Parte 1
14 ottobre 2017, da qualche parte nel sud Italia...
"Sei un fallito, non concluderai mai niente nella tua vita."
Pesanti come macigni, quelle parole risuonarono nella testa del giovane Franz Campitelli mentre si apprestava a firmare il documento che gli avrebbe permesso di iscriversi al corso serale dell'istituto alberghiero.
«Allora, entro domani dovrai consegnare una copia del documento d'identità e una certificazione da parte della tua vecchia scuola che attesti l'ultimo anno di studi a cui sei stato ammesso.»
«Come, scusi?»
«Se magari ti togli quelle cuffie.»
«Ah, certo.» Concordò, abbassando il volume del walkman e consegnando il foglio appena sottoscritto.
«Credevo che quei cosi non esistessero più.» Disse, indicando con lo sguardo il curioso lettore di musicassette.
«Beh, come si dice, chi cerca trova, no?»
«Senti, ci servono i tuoi documenti, domani è il termine ultimo.» Sentenziò l'addetto alla segreteria scolastica, visibilmente spazientito dall'atteggiamento distratto e svagato del suo interlocutore.
L'uomo dai capelli lunghi e arruffati, e dall'aspetto abbastanza anomalo visto il contesto istituzionale, prese il documento cartaceo che il giovane aveva depositato sul bancone e gli diede una rapida occhiata prima di accatastarlo su una pila di fogli precompilati che sembravano giacere lì dalla notte dei tempi. Si limitò a controllare che fosse tutto in ordine, non sembrava in vena di fare ulteriori commenti, ma poi, una volta notata la firma apposta dall'aspirante corsista, non poté fare a meno di esternare il suo pensiero.
«E cosi i tuoi ti hanno chiamato Franz, eh? Come il grande Beckenbauer...»
«Come Liszt, mi piace pensare.» Precisò, con l'aria saccente di chi aveva già dovuto rispondere innumerevoli altre volte a quella medesima osservazione.
«Chi?»
«Lasci stare. Grazie per l'aiuto e buon lavoro.»
Mentre usciva dall'edificio scolastico, praticamente deserto in quelle prime ore pomeridiane, provò una strana sensazione di calma interiore. Era una scuola decisamente diversa rispetto al liceo che aveva frequentato fino a qualche anno prima: immersa nelle campagne, circondata da serre agricole, campetti da calcio e vigneti; era un ambiente rilassante, sereno, lontano dal caos cittadino, e pensò che, per tutti queste ragioni, potesse rappresentare l'ambiente ideale in cui rimettersi in gioco.
In fondo la scuola gli era sempre piaciuta, l'edificio almeno, più che coloro che la popolavano. La considerava un'istituzione in grado di comunicare l'essenza dello scorrere del tempo, della sua continuità, senza però trasmetterne necessariamente la concitazione. A cambiare, con l'inesorabile fluire degli anni, erano gli studenti, ma le scuole rimanevano identiche, mantenendo intatte quelle solide e inscalfibili mura, immuni a ogni minaccia. Tutto ciò lo fece sentire al sicuro, al riparo dalle insidie del frenetico mondo esterno.
Abbandonò la scuola a diciotto anni, nel mese di ottobre, quando aveva appena iniziato il quinto e ultimo anno del liceo scientifico cittadino. Era ormai ben avviato verso una più che dignitosa conclusione degli studi, con dei voti sopra la media e diverse eccellenze, almeno nelle sue materie preferite: storia dell'arte, filosofia, storia e letteratura. E poi c'era quell'insufficienza che si trascinava dietro fin dal primo anno: la tanto odiata matematica. Per quanto si fosse impegnato in tal senso, non aveva mai simpatizzato con i numeri, e non riusciva a spiegarsi il perché. O era lui a odiare loro o viceversa. Fatto sta che non si rispecchiava in un universo fatto di regole e formule, un mondo di costrizioni e rigidi criteri da rispettare per giungere alla conclusione corretta. Si rivedeva invece nella galassia composta dalle poesie, dai dipinti, dalla musica, dall'ermetismo filosofico e dall'imprevedibilità intrinseca di ogni espressione artistica.
