17. Alessia
Pensavo di essermi rilassata abbastanza, e invece no. Questo ragazzo mi sta facendo impazzire. È entrato qui da più di dieci minuti e non ha intenzione di andarsene. Non so cosa voglia, ma mi dà fastidio che lui sia libero di andare dove vuole mentre io sono dentro questa vasca, nuda e parecchio vulnerabile. Non posso nemmeno minacciarlo. Accidenti, ma perché capitano sempre tutte a me?
-Allora, che aspetti? Me lo passi o no questo cavolo di accappatoio? È quello viola, se lo volessi sapere. Dovrei fare una cosa in camera mia per la scuola e sono in ritardo- dico irritata, allungando la mano sperando che me lo passi. Ma non è così.
-Perché dovrei dartelo? E comunque, non puoi uscire perché la porta è chiusa e solo io ho la chiave.- La prende e la mette nella tasca posteriore dei suoi jeans, poi tasta il mio accappatoio e sorride malizioso. Quanto sei odioso.
Aspetta un attimo. Un lampo di genio passa nella mia mente e mi lascia un'idea perfetta. Lui ama le ragazze che gli cadono ai piedi e quelle che lo fanno stare bene, quindi, perché non provare quest'ultima carta a mio favore? In fondo sono una ragazza, diamogli qualche piacere.
-Damon- dico a bassa voce, gli faccio segno con l'indice di avvicinarsi. -Mio amatissimo, bellissimo, Damon- continuo, la voce più sensuale possibile. Guardandolo maliziosamente e poggiando le braccia sul bordo della vasca, facendo prima attenzione che non si veda nulla, mi avvicino di più a lui.
-Dimmi- risponde, avvicinandosi come un ingenuo e accovacciandosi accanto alla vasca.
Lo guardo negli occhi e con le mie dita traccio la lunghezza del suo braccio fino ad arrivare alla spalla, poi dico: -Se mi dai l'accappatoio, potrò uscire da qui...e potrò ringraziarti in un modo del tutto nuovo per te, e che mi verrebbe scomodo fare da qua dentro, capisci?- Abbasso lo sguardo, maliziosa. -Quindi...potresti passarmi il mio accappatoio, per favore?- La mia voce sembra quella di una ragazza abituata a civettare con i ragazzi. Avvicino il mio viso al suo, i nostri nasi che quasi si sfiorano.
Lo vedo rivolgermi un sorriso malizioso e allo stesso tempo pensieroso. Mi guarda le labbra, poi subito dopo gli occhi. Si alza rassegnato e va a prendermi l'accappatoio. Mi guarda un'ultima volta e poi me lo porge. Lo ringrazio. Bene, il piano sta funzionando.
Facendo attenzione a non farmi vedere né a bagnarlo, mi alzo e mi avvolgo all'interno dell'accappatoio, allacciandolo in vita. Mi sistemo e poi, con molta cautela, esco dalla vasca e vado davanti a Damon, l'atteggiamento di una che fa quel che dice.
-Allora, io mantengo sempre le promesse...- Mi avvicino a lui e inizio a sfiorargli il petto con le dita e poi mi avvicino alla sua bocca con la mia, ma senza toccarla, le mani adesso allacciate dietro il suo collo. -E non dico mai bugie, quindi...- Quando sto per sfiorare le sue labbra con le mie, sposto le mani sulle sue spalle ed alzo il ginocchio bruscamente per dargli, intenzionalmente, un calcio nei gioielli di famiglia. Cade a terra e geme per il dolore, le mani sul punto dove l'ho colpito. Gli vado dietro ed estraggo velocemente le chiavi dalla sua tasca.
-Grazie.- Scuoto la chiave che ho in mano, provocandolo.
-Sei proprio astuta, bambolina.- Impreca qualcosa e cerca di respirare per far passare il dolore. Ben gli sta, non doveva provocarmi.
-Lo so.- Rido e mentre apro la porta. Sgattaiolo fuori dal bagno il più velocemente possibile ed entro in camera mia chiudendomi la porta alle spalle a chiave. Uh, che corsa.
