Cap.12
Il sole penetra sbiadito dei vetri sporchi delle finestre sgangherate. Il legno del davanzale è consumato e scheggiato. Le tende sono imbrattate, sfilacciate e strappate in molti punti.
Sto seduta sul pavimento e fisso i disegni del tappeto sotto di me; cerco di far passare il tempo infilando le dita e allargando i buchini presenti nella stoffa. Il tavolino davanti a me è stracolmo di piatti sporchi con residui di mangiare che emanano brutti odori e di bottiglie di birra vuote.
Le mie scarpe si sono scollate e i fiorellini sopra disegnati da rosa sono ormai diventati quasi neri.
La mamma è a terra. Non si muove. Credo stia dormendo, è già capitato tante altre volte. Sta sul pavimento della cucina rivolta su un fianco e mi da le spalle. I suoi lunghi capelli castani sono arruffati ed è in pigiama.
Non ho voglia di andare a vedere come sta; non voglio vedere il volto rovinato della mamma. È sicuramente gonfio e viola, come ogni volta che lui la picchia. Sembra morta, non riesco neanche a vedere le sue spalle sollevarsi mentre respira, come i morti in quei film di gente che si spara che a volte vedo in TV.
Rivolgo di nuovo lo sguardo in basso e fisso le mie piccole gambe: lui dice che ultimamente sono diventata più grande e che un giorno sarò bellissima. Sono più tranquilla quando papà è gentile con me. Sollevo i miei occhi chiari e tornò a fissare la luce che entra dalla finestra: vedo solo il cielo, il sole e le nuvolette bianche. Il mio passatempo preferito è fissarle e vederle prendere tantissime forme. Quella a destra sembra un piccolo coniglio, quella sotto un martello...si sta trasformando in un lupo.
Sento il rumore di una macchina che si avvicina a casa, la sento parcheggiarsi davanti al vialetto. Una portiera sbatte e dei passi si trascinano e scricchiolano sul terriccio.
Con la coda dell'occhio guardo la zanzariera aprirsi e lui inserisce le chiavi nella toppa per aprire la porta. Volge lo sguardo verso di me e io riabbasso in tutta fretta il mio facendo sbattere la punta delle piccole scarpe tra di loro.
Entra con le buste della spesa tra le braccia e lascia la porta rinchiudersi dietro di se; si dirige lentamente verso la cucina per posarle, ma inciampa un po' su un piede della mamma, così lo vedo dare un calcio alle sue gambe per spostarle e queste vanno a sbattere contro i piedi del tavolo. Sento un brutto tonfo e stringo gli occhi nascondendo la faccia tra le braccia e le ginocchia.
È tutto buio, ma riesco ancora a sentirlo muoversi mentre mette a posto le bottiglie di vetro appena comprate.
《Cosa hai fatto oggi, piccola?》
Non rispondo e lo sbircio al sicuro da dietro i mei capelli scuri.
《Sei arrabbiata con me, piccola?》, riprova.
Torno a nascondere il viso quando lo vedo avvicinarmisi. Poco dopo una sua mano è sulla mia spalla e mi scuote lievemente.
《Dai su, parlami.》
Sollevo timidamente lo sguardo e lui mi scosta i capelli dalla faccia sorridendomi. Quando papà sorride gli si increspano gli occhi di lato. Ha gli occhi verdi, come i miei e ne sono sempre andata fiera! è un bel colore; quelli della mamma sono castano chiaro.
《Non ho fatto nulla.》,sussurro.
Non smette di sorriderermi e subito mi solleva da terra prendendomi in braccio.
《Beh, adesso ti preparo la colazione eh? Cosa ne pensi? Ho comprato i cereali!》
《Davvero?》, chiedo con un piccolo sorriso sulle labbra. Adoro i cereali.
《Assolutamente si!》, detto ciò, mio posa sul bancone della cucina e io inizio a dondolare le gambe guardandolo darsi da fare.
《Grazie.》, sorrido.
Recupera la mia tazza, apre il frigorifero e prende il cartone del latte, da cui ne beve direttamente un sorso. Va per versarlo nella tazza vicino alla mia mano ma subito si blocca.
Il sorriso gli scompare dalla bocca. La mamma si è svegliata e la sento lamentarsi dal pavimento, mentre prova a muoversi cercando si sollevare la testa da terra.
Lui sbatte il cartone del latte sul davanzale e questo schizza un po' sulla mia maglietta già poco pulita.
Ho paura. Non voglio guardare. Le si sta avvicinando lentamente con quei suoi scarponi pesanti e si ferma proprio a un centimetro dalla sua testa. Si abbassa e afferra la mamma per i lunghi capelli.
