanti i miei occhi e si avvicina a me correndo, le sue braccia poi circondano il mio corpo. Nemmeno mi ero accorta che si fosse alzata o che mi avesse vista.
-Hey- riesco a dire, colta alla sprovvista.
-Hey, seriamente? Io spero tu stia scherando. Cioè, non ti sei fatta né vedere né sentire per una settimana intera e adesso te ne esci con un semplice "hey"?- ribatte allibita.
-Lo so, scusami- Abbasso lo sguardo e mi porto una mano sul collo, nervosa. -È solo che...- Glielo dico o no? Devo farlo, è la mia migliore amica in fondo, mi ha sempre aiutato con tutto, lo stesso per Claudio.
-Non è da te non chiamare per una settimana, sparire così. Cosa è successo? Lo sai che a noi puoi dire tutto.- Dal suo tono di voce capisco che è preoccupata, quindi, prendendo posto al mio banco, sospiro..
-Non mi sono fatta vedere perché... i miei genitori...sono morti- dico, la mia voce inespressiva e nessuna lacrima che tenta d'uscire. Ormai ho smaltito tutto, diciamo. Quel salto giù dalla scogliera mi ha fatto sfogare abbastanza, mi ha dato l'adrenalina di cui avevo bisogno.
-Che?!- La loro faccia è sorpresa per la notizia. -Mio Dio, mi dispiace.- Giulia mi abbraccia forte e mi infonde tutto l'affetto e l'amore che solo lei può darmi. Poi è il turno di Claudio; il suo è un abbraccio più caldo, da uomo, e mi è mancato.
-Tranquilla, è passato. Piangerci sopra non risolverà niente- dico, ormai rassegnata a vivere questo presente.
-Alessia, riuscirai ad andare avanti- m'incoraggia lui, la mano sulla mia spalla. Annuisco.
-Si, questo lo spero anch'io...- farfuglio tra me.
Quando la professoressa entra in classe, smettiamo di parlare e ci alziamo per salutarla. Inizia a fare l'appello e dopo aver finito annuncia l'arrivo di una nuova alunna nella classe. Quando lo dice, mi chiedo in un primo momento chi potrebbe essere, poi, come istintivamente penso alla spiaggia e allo spiacevole incontro con Evelyn.
-Signorina Evelyn White, entri pure- dice la professoressa.
Evelyn entra con la solita aria da ragazza viziata che ha avuto fin da sempre. Appena mi vede, fa un sorrisetto beffardo, poi tira uno sguardo da perfetta troia a tutta la classe.
-Signorina White, c'è un posto libero accanto alla finestra, si vada pure a sedere.- La professoressa indica il banco ed Evelyn va a sedersi, ancheggiando di tanto in tanto.
La lezione inizia ed io non vi presto attenzione nemmeno un minuto. Le parole della professoressa sono indistinguibili alle mie orecchie perché penso ad altro. Vorrei tanto ritornare in quella scogliera e rimanere un po' lì a pensare, mi farebbe davvero comodo. Mi sento sicura in quel posto, bene. Con me stessa.
* * *
Suona la campana. Finalmente una pausa. Metto i libri nel mio zaino e vado in mensa con Claudio e Giulia. Prendiamo i vassoi e li riempiamo di cibo, andiamo a sederci ad un tavolo un po' isolato e ci guardiamo, indecisi su cosa dire o chi deve iniziare a parlare.
-Allora, Ale, che ci racconti?- chiede Giulia, rompendo il ghiaccio, un po' di tristezza negli occhi per ciò che le ho detto stamattina a inizio lezioni.
-Mmh, che vuoi che ti dica...- La guardo picchiettando le dita sul mento e facendo finta di pensare. -Stavo per morire buttandomi da una scogliera, ma un ragazzo molto carino quanto antipatico mi è venuto a salvare. Appena arrivo a casa, scopro che quel ragazzo è un amico di mio fratello e che si chiama Damon.- Mi fermo per pensare. -Ah, stamattina un pazzo mi ha fatto saltare in aria per lo spavento perché mi è passato affianco come un flash sullla la sua moto.- L'espressione incredula sul volto di Claudio non è comparabile a quella di Giulia.
-Tu... tu, ma sei pazza?! Come ti è venuto in mente di buttarti da una scogliera?- urla Giulia. Tutti gli studenti si girano verso di noi e incominciano a fissarci. Fantastico, ci mancava solo che questi venissero a sapere i fatti miei.
-Non urlare- gesticolo, cercando si farla calmare. -Tranquilla, sono viva- dico, bevendo un sorso di tè.
-Per fortuna!- esclama. -Capisco che sei coraggiosa, ma non puoi andarti a buttare da una scogliera per testarlo- interviene Claudio, a voce bassa per non attirare di più l'attenzione su di me. Ha ragione, ma io non l'ho fatto per testare se fossi coraggiosa o no.
-L'ho fatto perché volevo dimenticare ciò che è successo ai miei genitori.- Abbasso la testa.