Un curriculum davvero curioso per uno che aveva scelto il liceo scientifico, ma si rese conto troppo tardi di aver sbagliato indirizzo scolastico, e questo fu uno dei motivi che lo portarono a scoraggiarsi e a mollare la presa. Quella di abbandonare tutto fu una decisione impulsiva, presa di pancia, come si suol dire, d'altronde quella era l'età degli scombussolamenti fisici, ormonali ed emotivi, e anche l'età in cui si commettono gli errori peggiori. A diciott'anni pensi di sapere già tutto della vita, e in realtà non sai ancora un bel niente.
Una volta nel parcheggio, notò in lontananza un gruppo di sconosciuti, molto plausibile che fossero dei corsisti, altamente probabile che sarebbero stati i suoi nuovi compagni di classe. Solo al pensiero iniziò a sudare per l'agitazione, non era ancora pronto ad incontrarli, così fece finta di guardare altrove fino a quando non ebbe raggiunto la sua auto, una Peugeot 307 grigia dalla carrozzeria malmessa ma ancora affidabile dal punto di vista meccanico. Si infilò nella vettura sedendosi al posto di guida, si prese qualche secondo per calmarsi ricordandosi che l'ultimo attacco di panico risaliva a soli due giorni prima e, dopo qualche minuto, allacciò la cintura di sicurezza e mise finalmente in moto.
Dovette forzatamente passare davanti al variegato gruppetto assiepato davanti al cancello d'ingresso, o d'uscita che dir si voglia. Gli lanciarono una breve e fuggevole occhiata, come se fossero impegnati a parlare di cose ben più importanti. Gli servì da lezione, si sentiva infatti perennemente a disagio in quanto avvertiva di continuo lo sguardo altrui su di sé, come se si trovasse senza requie sotto un riflettore che metteva in risalto ogni suo più piccolo difetto, ogni passo falso. Ma non era lui il centro dell'universo, e quel pomeriggio ebbe l'occasione di ricordarselo... le persone hanno altro a cui pensare.
Rivolse un timido e ultimo sguardo al gruppo di studenti prima di oltrepassare il cancello ed ebbe così l'occasione di notare i loro connotati. Erano molto diversi tra loro, persino di etnie differenti: uno aveva dei tratti sudamericani, un altro dell'europa dell'est, le loro età potevano aggirarsi tra i venti e i trentacinque anni, forse anche qualcosa in più. Immerso come al solito nei suoi pensieri e distratto dalla visione di quelli che sarebbero stati verosimilmente i suoi compagni di sventura per i prossimi due anni, non notò che, proprio nei pressi del cancello automatico, stava sopraggiungendo un'altra vettura, e per poco non le andò addosso. Il suv bianco dovette destreggiarsi in una brusca sterzata sulla destra e l'abile guidatrice non risparmiò, giustamente, il clacson.
"Se quella era una docente, mi sa proprio che sono partito col piede sbagliato." Pensò, lasciando l'ampio parcheggio dell'istituto.
Non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi dal trauma, che lo smartphone appena poggiato sul cruscotto iniziò a squillare. Stava accusando ancora un po' di tachicardia a causa dell'incidente appena sfiorato, inoltre non amava parlare al telefono mentre era alla guida, era piuttosto fissato con la sicurezza. Tuttavia si accorse, con una rapida occhiata di sbieco, che la chiamata proveniva da Veronica, per cui non poté esimersi dal rispondere.
Non fece nemmeno in tempo a dire "pronto".
«Cos'è questa storia che mi devi parlare?»
"Merda, l'ha presa peggio del previsto." Pensò.
«Veronica ascolta, non c'è motivo di agitarsi, ho solo bisogno di discutere con te di alcune cose.»
