Cap. 32
Stavo camminando sotto la pioggia. Non avevo una meta. Sentivo le macchine sfrecciarmi accanto e avrei voluto tanto che qualcuno si fermasse, scendesse da quei cosi e mi chiedesse perché stessi piangendo. Magari qualcuno avrebbe usato una di quelle frasi filosofiche sulla pioggia e sul pianto, ma io non avevo nulla di filosofico in quel momento. Magari quella persona scesa dalla macchina mi avrebbe abracciato.
Un papà e una mamma stavano insegnando ai loro bimbi ad andare in bicicletta. Ero appena arrivata al parco. Tutto era bagnato. I cani correvano contenti. Le persone mi camminavano accanto, mi superavano mentre io me ne rimanevo lì piantata immobile. Come un albero. Avrei voluto essere un albero in quel momento. Così sicuro di sé, con le sue radici ben affondate.
Uno di quei cani venne vicino a me, abbaiò due volte e fece la pipì soddisfatto, come a dirmi "ehi, guarda, sono qui, sono contento."
Pensai a quando Tom era tornato quella volta a casa con un cucciolo: io e Samuel eravamo felicissimi. Molte volte davamo a lui il nostro latte e lo chiamammo Hope.
Senza essermene accorta, scrissi speranza sul terriccio bagnato ai piedi di un grande castagno.
Hope rimase con noi un mese, poi morì. Non capimmo mai perchè, forse la fame o la mancanza di vaccini. Fatto sta che Tom ne rimase estremamente dispiaciuto, dispiaciuto di averci dato quell'ennesimo dolore. Sam non disse nulla, mi rimase accanto durante tutta la notte, mentre io piangevo. A quei tempi avevo undici anni. Fu un dolore immenso per me e mi arrabbiai con lui per non aver versato neanche una lacrima. Col tempo compresi che mio fratello aveva un altro modo di affrontare e reagire al dolore. Si era sempre chiuso in se stesso e si distraeva prendendosi cura degli altri.
Ripassai davanti al giovane albero piantato recentemente, ove era affisso l'annuncio dello smarrimento di un grande cane bianco e pensai al senso di perdita che sicuramente stavano provando i suoi padroni.
Il pietrisco risuonava sotto la suola consumata delle mie scarpe e così potevo sentire la conformazione dei sassolini. Il cielo era cinereo; l'estate non si decideva proprio ad arrivare e le mie mani erano congelate.
In quel momento camminavo sul marciapiede, sulla strada di ritorno al ghetto. Non sapevo come affrontare Julie o Sam, non sapevo se sarebbero stati ancora a casa, se avessi trovato solo mio fratello o se non ci sarebbe stato nessuno. I miei piedi si bagnarono sguazzando nelle pozzanghere ma non me ne preoccupai minimamente. Mi venne una forte voglia di caffè ma, come al solito, non avevo un centesimo in tasca.
Prima avevo staccato un minuscolo pezzetto di corteccia dell'albero e in quel momento lo rigiravo tra le dita.
Per arrivare a casa passavo sempre per la zona buona del quartiere. Un taxi quasi mi mise sotto senza che io me ne accorgessi, ma non importava. Non avevo paura della morte, non ne avevo mai avuta. Però mi sarebbe mancato il caffè, si.
~
Spinsi la porta di casa che ,come sempre, trovai aperta; la serratura era sempre stata rotta. La richiusi alle mie spalle, accompagnandola e mi voltai, incamminandomi verso il salottino. Sam era per terra con la schiena appoggiata al muro a contemplare la poltrona di Tom, sovrappensiero, in maglietta e mutande.
《Dov'è Julie?》, richiamai la sua attenzione.
Lui si voltò di scatto, sorpreso.
《Cos...Vick sei tu! Sei tornata finalmente!》
《Ero qui anche un po' di ore fa, ma tu eri impegnato. Dov'è Julie?》
《Dai suoi fratelli. Ehi, gelosona la sorellina?》, chiese canzonatorio.
《Della mia amica si. Sam, non illuderla, lei non è da una botta e via.》
Silenzio.
Ancora silenzio.
Poi prese fiato,
《Ascolta Vick, lo so. Anche lei ne ha già passate tante e non se lo meriterebbe. Ma, sinceramente, non so cosa provo per lei, se è semplice attrazione o, col tempo, potrebbe diventare qualcosa di più. Per adesso so solo che non mi è indifferente e che vederla ridere fa essere felice anche un po' me.》
Ai tempi, non avrei mai creduto che mio fratello avrebbe potuto dire qualcosa del genere un giorno, così soffocai la piccola vena di gelosia benevola che provavo, mi avvicinai e, accarezzandogli la testa, me la appoggiai in grembo, mentre lui mi cingeva i fianchi con le sue braccia.
