27. Jack
È pomeriggio ed io e Damon siamo in ospedale, nella stanza di Alessia, da più di due ore. Lei è ancora distesa sul letto e non si è ancora svegliata, forse non ha voglia di tornare da me, e questo mi rattrista.
Stamattina, quando siamo arrivati, abbiamo chiesto ai medici se la potevamo vedere e loro, da quali stronzi che sono, hanno detto di no perché dovevano farle dei controlli per vedere come stava e se c'erano dei miglioramenti. Ci hanno consigliato di andare e tornare nel pomeriggio, perché sarebbe stato inutile rimanere ad aspettare. Abbiamo fatto come ci avevano consigliato, anche se di malavoglia e siamo andati a casa mia, dove Damon mi ha raccontato tutto quanto: di come lui e Alessia si sono incontrati la prima volta alla scogliera, quando la sera lui doveva venire da me dopo essere ritornato da Los Angeles; come siano capitati, casualmente, nella stessa classe e siano uno un banco avanti all'altro; come si odino a vicenda, per ragioni a lui inspiegabili.
Sono rimasto sorpreso di venire a sapere tutte queste cose così, senza il minimo preavviso. Non immaginavo si conoscessero da prima che li presentassi l'uno all'altro. Da una parte sono arrabbiato perché Damon non me ne ha mai parlato, ma dall'altra sono sollevato perché sa dove trovare Alessia quando io non lo so io. Sa cosa pensa, cos'ha intenzione di fare, che amici frequenta. Credo che se lui non fosse stato alla scogliera, ieri, quando Alessia si è buttata, probabilmente non saprei dove si trova in questo momento e avrei perso mia sorella per una gran cazzata che ho commesso.
-Grazie ancora, Damon. Se non ci fossi stato tu lì avrei perso l'unico componente della mia famiglia che mi è rimasto – gli avevo ripetuto varie volte, ricevendo da lui sempre la stessa risposta, e cioè che lo avrebbe fatto chiunque.
All'ora di pranzo siamo andati a mangiare in un fast-food; non avevo fame, ma, ammonito da Damon che mi ha detto di mangiare perché sembravo un cadavere e dovevo mettermi in forze, l'ho fatto.
Abbiamo parlato ancora, ancora e ancora. Sono venuto a conoscenza di tantissime cose che, prima, non mi sarei mai immaginato di venire a sapere. Da come Damon ha parlato per tutto il tempo di mia sorella mi è sembrato, ma non so se è così, che stesse parlando di lei come se ci tenesse, quasi più di me (anche se questo è impossibile, sono suo fratello e le voglio più bene di chiunque altro). L'ho guardato molto, ho notato come ha cambiato espressione quando parlavo di come poteva stare Alessia e di cosa i medici avrebbero potuto dire appena saremmo ritornati in ospedale. Aveva l'espressione triste, pensierosa, come se qualcosa lo avesse turbato. Non ho voluto indagare ed ho finito velocemente il mio panino, così come ha fatto anche lui.
Adesso io sono seduto accanto ad Alessia, in attesa che qualche medico entri in stanza e ci dia delle notizie che ancora nessuno ci ha dato. L'attesa mi sta facendo uscire fuori di testa.
Damon, al contrario di me, è seduto sul divanetto accanto al letto di Alessia ed è con le braccia poggiate sulle cosce e le mani che penzolano fuori. La schiena è ricurva di poco verso l'interno, lo sguardo basso e silenzioso. Alcune volte alza lo sguardo per guardarla, ma poi sospira e scuote la testa.
-Secondo te si sveglierà, Damon? – gli domando.
-Si – mormora, voltandosi verso di me. –Si, si sveglierà – continua, facendomi capire che sta cercando di convincere più se stesso che me.
Speriamo. Rivolgo il mio sguardo verso Alessia e avvicino la mia mano alla sua, stringendogliela.
Da quando sono qui non riesco a pensare a ciò che le ho fatto. Se non fosse stato per colpa mia e del mio carattere così impulsivo, sarebbe sveglia e starebbe a scuola con i suoi amici in questo momento. Si starebbe divertendo. Invece è qui, su questo fottuto letto d'ospedale, immobile e con un coma dalla quale non si sa se si sveglierà o meno.
Sorellina mia, perdonami se ho fatto ciò che ho fatto. Non è colpa tua se hai un fratello così stronzo, sono fatto in questo modo...
Non riesco a parlare, è difficile. Vederla così mi fa male. Non posso nemmeno cercare conforto in Damon, quello sembra un fantasma in questo momento; sembra combinato peggio di me.
Qualcuno bussa alla porta e sia io che quest'ultimo spostiamo lo sguardo verso la persona che sta entrando e con una cartella clinica in mano.
-Dottore, allora? Qualche novità riguardanti mia sorella? – chiedo, sperando in una risposta positiva da parte sua. Mentre aspetto che questo avvenga, l'ansia s'impossessa completamente del mio corpo.
