Parte 8
Felpa, maglione o giacca di tweed? Questo fu il dilemma e l'amletico dubbio.
Franz trascorse circa mezz'ora chiuso nella sua stanza solo per decidere cosa indossare per quella serata tanto sgradevole che era ormai alle porte. In tutta la sua vita non aveva mai passato tanto tempo davanti all'armadio o allo specchio per decidere quali vestiti mettere, ed era altresì fermamente convinto che persino il giorno del suo matrimonio, di certo molto lontano nel tempo, avrebbe impiegato meno tempo ad azzimarsi.
Il fatto era che voleva trasmettere nella maniera più assoluta una precisa impressione di sé a chi si sarebbe trovato dinanzi. Decise così che avrebbe messo un maglioncino marrone e una camicia rosa su un pantalone beige, un look elegante, forse un po' da fighetto, ma nemmeno eccessivamente snob. Sobrio, diciamo sobrio, ecco.
Non voleva dare l'idea di essere un campagnolo sempliciotto del meridione. Era più che sicuro che quella sera Guido e i suoi perfidi accoliti avrebbero provato in tutti i modi a screditarlo e a metterlo in cattiva luce agli occhi di Nunzia, e lui non voleva assolutamente facilitargli il compito. Così cercò di assumere un aspetto sofisticato e intellettuale, cosa che non faceva quasi mai.
Non aveva mai cercato infatti di comunicare agli altri che tipo di persona fosse o quali fossero i suoi interessi servendosi dell'aspetto esteriore, indossando magari delle t-shirt con loghi di band famose, piuttosto vestiva quasi sempre in modo anonimo. Vedeva insomma l'abbigliamento non come un mezzo per trasmettere un messaggio, ma piuttosto come un modo per ripararsi dal freddo e accondiscendere al comune senso di pudore. Ma, chissà, forse anche quel forzato tentativo di restare anonimo celava il desiderio di comunicare qualche cosa. Forse il fatto che avrebbe voluto farsi scoprire e indagare, che, come una gemma dal valore nascosto, avrebbe voluto attirare l'attenzione di persone disposte ad andare oltre la superficie, oltre le apparenze.
Per questi stessi motivi forse non aveva mai nemmeno preso in considerazione l'idea di sottoporsi al futile supplizio dei tatuaggi. In realtà non ci aveva mai pensato più di tanto, non aveva un'idea chiara del perché non ne avesse mai fatto uno. Semplicemente non ci aveva mai riflettuto, non reputandola una questione meritevole della sua attenzione e del suo tempo.
La serata a casa di Guido fu meno tragica di come se l'era prospettata. Nessuno si azzardò a sottoporgli domande scomode né tentò di metterlo in difficoltà, e la cosa lo colse alla sprovvista. Era arrivato alla festa così prevenuto e sulle sue che ora gli riusciva davvero difficile cambiare stato d'animo.
Dopo la cena, che consistette semplicemente in della pizza da asporto, l'intera compagnia, composta da otto persone, si riversò alla rinfusa nel salotto. Franz si adagiò su una delle poltrone e lo stesso fecero un altro paio di giovani dai modi aristocratici, mentre tutti gli altri, compresi Nunzia e Guido, si sedettero a tavola con la ferrea intenzione di iniziare un'interminabile partita a Monopoly. Nunzia chiese un paio di volte a Franz se volesse giocare ma, di fronte ai cenni di dissenso di quest'ultimo, decise di non insistere.
Franz, in disparte, poté così osservarla con calma per qualche minuto, mentre lei del tutto ignara si divertiva in maniera semplice e genuina intrattenendosi con quegli sconosciuti, come se li conoscesse da chissà quanto tempo. Si chiese come sarebbe stata la sua vita senza di lui. Avrebbe sentito la sua mancanza? Certo che no, non aveva bisogno di lui per essere felice, la cosa era talmente evidente che adombrò il suo umore.