Mi dispiace un po' di aver lasciato Damon accasciato a terra e con un forte dolore nelle parti basse, ma almeno ha imparato la lezione: mai fidarsi di una ragazza, sa tentarti in modi che nemmeno puoi immaginare.
In fondo, però, non può lamentarsi: ho mantenuto la mia promessa. Quando ero nella vasca, gli ho detto che se fossi uscita, lo avrei ringraziato in un modo che non avrei potuto fare da là dentro, ma non avevo specificato come lo avrei ringraziato. Forse sperava in qualcos'altro. Poverino.
Mi vesto più velocemente possibile, prendendo dalla cassettiera l'intimo, un pantalone grigio di tuta, una canottiera bianca e delle calzette bianche. Mi butto a peso morto sul letto e prendo il telefono. Mi è arrivato un messaggio da parte di Matt. Sorrido. Apro il messaggio ed inizio a leggerlo: Hey, ti andrebbe di uscire stasera? Andiamo da qualche parte, solo io e te.
Rispondo al suo messaggio con un: Mi piacerebbe molto venire, però non posso. Domani ho un'interrogazione ed io non ho ancora studiato niente. Scusa.
In effetti mi sembra pure brutto rifiutare. Cioè, stiamo insieme da nemmeno un giorno e già rifiuto di uscire con lui per colpa della scuola. Matt mi sorprende con la sua risposta dolce e comprensiva: Non preoccuparti, piccola. Vorrà dire che sarà per un altro giorno, tranquilla. Ti lascio studiare. Matt.
Mi sento tremendamente in colpa. A me dispiace veramente non poter uscire, ma non ci posso proprio fare niente. Mi sarebbe piaciuto stare con lui stasera, vedere se si sarebbe fatto avanti e mi avrebbe baciato, incontrare di nuovo quei bellissimi occhi che ha e perdermi al loro interno... ma purtroppo non posso. La scuola me lo impedisce. Uffa, ma perché esiste? Per una volta che ho la possibilità di uscire con il mio ragazzo invece che con una mia amica, non posso. Che vita ingiusta.
Quando in bagno ho detto a Damon che avevo da fare qualcosa per la scuola, non ho mentito. Domani la professoressa di filosofia mi vuole interrogare, ed io non so niente su quella materia. Devo studiare molto. La cosa che non capisco però è come mai Damon non si preoccupi come me per l'interrogazione, in fondo tutti possiamo esserne soggetti, lui compreso, essendo nella stessa classe. Sarà per il suo essere così noncurante nei confronti della scuola, e di tutti quelli che lo circondano.
Il suo atteggiamento nei confronti di chi gli sta intorno è veramente fastidioso. Se una professoressa gli rivolge una domanda, lui: o risponde come meglio viene, senza pensare a ciò che dice e che fa, oppure, come migliore ipotesi, sta in silenzio e fa finta di non aver sentito, facendo così inalberare la prof. È un cattivo ragazzo a tutti gli effetti. Non gli si può rivolgere nemmeno la parola quando si è a scuola. Ovviamente, perché lì ha una certa fama e deve farsi rispettare...Ma per favore!
Scuoto la testa e abbasso lo sguardo sul telefono, esasperata. A via di pensare a Damon mi sono totalmente dimenticata di Matt. Rileggo il suo ultimo messaggio e digito subito la risposta: Grazie, mi piace il fatto che tu sia così comprensivo. Be', se ti va possiamo vederci domani pomeriggio, oppure puoi anche venirmi a prendere a scuola a fine lezione, dato che il tuo istituto è vicino al mio.
Be', se non posso uscire con lui stasera, almeno posso rimediare un appuntamento per domani. Spero solo che mio fratello non sia nei paraggi quando Matt mi verrà a prendere. Sarebbe davvero un gran guaio.
Il suo messaggio di risposta dice: Nel pomeriggio sono a casa di un amico, ma per la fine della scuola posso venirti a prendere tranquillamente per fare una passeggiata.