-Non potrai mai dimenticarlo, potrai solo alleviare il dolore, e questo lo sai anche tu- mi ricorda Giulia, la sua mano sopra la mia.
-Si, lo so- La guardo, sconsolata. -Adesso vado, ci vediamo... in classe.- Mi alzo e prendo il vassoio con i resti del mio cibo e lo vado a buttare. Poi esco dalla mensa.
I miei amici pensano che io sia pazza, ma non lo sono, so perfettamente ciò che faccio. E il bello è che ci penso su, ma poi decido sempre ciò che è sbagliato agli occhi degli altri e giusto ai miei. Non ho bisogno di qualcuno che mi dica come devo vivere la mia vita, perché non sta a loro deciderlo. Decido io che fare, sono abbastanza grande per farlo.
Cammino per il corridoio, gli occhi di tutti addosso. Ad un angolo Evelyn con un ragazzo dai capelli neri, le spalle familiari. Si stanno baciando, più che baciando. Date una stanza a quei due! Tiro avanti, disgustata, e ritorno in classe, nessuno all'interno.
Dopo che suona la campanella, la classe si riempie in pochi minuti e tutti quanti i miei compagni rientrano in classe, inclusa Evelyn e la professoressa di matematica che, con la sua valigetta alla mano e la sua solita aria stanca, si avvicina a alla cattedra e sospira. Allora non sono solo io qui ad annoiarsi...
-Bene, ragazzi, stamattina ho saputo che a questa classe si è unita una certa...- lascia la frase in sospeso per controllare il registro. -Evelyn White?-
-Si, sono io.- Evelyn alza la mano e attira tutta l'attenzione su di lei, poi sorride ad ogni ragazzo della mia classe e ritorna a guardare il suo banco. Alzo gli occhi al cielo e scuoto la testa, esasperata. Deve sempre fare la snob, è odiosa.
-Bene, signorina White. Mi fa piacere che si sia iscritta in questa sezione.- Già, anch'io... Non sa quanto.
La lezione comincia ed io, come sempre, non sto attenta, per questo vengo richiamata due o tre volte dalla professoressa. Durante la ricreazione sono stata sola per tutto il tempo, seduta in questo banco. Nella classe entravano qualche volta dei ragazzi, perlopiù secchioni, per controllare se i loro compiti erano tutti giusti o per ripassare la lezione, ma tra loro nessuna traccia di Giulia o Claudio. Alla fine della ricreazione però sono stati i primi ad entrare in classe, il viso dispiaciuto per ciò che era successo. Giulia mi ha chiesto subito scusa per come si era comportata, ed io l'ho perdonata. Posso capirla perfettamente, anch'io avrei reagito così se qualcuno a me caro mi avesse detto quello che ho fatto io.
Quando, a fine ora, la professoressa ci annuncia l'arrivo di un nuovo compagno, io mi guardo intorno sorpresa. Un'altro?
-Ma oggi che hanno?- farfuglio tra me. -È tutto il giorno che ci sono interruzioni. - Abbasso lo sguardo e disegno qualcosa sul mio diario.
-Il vostro nuovo compagno si chiama Damon River. Entra pure- dice la professoressa. Damon?
Alzo gli occhi verso la porta a sentire quel nome. Non è possibile. Sicuramente sarà un altro Damon, non può essere che sia lo stesso che ho incontrato alla scogliera. Eppure...ha lo stesso cognome. Mi protendo in avanti col busto e aspetto di sapere chi entrerà da quella porta, lo sguardo fisso.
Un ragazzo vestito con dei jeans neri, maglietta bianca e giacca in pelle nera entra in classe. Alzo lo sguardo sul suo viso: occhi azzurri, simili al colore del cielo e capelli neri simile alla pece. Damon. Quel Damon. Possibile che sia così sfortunata? Prima Evelyn, adesso anche lui.
Le mie emozioni esplodono e tento di reprimere l'istinto di urlare. È sicuro, adesso andare in quella scogliera per pensare mi farebbe veramente bene. Ma purtroppo non posso muovermi da questo banco per almeno altre tre ore, quindi è meglio che mi inizi a calmare un po'.
-Salve a tutti, mi chiamo Damon River e vengo da Los Angeles.- Ma guardarlo, si sente chissà chi solo perché è di Los Angeles!
Mi appoggio allo schienale della sedia e incrocio le braccia, l'espressione omicida sul mio viso. Damon gira un po' lo sguardo per la classe e ad un tratto i miei occhi incontrano i suoi. Continuo a guardarlo con aria minacciosa ma esasperata allo stesso tempo. Lui, in cambio, mi rivolge un sorrisetto sorpreso e beffardo.
-River, vada a sedersi. C'è un posto di fronte alla signorina Stewart.- La professoressa richiama la sua attenzione indicando il posto libero di fronte a me dove Damon viene a sedersi.
Quando si siede si gira pochi secondi verso di me e mi sorride. Alzo gli occhi al cielo e sbuffo stufa. Che fastidio! Incomincio ad odiarlo. No, ma cosa sto dicendo? Io lo odio già. Per fortuna suona la campanella, almeno posso essere sicura che non ucciderò Damon facendogli un attentato da dietro.
