Cap. 20
Eravamo in un fast food. Io stavo con la testa appoggiata alla parete a vetri che dava sulla strada, con le ginocchia rannicchiate al petto, lui proteso verso di me, con i gomiti sul tavolo, mentre mangiava le patatine.
Non avevamo più parlato di quella sera. Perché si, io ricordavo tutto, ogni singola cosa, ogni emozione che avevo provato. E anche in quel momento, guardandolo, non riuscivo ad evitare di pensare a come la mia pelle, quella volta, si fosse infuocata al tocco della sua. Non avevo più sentito il freddo delle mattonelle, volevo solo averlo più vicino, volevo solo stringermi a lui e non staccarmene mai più, diventare un suo appendice, come un parassita; perché sapevo che lui avrebbe richiuso le sue braccia su di me e mi avrebbe accettata e protetta.
Ma non avevamo più parlato di quella sera. Erano passate quasi due settimane e non l'avevamo fatto. E io sentivo ancora le sue labbra sulle mie.
Lo stavo fissando. In quel momento avrei voluto semplicemente allungare il braccio e affondare le mie dita fra i suoi capelli un po' mossi e con qualche boccolo. Sarebbe stato bello giocarci. Ma tenni ancora più stretto il mio bicchiere di aranciata in mano per non cadere in quella strana tentazione. Lui aprì un altro piccolo contenitore di maionese, mi ero accorta che il ketchup non gli piaceva, e io misi in bocca la cannuccia, masticandola.
《Sei mai stata innamorata?》, buttò lì, mettendosi in bocca la punta dell'indice per togliere un po' della salsa bianca.
Era una domanda del tutto inaspettata, quindi me ne rimasi lì a fissarlo a bocca semiaperta, senza dargli una risposta, quando però un ricordo mi tornò in mente come un flash.
《Mamma..》 , sussurro. Non voglio che lui mi senta.《Mammina, svegliati, guarda cosa ti ho portato.》, un po' di cioccolato, delle caramelle e un pezzetto di formaggio. Tutto avvolto nello stesso tovagliolo.
La mamma è seduta all'angolo della stanza, con la finestra alle spalle, sopra la sua testa e accanto il termosifone. I bracciali argentati che le ha regalato papà sono attorno ai sui polsi e incastrati al tubo del termosifone. Papà dice che la mamma è matta, quindi, per il suo bene, ogni tanto deve curarla e tenerla vicino al termosifone con i suoi bracciali magici. Però a me non sembra che la mamma sia contenta così. Oggi non ha bevuto e neanche mangiato. Spero che questo le piaccia, ma lei non si sveglia.
《Mamma..ti prego. Ci sono io qui. Ti voglio bene. Ti ho portato le caramelle..》
Apre un pochino gli occhi, prova a sorridere ma non ci riesce. Così mi fa segno con le mani di sedermi sulle sue ginocchia, lì per terra. Mi intrufolo fra le sue braccia , apro il tovagliolino, le sposto alcune ciocche dei suoi lunghi capelli dalla bocca e le spezzetto il formaggio.
《Apri la bocca, mamma!》
La mamma tiene i suoi grandi occhi spalancati. Sono castani, come la cioccolata. Ma sono strani...non caldi come quelli di prima. Delle lacrime scendono giù da questi e lei inizia a scuotere violentemente la testa da una parte e dall'altra.
《Ehi.》
Mi volto. È papà.
《Vieni. La mamma deve riposare. Non può stare con te. Le dai fastidio così. Vieni con me, ci divertiremo.》
La mamma fa degli strani versi piange, scuote la testa e cerca di togliersi i bracciali. Scalcia per cercare di colpire papà, ma lui mi prende in braccio e si scansa, senza neanche guardarla.
《NON TOCCARE MIA FIGLIA!》
Siamo sull'uscio della porta. Papà si ferma e sorride. Non si volta. La mamma ha gli occhi rossi, come se li avessi colorati col mio pastello rosso. Era da tanto che non sentivo la sua voce, per giunta così forte. La fisso dispiaciuta, voglio stare con lei. Perché non vole che papà mi tocchi? Sono già in braccio a lui.
Poi vedo la mamma allontanarsi e sparire. Ci siamo mossi, siamo nella mia piccola stanza e papà mi sta posando sul mio letto.
《Ecco, adesso papà ti farà stare bene. Togli la magliettina, fa caldo..》
《Victoria?》
Sbattei le palpebre. Sentivo gli occhi umidi.
《Ehi, che succede?》, Jude era preoccupato.
《No. Non ho mai amato nessuno.》, una risposta secca.
《Oh. Uhm..capisco.》, disse poco convinto.
《Tu?》, chiesi, senza guardarlo negli occhi e fissando l'ultima patatina abbandonata sul suo vassoio.
Non ricordavo questa cosa. Forse quella fu la mia prima volta. Non sapevo nemmeno quanti anni avrei potuto avere. Di sicuro ero molto piccola.
