Parte 18
Franz dovette sedersi su uno dei due divanetti rossi posti di fronte la reception. Non fu facile per lui metabolizzare l'accaduto.
Anselmo gli portò un bicchiere d'acqua e gli spiegò che l'infausto evento si era verificato nei primi giorni d'agosto. A quanto pare Andrea non si era mai ripreso dal tradimento della moglie e dal successivo divorzio. Lottava con la depressione già da molto tempo e, il pomeriggio del quattro agosto, caratterizzato da un caldo torrido e afoso, aveva deciso di farla finita, impiccandosi nel garage di casa sua. A trovarlo furono gli anziani genitori, che ovviamente non riuscivano ancora a spiegarsi il motivo dietro a tale folle gesto. Per fortuna Andrea non aveva figli, aggiunse poi Anselmo.
Dopo qualche minuto accorse Elisabetta, che realizzò immediatamente la situazione.
«Pensavo lo sapessi. Lo aveva scritto Torboli sul gruppo whatsapp della classe.»
«Maledetti gruppi.» Riuscì a dire lui. «Faccio sempre scorrere la chat senza leggerne i messaggi. Non si riesce mai a distinguere le frivole chiacchiere dalle comunicazioni importanti.»
I due si avviarono in classe. Nei corridoi e in tutta la scuola si respirava un'aria surreale, quasi onirica, da film di David Lynch. Evidentemente tutti sentivano la mancanza di Andrea, quel quarantenne alto e dai modi sempre gentili.
Franz per vari giorni ripensò a tutti gli episodi in cui aveva dialogato con lui. Cercava nella sua memoria degli indizi, qualche segnale che gli avrebbe potuto far capire che Andrea soffrisse di una depressione così grave, cosa che lui, come molti altri in quell'istituto, ignorava del tutto. Gli vennero in mente, però, solo i suoi sorrisi accondiscendenti e quelle poche e garbate parole che gli rivolgeva salutandolo. Non aveva di certo la parlantina sciolta, ma la cosa si poteva anche imputare a una timidezza che ben si sposava col suo carattere così docile.
Venne poi nominato al suo posto un nuovo collaboratore scolastico, Alfredo, un baffuto signore sui sessant'anni ormai prossimo alla pensione. Adempiva al suo lavoro con diligenza, e con la naturalezza di chi ha svolto lo stesso mestiere per tanti anni. Per lui infatti si trattava ormai dell'ennesima scuola. Era sempre professionale e scrupoloso, tuttavia non riuscì mai a riscuotere la simpatia né tantomeno l'approvazione dei docenti e degli studenti. Tutti quanti, infatti, nel guardarlo vedevano sempre Andrea, e si trovavano a desiderare che ci fosse lui al suo posto. Il povero Alfredo non riusciva proprio a spiegarsi questa ostilità nei suoi riguardi, ma dopo un po' di tempo ci fece il callo, e continuò a svolgere il suo lavoro con il solito zelo in attesa di godersi la tanto attesa pensione.
In quel periodo Elisabetta stette molto dietro a Franz. Avendolo già visto in condizioni pietose, temeva una sua possibile ricaduta, cosa che per fortuna non si verificò. Il giovane studente, infatti, sembrava ormai aver trovato il suo equilibrio emotivo e una specie di pace interiore che lo faceva sentire sempre a proprio agio in qualunque posto e in qualsiasi situazione.
Nondimeno, visto quello che era successo a scuola, diverse volte i due compagni di classe si ritrovarono ad affrontare l'argomento depressione. In un'occasione Elisabetta gli chiese cosa avesse scatenato in lui quel vortice di pensieri negativi. La sua risposta fu la seguente.
«Nell'arco di pochi mesi si susseguirono diversi eventi funesti: prima ci fu il divorzio dei miei, poi persi il lavoro, e infine ci fu la morte di mio zio. Tutti questi problemi uno appresso all'altro e, sai com'è... alla prima botta reggi, alla seconda inizi a vacillare, alla terza crolli. La vita trova sempre il modo di piegare anche i più forti.»
Lei si limitò ad annuire.