Rimango un po' delusa. È ovvio che non posso pretendere che stravolga i suoi piani, probabilmente organizzati da tempo, per me. Nemmeno io lo farei se si trattasse dei miei amici. In fondo stiamo insieme da nemmeno un giorno, avremo tempo per mischiare insieme i suoi e i miei impegni, così da vederci più spesso. Per adesso mi accontento di fare un giro con lui dopo la scuola, il resto non conta.
Digito e invio un "A domani, allora", per poi spegnere il telefono e buttarmi sul letto. Affondo la testa sul cuscino e chiudo gli occhi.
Piccola. Questa parola continua a girarmi nella testa. Ho sentito il cuore bloccarmisi nel petto quando ho letto quel messaggio. Nessuno, prima d'ora, mi aveva mai chiamata "piccola", eccetto mio padre. Forse Damon mi ha chiamata una volta così, ma con lui non fa lo stesso effetto che con Matt. Matt lo dice affettuosamente, senza nessuna aria di ironia. Lo dice e basta. Damon invece lo fa più per infastidirmi che per farmi piacere. Però, lasciando perdere come mi chiama Damon, mi piacerebbe molto se Matt continuasse a chiamarmi con questo nomignolo.
Stringo il cuscino tra le braccia e faccio un lieve urlo di felicità tra me. Subito dopo mi alzo dal letto e vado verso la porta per andare di sotto. Come se mi fossi completamente dimenticata di ciò che è successo pochi minuti fa in bagno, apro la porta con disinvoltura. Alzo lo sguardo e quando sto per uscire, mi ritrovo Damon davanti e con uno sguardo da far rabbrividire chiunque. Oh-oh, accidenti. Adesso sì che sono nei guai.
-D-Damon- balbetto, immobile, la voce un sussurro. Provo a richiudere la porta, ma lui è più veloce e più forte di me e mi blocca prima che possa farlo. Perché i ragazzi sono più forti delle ragazze? È ingiusto!
Spalanca la porta e mi costringe ad indietreggiare a piccoli passi. Cerco di formulare una frase sensata da dire, ma non mi viene nulla. Indietreggio fino a quando non sento dietro di me qualcosa che mi blocca. Il muro. La mia stanza è davvero così piccola? Guardo Damon negli occhi, spaventata. Il suo sguardo si è incupito, i suoi occhi sembrano più scuri del solito e non più quella lastra di ghiaccio trasparente che erano prima.
Si avvicina a me e mi blocca al muro con le sue braccia. Fa cenno di fare silenzio appoggiando un dito sulle labbra. Perché deve essere così dannatamente bello e allo stesso tempo così dannatamente inquietante?
-Bene, bene, bene, ti sei vestita- commento. Mi sta mettendo paura, nemmeno fosse un maniaco. Se lo fosse, sarei proprio nei guai. La cosa positiva però è che si tratta solo di Damon, il quale non può farmi del male, almeno spero.
-Si, e allora? Cosa vuoi da me?- domando, incerta, il respiro più accelerato del solito.
Poggia il dorso della sua mano sulla mia guancia e lo fa scendere fin sotto al mento, lo sguardo perso. -Le tue scuse, soltanto questo. Poi ti lascerò andare e farò finta che non sia successo niente.- Prende il mio mento con pollice e indice.
-E se...- esito. -Se non volessi farlo?- replico, il tono di sfida. Sul suo viso spunta un sorrisetto più che divertito e abbastanza malizioso. Carino...
-Non ti conviene scoprirlo- mi avverte.
Come mi sono ridotta così? Messa al muro da un ragazzo, senza via di fuga e minacciata di non poter andare via se non chiedo scusa. Non può essere così difficile scusarsi. So che quello che ho fatto è stato per autodifesa e che, in qualunque circostanza, avrei sempre ragione io. Ma chiedere scusa non mi uccide mica. Alessia, sono solo delle scuse... non fanno la differenza se gliele porgi o meno.