Franz si era infatti plasmato, in quella sua ancor breve esistenza, una precisa idea dell'amore, dell'amore vero, quello con la a maiuscola. Era piuttosto certo di come avrebbe dovuto essere, e aveva la ferma convinzione che l'amore inteso nel senso comune del termine non fosse altro che una sottile forma di egoismo. Insomma, quand'è che noi ci diciamo innamorati? Quando il solo pensiero di una persona ci mette di buon umore, quando sentiamo la sua mancanza, quando sentiamo addirittura di avere un disperato bisogno di lui o lei nelle nostre vite per essere felici.
E cos'è questo, se non egoismo? A cosa stiamo pensando quando formuliamo questi pensieri, all'appagamento dei bisogni della persona amata o a soddisfare esclusivamente i nostri bisogni? E se quella persona invece non avesse bisogno di noi per essere felice? E se addirittura noi potremmo essere d'intralcio, un ostacolo per la sua felicità?
Franz si poneva sempre tutti questi dilemmi prima di iniziare a corteggiare qualche ragazza. Era anche persuaso che la fase del corteggiamento non fosse altro che un nobile tentativo di ingannare la persona amata, convincendola magari di essere il principe azzurro che continuerà per tutta la vita a regalarle fiori, orsetti di peluche e cioccolatini. Ma una volta ottenuto l'oggetto del proprio desiderio, che fine avrebbe fatto poi tutto questo romanticismo?
Ecco perché cercava sempre di non creare molte aspettative e di non strafare mai, evitando di compiere gesti spropositati senza la certezza che avrebbe continuato a farli anche in futuro. Ovvio che questo modus operandi non riscuoteva molto successo nell'altro sesso, ma per lui il vero corteggiamento doveva presentarsi in seguito. "È veramente romantico corteggiare una persona solo quando sei convinto che sia già tua." Amava dire. "A quel punto i gesti romantici non servono più a farti ottenere qualcosa ma solo a rendere felice l'altro/a, confermandogli il tuo amore."
Tutto bello, certo, forse un po' complessato il nostro protagonista, ma ne era consapevole. Aveva i suoi ideali ed era determinato a tenerseli stretti. Ciò di cui invece non era al corrente è che, avere di queste idee, così radicate, e per giunta a soli ventun anni, può seriamente allontanarti dagli altri.
Insomma, di solito le persone maturano le proprie convinzioni col passare degli anni, magari solo in età adulta, e lui in tal senso era un po' troppo precoce. Questo di certo non lo rendeva avvicinabile agli occhi altrui né tantomeno malleabile.
D'altronde, perché è più facile innamorarsi a vent'anni che a quaranta? Forse perché da giovani non si ha ancora un'idea precisa della propria personalità e delle proprie convinzioni, e per questo ci va bene quasi chiunque, purché sia abbastanza appetibile. Col trascorrere del tempo invece diventiamo sempre più certi di chi siamo e cosa vogliamo, diventiamo sempre più singolari, sempre più specifici. E per questo diventa sempre più difficile trovare qualcuno che ci vada bene, qualcuno che sia adatto alla nostra specificità e a tutti i nostri difetti. Ebbene, Franz aveva l'onore di aver raggiunto questo grado di ricercatezza e insoddisfazione già in tenera età, e oltretutto amava i suoi difetti, essendogli ormai affezionato.
Tra un drink e l'altro la serata passò più in fretta del previsto. Aveva sempre odiato quei cocktail annacquati, pieni di ghiaccio, non li sopportava nemmeno d'estate col caldo torrido, figuriamoci d'inverno, tuttavia l'alcol sembrava non fosse disponibile in forme diverse, per cui dovette accontentarsi. Nunzia invece rimase decisamente sobria visto che era astemia, infatti Franz poté osservarla mentre sorseggiava soddisfatta un succo di frutta all'ananas.
La serata si concluse con affettuosi ed ebbri saluti da parte di tutti. Guido gli augurò un buon viaggio di ritorno, e sembrò sincero nel farlo, o forse era l'alcol a parlare. Di sicuro era contento di levarselo di torno.
Ovviamente guidò Nunzia, Franz non era nelle condizioni adatte nemmeno per avvicinarsi al volante. Nondimeno quest'ultimo trovò l'ardire, forse proprio grazie a quei cocktail galeotti, di dire a Nunzia che avrebbe voluto passare un altro po' di tempo in sua compagnia. Dopotutto era la sua ultima sera a Firenze. Lei accondiscese volentieri alla richiesta del suo alticcio passeggero e fece così una deviazione per dirigersi sul Lungarno, all'altezza del Ponte Vecchio.