"Discutere con te di alcune cose?! Ma come mi è venuto in mente?" Si rese conto, sfortunatamente troppo tardi, di aver utilizzato una pessima scelta di parole.
«Discutere con me di alcune cose?! Quali cose? Non puoi dirmele per telefono?»
«No, non mi sembra il caso. Preferisco parlarne con calma davanti ad una tisana, una di quelle rilassanti magari.»
«Che fai, mi prendi pure per il culo?»
«No, no, ma certo che no, scusami.» Rispose sinceramente. L'educazione prima di tutto. «Comunque sia, ti passo a prendere per le sedici e trenta d'accordo? Così abbiamo anche il tempo di calmarci un pochino.»
«Sono già calma.»
"Ma certo, l'emblema della mansuetudine." Pensò, notando che la chiamata era già stata terminata.
Odiava quella situazione con tutto se stesso. Era così volgare e stereotipata. Lui e lei che dovevano rispettare dei ruoli prestabiliti da chissà chi, miliardi di anni prima. Lui che mollandola sarebbe passato per lo stronzo sciupa femmine che in realtà non era, e lei che non poteva esimersi dal produrre delle scenate imbarazzanti. Riusciva già a vedere come sarebbe finita quella serata, era tutto così tremendamente prevedibile, così come lo era stata la loro relazione in quei lunghissimi sette mesi in cui si era stancamente trascinata.
C'è da dire che Veronica era la ragazza più bella con cui fosse mai stato, di sicuro la prima con cui si fosse impegnato in una relazione seria e stabile. Tutti i suoi amici ci avevano provato almeno una volta con lei, ma con scarsi risultati. Anche lui pensava di non andarle particolarmente a genio, poi, però, un giorno venne a sapere da un'amica in comune che lei non aspettava altro che la invitasse ad uscire. Colse così la palla al balzo e tutto filò inspiegabilmente per il verso giusto, incoronandolo come il ragazzo più invidiato della comitiva.
Facevano una buffa ma affiatata coppia: lui gracile, senza un grammo di muscoli, non vestiva mai un abito alla moda, lei invece alta e slanciata, sempre attenta al look e con un fisico capace di fare invidia a qualsiasi modella. Chissà cosa avrebbero pensato tutti una volta che la rottura sarebbe diventata di dominio pubblico. Di certo lui sarebbe passato per lo scemo del villaggio.
Si chiese se avesse potuto gestire la cosa in modo diverso, se fosse rimasto qualche tentativo da fare, ma sapeva di aver già provato di tutto. Aveva messo in quella relazione tutto se stesso, aveva pianto e sofferto per lei, si era impegnato a fondo, ma semplicemente le cose non andavano. Era giunto così alla conclusione che se due persone non sono fatte per stare insieme, beh, non ci riusciranno, non importa quanto impegno possano metterci entrambi. E non c'è cosa più frustrante di due anime che vogliono stare insieme ma non ci riescono.
Avrebbe preferito risolvere quella questione in modo pacifico e dignitoso, d'altronde era evidente che le cose non andavano, non si rivolgevano la parola ormai da tre giorni. Avrebbe tanto voluto che fosse stata lei a lasciarlo, ma non era accaduto. In quel caso sarebbe stato tutto molto più semplice: lui non avrebbe dovuto sentirsi in colpa e lei forse avrebbe sofferto di meno. Ora invece era tutto così complicato e non aveva ancora idea di cosa dirle, non era riuscito a prepararsi un discorso o qualcosa di minimamente paragonabile.
Una volta rientrato a casa, si fece una doccia, mangiò un boccone al volo, un mezzo toast con prosciutto e formaggio avanzato dalla sera prima, e guardò l'orologio: le sedici. Il tempo sembrava essersi fermato. Provò a leggere un capitolo dei "Colloqui con se stesso" di Marco Aurelio, il testo di filosofia che lo stava tanto entusiasmando in quei giorni ma, ovviamente, non ci riuscì. Appena terminata una pagina doveva ricominciare a leggerla daccapo perché non ricordava nulla di quello che aveva appena letto, chiaro sintomo di mancanza di concentrazione. Passò un'eternità e, infine, quando ormai non ci sperava più, furono le sedici e venticinque. Decise così di avviarsi.
