28. Damon

Non avrei mai creduto che mi sarei ritrovato così, in questa situazione. Stare seduto accanto al corpo inerme di Alessia, stringendole la mano senza che lei si ritragga o che mi dica qualcosa sembra qualcosa di impensabile. Se qualche mese fa mi avessero detto che oggi sarebbe successo quello che sta avvenendo ora probabilmente avrei riso per mezz'ora. La sensazione di averla accanto ma non completamente presente mi fa stare male, sentire come se mi mancasse qualcosa. Cazzo, chi lo avrebbe mai immaginato, eh? Io, Damon River, che provo qualcosa per una ragazza.

Da quando questa ragazza è entrata a far parte della mia vita, non so più che pensare; il mio cervello è completamente e fottutamente fottuto. Ogni giorno, ora, minuto, secondo che passo è caratterizzato da un pensiero o da un'immagine di lei che affiora nella mia mente. Non smetto di pensare a lei nemmeno per un momento, cazzo.

E adesso che Jack è andato via, lasciandomi inspiegabilmente solo con sua sorella, vorrei dirle tutto ciò che mi passa per la mente, farle capire che è stata una pazzia quella che ha fatto, farle capire che deve ritornare indietro.

Seduto sul lettino, accanto a lei, avvicino la mia mano alla sua, pallida e molto più magra di prima. Mi soffermo a guardarla bene, a notare ogni minimo particolare che mi è sfuggito da quando la conosco. Il suo corpo è dimagrito, i suoi lineamenti facciali sono più visibili. I capelli sono lisci sulle sue spalle e scompigliati in qualche punto, il colore marrone è più spento di quanto ricordassi. Il suo viso è pallido, le palpebre chiuse sono quasi di un colore rossastro, le occhiaie nere ben evidenti. Arrivando alle sue labbra, le sue bellissime e carnose labbra rosa, adesso sono distese in una leggera linea e dal colore violaceo, quasi fossero congelate. Guardandola così sembrerebbe morta, ma ciò viene smentito dal fatto che il suo petto si alza e si abbassa regolarmente come qualsiasi essere umano ancora in vita, e il suo cuore batte ad un ritmo vigoroso e vivace.

Quanto vorrei che in questo momento aprisse gli occhi; vorrei che mi dicesse che andrà tutto bene, che sta combattendo con tutte le sue forze e che si riprenderà presto. Vorrei che aprisse gli occhi anche solo per dirmi di lasciarla in pace, che ho già fatto abbastanza. Non m'importa, voglio solo sapere che sta bene. Probabilmente però, appena aprirà le palpebre e mi mostrerà i suoi bellissimi e splendenti occhi marroni, tornerà ad odiarmi, evitarmi e insultarmi, come sempre del resto. Ma ciò non mi sfiora per niente, mi basta sapere solo che è viva.

Voglio che si svegli per spiegarle che lei ha solo sedici anni e tutta una vita davanti, che non si può fare abbattere per delle stronzate colossali che capitano a tutti ogni giorno.

Voglio spiegarle, guardandola dritta negli occhi e mostrandole quanto io sia serio e sincero, quanto sia fantastica la vita. La sua vita.

Ha un cazzo di fratello che le vuole bene e che la protegge (anche se per la maggior parte del tempo è un fottuto stronzo), degli amici che la confortano e che la sostengono, ha il suo ragazzo (che in questo momento non so dove sia) che la ama e che la fa sentire bene. Ed infine, ma non per importanza, ha me.

Mi viene da sorridere pensando che io non so nemmeno come definirmi per lei: un amico o un rivale?

So di essere una fonte di sfogo per lei, qualcuno che le fa uscire tutta la rabbia che tiene repressa nel suo corpo. Mi piace pensare che ogni volta che mi vede litighiamo oppure la faccio arrabbiare perché la stuzzico, mi fa sentire superiore.

Mi piace sentirla vicino a me, vedere quanto è nervosa quando sto per farle una domanda o quando la tocco. Mi eccito al solo pensiero.

-Ah, Alessia, Alessia, Alessia...- scuoto la testa ed alzo lo sguardo al cielo. – Come mi fai sentire strano...-

Mi guardo intorno nella stanza e vedo che è così bianca e pulita da far paura, e l'odore di prodotti per la pulizia e medicinali è fastidioso. Non penso che mi divertirei a stare qui, sembra inquietante invece che rilassante.