Di lì a poco si ritrovarono spesso a passare del tempo insieme a casa di Franz. Elisabetta aveva preso questa abitudine di andarlo a trovare senza essere invitata e ogni tanto portava anche qualcosa da mangiare o un dvd con un film da guardare insieme. I due erano ormai diventati buoni amici, se non addirittura inseparabili, anche se forse non si rendevano ancora conto di quanto stesse diventando forte il loro legame, di sicuro Franz non se ne stava accorgendo.
In particolare avevano acquisito questa consuetudine di trascorrere insieme la domenica pomeriggio. Si spaparanzavano sul divano a guardare qualche vecchio film, ad ascoltare musica rock o a guardare qualche concerto di musica classica.
«Sei sempre non-fidanzato?» Gli chiese lei in maniera superficiale in una di quelle calme domeniche autunnali.
Lui per poco non si strozzò con un popcorn.
«Come scusa?»
«Quando abbiamo parlato la prima volta, o meglio, quando io ti insultavo e tu provavi a biascicare qualche cosa in segno di risposta, mi avevi detto di essere single e che eri appena uscito da una storia complicata. È cambiato qualcosa da allora o sei sempre non-fidanzato?»
Franz non si aspettava quella domanda, e parve visibilmente in difficoltà.
«Beh, a dire il vero, c'è questa ragazza...»
«Mmm, una ragazza...» Disse lei, tutta interessata, abbassando il volume della tv, e fregandogli il cestello dei pop corn.
«Si, a dire il vero il nostro rapporto non è ancora molto chiaro, ma mi piace davvero un sacco, e da tanto tempo.»
«E allora perché non ti fai avanti, prode cavaliere?»
«Non è così facile. Lei è una tipa complicata, sai... è piena di contraddizioni e ha tante cose per la testa. È molto impegnata e in questo momento a quanto pare non se la sente di avviare un rapporto serio e stabile. Le relazioni sono complicate.» Aggiunse poi Franz, con un tono da professorino.
«Sono complicate per le persone complicate.» Replicò lei con la bocca piena di popcorn.
«Già, forse hai ragione tu. Allora per me sarà sempre più difficile.»
«È probabile. E lei è molto carina?» Gli chiese, guardando sempre la tv. Sembrava rivolgergli quelle domande giusto per passare il tempo e fare un po' di conversazione, e non perché fosse realmente interessata all'argomento.
«Si, è carina. Oddio, forse per me lo è molto di più perché mi sento così attratto dai suoi modi e dalla sua personalità. Mi rendo conto che oggettivamente non è certo una di quelle bellezze mozzafiato, ma sai, quando ti piace tutto l'essere interiore di una persona poi ne guadagna anche il suo aspetto fisico, e inizi ad amare addirittura anche i suoi difetti.»
Passarono quel pomeriggio a guardare "Io ti salverò", lungometraggio in bianco e nero di Alfred Hitchcock con Gregory Peck e Ingrid Bergman. Poi si misero a discutere di musica come sempre.
«Band preferita.» Disse lei.
«Talking Heads.»
«Canzone preferita.»
«This must be the place. Ci hanno anche fatto una cover gli Arc...»
«Lo so. Con chi credi di parlare? Stai sempre a fare il saputello.» Lo bacchettò.
«E tu invece? Sentiamo le tue preferenze.»
«I Joy Division per me sono insuperabili, e Love will tear us apart rimane un capolavoro ineguagliabile.»
«Si...» Tentennò Franz mostrandosi poco convinto. «Diciamo che non combaciano più con i miei gusti, ma un tempo li ascoltavo parecchio.» Il che non era proprio la verità, in realtà voleva fare il tipo difficile.
«Cioè?»
«Non lo so, col tempo sono passato a un rock più raffinato diciamo, dai suoni più puliti.»
«Ma perché devi sempre essere così pedante?» Gli chiese con un'espressione disgustata. «E comunque adoro anche i Cure, gli Smiths, i Pink Floyd, i Tears for Fears...»
«Ecco, adesso ci siamo, qui mi trovi già più d'accordo.» Accondiscese infine lui, dall'alto della sua infinita sapienza.»
In serata poi ripresero il discorso dei problemi umorali di Franz. A dire la verità fu lui a introdurre l'argomento, visto che lei non se la sentiva giustamente di fargli altre domande in merito. Il fatto è che si sentiva tremendamente a suo agio a parlare con lei di alcune cose. Gli dava sempre l'impressione di ascoltare, ascoltare davvero, non come fa la maggior parte della gente, che si limita a fissarti pensando già a un'eventuale risposta; quelle non sono vere conversazioni, sono monologhi a pezzetti.
