Cap. 26
Era l'alba. La leggera brezza mi scompigliava i capelli ormai lunghi fino alle clavicole e la sabbia fresca mi carezzava i palmi delle mani, mentre gli occhi mi si colmavano di mare. quella notte, prima di uscire dal locale, avevo coperto i mio corpo seminudo con una semplice maglietta bianca, fin troppo grande per me, per il mio fisico trascurato, una giacca grigia col cappuccio e dei morbidi pantaloni di tuta tagliati al ginocchio. Non erano miei. Tutti i vestiti intendo. A parte le scarpe; quelle erano le solite, sfondate, vecchie. Ma mie. Soprattutto mie. Avevo chiuso la porta sul retro del locale quella notte e mi ero ritrovata solo pochi spicci nella tasca di quella giacca non mia. Avevo fame e sete. Li spesi tutti per comprare il biglietto del bus e, quando arrivò, non mi voltai e saltai su. La fame si era assopita, come tante altre volte del resto. E in quel momento tutto il cibo di cui avevo bisogno era davanti a me. A riempirmi gli occhi. A sfamarmi l'anima ingorda. Il mare. Lo stesso di qualche anno precedente o di pochi giorni prima, ma uguale a come lo rividi in quel momento, frastagliato dai capelli scuri di quella donna di cui ormai avevo dimenticato il volto, accompagnato dalla sensazione del suo sorriso, della sua pelle calda, bollente; un bruciare piacevole. E le sue labbra sulle mie, le labbra di Jude, le sue carezze, il suo respiro e, mentre mi bacia, quell'antico, strano, rassicurante grugnito in fondo alla sua gola, uscente dal suo petto, antico come l'uomo, antico come il mondo, che sa di dolci promesse, di sentimento . Altre labbra, altre mani, altra pelle sulla mia, tutto più famelico, lesto, veloce. Mi prese la confusione, sembrava passione, ma provai paura. Era lui. Non erano più gli occhi di Jude a guardarmi; non c'era amore in questi due buchi verdi, così simili ai miei. Erano vuoti, persi, persi per sempre.
Inspirai con forza, trasalendo. Il rombo delle onde mi colpì con violenza rude le orecchie e io lo accolsi con sollievo. Il mare nuovamente dinanzi a me, blu, azzurro, verde, nero. Mare.E il profumo...incredibile. Un profumo incredibile. Avevo davvero il mare negli occhi, da cui ne uscì fuori; goccia salata dopo goccia salata, le lacrime scesero fin sugli zigomi per essere da lì sferzate via dal vento, il quale mi scompigliò anche i capelli neri. Mi accarezzò la pelle e mi rinfrescò il cervello. Davanti a me il mare blu, sopra di me il cielo di un pallido rosa, sotto e intorno a me sabbia dorata. Oltre all'odore del mare sentivo anche quello familiare e confortante di tabacco vecchio e sulle labbra il sapore del sale e fra i denti lo scricchiolare dei piccoli granelli dorati e nelle orecchie la voce del mare, dei gabbiani e la sua voce, che mi riportò indietro con prepotenza.
-Sapevo di trovarti qui.
Dovevo aspettarmelo. Forse. Nel mio campo visivo ci furono subito anche i suoi capelli biondi, mossi dalla leggera brezza marina. La sentivo, vicino a me, riscaldava la sabbia.
Esitò.
-Allora, stanno tornando? Sta tornando?
Annuii, semplicemente. A cosa sarebbe servito fingere con lei? La sentii avvicinarsi, sempre più, e poi, cautamente, me la ritrovai tutto intorno, ero avvolta dalle sue braccia, da quella immensa aureola di capelli dorati come la sabbia e scrutata da quegli occhi d'acquamarina. Mi accorsi appena dei nuovi fiumi di mare che scendevano dai miei di occhi.
-Jey?
Stop.
-Jey..- Ripetei.
Lei aspettò.
-Non finirà mai, vero?
-Non lo so.- Pausa. - Non lo so bambina mia.- Ripeté.
Annuii, semplicemente. Non avrebbe avuto senso fingere con lei.
-Hai fame?
-...
-Andiamo, ho sei dollari. Ci vengono fuori due caffè, sicuro, forse un cornetto.
Si alzò e sbatté un po' le mani su glutei e ginocchia per scuotere via la sabbia. Mi tese le mani e, senza aspettare che io le afferrassi, mi tirò su di peso; poi trattenne la mia mano sinistra nella sua destra, fino ad un piccolo bar costruito in legno sulla spiaggia, dalle assi marce di sale e rosicato dal vento e, anche dopo, sedute ad un piccolo tavolo, col caffè fumante nelle tazze e due piccoli cornetti integrali accanto, prese anche l'altra mano e continuò a tenermele, senza mai lasciarle.
Silenzio. Sorseggiammo la bevanda, bruciandoci la lingua e guardandoci negli occhi; avevo sempre adorato gli occhi di Julie.
-Sam è in pena per te e preoccupatissimo per stanotte: sei sparita di colpo e non sapevamo cosa ti fosse successo, né dove cercarti. Sam aveva visto il tuo amico andare via da solo, quindi sapeva che non eri con lui. E in più dice che sei distante, più del solito, non sei più la nostra Vick, più delle altre volte. Non lasciarti risucchiare da questa cosa, non di nuovo, non di più, non per sempre. Ti prego.
Alzai lo sguardo sul suo, nel suo. Verde nel blu.
- Non farci questo. Non a me, non a lui. Ti ama così tanto. Davvero.
Aggrottai le sopracciglia e schiusi la bocca, un po' per sorpresa e un po' per una inattesa sensazione di disagio che stava affiorando. Poi mi ricomposi. Sam mi amava, certo. Eravamo fratelli, non sarebbe mai importato il sangue. Sangue o non sangue lui era mio fratello. Allora perché questa sensazione? Era stata la tristezza negli occhi di Julie che affiorava mentre lo diceva con quell'insensata amarezza velata nella voce.
-Certo. Sono sua sorella.
Sorrise, si, ma sapevo che c'era dell'altro sotto.
-Si, certo.- Rispose.
Finimmo le ultime gocce di caffè e le ultime briciole integrali, mentre l'alba rosa lasciava il posto ad un terso azzurro. Le onde, i gabbiani e il tintinnare delle tazzine si fondevano al vociare calmo e assonnato dei nuovi clienti, turisti, surfisti, anziani. Era un bel posto, lontano da tutto, dai ricordi presenti e futuri. Volsi gli occhi al mare e mi beai di tanta serenità. Gli occhi di Julie nel mare, il sapore del caffè sulle labbra, le onde nelle orecchie e le sue mani ancora nelle mie, senza mai lasciarle.
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