La ladra del villaggio

Quattro monete di bronzo.

Posso comprare del pane e forse se Thyria è di buon umore anche del latte. Mi infilo le monete nella tasca della mia gonna logora e sporca di fango. Oggi il cielo è una lastra d'acciaio, segno che tra poche ore pioverà. Posso raccogliere l'acqua nei secchi, questo è un bene ma c'è la probabilità che la verdura nell'orto si rovini. Dovrò cercare di coprire tutto il prima possibile.

Gli stivali rotti e bucati affondano nella melma provocando un orribile suono. Ci sono abituata dopotutto ma questo non vuol dire che non mi dia il voltastomaco.

-Diane! Come sta tua mamma?- Shikha alza le sue mani rugose dal secchio rivolgendomi un sorriso. I capelli bianchi sono raccolti in una treccia che le arriva fino alla vita, nettamente in contrasto con la pelle scura. La chiamano la pazza del villaggio ma io provo un sincero affetto nei suoi confronti. 

-E' morta due anni fa Shikha ma sono sicura che ora è finalmente in pace- dovevo spiegarle ogni mattina che mia mamma ormai aveva già abbandonato questa terra e lei ogni volta pareva sconcertata e profondamente addolorata.

Il suo volto muta in una smorfia di dolore  -Oh povera Tatiana! Povera donna, tu come stai Diane? E tua sorella?-

Ingoio il groppo in gola e cerco di sorridere -Sto bene, me ne sto facendo un'idea- faccio una pausa sistemandomi la camicia azzurra -Per quanto riguarda Clarissa ha già trovato un compagno e tra non molto si sposa-

Shikha unisce le mani come se stesse per fare una preghiera -Clarissa ha solo dodici anni e già si sposa?-

Scuoto la testa -Clarissa ha ventisei anni-

All'improvviso sembra dimenticarsi di me perchè riprende il secchio in mano e continua a raccogliere dei fiori.

Faccio un sospiro prima di continuare per la mia strada. Le case di legno sono così malmesse che molte volte rabbrividisco a passarci vicino, quasi come se potessero cadere da un momento all'altro. Questa è la parte più povera di Adamantis, quella che tutti cercano di evitare perchè reputata pericolosa. Non dico il contrario ma se si sta attenti e se si conosce il posto si può evitare di rimanere ucciso in qualche faida. Ravenshore è sempre stato il villaggio dei morti. Così lo chiamano.

Entro nella piccola panetteria di Thyria facendo tintinnare i campanellini sopra la porta -Buongiorno Thyria-

Lei mi rivolge un sorriso consapevole -Scommetto che vuoi del latte in più-

Prendo le monete appoggiandole sul bancone di legno -Quattro bronzi- affermo con fierezza.

Si porta una ciocca scura dietro l'orecchio guardandomi con quegli occhi color nocciola -Da chi gli hai rubati?-

Scrollo le spalle appoggiando entrambi i gomiti sul bancone -Perchè pensi che abbia rubato?-

-Perchè non sai fare altro?- il suo tono non è derisorio ma sento una punta di compassione cosa che mi fa arrabbiare di più.

-Che c'è Thyria? Di quello che vuoi dirmi una volta per tutte- mi raddrizzo incatenando i miei occhi ai suoi.

Lei deglutisce piano e leggo chiaramente l'indecisione tormentarla ma dopo qualche istante parla -Penso che da quando è morta tua madre e da quando Clary è andata a vivere con il suo compagno tu ti sia...come dire...persa-

Inclino la testa di lato -Persa? In che senso?-

-Rubi di più, e lo so che non lo fai solo per poter mangiare ma anche come sfizio. Penso che non riesci a trovare più un senso alla tua vita. Quindi si, penso che tu ti sia persa- pronuncia ogni parola velocemente come se si stesse togliendo un grande peso dal petto.

Stringo i pugni fino a farmi male -Io sto bene e non mi sono persa. Comunque grazie per la confessione-

Mi volto senza aggiungere nient'altro catapultandomi fuori come un razzo. 

Tutti pensano di sapere come io mi senta, permettendosi di giudicarmi senza neanche chiedermi cosa c'è veramente che non va.

Fisso il pavimento camminando con passi pesanti e con i pugni chiusi. Sento la rabbia montarmi dentro come un fuoco incontrollabile. Dannati tutti quan...

Un impatto brutale mi fa cadere dritta con la faccia sul fango. Cerco di pararmi gli occhi con il braccio ma non riesco a muovermi abbastanza in fretta.

-Scusami- la voce di un ragazzo si fa largo tra il ronzio delle mie orecchie.

-Stupido sciocco!- sibilo alzandomi con fatica da quella melma scivolosa.

Davanti a me ci sono due ragazzi vestiti per bene. La tenuta da combattimento dei Prodigi è immacolata e sul petto lo stemma di Adamantis brilla come una gemma sotto il sole. Quello che mi ha travolta ha i capelli scuri e agli occhi così neri che mi risulta impossibile scorgere la pupilla. L'altro invece è biondo e mi guarda stringendo i suoi occhi grigi. Come un falco.

I Prodigi. Coloro che la Fenice di Luce ha benedetto, donandoli doti che gli umani possono solo sognare.