«Sai, in quel periodo sfortunato ero diventato anche ipocondriaco.» Iniziò a confessarle. «Il mio corpo iniziava a dare strani segni di cedimento che non avevo mai provato prima, così mi ero convinto di avere qualcosa che non andava. Che so... una ghiandola che funzionava male o qualcosa di più grave tipo un tumore.»
«Addirittura?» Chiese lei, che nel frattempo si era messa più comoda sul divano, sdraiandosi e mettendosi due o tre cuscini sotto la testa.
«Si, e iniziai a fare una sorta di tour di tutti i medici della città, alla ricerca di quel male che mi stava angustiando la vita. Contattai il mio otorino, l'oculista, il gastroenterologo, l'endocrinologo... ma ad ogni visita la risposta era sempre la stessa. Mi dicevano che ero sano come un pesce, e che i miei problemi erano di natura psicosomatica. Mi sembrava che tutti quegli specialisti si fossero messi d'accordo, e che ci fosse una specie di complotto medico nei miei confronti.»
«E vai con le fissazioni.» Intervenne lei.
«Già, ne avevo tante. Feci innumerevoli analisi del sangue, e anche il mio medico curante mi disse che stavo benissimo. Non riuscivo proprio a mettermi l'anima in pace. Ero convinto che tutti quei dottori non avessero capito nulla di me e del mio quadro clinico.»
«E poi? E arrivata la svolta?»
«Mi decisi ad andare da uno psicologo. Mi fece un bel quadretto di quella che era la mia situazione e mi consigliò di prendere delle medicine. Continuai ad andarci per qualche settimana, mi faceva bene parlare con qualcuno dei miei problemi, parlare con qualcuno che fosse finalmente disposto ad ascoltarmi, non come i miei genitori. Comunque non presi mai farmaci.»
«E allora come hai fatto a migliorare e ad uscirne scusa?»
«Semplicemente accettando la cosa. Dal momento in cui mi sono messo l'anima in pace, accettando il fatto che i miei problemi fossero dovuti a dei disagi psicologici, ho iniziato a stare meglio.»
«D'altronde, come disse Dr.House, la consapevolezza è il primo passo verso la guarigione.» Proclamò convinta Elisabetta, che si rallegrò un pochino all'idea di aver fatto anche lei finalmente una citazione illustre.
«Sì, è davvero così. La lotta è stata lunga, e i miglioramenti molto graduali, ma costanti nel tempo. Ancora oggi non posso certo affermare di esserne definitivamente uscito, ma mi sento molto più forte. Anche lo Zen mi ha aiutato molto.»
«Non ho mai capito esattamente che cosa sia.» Aggiunse lei. «Cioè ne ho un'idea sommaria, ma credo sia più che altro basata su degli stereotipi occidentali.»
«Non è facile da spiegare, anzi, in realtà non si può spiegare. Lo Zen è una sorta di branca pratica del Buddismo, ma non è una religione né una filosofia. È qualcosa di molto pratico, che ha a che fare con la nostra vita di tutti i giorni. Ad esempio, nello Zen, tutte le nostre pratiche quotidiane, dal lavarsi i denti al fare il bucato, possono diventare forme di meditazione, perché non c'è distinzione tra pratica e meditazione, esse sono la stessa cosa.»
«D'accordo maestro Oogway, ma in che modo ti ha aiutato, a parte farti capire l'utilizzo corretto del filo interdentale?»
«Diciamo che mi ha fatto cambiare radicalmente visione della vita. Noi occidentali siamo perennemente insoddisfatti, sempre alla ricerca di qualcosa che può renderci felici e che al momento non abbiamo. Rincorriamo di continuo quella cosa che continua a sfuggirci, ma nello stesso istante in cui la raggiungiamo, realizziamo di non trarne nessuna soddisfazione, e allora andiamo alla ricerca di qualcos'altro. Pensa alla pubblicità, ad esempio; è studiata apposta per renderci insoddisfatti di tutto ciò che abbiamo già e per farci desiderare qualcosa di cui non abbiamo realmente bisogno, facendoci proiettare su quell'oggetto la nostra idea di felicità. Ecco, io mi sentivo in questa situazione, sempre inadeguato, sempre insoddisfatto e alla continua ricerca di quell'ideale che mi veniva negato da non si sa bene chi. Ero come un criceto in gabbia costretto a correre per sempre sulla sua bella ruota.»