Giulia mi scuote leggermente il braccio per richiamarmi, ed io giro lo sguardo verso di lei.
-Allora, Ale, è lui quello di cui hai parlato?- mi chiede, la voce bassa.
-Si, è lui- rispondo, stanca e con gli occhi che non sanno più dove guardare. Purtroppo. Abbasso lo sguardo, cercando di controllarmi. La mia sfortuna è smisurata al giorno d'oggi, non c'è che dire. Respira, passerà prima o poi.
Giulia si alza senza il minimo preavviso e in un attimo si ritrova di fronte a lui. Ma che vuole fare adesso? No. No, no, no, Giulia!
-Ciao, io sono Giulia.- Picchietta un dito sulla spalla di Damon e lo fa girare verso di lei. -So che non ci conosciamo, ma questo non importa- aggiunge.
-Dimmi- risponde. Poggia il gomito sul banco e le sorride. Giulia va in agitazione per qualche secondo, ma poi si ricompone e continua a parlare. Voglio morire.
-Ti ringrazio per aver salvato la vita della mia migliore amica Alessia.- Mi guarda. -Sai, a volte fa cose...strane, pazze dovrei dire.- Mi indica e parla a voce alta, gli alunni della classe che ascoltano. Abbasso per un attimo il capo e scuoto la testa, le mani a coprirmi il viso. Non potrebbe essere più imbarazzante di così.
Damon gira lo sguardo verso di me e fa un sorrisetto, poi torna a guardare Giulia. -Oh, non c'è di che.- La voce disinvolta. -Anche se, forse, sarebbe stato meglio se me lo avesse detto lei, invece che mandare una sua amica a farlo. Lo avrei gradito di più- continua, con fare superiore. Quant'è...AH!
-Ti conviene farci l'abitudine, è fatta così- conclude Giulia, poi lo saluta di nuovo e ritorna da me.
Sento lo sguardo intenso di Damon su di me. Quasi urlo per la rabbia e, allo stesso tempo, mi nascondo per l'imbarazzo. Altro che pensare a qualcosa di meno stressante, qui mi stanno facendo venir voglia di mettermi ad urlare. Distolgo lo sguardo da lui e mi concentro su quelli di Giulia.
-Ma dico, sei impazzita?- La tiro verso di me. -Io non mi voglio far notare e tu che fai, vai a parlare con Damon? Ma ragioni?- Gesticolo furiosa, cercando al contempo di trattenere un tono di voce basso per non attirare, più di quanto non abbia già fatto oggi, l'attenzione su di me. Sono incazzata nera, e questo si può perfettamente capire dalla mia faccia.
-Ma scusa, Ale, che male c'è?- domanda, innocua.
-Niente...- Prendo il diario e lo chiudo con forza. -È questo il problema, per voi non c'è mai niente di male.- Prendo lo zaino e lo sbatto sul banco. Non ce la faccio, è troppo. -Nessuno mi capisce. Sono sola ormai.- Prendo ciò che mi resta sul banco e lo butto dentro lo zaino, tutto sotto lo sguardo di mezza classe.
-Ales...- La interrompo.
-Di' alla prof che mi sono sentita male e che sono ritornata a casa- dico, interrompendola. La guardo un'ultima volta, poi mi giro per andarmene.
-Ale.- Damon mi ferma per un braccio. Mi giro verso di lui, l'aria stanca.
-Due cose: uno, non chiamarmi Ale, solo i miei amici possono farlo e tu non sei tra questi; due, lasciami in pace, ho di meglio da fare che pensare a... te- sputo acida.
Fa un sorrisetto sghembo e incrocia e braccia. -Che ti prende? Gelosa?- Lo guardo male e me ne vado facendo un piccolo grido di rabbia, che non è niente in confronto a quello che voglio fare veramente. Ma chi si crede di essere? Gelosa, io? E di chi poi? Di lui certo no.
Quando esco dalla scuola un vento gelido mi trapassa. Cammino senza pensare a nulla, fino a quando non arrivo alla scogliera. Mi siedo a terra e mi sdraio, mettendo lo zaino sotto la testa. Guardo il cielo, grigio e freddo, e ripenso a tutto ciò che in successione mi è capitato in questi giorni: i miei genitori che sono morti; il casuale incontro sulla scogliera con Damon, affascinante ma allo stesso tempo odioso ragazzo dagli occhi azzurro cielo e dai capelli nero pece; il mio rischiare la vita saltando giù dalla scogliera; il ritorno di Evelyn che, in passato, aveva detto che sarebbe andata via per sempre da questa città per andare a vivere a Los Angeles; infine, la splendida litigata, per modo di dire, con la mia migliore amica Giulia di poco fa.
Quest'anno è iniziato da poco, ma posso perfettamente capire che sono troppo debole per sopportare questo da sola, per fare come se non fosse accaduto nulla. Anche se ci provo, non potrò mai rimuovere il segno lasciatomi.
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