Quello con i capelli scuri mi da una rapida occhiata accigliandosi -Non ti avevamo vista-

Disgustata dalla sua occhiata faccio un passo indietro -Certo, voi Prodigi non prestate attenzione a ciò che vi circonda-

Quello con i capelli chiari incrocia le braccia al petto -I pregiudizi arrivano anche nel villaggio più malfamato di Adamantis-

-Si direi di si- sentendo l'odore di quella robaccia appiccicata sulla mia pelle rabbrividisco ma la curiosità prende come sempre il sopravvento -Siete troppo puliti per stare qui, potrebbero rubarvi quella bella divisa-

Il ragazzo dai capelli neri guarda l'amico e fa un ghigno -Siamo in grado di difenderci-

Strizzo gli occhi per focalizzare le due figure -Guerrieri, mutaforma o telecinetici?-

Ma la risposta la capisco da sola. I fisici asciutti e muscolosi sono il risultato di intensi allenamenti.

-Guerrieri- risponde il biondo osservandomi con altrettanta curiosità -Umana?-

So perfettamente che si sta facendo beffe di me, so benissimo che mi considera un essere inferiore eppure rispondo -No direi di no-

Entrambi alzano le sopracciglia ma prima che possano rispondere parlo di nuovo -Vado a togliermi questa roba schifosa di dosso, con permesso-

Procedo a passo svelto senza degnarli neanche di un'occhiata ma posso percepire la perplessità sui loro volti.

Certo che sono umana, se fossi davvero un Prodigio a quest'ora vivrei nel centro di Adamantis circondata da qualunque agio.

Arrivo davanti alla mia casetta storta composta da assi di legno gonfi per l'umidità. Appena entro lo scricchiolio dei miei passi si diffonde nei tre piccoli ambienti. E' una casa che comprò mio padre circa dieci anni fa. Ha un bagno così piccolo da essere soffocante, una cucina attaccata a ciò che dovrebbe fungere da salotto e una camera in cui ci sta solo un letto e un armadio a un anta. Da quando vivo da sola è più comoda, per quanto può essere comoda una casetta da cui trapela ogni soffio di vento e acqua. Prima quando vivevano mia madre, mio padre e mia sorella era quasi invivibile ma fingevamo di farcela andare bene, anche perchè non potevamo permetterci di cambiare casa. Quando mio padre morì assassinato nei bassifondi più loschi e oscuri di Ravenshore a causa dei suoi debiti mia madre si diede da fare con l'orto. Unica fonte accessibile per soddisfare, in parte, la fame. Poi, dopo tre anni, morì anche lei dopo una malattia fulminante che se la portò via dopo qualche giorno. Mia sorella, decise proprio in quel momento di puro dolore di andare via per ricominciare una vita insieme al suo compagno. 

Io, dall'altro canto sono sempre qui. Vago come un fantasma tra queste mura cercando di non pensare alle risate, urla, lacrime e sorrisi che hanno segnato ogni angolo.

Vorrei prendermela con Clarissa per avermi abbandonata ma da una parte la capisco. Anche io se potessi andrei il più lontano possibile. Certo che, come sorella maggiore, poteva starmi accanto ma non è mai stata affettuosa e non so fino a che punto le importi di me. Non molto dato la sua partenza.

Vado in bagno e mi infilo nella ristretta vasca. La riempio con i secchi che ho accumulato e inizio a sfregarmi la pelle con la spugna. Il profumo di gelsomini ,che giustamente ho messo nell'acqua per profumarla, coprono in parte il rivoltate fetore della melma. Sfrego bene i capelli castani, grattando via lo sporco in modo rapido e preciso. Con poca acqua a disposizione non posso permettermi di sprecarla. E con gli anni ho imparato a sfruttarla al meglio.

Quando sono abbastanza soddisfatta esco tremante per il freddo dalla vasca avvolgendomi con degli stracci per assorbire le gocce. Indosso l'unico ricambio che ho, ossia una gonna lunga di un viola slavato e una camicia lilla.

Con pazienza prendo gli stivali luridi e tolgo le croste di fango più significanti maledicendo la mia sbadataggine per non aver saputo conservarli meglio. Si, dopotutto hanno sei anni ma scommetto che se mi fossi impegnata di più non sarebbero così bucati e malandati. 

Quando finisco di lavare i miei vestiti, di raccogliere l'insalata e i pomodori, e dopo aver mangiato quanto più potevo mi sdraio sul lettino rannicchiandomi su me stessa.

La vista dei Prodigi mi ha profondamente turbata. Forse la vista della loro tenuta scintillante e dei loro volti dal colorito sano mi hanno fatto ricordare quanto fossi sfortunata a vivere da questa parte del villaggio. Sola.

Dopotutto ho diciannove anni e so che alla mia età le ragazze fortunate si divertono tra balli e ragazzi. Non preoccupandosi del cibo, dell'acqua o del cercare di non far cadere la casa a pezzi.

Ma le parole di mia madre mi continuano a ritornare in mente come una promessa.

Arriverà il momento in cui le cose cambieranno, Diane. Come una fenice risorgerai dalla cenere.

E io ci spero.

Ogni singolo giorno.

Spazio Autrice

Ecco il primo capitolo, ne ho già scritti altri che usciranno a breve.

Votate e commentate!

Agus ;)

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