Casa di Veronica distava ben poco dalla sua, e sarebbe di certo arrivato in anticipo considerato che la stradina di campagna da percorrere non aveva mai conosciuto la parola "traffico", ma non riusciva più a restare fermo. Mentre si metteva al volante pensò che negli scorsi mesi aveva percorso quella strada innumerevoli volte, e che forse quel tragitto gli sarebbe mancato. Avrebbe impiegato in media due minuti e trentasette secondi ad arrivare sotto casa di lei. Già, aveva fatto il calcolo. Era incalcolabile invece il tempo che passava ad attenderla una volta giunto a destinazione. Si arrese all'idea che anche quel giorno avrebbe dovuto aspettarla chissà quanto ma, oltrepassata l'ultima curva, la intravide già in strada che lo stava aspettando... e non era un buon segno.
Salì in macchina senza proferire parola. Si allacciò la cintura e, con evidente risentimento, non lo degnò nemmeno di uno sguardo.
«Allora, come va?» Disse stoicamente lui, nel tentativo di allentare la tensione.
A quel punto lo guardò, con disprezzo e disgusto, certo, ma lo guardò...
Capì così che non era il caso di pronunciarsi in ciceroniche elucubrazioni e, ingranata la marcia, partì. Accese la radio nel tentativo di riempire l'ingombrante silenzio creatosi e la sintonizzò sulla sua frequenza preferita, una stazione locale gestita da alcuni suoi ex compagni di liceo che trasmetteva rock indipendente. Di solito litigavano sempre per la musica e non appena lui accendeva la radio lei prontamente si sporgeva dal suo posto per cambiare stazione adeguandola ai suoi gusti decisamente più popolari, ma quel giorno non fu così.
Dopo dieci interminabili e silenziosi minuti giunsero a destinazione: era il locale che frequentavano abitualmente nell'ultimo periodo, una caffetteria americana in stile un po' vintage che aveva aperto da poco e che tentava di fare concorrenza alla ben più nota catena di fast food. Si chiese, sebbene sapesse che era ormai troppo tardi, se avesse scelto il posto giusto, se il contesto sarebbe stato favorevole. Insomma, aveva fatto bene a scegliere un luogo pubblico o era meglio restarsene tranquilli a casa? Forse sarebbero potuti andare in un parco. Qual è il posto migliore per mettere fine ad una relazione? Ed ecco che intuì, con una remota illuminazione, che probabilmente non esiste un luogo giusto per lasciare una persona. Si sentì sollevato dall'intuizione, ma il piacevole sentore durò ben poco.
Entrarono nel locale, piuttosto affollato. Lui diede una rapida occhiata in giro, sperando di non intravedere amici o ancora peggio conoscenti. O ancora peggio... parenti. Per fortuna niente di tutto ciò. Notò così, in mezzo alla calca, un tavolino piuttosto decoroso in un angolo appartato accanto alla vetrata, e lo nominò come l'infausto luogo in cui si sarebbe consumato lo scomodo confronto.
Una volta accomodatisi vennero prontamente raggiunti da un'aitante cameriera che, avvertita la palpabile tensione e intuito con perspicacia quello che stava per accadere, prese in fretta e furia le sue ordinazioni e saggiamente si dileguò.
Lei fissava il suo smartphone e sembrava non avere la benché minima intenzione di facilitargli il compito iniziando la conversazione, e forse era giusto così.
