Cap. 9
Jude's Pov
Sentivo lo scroscere dell'acqua mentre la ragazzina si stava facendo la doccia. Nel frattempo stavo rovistando nell'armadio cercando qualcosa di adatto da farle mettere. Era piccolissima, quindi cercai tra le cose che non mettevo più ma ero troppo pigro per buttare. Presi dal fondo il sotto di una tuta e una maglia dai disegni osceni che mi aveva regalato mia nonna poco tempo prima per il mio compleanno. Non so quanti anni aveva capito che io dovessi compiere, sorda e cieca com'è.
Ripiegai ordinatamente gli indumenti sul letto e mi sedetti sul bordo, guardando il terrazzo e dando le spalle alla porta da cui proveniva ancora il rumore dell'acqua aperta.
Mi incantai a fissare la luce attenuata che penetrava dalla porta-finestra, senza focalizzare davvero lo sguardo su qualcosa.
《Siediti composto! Che razza di modo è stare seduto in quella maniera Jude? Drizza le spalle e porta le mani sul tavolo!》
《Si. Scusami mamma.》, il mio tono è vuoto, così come i miei occhi che fissano annoiati la pulitissima tovaglia bianca.
Chissà Monica quanto impiega a rendere quella tovaglia così limpida. O come fa a preparare la mattina la colazione per tutti, pulire e prendersi cura di me.
《Jude, come è andata oggi a scuola?》
《Bene, papà. Come al solito.》
《Bravo figliolo. Non deludermi e non prendere d'esempio quella testa vuota di tua sorella; crescerai e ti insegnerò tante cose.》
《Certo papà.》, rispondo con lo stesso tono apatico.
Sento che la scarpina si è slacciata, così per distrarmi inizio a dondolare la mia gamba: ancora non riesco a poggiare i piedi a terra da seduto. Non vedo l'ora di essere più alto.
《Allora? Ti hanno pagato quei bastardi? O come al solito hanno rimandato la trattativa?》, la mamma ha i capelli biondi perfettamente acconciati in un morbido chignon e ad ogni minimo movimento che fa con la testa, i suoi orecchini di perle ne accompagnano il movimento.
《No, Carol. L'affare andrà in porto martedì. Un piccolo ritardo ma sta procedendo benissimo.》risponde papà.
Noto che è scocciato e inizia a tagliare con più foga il cibo che sta mangiando. È sempre molto elegante però.
《Certo.》, il tono della mamma è cupo,《Un solito piccolo ritardo.》e lascia cadere rumorosamente le posate sul piatto. Oh se è arrabbiata.
Il posto di fronte a me e vuoto. Apparecchiato ma vuoto. Mamma e papà sono seduti ai due estremi, a capotavola, lontani. Sento che il cravattino inizia a darmi fastidio al collo e mi scappa la pipì. La mamma si sta pulendo stizzita la bocca, tamponando e facendo attenzione a non rovinare il trucco. È molto bella, ma non sorride mai.
《Devo andare in bagno..》, la mamma mi fulmina con lo sguardo e papà non alza la testa dal piatto.
《Monica, accompagnalo.》, ordina la mamma.
Monica si allontana da dietro la sedia della mamma, dalla quale attende paziente che le ordiniamo qualcosa, mentre io scivolo giù dalla mia di sedia, troppo alta per me. Lei mi viene incontro porgendomi la mano e io gliela afferro con la mia di molto più piccola. Incamminandomi verso le scale che conducono al piano di sopra sento solo il rumore delle posate di papà che sbattono sul piatto, ma poi sono troppo lontano per riuscire a sentire altro.
Monica mi tiene ancora la manina quando arriviamo davanti alla porta del bagno:
《Signorino, vuole che entri?》, mi chiede sorridendo.
《No, Monica. Mi aiuti solo a slacciare i pantaloni? Non ci riesco.》
Dopo aver fatto, entro in bagno e lascio la porta socchiusa. La sorellona ha di nuovo litigato con la mamma. Papà non c'è stato per tutto il giorno. Lei è andata via, però è passata a darmi un bacio mentre giocavo nella mia stanza. Giocavo con la macchinina blu che mi ha regalato lei.
《Monica? Mi aiuti? Ho finito!》
Dopo aver lavato le mani, io e Monica scendiamo di nuovo le scale. Lei sta leggermente più indietro rispetto a me, non mi tiene più la mano. Sento delle voci. La voce di papà...sta urlando. Anche la mamma.
《NON DOVEVA ESSERE MAI NATO!》, i preziosi orecchini penzolano sbattendo sulla sua mascella.
《STA ZITTA! Può tornare da un momento all'altro. Vergognati! Sei sua madre!》
《È colpa tua! Solo colpa tua. Mi bastava e avanzava quella ragazzina arrogante che gira per casa senza il benché minimo rispetto per noi! Lui diventerà come lei!》, ha la bava alla bocca e sento che Monica cerca di tirarmi indietro.
Ma io continuo a guardare la mamma; ha i palmi delle mani aperti sulla candida tovaglia, macchiata dal rosso del vino che si è appena rovesciato dal calice. Gli anelli le brillano alle dita. Papà è comodo sulla sedia, la cravatta slacciata e i piedi allungati sotto il tavolo. La guarda. La guardo. Presto poca importanza a papà. Alla fine risulta sempre più di quella che lui presta a me. I capelli della mamma non sono più ordinati e il trucco è sbavato.
So che parlano di me.
Faccio un passo indietro ma la mia scarpa stride sul lucidissimo pavimento in marmo. Le loro teste scattano verso di me orrendamente sorprese. Non mi ero accorto delle lacrime che mi stanno uscendo dagli occhi. La mamma ha un'espressione dura...si avvicina a me. Mi guarda furiosa. Cosa le ho fatto? Ha alzato una mano, pronta a riabbassarla violentemente. So cosa sta per fare...
《JUDE, DIAMINE!!》
Sbattei le palpebre.
Il volto davanti al mio non era quello di mia madre. Erano due occhi verdi e caldi a fissarmi. Sembravano preoccupati. Guardai meglio i capelli neri e corti della ragazzina. La facevano sembrare più piccola di quanto già non fosse.
L'accappatoio nero che indossava le si era leggermente aperto sul petto, forse nella foga messa per lo svegliarmi dato che le sue mani erano avvinghiate alle mie spalle ed era china su di me.
《Scusami.》, riportai i miei occhi nei suoi,《Stavo pensando.》
Lentamente si risolevò guardandomi spiazzata. Scosse il capo e delle goccioline d'acqua colorano dai suoi capelli. Solo allora si accorse dell'accappatoio leggermente aperto e con un mesto rossore sul viso, lo richiuse accuratamente.
《Hai una sigaretta?》
《Sul comò》, le indicai il mobile accanto alla porta-finestra con sopra uno specchio.
Mi voltò le spalle e, a piedi nudi, arrivo al comò, trovando le sigarette con l'accendino e sfilandone una dal pacchetto.
《Prendine una anche per me.》, sobbalzò, non aspettandosi la mia voce, ma annuì, sempre di spalle.
Prese le sigarette e l'accendino, la vidi armeggiare con l'apertura del vetro per poi uscire in terrazza. Posò la mia sigaretta nel posacenere sul tavolino in ferro battuto bianco posto lì fuori, si avvicinò alla ringhiera accendendosi la sua e guardando la vita brulicante molti metri più giù.
La imitai, accostandomi il vetro alle spalle e riavviandomi i capelli.
Mi posi alle sue spalle. Il sole stava tramontando. Era tutto così calmo. Stavo bene.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top