La zona a quell'ora era quasi deserta, forse era troppo tardi persino per la movida. C'erano giusto qualche sparuto gruppo di adolescenti, dall'entusiasmo ormai affievolito e in piena fase calante nella curva alcolica della serata, e qualche romantica coppia di mezz'età che si attardava ad ammirare la città sotto le romantiche luci notturne. Ascoltando le loro conversazioni Franz poté constatare che per la maggior parte si trattava di turisti stranieri, soprattutto tedeschi.
I due si avviarono così per la loro passeggiata lungo le sponde del famoso fiume. Entrambi erano a dir poco infreddoliti e quell'aria gelida aiutò Franz a ravvivarsi man mano che camminavano, tuttavia non sembrava ancora aver ripreso del tutto le sue capacità intellettive e soprattutto motorie. Nunzia infatti si stava divertendo un mondo a vederlo arrancare a quel modo.
Si dice spesso che l'alcol si fa veicolo di verità, o che almeno elargisca il dono della loquacità a coloro che godono dei suoi effetti. Ci si poteva quindi ragionevolmente aspettare che fosse il nostro temerario protagonista a monopolizzare la conversazione, producendosi in un ininterrotto fiume di parole, invece fu Nunzia a prendere l'iniziativa. In maniera astuta scelse accuratamente l'argomento da trattare.
«Poi non mi hai più raccontato niente di come sono andate le cose con Veronica. Insomma, in quei mesi sei sparito, a parte qualche sporadico e conciso messaggio. Non so niente di lei né di come siete arrivati a innamorarvi...» Disse, gettando furbescamente l'esca.
«Pfff... innamorati...» Rispose Franz, sbruffando in modo un po' troppo teatrale e colpendo un'inorridita signora teutonica con uno schizzo di saliva. «Diciamo che abbiamo provato a stare insieme per un po'.»
«Ma come? Siete stati insieme praticamente per un anno. Possibile che in tutto quel tempo tu non abbia provato nulla per lei?» Volle indagare, pronunciando quelle parole molto chiaramente. Sembrò quasi un discorso che aveva provato in precedenza.
Franz aveva tanto atteso quel momento e si era anche preparato ad affrontarlo. Voleva fornirle le giuste spiegazioni, spiegandosi per bene e utilizzando tutte le parole corrette. Tuttavia quei maledetti beveroni dalle parvenze tropicali ingurgitati a casa del mefistofelico Guido gli erano d'intralcio e non gli stavano permettendo di concentrarsi, né di mettere a fuoco la questione.
«Ma certo. Ho provato molto... affetto.» Si pronunciò infine, con somma indecisione. «Mi ero affezionato, ecco.»
«Anche agli animali da compagnia ci si affeziona.» Sentenziò lei, senza nessunissima enfasi.
«Tranne ai tuoi, a quelle bestie non mi affezionerò mai.» Replicò lui in tono scherzoso, senza ottenere nemmeno lontanamente gli effetti sperati. «Cosa vuoi che ti dica?» Chiese poi più seriamente, cercando di darsi un contegno.
«Sei sparito per un anno. Vorrei capire se ne è valsa la pena.» Lei lo guardò con un'espressione mortificata che non le aveva mai visto sul volto. Sembrava desiderosa di capirlo, bramava la verità.
«È ovvio che me ne sono pentito. Sei la mia migliore amica, lo sai, e ho sbagliato a metterti in disparte.»
«Per una di cui non eri nemmeno innamorato a quanto pare.» Ci tenne a precisare.
«Te l'ho detto, ho sbagliato tutto in quel periodo. Mi dispiace, ok?» Usò un tono seccato che fu di sicuro fuori luogo. Nunzia interpretò la cosa come un segnale di insofferenza verso il suo tentativo d'indagare oltre, e non si pronunciò in ulteriori domande.
Il resto della serata trascorse in un rancoroso silenzio e i due tornarono a casa con la consapevolezza di non essere forse mai stati così lontani l'uno dall'altra.
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