Franz si prese qualche secondo per pensare a una dignitosa introduzione ma poi notò dalla finestra che aveva appena iniziato a piovere. Non pioveva da parecchio, tanto che al tg locale non si parlava d'altro che dello spauracchio della siccità, che anche quest'anno aveva atterrito gli agricoltori. La timida pioggerellina iniziò a cadere in modo più insistente inumidendo la strada e picchiettando sui parabrezza delle auto che si vedevano così costrette ad azionare i tergicristalli. Era una di quelle magiche atmosfere da fine estate, in cui la malinconia per la perdita di una cosa bella e tanto desiderata si confonde con l'auspicio di un nuovo e migliore inizio.
«Adoro questo periodo dell'anno. Con questo tempo ci stava proprio una cioccolata calda, peccato che abbiamo già ordinato.» Si sorprese a esclamare, dimenticando per un attimo il motivo per cui si trovavano lì. A ricordarglielo ci pensò Veronica che, fulminandolo con il solo sguardo, palesò il suo disinteresse per quelle frivole chiacchiere, manifestando invece la ferrea volontà di andare dritti al punto.
Dopo un lungo e sofferto sospiro, Franz provò finalmente a lanciarsi.
«Veronica, ascolta...»
«Odio che mi chiami col mio nome di battesimo, lo fai solo quando mi devi dare una brutta notizia.»
«Le cose non vanno ultimamente, non possiamo ignorarlo.» Esordì con coraggio, forse un po' troppo bruscamente.
«Sei davvero uno stronzo.» Replicò lei, guardandolo con ribrezzo dall'alto in basso, e giudicandolo.
«Ecco, lo sapevo.» Reagì, con un gesto di stizza che non gli venne naturale.
«Che cosa sapevi, che sei uno stronzo?»
«Sapevo che ci saremmo ridotti a questo insulso copione da talk-show della domenica pomeriggio.»
«Ah, certo, sono stupidi perché li guardo io.» Disse lei, visibilmente offesa.
«No, perdonami, non intendevo questo.» E non lo intendeva davvero, a sua discolpa. «Avevo dimenticato i tuoi gusti televisivi. Intendo dire che non dobbiamo per forza attenerci a questa rigida sceneggiatura scritta per noi da altri. Perché dobbiamo scadere anche noi in questi cliché?»
«Non so cosa vuoi dire.» Sentenziò, incrociando le braccia e rivolgendo lo sguardo altrove, con espressione seccata.
«Voglio dire che non sono uno stronzo, e tu lo sai. Veronica, guardami, lo sai.» Insisté, con particolare enfasi. «Ti ho trattata sempre come una principessa, non ti ho mai mancato di rispetto.»
Una lacrima iniziò a rigarle il volto e lui capì che forse era il caso di fermarsi e fare una pausa.
«Vuoi che ti faccia una lista?» Disse lei, con la voce tremante, asciugandosi il volto con rabbia.
Giunse di nuovo la temeraria cameriera che adagiò le tisane fumanti sul tavolino e, notando che la situazione era persino peggiorata così come aveva previsto, sparì nel nulla.
«Perché dobbiamo fare così? Perché non possiamo affrontare la cosa da persone mature e razionali? Abbiamo più di vent'anni ormai.»
«Sei tu quello saggio e maturo, non io.» Lo punzecchiò con sarcasmo.
«Non è vero, anche tu sei molto perspicace per la tua età.» Si accorse che stava andando fuori tema. «Insomma, voglio dire che interrompere la nostra relazione potrebbe essere la cosa giusta da fare, il fatto che abbia preso io l'iniziativa non fa di me una versione squallida di Giacomo Casanova. Cosa cambierebbe se mi lasciassi tu?»
«Io non ti avrei mai lasciato.» Replicò prontamente lei, come se non aspettasse altro che il momento adatto per pronunciare quella frase.
«Quindi sei felice con me.» Insinuò.
«Si, lo sono.» Proclamò caparbiamente, cercando di mostrarsi pienamente convinta della sua affermazione. A contraddirla però ci pensò un'audace lacrima che, con fare insubordinato, andò a tuffarsi dritto per dritto nella bollente e invitante tisana ai mirtilli.