Lo fulmino con lo sguardo. Non mi sono mai ritrovata in una situazione del genere. Io, Alessia Stewart, non mi sono mai fatta mettere a muro da un ragazzo e fatta minacciare. Il mio orgoglio interiore ne risente. Inoltre non riesco, nemmeno volendo, a pronunciare quella parola, è troppo umiliante.
-Allora, piccola?- ripete facendomi pressione, i suoi occhi che guizzano sulla mia scollatura e poi di nuovo a me. Piccola. Sapevo che avrebbe usato quella parola. Come immaginavo, non fa lo stesso effetto che con Matt.
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo, esasperata da tutta questa situazione. -E va bene. Si, ti chiedo scusa. Sei contento adesso?- Scuoto la testa e distolgo lo sguardo da lui. -Adesso, gentilmente, te ne potresti andare? Ho da fare.-
-Potrei pensarci...- Il suo viso cambia da soddisfatto a pensieroso in pochi secondi. Oh, quanto vorrei dargli un'altra ginocchiata!
Faccio un verso di frustrazione e d'impazienza. -Hai avuto le tue scuse, cosa vuoi ancora?- Mi sta facendo saltare i nervi. Altro che un bagno rilassante; con lui sempre attorno, dovrei cadere in coma dentro la vasca per essere veramente rilassata.
-Sei una piccola ragazzina viziata, lo sai? E a me non piacciono le ragazzine viziate. Ma sì, si può fare. Scuse accettate.- Ma grazie, che gentile che sei! Ci mancava solo che non le accettasse, sarebbe stato il colmo. -Buona giornata, principessina.- Mi lascia andare e se ne va, chiudendo la porta alle sue spalle. Coglione e presuntuoso!
Chi si crede di essere per venire qui e darmi della ragazzina viziata? Non lo sopporto. Non mi conosce se pensa veramente questo di me. Io sono tutto, ma no di certo una ragazzina viziata. Quel titolo non si avvicina nemmeno minimamente a me.
Fin da bambina, la mia famiglia non mi ha mai viziata, anzi ha fatto di tutto pur di farmi crescere in modo naturale e senza mai rischiare di farmici diventare. Mi dedicava le attenzioni che meritavo, niente di più, niente di meno. I miei genitori mi hanno voluto bene così come hanno voluto bene mio fratello. Ci hanno fatto vivere una vita semplice e senza mai esagerare con i regali, solo nelle occasioni importanti come festività e compleanni.
Quindi che ora Damon mi venga a dire che sono una ragazzina viziata e che mi chiami pure principessina mi fa venir voglia di tirargli qualcosa in faccia e farlo tacere una volta per tutte. Non c'è limite all'odio che provo per lui.
Metto in fretta una maglietta pesante e delle scarpe da ginnastica. Poi prendo un giubbotto e la mia borsa ed esco dalla mia stanza in tutta fretta e furia. Non voglio stare nemmeno un minuto di più in questa casa. Sono stanca di essere trattata come non merito.
Arrivata quasi al piano di sotto sento Jack e Damon parlare in salone, mi fermo all'istante e mi metto ad origliare facendo attenzione a non farmi né vedere né sentire.
-Come ti ho detto, Alessia non deve sapere nulla di tutto ciò, okay?- La voce di Jack. Non devo sapere nulla riguardo a cosa?
-Non lo verrà a sapere, sta tranquillo.-
Quando capisco che hanno finito di parlare e che stanno uscendo dal salone, mi alzo e scendo le scale facendo finta di essere appena uscita dalla mia stanza e facendo come se non avessi sentito nulla. Chissà cosa mi stanno nascondendo quei due.
-Ale, dove vai?- Appena mio fratello esce dal salone, seguito da Damon, mi vede e mi dà un bacio sulla guancia.
-Esco, vado a fare una passeggiata...nei dintorni. Non aspettarmi per cena.- Il mio sguardo passa a Damon, fulminandolo. Rivolgo a Jack un finto sorriso, come per rasserenarlo. Damon fa una smorfia, quasi avesse capito che mento e che nascondo qualcosa.