《Va bene. Allora, non farti del male neanche tu.》
Gli sollevai il mento e gli baciai la fronte, senza riuscire a guardarlo negli occhi; poi indietreggiai e uscii nuovamente di casa, lasciandolo solo.
~
《Vieni, ne parliamo davanti ad una tazza di caffè》.
Non le avevo dato neanche il tempo di aprire la porta e infatti lei se ne stette lì per qualche altro secondo, fissandomi con la bocca aperta prima di capire.
Si slacciò la giacca dai fianchi, se la mise e urlò a sua madre che sarebbe tornata presto, anche se in quel momento dubitai che la donna potesse sentire qualcosa: avevo intravisto dall'uscio della porta il suo braccio pendere dal divano e una bottiglia rovesciata a terra.
Con un salto, Julie oltrepassò l'uscio e iniziò a camminare dando le spalle alla strada e volgendo a me che la seguivo il suo sorriso luminoso.
《Sono felice.》
《Lo vedo.》
《Non credevo sarebbe mai successo.》
《Neanche io.》
《Cosa pensi che succederà?》
《Non lo so.》
《È tuo fratello. Dovresti saperlo..》
《Non ne ho la più pallida idea.》
Di colpo si arrestò e il sorriso le sparì dalla labbra; aggrottò le sopracciglia e venne speditamente verso di me per afferrarmi i polsi.
《Che hai?》
《Cos..? Niente!》
《Che hai? Dimmelo.》
《Nie...non lo so.》, abbassai lo sguardo.
《Lo so io.》, alzai lo sguardo sentendo le sue parole e la fissai incuriosita, 《Vick, io non te lo porterò via, lui non sparirà, te lo prometto. Lui non lo farebbe mai, perchè tu sei tu, sei la sua piccola Victoria. Ti amerà sempre, per sempre, più di quanto potrà mai amare me, ne sono consapevole.》
《E ti amerà, se già non lo fa. Come potrebbe essere il contrario? Sei meravigliosa. Lo so che mi vuole bene, siamo cresciuti insieme, lo conosco. Ma ho paura che un giorno le nostre strade si divideranno e io non lo voglio perdere. E non mi importa del sangue, lui è mio fratello e io sono sua sorella.》
Lei abbassò lo sguardo e sorrise, poi mi puntò gli occhi lucidi negli occhi, mi abbracciò e mi sussurrò all'orecchio:
《Si, Vick. Lo so, per te è tuo fratello. Lui ti ama, non dimenticare mai queste parole, mai. Spero solo che una piccola parte dell'amore che prova per te possa un giorno provarlo anche per me. Per adesso vedo come va, no?》, si distanziò e mi sorrise, sfiorandomi il naso col suo.
《Perchè piangi?》
《Sono felice.》
《Lo hai già detto.》
《Beh, lo sono per davvero. Però è strano, è una strana felicità. Malinconica direi.》
《Bionda, te sei tutta scema. Andiamo.》, le presi la mano e la trascinai dietro di me, avanzando a saltelli.
《Dove prendiamo questo caffè?》
《In un posto dove andai con Jude. Ah, a proposito, spero tu abbia qualcosa perchè ho dimenticato i soldi a casa.》
《Per fortuna ho preso la giacca di mamma. Ma Jude.. 》
《Lascia perdere.》
《Va bene.》
~
Alla caffetteria stemmo ore a chiacchierare, bevendo caffè e giocando con il pane tostato e la marmellata di ciliegie che la cameriera ci aveva portato. Si sedette con noi anche l'anziana addetta alle pulizie; si mise vicino a Julie. E io me ne stetti lì a contemplarla, a guardare la luce del sole immergersi nei suoi capelli dorati, a vedere i suoi occhi azzurri brillare, sorridendo grazie alla sua risata contagiosa, scatenata da chissà quale racconto dell'anziana donna.
E in quel momento compresi che lei si meritava di vivere, di vivere per davvero e non l'avrei mai trattenuta o legata a me, per quanto la sua mancanza mi avrebbe fatto male, perchè ormai sapevo che quelli erano gli ultimi momenti che avremmo passato insieme, una parte di me ne era certa. E quella parte era anche consapevole del fatto che se Sam avesse amato davvero Julie, tanto quanto lei amasse lui, non avrei più rivisto neanche lui.
Era quello il problema, lo avevo capito. Non gelosia.
Ma lei si meritava di vivere e così anche lui.
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