《Si.》
Aveva detto di si; alzai lo sguardo incuriosita, sperando di distogliere la mia attenzione dal passato.
《Si, ma..ecco, per lei non ero abbastanza.》
《Cosa? Come fa una persona a non essere abbastanza per un'altra? Siamo tutti uguali.》
《Me lo disse lei. Dopo che avevamo fatto l'amore. O almeno io avevo fatto l'amore. Lei è stata la mia prima volta, la mia prima cotta, la mia prima amica.》, fece un piccolo sospiro frettoloso e continuò senza che io glielo avessi chiesto. A quanto pare si teneva questa cosa dentro da anni. 《Eravamo semplici amici. Figurati! Amici d'infanzia. Ho iniziato a vederla sotto un altro aspetto quando avevamo quindici anni. Un pomeriggio eravamo nella sua stanza a fare i compiti come ogni giorno e ad un certo punto non riuscii più a smettere di fissarla: il modo in cui accompagnava con il labiale le parole che scriveva, il modo in cui teneva la penna, la sua frangia dietro l'orecchio, il colore dei suoi capelli, le sue lunghe ciglia. Fu in quel momento che mi innamorai di M.》, guardava fuori , con lo sguardo perso nel vuoto, mentre con le mani torturava un fazzolettino di carta.
Aveva una maglietta a maniche corte nera, di due taglie più grandi probabilmente. Quel colore risaltava perfettamente la sua carnagione chiara e i capelli scuri. Vedevo i muscoli del suo collo e della mascella squadrata tesi, e un'ombra di barba aleggiava sul suo viso.
《Poi cosa successe?》, ebbi il coraggio di chiedere.
《Niente. Assolutamente nulla. Rimasi il suo migliore amico. Non le avrei mai detto niente. Non volevo distruggere la nostra amicizia, lei mi sembrava così fragile. Solo anni dopo capii che non lo era. Non era niente di tutto quello che io avevo amato.》, aggrottò le sopracciglia e iniziò a fare a pezzetti il tovagliolino. 《Guardai Mcansy crescere e io crebbi con lei. La guardai farsi altri amici, frequentare ragazzi, ma per me lei rimaneva la mia unica amica e non frequentavo nessuna seriamente. Ogni cosa che lei mi confidava, come doveva comportarsi con il suo ragazzo, le preoccupazioni di non averlo baciato abbastanza bene e, più tardi, le sue avventure con altri, tutto per me era un pugno nello stomaco. Ma stringevo i denti e la rassicuravo, le dicevo che era bellissima, che sarebbe andata bene, che l'avrei difesa se il suo nuovo ragazzo non l'avesse trattata giustamente.》, si fermò, forse per riprendere fiato.
Il fazzolettino era ormai a brandelli, la mia aranciata finita, la cannuccia martoriata e metà locale vuoto. Fuori il sole iniziava a tramontare e il cielo stava per tingersi di rosa.
《Poi un giorno venne da me. Io ero sul mio letto ad ascoltare il mio album preferito e ricordo ancora che indossavo il sotto scuro della tuta e i calzini erano di un terribile verde acido.》, l'ombra di un nostalgico sorriso gli si dipinse sul volto.
《E..poi?》, chiesi esitante.
Lui distolse lo sguardo dal vetro e lo punto dritto nel mio.
《Il ragazzo con cui aveva passato mille avventure, con cui credeva di avere una relazione seria l'aveva lasciata dopo essersela scopata per l'ultima volta. Si era trovato un'altra. Non avevo mai visto Mcansy così sconvolta. Così la tenni stretta per ore tra le mie braccia sul mio letto, mentre lei sfogava tutta la sua frustrazione. Io ero combattuto: al settimo cielo perché aveva rotto con quel bastardo e mi sentivo una merda per essere così contento mentre lei stava soffrendo davvero. Poi, quando due ore dopo smise di singhiozzare, mi guardò negli occhi e io, ritrovandomela così vicina, non resistetti più e la baciai. Feci per la prima la volta l'amore quella sera. Non so cosa fosse per lei. Avevo diciassette anni e in due anni non le avevo mai confessato nulla. Fu così bello. Lo ricordo ancora. Ma quando poi, mentre stavamo per addormentarci, le dissi che credevo di amarla, lei si allontanò da me. Quella, disse, era solo una scopata tra migliori amici che si volevano bene e volevano sentirsi meglio. Lei non mi amava, non ero abbastanza. Non potevo sostituire il suo ex. Dopo quella sera niente fu come prima. Rovinai tutto.》
《No, no Jude. Tu non hai fatto niente. Assolutamente nulla.》, mi alzai dalla mia sedia, feci il giro del tavolo e mi andai a sedere vicina a lui, prendendogli le mani tra le mie e guardandolo negli occhi. 《Credo che fosse inevitabile che prima o poi i tuoi sentimenti venissero fuori. Ti eri solo innamorato della persona sbagliata. Tu eri abbastanza; eri anche troppo. Lei non ti meritava.》, dissi certa, accarezzandogli la mascella.