«Vorresti quindi dire che le cose vanno bene tra noi? Insomma, ti sembra normale che non ci parlavamo da giorni? Non mi pare un comportamento positivo né tantomeno costruttivo, da parte di entrambi intendo dire. Ci abbiamo provato Veronica, tutti e due, ci siamo impegnati, ma purtroppo le cose non vanno. Siamo troppo diversi, vediamo la vita in modo diverso, abbiamo gusti diversi su tutto e non abbiamo nemmeno un interesse in comune e...»
«Hai finito?» Chiese. Stava scrutando la sua tisana, reggendola con entrambe le mani, e aveva l'aria davvero stanca di chi non avrebbe sopportato un'altra parola senza crollare e cedere al pianto incontrollato.
Lui capì che non era il caso di andare oltre. I successivi dieci minuti passarono nel silenzio più totale e servirono ad entrambi solo a far finta di sorseggiare le calde bevande nel tentativo di ricomporsi.
Il viaggio di ritorno fu un inferno. A tormentarlo era il dubbio di essere stato troppo diretto o, forse, di non esserlo stato abbastanza. Insomma, avevano troncato definitivamente? Era riuscito a dire tutto quello che voleva dire e soprattutto a comunicarlo nel modo corretto? Si arrese all'idea che comunque non avrebbe avuto la forza di pronunciarsi ulteriormente.
Durante il tragitto manifestò buon gusto nel non accendere la radio, intuì che in quel momento qualsiasi canzone sarebbe stata quella sbagliata. Ebbe anche il buon senso di tacere e non ebbe nemmeno il coraggio di guardarla. Vederla in lacrime lo avrebbe distrutto e molto probabilmente lo avrebbe indotto a scusarsi e a cercare di consolarla, cosa decisamente fuori luogo. A consolare lui fu il pensiero che quella poteva essere l'ultima volta che lei piangeva per causa sua.
Raggiunsero infine casa di Veronica e, lentamente, Franz accostò l'auto. Pensò che fosse il caso di spegnere il motore e di non metterle fretta, ma lei aprì subito la portiera, fece per scendere di scatto, e poi invece si arrestò. Si voltò per guardarlo dritto in faccia con aria di sfida e, con un tono di voce fermo e una risolutezza che non le apparteneva, disse:
«In realtà la questione è molto semplice: se due persone si amano troveranno il modo di risolvere qualsiasi problema. Tu mi ami?»
Franz deglutì, ma non trovò il coraggio di rispondere. I suoi occhi parlarono per lui.
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CIAO A TUTTI CARI AMICI WATTPADIANI E BENVENUTI IN QUESTA NOSTRA NUOVA AVVENTURA LETTERARIA.
INNANZITUTTO GRAZIE PER ESSERE ARRIVATI FIN QUI, SUL SERIO, VI RINGRAZIAMO DI CUORE PER AVERCI DEDICATO IL VOSTRO PREZIOSO TEMPO, E SPERIAMO DI RIUSCIRE A INTRATTENERVI E DIVERTIRVI ANCORA. A PROPOSITO, CHE NE PENSATE DI FRANZ E DELLE SUE SVENTURE RACCONTATE IN QUESTO PRIMO CAPITOLO? SIAMO CURIOSI DI SAPERLO.
E ORA UNA DOVUTA PRECISAZIONE: ALCUNI DEGLI EVENTI NARRATI IN QUESTA STORIA SONO ISPIRATI A FATTI REALMENTE ACCADUTI, TUTTAVIA, I PERSONAGGI CHE LA POPOLANO SONO TUTTI FRUTTO DELLA NOSTRA FANTASIA E OGNI RIFERIMENTO A PERSONE O COSE È PURAMENTE CASUALE.
DETTO QUESTO, NON CI RESTA CHE AUGURARVI UNA BUONA LETTURA. NON VEDIAMO L'ORA ANCHE QUESTA VOLTA DI CONFRONTARCI CON I VOSTRI PARERI.
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