-Ok, ma non fare tardi. E chiamami per qualsiasi cosa.- Mi abbraccia ed io ricambio la stretta. Non so cosa farei senza di lui. Mi piace quando si comporta così affettuosamente con me, un po' meno però quando si preoccupa esageratamente e senza motivo.
Apro la porta d'ingresso e, lanciando un ultimo sguardo a entrambi, esco di casa. Inizio a camminare senza una meta ben precisa. Mi fermo. Sento che c'è qualcuno, come se mi stessero osservando. Giro lo sguardo in ogni direzione, ma non vedo nessuno. Metto gli auricolari e continuo a camminare con la musica nelle orecchie.
Vago per quasi un'ora o due, la musica che mi trasporta per il centro di Chicago, in qualche stradina sperduta, ed in fine in direzione della scogliera. Stranamente mi ritrovo sempre qui ogni volta che ho un problema o sto male per qualcosa, e ancora non riesco a capire il perché di questo. Forse perché questo posto mi fa sentire al sicuro, più della mia stessa casa.
Appena arrivo mi fermo a guardare il cielo, le nuvole lo avvolgono, ma senza incupirlo del tutto. L'aria fresca che c'è non è pungente come sempre, anzi è leggera, ti sfiora delicatamente. Mi sporgo a guardare il mare, poi faccio un passo indietro e mi siedo.
Guardo come il sole va ad immergersi a poco a poco nell'acqua facendo si che la la lieve luce che emana si dissolva lentamente e crei un gioco di sfumature che vanno dall'arancione intenso al rosa, al viola, all'azzurro, ed infine al blu della notte dalla parte in cui sta sorgendo la luna. Le stelle iniziano ad intravedersi come dei piccoli puntini sparsi per tutto il cielo in modo disordinato, la luna illumina tutto.
Fin da bambina mi è sempre piaciuto ammirare il tramonto. Mi dà pace e serenità, e devo dire che farlo da qui, in un luogo aperto e da cui si può avere una visuale più che completa, è la cosa più bella che abbia mai fatto.
Inalo a pieni polmoni la brezza pomeridiana, direi notturna a questo punto. Mi sporgo e prendo dalla tasca il telefono, e con esso anche gli auricolari. Mi sdraio sulla schiena, le ginocchia leggermente piegate, ed inizio a canticchiare con il pensiero che nessuno mi stia ascoltando e con la consapevolezza di essere avvolta dal buio della notte. Forse la musica e la scogliera sono le uniche cose che mi posso dare veramente un senso di pace quando qualcosa non va. Il peso e la rabbia che avevo accumulato oggi sono spariti, dissolti nel nulla.
* * *
Sto tornando in città, la notte è scesa davvero in fretta e la luna già risplende quasi al centro del cielo, illuminandolo completamente. I marciapiedi di Chicago sono pieni di persone, ma non quanto lo potrebbero essere quelli di New York, ovvio. Ci sono delle coppie ad ogni angolo della strada, ad ogni incrocio, ad ogni bar; famiglie che camminano con i propri figli mano nella mano e che si guardano con lo sguardo di chi ha già tutto e non desidera altro. E poi ci sono io: sola e con l'aria di chi sembra aver avuto una pessima giornata e desidera starsene per i fatti suoi. Che ironia.
Entro in un fast-food e prendo posto ad un tavolo accanto alla finestra, l'aria calda e l'odore dei cheeseburger mi travolge all'istante. Mi sistemo meglio sul divanetto, la borsa e la giacca poggiati accanto a me. Prendo il menù con fare disinvolto e lo guardo, intanto il cameriere si avvicina a me.
-Buonasera, cosa le porto?- domanda, cordiale.
-Un hamburger con carne, insalata, cheese, salse e bacon. Come bibita...una Coca cola.- Velocemente il cameriere annota tutto sul suo taccuino, poi mi fa un leggero sorriso e sparisce in cucina.