-Alessia, mi senti? Sono Damon – tento di avviare un discorso dopo ore di pensieri. – So che in questo momento mi starai amando per averti tolto di torno tuo fratello, oppure semplicemente mi starai odiando perché non ti saresti aspettata che, dopo ore di conversazione con lui, avresti avuto ancora altre persone accanto a te che non ti davano tempo di riposare. E tantomeno ti saresti aspettata uno come me accanto... - abbozzo un sorriso triste. – Ci sono molte cose che starai pensando in questo momento, tipo: Perché mi ha salvata? Che cosa vuole da me? Sono stata veramente una stupida a fare ciò che ho fatto... e molto altro ancora. Ed io voglio rispondere a tutte queste domande e pensieri lasciati incompleti, anche se sarà difficile, visto che nemmeno io so che dire. Per esempio, alla domanda "Perché mi ha salvata?" non so come risponderti; non c'è un motivo preciso. Forse non volevo averti sulla coscienza, o forse volevo solo farlo perché ne sentivo la necessità. Sta di fatto che ho avuto paura, ma non per questo mi sono fermato. Cazzo, sarei potuto morire, ma non me ne è importato niente: volevo solo venire a prenderti. Salvarti a costo della mia stessa vita. E lo rifarei mille volte se fosse necessario, non ho paura. La tua vita è importante, tutto di te lo è. So che per te forse non significa nulla, ma ti posso assicurare che per le persone che ti amano è tutto il contrario, sei speciale. Io e Jack siamo qui per te, sempre. Non abbiamo ancora detto niente ai tuoi amici e a Matt per paura di come la potrebbero prendere, ma presto lo faremo. Sai perché devi reagire al coma? Be', perché hai molte persone che ti amano e che farebbero di tutto per te: c'è Jack, ad esempio, ti vuole bene e darebbe la sua vita per te; poi ci sono Giulia e Claudio, i tuoi migliori amici, ti adorano e avete passato così tanto tempo insieme da essere come un'unica famiglia; poi c'è Matt, il tuo recente ragazzo, che ti aspetta pensandoti a casa con la febbre (piccola bugia che gli ho dovuto raccontare). Tra tutte queste persone che ti vogliono bene, infine, ci sono io. Io sono qui se hai bisogno, ad ogni ora del giorno e della notte. Potrei farti vedere il mondo da un'altra prospettiva, renderti felice, se solo tu ti svegliassi... - esordisco.

Un impercettibile stretta di mano mi fa capire che mi sta ascoltando, che è qui veramente. Abbozzo un sorriso felice che le mie parole le abbiano fatto effetto e inclino di poco la testa.

-Si, sono qui. - La sua bellezza anche in questo stato è qualcosa di meraviglioso, unico. Come lo è lei. – Non me ne vado, sta tranquilla. –

È solo una questione di pochi secondi prima che incominci a vibrare, la sua testa a scuotersi freneticamente seguita dal corpo poco dopo. Mi alzo dal letto e la guardo preoccupato, senza un'idea precisa su cosa fare. Il suo corpo si muove in tutte le direzioni sul materasso del letto ed il suo respiro è sempre più accelerato e pesante. Sembra quasi stia avendo un incubo, uno di quelli da cui è difficile risvegliarsi.

La prima cosa che mi viene da fare, dopo essere rimasto immobile a guardare Alessia in preda a degli spasmi, è chiamare il dottore premendo il pulsante rosso sul muro, accanto al letto.

Premo più e più volte ma non sembra arrivare nessuno, così corro fuori in corridoio e grido fino a quando due infermiere ed il dottore stesso non vengono correndo verso la mia direzione.

-Che succede? – chiede il dottore arrivando accanto a me dopo una lunga corsa.

Mi volto e corro in stanza dove Alessia sembra ancora sotto una contrazione muscolare, ora meno violenta di poco fa.

-Le stavo parlando ed è successo questo... È normale? O c'è da preoccuparsi? La prego, mi dica qualcosa... - lo imploro preoccupato.

Il dottore posa la cartelletta clinica di Alessia su un tavolino davanti al letto e poi la affianca. Le ferma il polso destro con una mano e il braccio con l'altra, subito dopo un'infermiera, sotto indicazione del dottore, inietta qualcosa nel braccio di Alessia che sembra farla calmare a poco a poco. Guardo la scena senza fiatare, non so che dire, ma credo di aver avuto paura per un istante.

-Si, così... Calma... - sussurra il dottore.

Il corpo di Alessia si distende di nuovo in posizione supina, le spalle si rilassano e così anche il respiro che da frenetico e pesante si trasforma in leggero e regolare, producendo anche qualche sbuffo dal suono perlopiù impercettibile quando espira.