Subito mi copro gli occhi con il braccio e con l'altro mi aiuto a scivolare dal davanzale per scappare via nella mia stanza. Mentre scendo sbatto il ginocchio sul pavimento, ma non tolgo il braccio da sopra gli occhi. Non voglio vedere. Non vorrei neanche sentire. Corro verso la mia stanzetta e mi chiudo la porta alle spalle andandomi subito a nascondere sotto il letto.
Sento dei tonfo, la mamma si lamenta e provo a distrarmi giocando con la rete del letto sopra di me.
Spero che almeno oggi finiscano presto. Oggi faccio sei anni.
È il mio compleanno.
Non trovavo la forza per sollevare le palpebre. Bruciavano e vedevo davanti al me il mescolarsi dell'arancione, del giallo e del rosso. Doveva essere spuntato il sole.
Respirai lentamente e sentii le mani intorpidite e le gambe pesanti.
Mi beai della calda sensazione del sole sul mio volto; era tutto così morbido intorno a me. La mia testa era come sprofondata in una nuvola. Le lenzuola profumavano ed erano soffici e...
Profumo? Lenzuola morbide? Tranquillità?
Spalancai immediatamente gli occhi e i raggi di luce li colpirono violentemente, spingendomi involontariamente a strizzarli e a portare una mano sopra di essi.
Dopo essermi abituata alla luce iniziai a focalizzare, ma tutto ciò che inizialmente vidi fu il soffitto immacolato. Piano voltai la testa che vorticava verso sinistra e per poco non mi prese un colpo.
Un ragazzo a torso nudo era sdraiato accanto a me e un suo braccio era avvolto attorno alla mia vita.
Strinsi gli occhi e mi avvicinai al suo viso: capelli scuri, naso piccolo, zigomi un po' pronunciati e labbra carnose.
Era Jude.
Dalla sua bacca semi aperta fuoriuscivano sbuffi che portavano i capelli sul suo volto a sollevarsi e spostarsi continuamente. Il suo viso era cosi vicino al mio. Sentivo il calore che emanava. Stava dormendo. Non avevo intenzione di svegliarlo. Sembrava così tranquillo, così calmo. Come se tutto il resto fosse nulla, e niente avrebbe potuto scalfirlo. La flebile luce che timidamente entrava dalla finestra baciava lievemente il suo volto e illuminava le calde lenzuola. Quel calore si rifletteva sul mio corpo, sulle mie braccia. I miei capelli illuminati, talmente scuri da avere i riflessi blu, erano sparsi su tutto il cuscino.
Lievemente posai una mano sul suo braccio, carezzandolo col pollice e girandomi definitivamente su un fianco per guardarlo meglio. Continuai a tracciare con le dita i solchi dei suoi muscoli, a seguirne le nervature, fin quando il suono di una voce non mi fece sobbalzare:
《Preferisco di gran lunga questo risveglio alla mia solita sveglia, bambina.》, sorrise sommessamente con ancora gli occhi chiusi e il tono impastato dal sonno.
Subito portai via le mani per l'imbarazzo e le ritrassi al petto. Non riuscivo a smettere di fissare quella fossetta e le sue lunghe ciglia scure che gli carezzavano gli zigomi.
《Non ti ho detto di smettere.》, continuò sempre come prima.
Con le sue mani ritrovò le mie e intrecciò le nostre dita; guardai ammaliata le sue grandi mani connesse alle mie e sentii un brivido corrermi lungo la schiena.
'Calma gli ormoni, Vick. Cosa ti prende', mi rimproverò la mia testa.
Ma non sapevo risponderle, così stetti zitta e ferma, godendomi quel momento. Chiusi gli occhi e la sua pelle era morbida contro la mia, mentre continuava a massaggiarmi le mani.
《Cosa è successo sta notte?》, il suo tono era serio, così come il suo viso e l'atmosfera si fece di colpo pesante, tanto da sentirmi un peso opprimermi il petto.
Sciolsi le nostre mani e mi misi a sedere sul bordo del letto. Cosa avrei dovuto rispondergli? Che ero una drogata mentalmente instabile? Che avevo perso la speranza di poter vivere davvero? In modo migliore?
《Niente.》
《Non era niente quello che ho visto qualche ora fa.》
Mi voltai e il mio sguardo si allacciò subito al suo, come una calamita. Aveva un profondo cipiglio e un solco passava tra le sue sopracciglia aggrottate.
Forse avrei potuto parlare con lui. In fondo non aveva fatto altro che aiutarmi, nonostante tutto. Sentivo che non mi avrebbe deluso, non mi avrebbe giudicata. Potevo fidarmi..
《Preparati. Ti porto prima in un posto,》, iniziai, 《prendiamo una boccata d'aria e farò in modo di spiegarti qualcosa per quanto tu possa comprendere.》.
'Farò in modo di aprirmi un po' con te sperando che tu non tradisca la mia fiducia' ,pensai veramente tra me e me.
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