«E poi è arrivato qualche monaco buddista in tuo soccorso, porgendoti una scodella di tè che conteneva l'intero significato dell'esistenza.» Disse lei con enfasi, accompagnando la sua affermazione con degli ampi gesti, come se stesse avendo una visione.
«Più o meno. Vedi, la mente Zen ti permette di essere soddisfatto a prescindere dalle circostanze esterne. Sei felice nel momento e nel luogo in cui ti trovi ora, perché il significato vero della felicità non risiede in qualche persona o, ancora peggio, in qualche oggetto, ma in te stesso, e nessuno può privartene. In più noi occidentali diamo un valore completamente sbagliato al tempo. Per noi, le persone di successo sono quelle più oberate, quelle che vanno sempre di fretta prese da un sacco di impegni, e che non hanno mai tempo per fermarsi a pensare e riflettere. Avere il tempo per meditare è una roba da sfigati e da falliti. E quando ci ritroviamo ad avere tanto tempo libero ci sentiamo inutili e inferiori perché le persone importanti non hanno tempo libero.»
«Mi stai facendo passare la voglia di diventare una donna in carriera. Ma prosegui pure Gandhi.»
«Nello Zen invece si attribuisce un valore diverso all'uomo e al tempo. Noi non siamo importanti in virtù di ciò che facciamo ma per ciò che siamo. Siamo importanti perché di per sé ognuno di noi è importante, anche nel momento in cui non facciamo nulla. Anzi, lo Zen dà molto peso al passare del tempo senza fare niente. Se riesci a essere felice non facendo nulla vuol dire che sei davvero in armonia col tuo animo. C'è un esempio che fece un famoso maestro Zen... il leone è l'animale più temuto e più affascinante, il cosiddetto re della foresta. Eppure passa gran parte delle sue giornate a non fare proprio nulla. Spesso nei documentari vediamo questi leoni sdraiati, che si limitano a muovere la coda per scacciare le mosche. Eppure, anche standosene lì fermo senza fare nulla, il leone rimane sempre leone, non perde la propria autostima né le proprie sicurezze. Ecco, questo è un concetto che mi ha aiutato molto.»
«Quindi io che me sto spaparanzata così, sul divano di casa tua, con i popcorn in una mano e il telecomando nell'altra, potrei equipararmi a un'affascinante e temeraria leonessa della savana. Mi piace sempre di più questa cosa Zen qua, come si chiama...»
Le teorie deliranti di Elisabetta vennero interrotte dallo squillo del telefono di Franz. Il giovane diede un'occhiata e, accorgendosi che la chiamata proveniva da Nunzia, prese lo smartphone e si diresse in un'altra stanza.
«Scusami un secondo.» Si congedò.
Elisabetta fece un'espressione incuriosita e forse leggermente infastidita, ma si distrasse guardando la tv.
«Ciao cara, a cosa devo l'onore?» Esordì Franz, tenendo ragionevolmente basso il volume, e dando una sbirciata al salotto per controllare la sua strana compagna di classe.
«Hey, che combini?» Esordì lei.
«Niente di che, sono a casa a guardare un film.»
«Tanto per cambiare eh? Potresti anche uscire ogni tanto.» Lo incoraggiò con benevolenza.
«Si, è che ho paura delle scie chimiche, sai com'è...»
«Senti.» Disse poi lei, arrivando al punto. «Il week-end a Venezia è fattibile.»
«Oh, wow!» Esclamò lui che, profondamente stranito, si rese conto di essersi persino dimenticato della cosa.
«Solo che dovremmo organizzarci verso marzo, perché nei prossimi mesi avrò diversi esami e quindi sarò piuttosto presa dallo studio.»
"Marzo?" Si chiese Franz. "Vuol dire che per rivederla ci vorranno altri cinque mesi."
«D'accordo.» Acconsentì poi, senza particolare entusiasmo. «E marzo sia. Se sei così impegnata non ti preoccupare.»
«Perfetto!» Esultò lei, con voce squillante. «Sarà davvero una bella vacanza, vedrai. E poi ho invitato anche Chiara, Guido e un altro suo amico!»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top