-Gira! gira!
Ridemmo a crepapelle, come ormai non facevamo da tanti anni. Agli occhi altrui dovevamo apparire come due pazze sciroccate, due quasi donne a far baccano sulle giostre dei bambini; ruotammo con forza la grande e circolare manopola piatta al centro e i nostri sedili ruotarono in senso opposto; il mondo vorticò intorno. Per calmare la nausea crescente, fissai il ferro arrugginito del gioco, da cui si stava scrostando la vernice rossa. Mi girava la testa come se avessi fumato da poco, ma l'adrenalina saliva e si trasformava in risate esagerate che mi toglievano il respiro. Julie, in preda ad una risata incontrollabile, gridò qualcosa con il viso rigato dalle lacrime. A un certo punto scivolai giù dal mio sedile, senza capire come, sbattendo il sedere sul terriccio; di conseguenza le mie risate triplicarono, seguite subito da quelle di Julie. Aumentò anche la nausea, così mi voltai, puntellandomi sui gomiti, e vomitai la colazione. Quando finii, mi ripulii la bocca con la manica della giacca e tornai a sorridere; in realtà avevo continuato a ridere anche tra un conato e l'altro. Tornai a stendermi sul terriccio battuto, mentre nella testa mi risuonò la calda e familiare voce di Tom che, come faceva fino a qualche anno prima, mi ordinava di alzarmi da terra, dove potevano aver pisciato i cani, come testualmente diceva lui. Da bambina gli obbedivo sempre; in quel momento avrei potuto dirgli, con benevola ironia, che il piscio canino avrebbe aumentato i miei anticorpi o roba del genere. Ma ovviamente lui non era lì. Tenni le braccia spalancate, così come anche le gambe e guardai il cielo terso sopra di noi. Il ferro della piccola giostra cigolava ancora, ma in maniera più docile e ipnotica, regolare; anche le risate di Julie divennero più sommesse. Non mi resi conto di quanto tempo fosse passato quando Julie si stese accanto a me, sdraiata al mio fianco destro, quello opposto alla chiazza di vomito. Mi pese la mano e rimanemmo così, in un pacifico e necessario silenzio. Il sole si alzò sempre più, raggiungendo lo zenit, e poi lo osservammo ridiscendere e, lentamente, tramontare. Le nuvole si tinsero di fuoco quando finalmente Julie parlò:
-Sembra un coniglio quella.
-Quale?
-Quella a destra.
-...
-Ah, si...nah! A me sembra un martello.
-Ti dico che è un coniglio!
- Se quella nuvola è un coniglio, allora io sono una vacca!
- Si, lo sei. Non te l'ho mai detto in tutti questi anni, ma non volevo che tu ne soffrissi. - scherzò, beccandosi un mio finto pugno che le generò una risata limpida.
Le nostre mano erano ancora intrecciate accanto le nostre teste, le altre abbandonate lungo i fianchi; io non osai muovere la mia, quella libera, per non rischiare di immergerla nella pozza disgustosa accanto a me.
-Voglio andarmene.
Non ci misi molto per capire che non era a casa dalla sua famiglia dove voleva andarsene.
-Perché?
-Per lo stesso motivo per cui tu hai cacciato via quel povero ragazzo ieri sera o per cui non parli più con Sam. Non davvero.
Non risposi.
-Me lo ha detto quella ragazza che chiamano Berny; di te e Jude intendo. Non avere paura di te stessa Vic; io so chi sei e cosa meriti e, te lo assicuro, tu sei abbastanza per lui. Anzi, sei tutto ciò di cui ha bisogno; lo vedo dal modo in cui ti guarda, in cui ti parla. Qualsiasi cosa ti sia successa o tu abbia fatto in passato che non hai voluto dirmi, sono sicura che lui lo accetterebbe, non sarebbe un problema per lui, aiuterebbe te ad accettarlo, ad accettarti. Perché ti ama, ne sono certa.
-...
-E per Sam, non allontanarlo. Ne abbiamo già parlato stamattina. Lui ti è sempre stato accanto, nonostante tutto, e tu lo hai sempre sostenuto, nonostante tutto. Questo non cambierà mai, qualsiasi cosa accada. E anche io starò sempre con te, dovessi ritrovarmi un giorno in Tibet o al Polo Sud, io sarò sempre con te, lo capisci questo?
Lo capivo benissimo, perché per me sarebbe sempre stato lo stesso; tuttavia non avevo mai concepito in tutti quegli anni perché Tom, Sam o la stessa Julie si fossero così tanto affezionati a me, a me che ero stata abbandonata dalle stesse persone che l'avevano portata al mondo. Ma cercavo di non domandarmelo più di tanto: in fondo mi amavano, era questo l'importante.
-Io non posso più stare qui, in quella casa, con quella donna, con degli sconosciuti, a fare da genitore ai miei fratelli; è giunto il momento che mia madre si ripulisca, si sistemi e inizia a fare quello che non ha mai fatto con me: la mamma.
Udii la sua voce incrinarsi. Le strinsi con più forza la mano.
- Ho sempre annullato me stessa per i miei fratelli e non lo rimpiango: lo rifarei altre mille volte ancora. Ma arriverà il momento in cui mi sarò talmente messa da parte che neanche loro mi riconosceranno più; tuttavia andranno avanti con la loro vita, volendomi bene, certo, ma non abbiamo un cordone ombelicale a legarci; è giusto così. Andranno avanti con la loro vita da soli. E io resterò indietro, da sola. Totalmente sola. Perché neanche io mi riconoscerò. Non lo faccio di già. Anzi, non mi conosco proprio, non mi sono mai conosciuta, non veramente.
La sua voce era ritornata calma, lucida e ferma. Come se mi stesse raccontando quanta saliva aveva sputato Paolette quel giorno dentro la sua zuppa, essendo senza dentiera.
-è solo che...non so. Ho come la sensazione che ancora non sia il momento giusto, il tempo adatto per iniziare questa nuova vita. La mia nuova vita. Sento che devo pazientare ancora un altro po', come se stessi aspettando qualcosa. O qualcuno. Non so cosa sia, ma so che arriverà. E allora dovremmo salutarci. Ma non sarà un addio, te lo prometto. Poi te l'ho già detto, no? Io sarò sempre con te. E tu con me. Nei nostri cuori.
Gli occhi mi pizzicavano e la gola bruciava in una stretta morsa. Ma non avrei ceduto, per niente al mondo. Lei aveva bisogno che io fossi forte, altrimenti non mi avrebbe mai lasciato. E io glielo dovevo. Se lo meritava. Così mi misi seduta e poi mi sollevai, le tesi le mani e, senza aspettare che lei me le afferrasse, la tirai su di peso. Le sorrisi e le tolsi via anche il peso che sapevo le gravasse in quel momento sul petto. La baciai castamente sulle labbra, come si bacia una mamma o una sorella più piccola prima di metterla a dormire, e l'abbracciai.
-Ok mia esploratrice,- esordii in tono solenne,- ma per adesso torniamo a casa.
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