-In realtà si. Le condizioni della paziente sono stabili, e questa è già qualcosa di positivo. In aggiunta a ciò, la scorsa notte la signorina...- abbassa lo sguardo verso la sua cartella clinica.
-Alessia Stewart – lo aiuto, capendo.
-Si, esatto. La signorina Alessia Stewart, come stavo dicendo prima, la scorsa notte ha avuto un leggero spasmo verso le 02.34 ed ha iniziato a muoversi freneticamente sul letto. I dottori le hanno subito fatto una flebo ed è ritornata al suo stato di coma normale. – E questo sarebbe positivo? domando a me stesso.
-E questo cosa significa, dottore? – chiedo preoccupato, facendo guizzare i miei occhi dal dottore a Damon, poi di nuovo al dottore.
-Non potrebbe essere un sintomo che sta a significare che vuole risvegliarsi? – interviene Damon, incerto su ciò che ha appena detto.
Il dottore rivolge uno sguardo a lui e poi di nuovo a me.
-Potrebbe, ma non ne siamo molto sicuri ancora. Come ha detto lei, probabilmente è stato un impulso che il suo corpo ha inviato per cercare di sovrastare il coma. – Sposta lo sguardo sulla diretta interessata, ora immobile e tranquilla sul suo letto. –Se continuerà a reagire, a lottare al coma, molto probabilmente sarà di nuovo con voi entro poco tempo – dichiara, rivolgendoci un sorriso d'incoraggiamento prima di uscire.
-Dottore – lo richiamo e lui si gira verso di me. –La ringrazio per tutto ciò che sta facendo per mia sorella... lei è l'unica della mia famiglia che mi rimane, e sapere che qualcuno sta facendo il possibile per aiutarla mi fa stare bene. –
-Questo è il mio lavoro – dice. Prima di andarsene aggiunge: -Parlatele. Parlatele entrambi, ditele di lottare con tutte le sue forze, di reagire. Lei non può vedervi, ma può sentirvi. Buona fortuna. –
Torno in camera e vado a sedermi di nuovo accanto ad Alessia, dall'altra parte Damon, seduto di nuovo sul divano.
-Che ti ha detto il dottore, prima di andare? –
-Di parlarle, tanto. – Damon fa un lieve cenno della testa e viene accanto a me, appoggiando la sua mano sinistra sulla mia spalla.
-Jack, si risveglierà. Sta' tranquillo. Lei è forte – poi mi dà una pacca sulla spalla.
-Grazie, amico. – Mi volto verso di lui e gli sorrido, riconoscente. – Grazie per continuare ad incoraggiarmi, per non lasciarmi solo, per sopportarmi... Sei il migliore amico che mi sia mai potuto capitare, altro che quello stronzo di Matt! – esclamo.
-Di niente. Adesso parlale, parlale fino a farti finire la voce. Io aspetto fuori, quando vorrai sarò lì – m'informa ed il mio sguardo lo segue da sotto le ciglia quando esce dalla stanza, lasciandomi completamente solo con mia sorella.
-Hey- sussurro –sorellina... Hai sentito ciò che ha detto il dottore? Se continui così potrai tornare qui da noi, da me, molto presto. – Stringo la sua mano fredda e molto più magra e pallida di prima. – Devi lottare, lottare per tutto: per te stessa, per i nostri genitori, per me, per i tuoi amici... per il tuo ragazzo... - serro la mascella a chiamarlo così. – Se continui a reagire potremo tornare ad essere una famiglia, anche se piccola, ma non ce ne siamo quasi mai lamentati, giusto? Tu ed io. Dopo ciò che è successo ti prometto che saremo più uniti che mai, più di quanto lo siamo mai stati in questi sedici anni – le prometto ed inclino la testa di lato per guardare il suo petto delicato alzarsi e riabbassarsi poco alla volta. Come siamo arrivati qui, sorellina? Perché tutto questo è dovuto succedere? chiedo a me stesso sapendo già la risposta. Eravamo così felici una volta, tutti insieme, tutti sempre allegri, nessun litigio (se non in rare occasioni); ci volevamo bene.