《È probabile. Ma se tutto quello non fosse successo, forse avrei potuto salvarla.》
Lo guardai confusa e smisi di accarezzarlo, dimenticandomi però la mia mano sulla sua guancia.
《Si rimise con quello stronzo. Lo pregò, si umiliò. Un anno dopo, una sera, era in macchina con lui. Lei aveva bevuto, lui si era anche drogato. Sbandarono e finirono sulla corsia opposta. Prima di arrivare in ospedale era già tardi per tutti e due. Anzi.. 》, lo vidi esitare e il suo volto di scurì ancora di più, per quanto fosse possibile,《...per tutti e tre. Lei era in cinta. Quarto mese. Neanche lo sapeva. Aveva diciotto anni cazzo. Ne avrebbe fatti diciannove due mesi dopo.》
Non aspettai che gli si spezzasse la voce, come avvenne alla fine. Non aspettai che gli occhi gli si riempissero di lacrime, Non aspettai che crollasse davanti all'intero fast food. Lo abbracciai prima, nascosti le sue lacrime prima che cadessero, tenni insieme i suoi pezzi, prima che si staccassero. Lo tenni stretto tra le mie piccole braccia, mentre lui affondava il volto nell'incavo del mio collo e io gli accarezzavo i capelli scuri.
《Beh, allora è una bella fregatura l'amore.》, forse non era la cosa più opportuna che avessi potuto dire in quel momento, ma fu la più giusta.
Iniziò a solleticarmi il collo mentre lui era scosso dalle risate per quello che avevo detto. Come era strano: un attimo prima sembrava che si stesse prosciugando e adesso rideva come un matto. E poi la drogata ero io.
Tenne la testa sulla mia spalla e girò il suo volto verso il mio, poggiò una sua manona sulla mia guancia e costrinse il mio sguardo al suo. Credetti che il cuore mi mancasse dei battiti o che stesse andando troppo velocemente. Mi solleticava caldamente lo stomaco e i miei piedi formicolavano. Rimasi immobile, mentre i nostri nasi si sfioravano e poi lui mi lasciò un fuggevole e casto bacio sulle labbra, per poi rimanere lì, così vicino.
Abbassai lo sguardo sulle sue labbra e aggrottai le sopracciglia, mentre, ipnotizzata, guardavo i pori scuri di barba vicino al suo labbro superiore.
《Vado a pagare.》, sorrise, mi prese il viso tra i suoi palmi e, alzandosi, mi lasciò un bacio sulla fronte , allontanandosi verso la cassa e lasciandomi lì, basita e col cuore e lo stomaco scombussolati e confusi.
Il calore del suo corpo così vicino al mio. Quelle labbra rosee così invitanti. Avrei voluto baciarlo. Baciarlo, non lasciarlo più andare, prosciugarlo dal suo dolore fino all'ultima goccia, riaccarezzare quel volto ornato di corta barba ispida, ruvida al tatto.
《Possiamo andare, Vick.》, era in piedi accanto a me e si stava mettendo la giacca a jeans.
Guardai fuori e notai il cielo ingrigirsi.
《Sta per piovere.》
《Tranquilla ci penso io.》, rispose senza guardarmi.
Si indirizzò verso l'uscita e lo seguii; aprì la porta a vetri e la tenne così per farmi passare. Uscì dietro di me e si tolse la giacca jeans, utilizzandola come riparo per entrambi. Così mi avvicinai e lambii i suoi fianchi con entrambe le mia braccia per riuscire a stare meglio in due lì sotto.
《Dato che sto qui vicino andiamo a casa mia. Sbrighiamoci o sta volta la febbre verrà anche a me. Almeno possiamo chiacchierare ancora.》
Annuii.
Prendemmo a sinistra e attraversammo mezzo isolato sotto la pioggia. Ormai eravamo zuppi nonostante la povera giacca e quando finalmente arrivammo ci riparammo sotto la pensilina, mentre Jude cercava la chiave giusta tra quelle del mazzo nelle sue mani.
Io però non fissai le mie scarpe bagnate, le pozzanghere, le chiavi, le sue mani. Notai solo una grossa goccia di acqua in bilico sul suo folto sopracciglio sinistro, sul punto di scivolare via; lo fece e percorse tutto il drittissimo pendio del naso di Jude, arrestandosi sulla punta e cadendo giù per confondersi con l'asfalto bagnato.
Non riuscivo a smettere di fissare le sue labbra rosee, perfettamente in carne. Avrei voluto avvicinarmi, toccare, risentirle sulle mie. Feci un passo avanti, decisa.
《Trovata! Entriamo su!》, esplose soddisfatto.
Cazzo. Una volta tanto che prendevo una decisione!
Spinse la porta ed entrò, seguito a ruota da me.
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