Abbasso lo sguardo sulle posate in plastica che ci sono al tavolo e, intanto che aspetto, inizio a giocherellare in modo distratto. Ogni tanto si sente il rumore della porta aprirsi e il campanello che suona a seguito. L'atmosfera è piuttosto tranquilla, ci sono persone di tutte le età, il servizio è buono, la velocità col quale viene servita l'ordinazione lo stesso e...
-Ma guarda un po' chi si rivede- esclama una voce, distraendomi completamente dai miei pensieri. -Che fai qui tutta sola, bambolina?- Alzo lo sguardo verso chi ha parlato e mi blocco. Ma ti prego! Mi chiedo cosa ho fatto di male per meritarmi questo. Qualcuno me lo spieghi, per favore, non lo capisco proprio.
-Damon.- Sospiro e faccio ruotare gli occhi. -Che vuoi?- sputo acida, la schiena poggiata allo schienale e le braccia conserte.
-Sapere perché, ogni volta che ci incontriamo...- mentre lo dice, si siede -...devi essere sempre così scorbutica con me. Fino a prova contraria, non ti ho fatto niente, o almeno credo. Correggimi se sbaglio.- Fa un sorrisetto e poggia i gomiti sul tavolo.
-Non sono affari tuoi.- Guardo dalla parte della cucina sperando che quello che ho ordinato arrivi in fretta.
-Capisco.- Si guarda un po' intorno, come se stesse cercando qualcuno. -Cameriere?- chiama poi e quest'ultimo arriva velocemente.
-Mi dica.- Alla mano sempre un taccuino ed una penna.
-Vorrei un hamburger con carne, ketchup, bacon, cheese e maionese. E come bibita una birra liscia.- Come ha fatto con me, il cameriere scrive tutto sul suo taccuino e poi sparisce. Lo guardo con aria di chi si chiede se si stiano prendendo beffe di lui o meno.
-Che c'è?- chiede con disinvoltura ed io cerco di trattenermi dall'urlargli in faccia.
Quanto sono stufa di lui, delle sue battute così irritanti, dei suoi occhi così magnetici, delle sue labbra così sensuali e...Accidenti, Alessia, smettila! Ricomponiti.
-Mi prendi in giro, vero?- domando retorica. Lui fa finta di non capire. -Si, cioè, devi prendermi per forza in giro. È da questa mattina che mi tormenti: prima in bagno, poi in camera mia, e adesso questo.- Faccio un gesto con le mani per indicare la situazione. -Che c'è, hai forse voglia di torturarmi a vita con la tua presenza?- Mi guarda e scrolla semplicemente le spalle.
-Uno, non ti sto prendendo in giro. Due, ho fame e questo è il primo fast-food che ho trovato mentre camminavo per le strade. Per caso ti ho vista dalla finestra, è inevitabile non vedere quel broncio, e ho pensato volessi compagnia. Semplice, nessun giochetto.- Sorride e si porta la mano davanti la bocca, l'indice poggiato sotto il naso e il pollice sotto il mento.
Chiaro, adesso vuole farmi credere che per caso si trovava nei paraggi, che per caso mi abbia vista e abbia pensato volessi compagnia e, ovviamente, sempre per un purissimo caso, non sia mai che sia il contrario, si è seduto al mio stesso tavolo e ha ordinato da mangiare. Ma dico, pensa io sia stupida o cosa? Se vuole farmi saltare i nervi, be', ho una buona notizia per lui, ci sta riuscendo in modo fantastico.
-Perché fai così?- chiedo, stanca.
-Così come, scusa?- domanda, il tono da finto innocente.
-Ogni volta che sono tranquilla e senza pensieri, ogni volta che voglio rimanere sola e rilassarmi, tu sei sempre lì, a farmi innervosire e a far di tutto pur di vedermi a pezzi.- Sospiro. -Non ce la faccio più, e sono sincera questa volta.- Abbasso lo sguardo basso, la voce ridotta ad un sussurro.