- Ti ricordi da piccola, quando avevi cinque anni ed eravamo ancora a Londra? C'era stata una volta in cui mamma ti aveva portato con lei a fare una passeggiata ed io, essendo un maschio, volevo stare di più con papà, così ero rimasto a casa mentre voi eravate fuori. Quando eravate ritornate a casa io avevo notato che in mano tenevi un gelato alla fragola e così m'ingelosii, mettendomi persino a piangere – sul mio viso inizia a comparire un lieve sorriso a quel ricordo –... e tu, vedendomi in quello stato, ti eri avvicinata a me e mi avevi offerto il tuo gelato. Ti avevo guardato stupito per pochi secondi, quasi non capendo il tuo gesto, ma poi ti avevo ringraziato per averlo fatto e per aver pensato a me. Ti avevo abbracciato, lo ricordo bene. In quel momento, quando avevamo iniziato a dividerci il gelato e a mangiarlo con un cucchiaino l'uno, avevo capito che quello era un comportamento da persona matura, quasi da sorella maggiore che si preoccupa per il suo fratellino, anche se doveva essere il contrario. Dopo quell'esperienza avevo imparato una cosa: mai lasciarti uscire da sola con la mamma, il gelato se lo avevi tu lo volevo anch'io – ridacchio. Che pensieri stupidi. – Comunque sia, che volevo dirti è che non ho mai dimenticato quel tuo gesto e quelli successivi per dimostrarmi quanto mi volevi bene, quanto mi vuoi bene. Resteranno sempre dentro il mio cuore, così come anche tu. –
Dopo aver finito di parlarle sento una lieve presa nella mia mano, quasi impercettibile. Mi ha sentito allora. Sorrido. Si, sono qui sorellina, non ti lascio, né ora né mai.
Continuo a parlarle per quasi una un'ora intera, le ripeto quanto sono fortunato ad avere una sorella come lei, quanto le voglio bene, quanto vorrei che in questo momento lei mi dicesse qualcosa di stupido o mi insultasse perché sto continuando a parlare troppo. Vorrei che mi urlasse contro per ciò che le ho fatto in discoteca, per come mi sono comportato. Ho sperato fino all'ultimo di vederla aprire gli occhi e sentirla rivolgermi un: Ti voglio bene.
Qualcuno bussa alla porta e Damon socchiude piano la porta e si ferma sulla sua soglia.
-Damon, vieni – lo invito ad avvicinarsi.
-Come va? Le hai parlato? – chiede affiancandomi e rivolgendo uno sguardo su Alessia.
-Si, molto. Ho detto di tutto, le ho fatto ricordare ciò che facevamo da piccoli, le cose più belle e significative. Mi è sembrato di sentirle stringere la mia mano per qualche istante, è stato bellissimo. Mi ha ascoltato, molto. Le ho anche detto che se si fosse svegliata avrei fatto lo sforzo di accettare Matt, ossia il suo ragazzo, anche se ciò mi risulterà piuttosto difficile. – Scrollo le spalle. –Cosa ci posso fare? Sto tentando di tutto. -
-E hai già fatto parecchio. Sei il fratello migliore che Alessia potrebbe mai desiderare, te lo assicuro. Non ho mai conosciuto nessuno come te. –
-Che intendi dire? – chiedo.
-Si, insomma, nessuno con il tuo carattere, con questo tuo modo di amare tua sorella, di essere presente nella sua vita. Hai un carattere forte, e lo stesso adesso: ti stai sforzando di non crollare dopo tutto ciò che è successo, questo solo perché vuoi apparire forte davanti a tua sorella – mi rassicura, una mano sulla mia spalla.
-Devo apparire forte davanti a lei. Devo lottare con lei, farle capire che se ce la posso fare io ce la può fare anche lei. Dobbiamo essere tutte e due in grado di superare quello che la vita ci pone davanti, quello che a noi sembra un ostacolo enorme e che non è possibile superare. –
-E lo stai facendo bene, e anche lei – m'informa. Annuisco e abbozzo un sorriso verso mia sorella.
-Che ne dici di stare qui con lei? Si, insomma, sei rimasto ad aspettare fuori per circa un'ora senza andare via, senza stancarti. Vorrei che per una volta facessi tu compagnia a mia sorella. Sei il suo salvatore in fondo. Che ne dici? Sono sicuro che le piacerà sentire una voce diversa dalla mia, la sente sempre e si sarà stancata – ironizzo.
- In effetti sei molto assillante – ridacchia. –Comunque, si, mi piacerebbe parlarle un po'... -
-Allora io vi lascio soli. Ci vediamo, okay? – Intanto che lui risponde con leggero sì, io mi alzo dal letto e lascio un flebile bacio sulla fronte di mia sorella. –A domani, Ale. Ti voglio tanto bene, non dimenticarlo mai. –
Prima diuscire dalla stanza do una stretta di mano a Damon e lo abbraccio colpendolocon dei pugni sulla schiena, poi lascio i due soli mentre io ritorno a casa. Hointenzione di lasciare loro un po' di spazio, un po' di tempo per parlare e perdare a Damon l'opportunità di consolare Alessia, di farla combattere controquesto coma, di farle capire che ci sono persone che le vogliono veramentebene. Credo che tra loro due ci sia un'intesa, e se fosse così sarei veramentefelice. Damon non è come tutti gli altri amici che ho; di lui mi fidoveramente, so che non farebbe mai qualcosa che potrebbe darmi fastidio senzaprima avvertirmi. Sarei felice se mia sorella si affezionasse a lui invece chea Matt.
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