-La paziente è regolare, adesso. Non si preoccupi – dice il dottore rivolto verso di me. – È normale quello che è avvenuto, assolutamente normale. La signorina Stewart sta cercando di reagire il più possibile al coma, e credo ci stia riuscendo anche con ottimi risultati. Non si allarmi, quella che le abbiamo iniettato era una semplice dose di tranquillante. –

-Va bene, adesso sono più tranquillo. La ringrazio di essere venuto subito, se non ci fosse stato lei non avrei saputo che fare. Ero fottutamente andato in tilt...- ammetto.

Fa un cenno del capo. – Come ho detto anche al suo amico, il fratello della paziente, questo è il mio lavoro. - Si avvicina alla porta dopo aver dato un'ultima controllata allo stato di Alessia e dice: - L'orario di visita è finito da mezz'ora, ma dato che provo una certa simpatia per voi e per il coraggio che avete avuto nel salvare questa ragazza, ti concedo di stare un'altra mezz'ora con lei. Ma niente di più. Farò venire un'infermiera per avvertirti. -

-Grazie, è un angelo – esclamo.

-Oh no, no... quella ragazza è un angelo – scuote la testa indicando colei che sta sdraiata sul letto dietro di me. –Io faccio solo il mio lavoro – ripete prima di uscire dalla stanza. È vero: lei è un vero angelo. E se, in questo momento, ci potesse essere un modo per parlare con Dio, gli direi soltanto: - Di angeli lì ne hai già tanti, quindi ridammi il mio.

Mi volto di nuovo verso Alessia e, come prima, torno a sedermi accanto a lei. Le avvicino una mano vicino al viso e facendo per sistemarle i capelli dietro l'orecchio, le sfioro una guancia. Sembra aver riacquistato un po' di colore in viso, forse per i troppi movimenti e il troppo sforzo in eccesso usato.

-E brava la mia guerriera, continua così... - Mi fermo a parlarle per una mezz'ora intera e, come aveva accennato il dottore, dopo questo tempo vengo richiamato da una dottoressa per andare via.
Questa si annuncia solo con un: - Mi dispiace ma l'orario di visite è finito, se non le dispiace deve lasciare la stanza e fare in modo che la paziente abbia il tempo per riposarsi un po'. –

A questa frase annuisco e mi giro verso il mio angelo. – A domani, piccola – le sussurro all'orecchio, poi mi alzo e prima di uscire prendo la mia giacca in pelle che avevo messo sul divanetto e le lascio un ultimo bacio sulla guancia.

* * *

Appena arrivo a casa trovo i miei genitori a tavola, così vado a cenare con loro dopo aver attaccato all'appendi abiti la mia giacca, l'odore dell'ospedale ancora impresso su di essa.

-Tutto bene? – chiede mio padre, vestito dentro il suo abito elegante color tortora, addentando la sua cena.

-Si, perché non dovrebbe...- rispondo con aria noncurante addentando un pezzo del mio panino. Mangio completamente il contrario di ciò che mangiano loro, non sono così raffinato a tal punto da mangiare con coltello e forchetta un pollo con aromi cucinato al forno da mia madre; mi piace differenziarmi con il mio panino con patatine, salse e altre schifezze varie.

Dopo cena salgo in camera mia e mi distendo sul letto supino, con la testa appoggiata allo schienale ed un braccio dietro questa. Prendo il mio telefono e vado un po'sui vari social, indirettamente mi trovo su Instagram a guardare le foto postate da Alessia. La prima che appare è una foto di lei e Matt in discoteca, sicuramente il giorno in cui è successo tutto ciò che è successo (ha lo stesso vestito), e si stanno baciando. Scorro per vedere quanti "Mi Piace" ha avuto e ne vedo trecentocinquantasei, più settantaquattro commenti. Wow, bene... Dopo vado su Twitter e, adesso intenzionalmente, vado sempre sul suo profilo e vengo attirato dall'ultimo tweet da lei pubblicato, che mi fa fermare a pensare: "Solo, vorrei non soffrire più così tanto."

Rimango un po' perplesso da questa frase, non me lo sarei mai aspettato. Riesco a percepire tutto il dolore che ha provato, come si è potuta sentire sola e abbandonata da tutto e da tutti. Le sono successe così tante cose da quando la conosco che non la biasimerei affatto per aver fatto ciò che ha fatto. Credo anche, però, che gli ostacoli non sempre debbano essere saltati, e che a volte serve inciampare per rialzarsi e non girare attorno al problema. Lei, più e più volte, se n'è infischiata ed ha aggirato i fatti, la realtà, e per questo adesso si trova all'ospedale, in questo stato.

Sta di fatto che ciò cheè successo non capiterà più. Te lo possogiurare sulla mia stessa anima, piccola mia. Nessuno ti farà più del male,nemmeno tu stessa; non lo permetterò.

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