Dopo tutto quel che è successo, non sono più in grado di ribattere, di andare avanti. Sto cercando di fare il possibile pur di tornare ad essere la Alessia di sempre, quella felice e spensierata che fa finta che tutto vada bene anche se non è per niente così, però lui mi rende tutto impossibile. Quando penso di essermi avvicinata alla meta, lui torna per buttarmi di nuovo giù. Non ce la faccio, non sono così forte.
Tra noi cala il silenzio. Alzo lo sguardo e vedo Damon con la fronte corrugata, sembra pensieroso. Non l'ho mai visto così. Mi guarda ma non risponde. Sembra quasi stia rendendo conto che non esiste un motivo per quello che fa, perché lo fa e basta.
-Senti, non è colpa mia se quando mi vedi ti alteri.- Si ricompone ed usa il suo solito tono difensivo e sfottente. -Se voglio venire a mangiare un hamburger, posso farlo tranquillamente e senza che tu mi dica niente. Se non ti sta bene ciò che faccio, quella è la porta.- Si gira e la indica.
E va bene, se questo è ciò che vuole, lo accontento subito.
-Bene, capisco.- Faccio un sospiro e prendo la mia giacca e la mia borsa. Faccio per andarmene, ma prima di farlo gli rivolgo un'ultima volta la parola, sono abbastanza vicina da sentire il suo respiro. -Sei riuscito ancora una volta a farmi cadere a pezzi, spero tu sia contento. Ah, e che ti sia chiara una cosa, io non sono e non sarò mai una ragazzina viziata o una principessina, come mi hai chiamata tu. I miei genitori hanno fatto di tutto per me, ma mai viziarmi.- Lo vedo stringere le labbrae girare lo sguardo verso di me, l'espressione di chi vorrebbe dire qualcosa ma non ci riesce.
Mi giro e vado verso la porta, sentendo subito dopo qualcuno chiamare il mio nome alle mie spalle. Esco e l'aria gelida mi trapassa il corpo facendomi rabbrividire. Accidenti a me.
Cammino velocemente per un gran tratto di strada, poi mi fermo. Mi siedo sulla panchina che c'è accanto a me. Prendo il telefono dalla tasca e lo rigiro tra le mani con fare nervoso, il suono improvviso di un nuovo messaggio mi fa abbassare gli occhi verso quest'ultimo. Matt, di nuovo: Hey, piccola. So che avevo detto che non ti avrei disturbato perché dovevi studiare, ma pensavo che se ti annoiassi e volessi passare del tempo con me, potresti venire in discoteca, Skandalo's in particolare. Ci sono anche i miei amici, vorrei farteli conoscere...Sempre se vuoi, certo. Fammi sapere.
È vero, dovevo studiare. L'ho completamente dimenticato con tutte queste cose che sono successe oggi. Vai così, Alessia, un'altra impreparazione. Quest'anno è proprio iniziato da Dio.
Vorrei stare un po' con Matt in effetti, però...andare in discoteca quando l'indomani c'è scuola? Be', potrei anche chiedergli di accompagnarmi in un orario decente, così da potermi svegliare tranquillamente domani mattina. Comunque sia, se accettassi di uscire con lui, non potrei andarci vestita in questo modo, sembro una ragazza del tutto trasandata e non credo che i suoi amici penserebbero cose positive su me. Ho bisogno di mettermi su qualcosa di più elegante, ma non troppo eccessivo, ovvio.
Abbasso lo sguardo sul telefono e digito velocemente la risposta: Tra quindici minuti, forse una mezz'ora, sono lì. Aspettami.
-Alessia.- Sento chiamare il mio nome da lontano. No, ancora lui no. Basta.
Mi alzo dalla panchina e guardo la strada, sperando che da un momento all'altro arrivi un taxi. Per fortuna lo vedo spuntare in lontananza e inizio a camminare, quasi a correre, verso la sua direzione, fermandolo. Entro subito e do all'autista il mio indirizzo di casa, che parte subito.
Prima di immetterci completamente nel traffico, i miei occhi ricadono su Damon, fermo che mi guarda e con il fiatone per la corsa. Mi guarda come pentito. Abbasso lo sguardo ed inizio a torturare con le dita il mio telefono.
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